INTRODUZIONE
I miei interessi nei confronti dell’universo artistico sono iniziati fin da quando ero
piccola; l’idea che si potesse rappresentare un’emozione mi ha infatti da sempre
affascinata. Più avanti nel tempo ho capito che l’arte non è solo “la rappresentazione di
un’emozione” ma, quasi sempre, anche lo specchio della società nella quale essa viene
forgiata.
Consapevole del fatto che la nostra società muta molto rapidamente, soprattutto negli
ultimi anni, mi sono quindi chiesta come questa mutazione potesse influenzare il mondo
dell’arte e se l’arte ne venisse più o meno svalutata, rispecchiando una società di
consumo nella quale ogni cosa è destinata ad una breve durata.
Come può quindi un’opera d’arte che di per sé è concepita per trasmettere un’emozione
eterna, sopravvivere in un panorama del genere?
Per rispondere a questa domanda, di chiaro sfondo sociologico, ho quindi iniziato ad
analizzare, nel primo capitolo, il rapporto tra l’arte e il cittadino e, di conseguenza, tra il
cittadino e la società. Sono partita quindi dalla tesi Baumaniana della “vita liquida”, una
vita in perenne mutamento nella quale tutto ciò che esiste ha breve durata, una vita che
coincide alla perfezione con le usanze della nostra società.
Per comprendere però i rapporti sopra citati, è necessario iniziare a capire chi è
l’individuo e cos’è esattamente questa società postmoderna; nel primo capitolo
emergono anche termini come ibrido: visto però in un’accezione differente da quella
che siamo abituati ad attribuirgli, la sua funzione dominante infatti consiste nel
separare, ed è considerabile più una dichiarazione di autonomia che non di unione. Altro
argomento basilare di questo capitolo è quello inerente al tempo libero, un concetto nato
con il benessere degli anni ’50-’60 e divenuto fondamentale sia per la nostra esistenza,
che per lo sviluppo del mercato dell’arte. Grazie al tempo libero abbiamo più tempo di
dedicarci a ciò che ci piace, a qualcosa che non abbia l’unica funzione di “fare denaro”:
l’arte. Importanti in questo capitolo sono anche il ruolo dello Stato, fondamentale per la
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diffusione dell’arte, e della glocalizzazione, un termine inventato da Zigmunt Bauman
per adeguare, in senso artistico, il panorama della globalizzazione alle realtà locali.
In una società nel quale la cultura viene definita “inutile”, poiché non contribuisce a
“saziare” ciò che pare l’unica cosa importante, ovvero il portafoglio, emergono concetti
come la “sindrome consumista” e, di conseguenza, la volontà di capire come possa
l’arte adattarsi al mercato dei consumi. Chi è quindi il consumatore d’arte? A questa
domanda ho risposto nel primo capitolo, grazie anche all’ausilio di sociologi come
Annah Ardent e Otto Rank.
Nel secondo capitolo, invece, ho proseguito questa “ricerca di senso” focalizzando la
mia attenzione su come viene promossa l’arte; ho infatti cercato di individuare quali
siano le tecniche adatte per diffonderla e, in qualche modo, adattarla alla società
postmoderna. Questo tipo di offerta di marketing deve potersi integrare a tutti gli effetti
nelle logiche del mercato, considerando soprattutto il fatto che l’era che stiamo vivendo
è sempre più caratterizzata dall’informazione, cosa di cui l’arte deve prendere
coscienza. Per fare ciò ho analizzato il mercato dell’arte, un mercato piuttosto
complesso e differenziato a causa dei servizi svariati ed eterogenei che lo caratterizzano;
questo mercato svolge un’importantissima funzione sociale-educativa nei confronti
della nostra società, esso infatti non solo deve produrre beni artistici, ma anche trasferire
l’arte al pubblico ed educarlo. Fondamentale, per la sopravvivenza del mercato dell’arte,
è anche il volontariato, indispensabile sia per affrontare in maniera adeguata le richieste
del mercato, che per sopperire alle mancanze dello stato.
Potremmo dunque concordare sul fatto che il mercato appena descritto ha bisogno di
una strategia di vendita, ed è qui che inizia un’analisi del marketing dell’arte, un
problema sollevato per la prima volta nel 1967 dall’accademico Joseph P. Kolter.
Quest’analisi sottolinea gli obiettivi , le modalità e gli approcci di questo tipo di
marketing, tenendo conto anche della concorrenza e della comunicazione/promozione
adatta a diffondere i prodotti artistici nella maniera più adeguata.
Ma, nel panorama appena descritto, come si è modificato il prodotto artistico in sé? È a
questa domanda che rispondono il terzo e il quarto capitolo.
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Come abbiamo più volte sottolineato, l’arte è considerabile quasi come uno specchio
della nostra società e, negli ultimi anni, la società è stata fortemente mutata
dall’invenzione di un mezzo rivoluzionario: Internet. Il terzo capitolo si incentra quindi
sui cambiamenti che questo nuovo mezzo sta radicando nella società e, di conseguenza,
nel settore dell’arte. Importante è quindi notare che non solo Internet consente una
comunicazione più economica e veloce, ma crea addirittura una sorta di “universo
parallelo” con il quale il settore dell’arte deve fare i conti. In quest’ambiente, nel quale
l’arte non ha nemmeno una nomenclatura ben definita (la più accreditata è Net Art), si è
creato sia un nuovo tipo di marketing, insieme alla comparsa di siti d’arte di diversi tipi
e con svariati obiettivi, che dei veri e propri musei virtuali. Ma questi non sono gli unici
cambiamenti che ha portato Internet nel mondo dell’arte, esso ha infatti creato un nuovo
spazio nel quale gli artisti hanno avuto la possibilità di sperimentare, producendo nuovi
tipi di arte che sopravvivono soprattutto grazie alla visione e alla diffusione tramite
quest’ambiente informatico, prima tra tutti la Video Art, che ho analizzato non solo
tramite l’ausilio dei libri ma anche tramite l’opinione di un artista che da anni utilizza il
video per fare arte: Andrea Contin.
Il quarto capitolo, invece, affronta un tema di tutt’altro genere, ma sempre molto
importante per definire il rapporto tra la nostra società e il campo artistico: l’arte nei
luoghi pubblici. Grazie ai cambiamenti avvenuti nella società postmoderna è nata nel
campo dell’arte un’ulteriore volontà di avvicinarsi ai suoi spettatori, e così essa è scesa
in piazza non come monumento “messo a caso” ma come una vera e propria forma
d’arte che si relaziona con l’ambiente circostante, ed è anche e soprattutto questa
relazione a dare credito e simboleggiare il prodotto artistico. In questo capitolo analizzo
quindi cosa sia di per sé lo spazio, cosa il pubblico, e che tipo di relazione ci sia tra essi,
definendo quindi l’esistenza di una vera e propria Site Specific, concetto nato negli anni
’70 che definisce la forte relazione tra arte e ambiente; l’opera viene infatti creata
appositamente per le qualità e le caratteristiche del luogo in cui si colloca, creando con
esso un dialogo unico. Ho inoltre cercato di rendere più chiaro questo concetto
attraverso l’esempio di tre grandi opere d’arte che hanno come loro principale
fondamento il rapporto con il territorio: L’opera comunitaria, fatta ad Ulissai nel 1981,
di Maria Lai; Ago, filo e nodo presente in Piazza Cadorna (Milano), realizzato dai
coniugi Oldemburg-Van Bruggen; e le infrastrutture realizzate da Santiago Calatrava a
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Reggio Emilia. Per cercare di comprendere ancora meglio questo concetto ho inoltre
intervistato un famoso artista che ha più volte esposto le sue opere nei luoghi pubblici:
Alex Pinna.
Nel sostenere il mio argomento non potevo certo non tenere in considerazione
l’opinione di un elemento cardine all’interno della mia tesi: il pubblico. Grazie infatti
all’aiuto delle opinioni di 109 persone, riportate su un questionario da me creato le cui
domande sono distribuite all’interno dei vari capitoli, sono riuscita ad avere più chiara
la mia visione dei mutamenti dell’arte nella società postmoderna e di come questi sono
stati percepiti dai suoi abitanti.
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I. LA SOCIETA’ DEL TEMPO LIBERO
Quando parliamo di arte, inevitabilmente pensiamo anche alla parola persona poiché,
infatti, essa esiste per far emozionare gli individui. Ma, come il contesto cambia, anche
le persone cambiano e ora, dopo secoli di mutamenti, siamo giunti ad un tipo di società
che è esattamente l’opposto di ciò che rappresenta l’arte: se infatti l’opera artistica è
concepita come “un’emozione immortale”, la nostra società segue più una logica
secondo la quale “ogni cosa esiste per aver vita breve”.
Zygmunt Bauman, riferendosi alla società postmoderna, parla di “Liquido”. Esso è il
tipo di vita che si tende a vivere nella società liquido-moderna. Una società può essere
definita tale se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro
modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure. Fare ipotesi attendibili
diventa via via più difficile. La vita liquida è, insomma, una vita precaria, vissuta in
condizioni di continua incertezza.
1
A determinare il benessere della nostra società e di coloro che ne fanno parte è la
velocità e l’efficienza con cui i prodotti vengono “buttati” e rimossi. L’individuo che fa
parte della società dei consumi conduce una vita in perenne movimento, nella quale
l’imperativo è la modernizzazione.
Data la situazione appena descritta appare utile analizzare il contesto in cui l’arte deve
vivere, o sopravvivere, per tentare di produrre ancora emozioni.
1
Zygmunt Bauman, p. VII‐VIII
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I.I L’individuo
Il termine individuo iniziò ad essere utilizzato consapevolmente nella società
occidentale, agli albori dell’età moderna. A quei tempi esso esprimeva un compito:
l’attributo dell’indivisibilità.
Se però ci domandassimo cosa significhi esattamente essere un individuo, la prima
risposta che ci verrebbe da dare sarebbe: essere un individuo significa essere diversi da
chiunque altro. Il guaio, nella società postmoderna, è che sono proprio gli stessi altri a
costringerci ad essere diversi.
Analizzando però più attentamente il termine, scopriremmo che sentendo la parola
individuo difficilmente ci verrebbe da pensare all’ indivisibilità; al contrario, infatti,
esso fa riferimento ad una struttura complessa ed eterogenea composta da elementi
altamente separabili, raccolti in unità precarie e fragili.
Paradossalmente, è lo spirito di folla ad imporre l’identità. Zigmunt Bauman scrive che
“essere un individuo significa essere uguale, anzi identico a chiunque altro faccia parte
della folla”
2
.
A seguito di questa dichiarazione possiamo dedurre che l’unico atto che farebbe
veramente di me un individuo, sarebbe cercare di non essere un individuo: compito
certamente non semplice, di difficile esecuzione e che potrebbe condurre a conseguenze
tutt’altro che piacevoli.
Durante questo percorso di ricerca del nostro vero io, la prima cosa che faremmo
sarebbe prestare particolare ascolto alle nostre emozioni, l’unica cosa che è tutt’altro
che impersonale, ma nostra a tutti gli effetti. Ma potrebbe essere sufficiente?
Probabilmente no.
Questi dilemmi e rompicapo che le società pongono a chi ne fa parte vengono di solito
forniti con tanto di strategie.
2
Ivi, p. 4
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Una delle tante risposte alle sfide poste dalla società degli individui è proprio il
consumismo.
La logica del consumismo è finalizzata ai bisogni di uomini e donne che lottano per
costruire, mantenere e rinnovare la propria individualità, e soprattutto per tener testa alla
contraddizione dell’individualità accennata in questo paragrafo.
La contesa per l’unicità è ormai il principale motore della produzione e del consumo di
massa, il successo o il fallimento di quest’impresa dipende dalla velocità di chi è
impegnato nella gara.
I.I.I L’identità dell’individuo nella società dei consumi
Chiunque si trova all’interno della società dei consumi è ossessionato dall’identità.
Un’identità volatile, nella quale le maggiori possibilità di successo sono concesse solo a
chi è di casa in tanti luoghi e in nessuno in particolare, chi accetta il nuovo come buona
novella, chi sa reinventare continuamente se stesso e ciò che ha intorno.
Gli altri che non amano o non hanno la possibilità di condurre una vita in perenne
movimento hanno poche possibilità di successo.
La parola chiave di questo “stile di vita vincente” è libertà. Libertà di spostarsi, di
mutare, di scegliere ciò che si è e prevedere ciò che ancora non si è. Stiamo parlando di
una libertà forse un po’ fraintesa, non è infatti facile raggiungerla; occorre fare una
scelta. Occorre accettare l’incertezza di un percorso instabile, un percorso che ben pochi
sceglierebbero se non fossero costretti a percorrerlo.
Chi riuscirà a giungere alla fine di questo percorso sarà ossessionato da un unico quesito
“Quale, tra le tante identità vincenti, è la migliore?”, per chi ancora non è riuscito ad
intraprenderlo il problema sarà quello di tenersi ben stretta l’unica identità a cui ha
avuto la possibilità di accedere.
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Nella nostra società ci si muove ad alta velocità, senza fermarsi per guardare indietro e
calcolare profitti o perdite, è possibile quindi comprimere l’arco di una vita mortale in
un numero sempre maggiore di sperimentazioni d’identità. Fare esperienza, molta
esperienza, questo è ciò che conta.
Secondo questa logica gli oggetti perdono utilità man mano che vengono utilizzati e, di
conseguenza, la fedeltà è causa di imbarazzo, non di fierezza.
““Ti vergogni del tuo cellulare? È così vecchio che sei a disagio quando rispondi?
Cambialo con un modello di cui tu possa andar fiero.” La produzione di rifiuti è la più
massiccia e non conosce crisi.
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I consumatori hanno la possibilità di accedere alla vita dei consumi solo in quanto
merci, alimentando così un meccanismo attraverso il quale è presente una costante
insoddisfazione dell’io rispetto a se stesso.
I.I.II L’ibridazione
A prima vista il termine ibridazione viene immediatamente associato al termine
mescolare, esso però non è la sua unica definizione, né la più corretta.
La sua funzione dominante, se non addirittura determinante, consiste nel separare.
Possiamo quindi affermare che l’ibridazione è una dichiarazione di autonomia, e non di
unione.
L’immagine di cultura ibrida si riferisce all’ideologica patina che ricopre la
ventilazione dell’extraterritorialità.
Gli individui facenti parte di tale cultura cercano la propria identità nella non
appartenenza, preferiscono vivere ai margini di questa società dei consumi piuttosto che
valutare la possibilità di essere infettati dai perfidi batteri della vita domestica.
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Ivi, p. XVIII
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