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LA NATURA COME PARTE INTEGRANTE DELL' OPERA
D'ARTE
L'arte nasce dalla Natura.
La Natura è la casa dell'uomo che in essa trova tutto ciò che gli occorre, dagli
elementi essenziali per la sua sopravvivenza ad altri altrettanto essenziali che gli
hanno permesso, nel momento in cui ha iniziato a sentirne il bisogno, di iniziare a
comunicare.
La Natura offre all'uomo in primis luce per vedere, ossigeno per respirare, acqua e
cibo per nutrirsi, piante medicamentose per curarsi e anche mezzi per esprimersi e
comunicare con i suoi simili.
Nel 1994 lo speleologo Jean Marie Chaveux perlustrando caverne nella zona di
Ardèche in Francia scoprì quella che poi fu denominata "grotta delle meraviglie",
molto importante per l'archeologia e per la storia dell'umanità. Il fiume Ardèche nel
corso dei secoli scavò una caverna nella montagna lunga circa 500 metri. Per ben
20000 anni l'accesso è stato precluso per via delle frane e non si conosceva
l'esistenza di questa grotta. Le frane però hanno avuto la loro importanza perchè con i
minerali presenti nei loro detriti hanno conservato al meglio il sito. Viene da
chiedersi se la causa di queste frane sia di natura divina, appositamente architettate
per lasciarci intatta una preziosa testimonianza del passato. In ogni caso la Natura ha
svolto bene il suo compito. Oggigiorno si può visitare solo la copia di questa grotta
creata appositamente per gli spettatori, per tutelare la preziosità del sito archeologico.
Le pareti della caverna sono ricche di pitture risalenti a circa 30000 anni fa e sono la
manifestazione più grande della pittura rupestre ad oggi conosciuta.
Oltre al fatto che i disegni sono più elaborati di quanto ci si aspetterebbe denotando
tratti di chiaroscuro e dettagli che si allontanano dalla forma stilizzata dei graffiti, si
può notare come l'uomo preistorico inizi a sentire l'esigenza di usare i colori per
rappresentare la realtà che lo circonda.
Utilizza materie naturali come l'ossido di ferro e il carbone. Tra disegni animali
grandi e forti, suggestiva è la rappresentazione di una mano circondata da un alone
rosso. Si suppone sia la mano di uno sciamano e che l'area rossa intorno ad essa
creata dall'ossido di ferro rappresenti la sua energia vitale, il suo sangue, la sua forza.
Per gli uomini primitivi erano questi i concetti basilari e importanti dell'esistenza e
volevano comunicarlo al mondo.
Più avanti nel corso dei secoli l'uomo continuò la ricerca dei materiali artistici nella
natura. Ad esempio, circa 3600 anni fa i Fenici scoprirono la porpora nelle secrezioni
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ghiandolari del mollusco murice, diffuso nel mar mediterraneo. In India invece
trovarono nella radice di robbia un colorante rosso naturale per tinteggiare i tessuti.
Solo nel medioevo invece si arrivò a creare il blu mescolando olio di lino e agenti
leganti con la polvere di lapislazzulo. Era un colore considerato prezioso per la
difficoltà della reperibilità della pietra e della sua lavorazione e veniva usato con
molta parsimonia per rappresentare regalità e trascendenza. Blu era infatti il colore
del cielo e delle vesti della Madonna.
Land Art
Nel corso dei secoli l'uomo ha mantenuto il suo sguardo sulla Natura, continuando a
mantenere con essa il legame originario. Il bisogno di esprimere questa connessione
a tutto tondo si può constatare nella Land Art.
La Land Art è un movimento artistico che si sviluppa negli anni Sessanta soprattutto
in America. Le opere sono interventi in paesaggi naturali, per lo più lontani dalla
città e dalla vita urbana. Grandi spazi aperti, deserti, laghi e mari, boschi e vallate
incontaminate sono l'oggetto di interesse principale dell'artista che vuole stabilire un
contatto diretto con questi luoghi e far riflettere sulla loro forza poetica e anche sulla
salvaguardia degli stessi. Gli interventi degli artisti sono numerosi e diversi, alcuni
più imponenti di altri ma tutti incentrati sull'ascolto di ciò che la Natura ha da dirci.
Ci sono degli interventi in particolare in cui l'uomo può entrare nell'opera facendo
esperienza diretta del messaggio che l'opera vuole trasmettere.
Un'opera molto particolare e suggestiva è "Lighting Field" di Walter De Maria del
1977.
Walter De Maria, Lighting Fields, New Mexico, 1977
L'ambiente ha un'influenza notevole sulla creazione artistica. Lo stesso Walter de
Maria, nell'intervista del 1972, raccolta da Paul Cummings per gli Archives of
American Arts, dichiara che se fosse cresciuto in una città della East Coast come
Philadelfia, New York o Boston non avrebbe vissuto tutte le esperienze che la
California gli ha permesso di vivere e non avrebbe fatto l'artista.
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Intervista a Walter De Maria registrata il 4 ottobre 1972. Raccolta da Paul Cummings per gli
Archives of American Arts, della Smithsonian institution in P.Martore, Oral history interview with
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Afferma che la "cultura californiana è superiore a quella newyorkese, ha più contatti
con l'Asia, è più giovane ha più legami con la tecnologia e soprattutto con la Natura".
Descrive la baia di San Francisco come una specie di canyon proteso verso l'oceano
in cui si riescono a sentire tutti i fiumi che arrivano e si riversano nel mare.
L'apertura dello spazio e il senso di immensità che gli trasmetteva questo luogo erano
una fisicità travolgente: "i tramonti sul ponte, la sua incredibile nostalgia, il suo
romanticismo, la foschia, le colline, l'archittettura. Tutto questo era inebriante." 4
C'erano anche molti pittori che gravitavano per la città che ospitava ben tre musei, e
l'aria frizzante del movimento artistico e dell'apertura mentale della città non
potevano non contagiare Walter de Maria che, in quanto musicista, aveva già una
sensibilità artistica sviluppata, e questo lo portava ad essere incuriosito anche verso
altre forme d'arte. Riusciva infatti a vedere e a sentire nel silenzioso e leggerissimo
tratto di una matita la forza e l'imponenza di una montagna. Si dedicò infatti per
molto tempo a disegni che lui definiva "Disegni Invisibili", in cui rappresentava,
oltre le montagne, oggetti molto solidi, come scatole di legno e acciaio con tratti
molto leggeri, quasi invisibili su fogli di grande formato perchè per lui il concetto di
spazio infinito era uno dei pochi temi su cui valeva la pena riflettere. Afferma che la
cosa interessante era come "l'idea del disegno assumeva un'importanza pari al
disegno stesso: un raddoppiamento della percezione".4
Rappresentare la forza della natura nel soggetto della montagna o la solidità di
scatole di legno e acciaio a cui si appassionò per molti anni, furono il preludio della
grande opera che realizzò più avanti, "Lighting fields" in cui rende visibile e
tangibile la potenza e la forza invisibile della Natura.
All'artista interessava molto la percezione, molto più del colore e della forma. Dopo
essersi dedicato per qualche anno alla pittura iniziò a vedere molti pittori
contemporanei come "lugubri" e volle dissociarsi da questo contesto. Così come
volle dissociarsi dallo spazio limitato di un museo, non voleva fare quel tipo di vita
ma voleva fare esperienza dell'arte e farla fare agli altri.
Il fatto anche che le sue opere si trovano in luoghi che implicano un lungo viaggio
per raggiungerle, fa parte, come egli stesso afferma, dell'esperienza dell'opera stessa.
E il caso di " Las Vegas Piece" opera realizzata nel 1969, nel deserto di Tule, a 3-4
ore di auto da Las Vegas. Sono 5 chilometri di linee scavate nella terra , una scultura
percorribile a piedi in circa 4 ore.
Walter de Maria, 1972 Oct. 4, Archives of American Art, Smithsonian Institution, trad. it. : Paolo
Martore, L'invisibile è reale, Lit, roma 2015,
p 29, p.21, p.72
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Oppure il "Progetto dei tre continenti" che include lunghe linee di un chilometro e
mezzo, una nel Sahara, una in India e una negli Stati Uniti.
Voleva vivere lo spazio e la Natura. Per lui infatti "la terra non è il teatro dell'opera
bensì parte dell'opera".
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A metà degli anni Settanta aveva cercato in California, Nevada, Utah, Arizona e
Texas un terreno adatta alla realizzazione dell'opera che aveva in mente che lo
avrebbe poi conclamato padre della Land Art.
Aveva bisogno di un terreno isolato, pianeggiante e che fosse in una zona dove
fossero frequenti i temporali. Da giugno a ottobre del 1977 lavorò a "Lighting Field"
su un altopiano a nord di Quemado nel New Mexico.
Conficcò nel terreno 400 pali d'acciaio appuntiti a intervalli di 66 metri, alte in media
6 metri l'uno, raggiungendo tutte la stessa altezza in un terreno irregolare.
Le barre iniziano ad assimilare la luce e l'energia del sole all'alba e a mezzogiorno
diventano invisibili perchè il sole le illumina perpendicolarmente dall'alto e dopo il
tramonto rimangono infuocate perchè hanno accumulato l'energia e il calore per tutto
il giorno.
Già questo scomparire-apparire delle barre ha un che di misterioso e soprannaturale.
Il vero spettacolo si assiste quando scoppia un temporale. Le punte delle barre
d'acciaio vengono colpite dai fulmini e creano un vero spettacolo, catalizzando
l'energia e disegnando squarci luminosi nel cielo.
In un ottica di contemplazione individuale dell'opera sono ammesse al massimo sei
visitatori per volta che devono trattenersi in una casa di legno costruita apposta per
24 ore. Secondo De Maria infatti " l'isolamento è l'essenza della Land Art." 5
Se scoppia il temporale, per poter osservare l'opera devono tenersi a debita distanza.
In quest'opera si può osservare l'energia e la forza prepotente della Natura a cui di
solito non pensiamo, dandola quasi per scontata.
La vediamo diventare violentemente visibile e possiamo riflettere su come siamo
piccoli di fronte a tutto questo ma allo stesso tempo su come possiamo in qualche
modo metterci in contatto con questa forza. E' come se con quei pali d'acciaio De
Maria invitasse la Natura a mostrarsi e la Natura rispondesse con la sua luce e la sua
potenza.
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M.Lailach, Land Art, Taschen, Koln 2007, trad.it.: T.Calcinaro, Inter Logos, Modena 2007, pag. 38
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Fig. 1 W.De Maria, The Lighting Field, 1977, 400 pali di acciaio inox ancorate in
fondamenta di calcestruzzo a intervalli di 66 metri, altezza 6,19 m, diametro 5 cm, area 1
miglio x 1 chilometro, altopiano a nord di Quemado, New Mexico. Dia Art Foundation, New
York.
James Turrel, Roden Crater, work in progress, Arizona
Un'opera straordinaria, considerata la più imponente e significativa nella storia della
Land Art è "Roden Crater" nel deserto dell'Arizona, work in progress dagli anni
Settanta ad oggi.
James Turrel, artista della luce e dello spazio, nonchè aviatore con una formazione in
psicologia percettiva, ha lavorato nel cratere di un vulcano spento, nel deserto
dell'Arizona, trasformandolo in un osservatorio astronomico e in un'opera d'arte
senza precedenti, in cui sperimentare le capacità e i limiti della percezione sensoriale
umana.
Dopo aver ottenuto una borsa di studio dalla Guggenheim Foundation, finanzia una
serie di voli di perlustrazione delle zone incontaminate e solitarie del territori
dell'ovest americano alla ricerca del luogo ideale dove costruire quello che lui
definisce "un monumento alla percezione".
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Nel 1974 acquistò il cratere e i 400 chilometri quadrati di terreno intorno.
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Robert Irwin |James Turrel |Villa Panza, a cura di M.Govan - A.Bernardini, catalogo della mostra
"Aisthesis - All'origine delle sensazioni, Robert Irwin e James Turrel a Villa Panza", Varese - Villa
Panza 27 novembre 2013 - 2 novembre 2014, FAI - Villa e collezione Panza -Los Angeles County
Museum of Art - DelMonico Books - Prestel 201, pag. 114
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Per realizzare il progetto che aveva in mente chiese la collaborazione di scienziati,
astronomi, ingegneri e dello studio architettonico SOM di New York per allineare gli
scavi delle gallerie con le aperture del cratere. Un lavoro plurale che ha coinvolto
molte persone con diverse conoscenze e punti di vista nell' intento comune di creare
un luogo in cui condividere l'esperienza della luce e della contemplazione del cielo.
Per Turrel infatti il cielo è materia, la sua materia preferita di studio e lavoro.
Già da bambino passava molte ore al giorno a creare tanti forellini nelle tende della
sua cameretta imitando il cielo stellato notturno. Quando tirava le tende di giorno gli
sembrava di portare le stelle nella sua stanza. Il concetto di "foro", di apertura verso
il cielo, lo ha accompagnato nel suo percorso artistico, dalla creazione degli
Skyspaces, ambienti mancanti del soffitto o di una parte di esso, fino alle grandi
aperture del Roden Crater.
Per Turrel il cielo è una tela dipinta da osservare attentamente per coglierne la
bellezza delle sfumature che cambiano continuamente. Di notte poi diventa un libro
aperto che svela le stelle e i pianeti e i misteri dell'universo. Il Sole, la luna e i pianeti
proiettano la loro luce all'interno del vulcano e la loro immagine viene ingrandita da
lenti di vetro posizionate in punti strategici comparendo sulle superfici al termine dei
tunnel sotterranei che funzionano quindi come un telescopio ad occhio nudo.
Nel vulcano sono infatti stati progettati e realizzati "sistemi di spazi, di passaggi di
collegamento e punti panoramici che in questo luogo solitario, in un silenzio
straordinario rotto soltanto dal vento, servono soprattutto a consentire un'intensa
percezione della luce".
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Al centro del vulcano c'è uno spazio denominato "Eye of the Crater" in cui si ha
l'impressione che al posto del soffitto ci sia una membrana piatta trasparente che
sigilli l'ambiente avvicinando il cielo alla testa dell'osservatore che ha la percezione
di poterlo toccare con le proprie mani.
Afferma l'artista: "Lo spazio del cratere è concepito per supportare e rendere
malleabile il senso della volta celeste"7
E ancora: "..man mano che si sale sul pendio interno verso il bordo, la volta celeste
non è più collegata all'orlo del cratere, ma si espande verso l'orizzonte lontano. Si
esperisce tutta l'ampiezza dello spazio quando si raggiunge la sommità del cratere."7
Roden Crater non è ancora aperto al pubblico ma si possono provare queste
sensazioni visitando uno dei tanti Skyspaces installati in ventidue paesi e diciassette
stati degli Stati Uniti.
7
M.Lailach, Land Art, Tashen, Koln 2007, pp. 23, 94
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Personalmente ho visitato nel 2014 il primo esemplare degli Skyspaces, lo Skyspace
I del 1976, presso la mostra "Aisthesis, all'origine delle sensazioni" tenutasi a Villa
Panza a Varese nel 2014. L'ambiente non era molto grande ma sembrava immenso.
Era un cubo bianco privato del soffitto. Le pareti erano dipinte di bianco per
intensificare la luce naturale che variava nel corso della giornata e le luci al neon
bianche sapientemente nascoste che facevano apparire il cielo di un azzurro ancora
più carico del normale. La relazione tra interno ed esterno era un altro concetto che
catturava l'attenzione di Turrel che sperimentò nel corso degli anni diversi utilizzi
della luce artificiale a confronto con quella naturale come ad esempio, in "Dividing
the light" del 2007 presso il Pomona College Musuem, in cui contrappone al blu del
cielo e alla luce naturale proveniente dal foro del soffitto che cambia nel corso della
giornata, una luce artificiale interna che cambia colore, creando anche un suggestivo
contrasto tra colori complementari quando la luce interna diventa arancione.
La percezione che ho avuto nello Skyspace I è stata quella di varcare la soglia
dell'aldilà. Nonostante l'ambiente fosse piccolo mi sentivo in uno spazio in cui era
difficile percepire i confini. L'aspetto ancora più sorprendente era che il cielo
sembrava il soffitto mancante, così vicino che quasi potevo toccarlo. E' stata
un'esperienza che mi è rimasta impressa tanto che è ancora vivida nei miei ricordi e
la poetica di Turrel mi è stata d'ispirazione per questa ricerca.
Fig. 2 J. Turrel, Crater's Eye e Alpha Tunnel, Roden Crater, work in progress, Arizona
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Janet Echelman, la coreografa del cielo
Un'altra artista che lavora con il cielo e la luce è Janet Echelman. Soprannominata "la
coreografa del cielo" crea sculture leggere e fluttuanti delle dimensioni di edifici,
nelle città in giro per il mondo. Queste sculture modificano la loro forma con la forza
del vento e possono anche cambiare colore al variare dell'intensità della luce
naturale, arrivando di notte a risplendere di colori vividi e accesi.
Così come Turrel, Janet Echelman non ha una formazione artistica nè ha mai studiato
scultura, ingegneria o archittettura. Come lei stessa racconta alla conferenza di TED
in Vancouver nel 2014, dopo il liceo si candidò in sette scuole d'arte e venne scartata
da tutte e sette. E' diventata artista per conto suo dipingendo per dieci anni finchè gli
è stata offerta una borsa di studio Fullbright per l'India. Gli fu promessa l'esposizione
dei suoi dipinti in mostre di pitture così Janet spedì i suoi dipinti in India e partì per
Mahabalipuram. Lei arrivò in India ma i suoi dipinti mai. Furono dispersi. Così si
trovò senza più nulla da presentare alla mostra e pensò che doveva fare qualcosa ma
non sapeva cosa. Il villaggio di pescatori in cui si trovava era famoso per la scultura
così provò a colare il bronzo. Ma era un materiale costoso e pesante. Sconsolata,
andò a fare una passeggiata in spiaggia (anche in questo caso possiamo riflettere su
come la Natura ci venga sempre incontro. La bellezza del mare ci richiama con forza
e davanti ad esso i problemi sembrano sparire sostituiti da soluzioni e idee nuove che
ci arrivano addosso come la salsedine profumata portata dal vento).
Durante questa passeggiata Janet guardò i pescatori lavorare con le reti. Li aveva già
visti più volte ma quel giorno vide in quelle reti qualcosa di diverso. Vide la
possibilità di creare sculture voluminose senza peso, senza materiali solidi e pesanti
come il bronzo. Chiese aiuto ai pescatori e realizzò il suo primo prototipo di scultura
fatta con le reti da pesca. La intitolò "Bacino largo" indicandolo ironicamente come
un autoritratto. L'hanno issata su pali per fotografarla e in quel momento osservò
come la scultura ondeggiasse cambiando continuamente forma con il vento. Rimase
incantata da quella situazione. Il vento modellava la forma come uno scultore fa con
la creta. Iniziò a studiare i lavori artigianali andando anche in Lituania ad osservare i
fabbricanti di pizzi. Le piacevano i dettagli che voleva ingrandire per creare un'opera
non da osservare semplicemente ma in cui perdersi. Tornò in India e con i pescatori
creo una rete fatta di un milione e mezzo di nodi fatti a mano, creando anche lavoro.
Questa prima rete fu esposta a Madrid dove fu notata dall'urbanista Morales che
stava riprogettando il lungomare di Porto in Portogallo che le chiese di crearne una
permanente per la città. Doveva essere durevole quanto delicata. Doveva essere
resistente all'inquinamento, ai raggi ultravioletti, all'acqua salata, agli uragani e allo
stesso tempo essere morbido e flessibile. Non esistevano però software in grado di
modellare qualcosa di poroso e mobile. Grazie però all'aiuto di Peter Heppel, un
ingegnere che preparava le vele per le barche che partecipavano all'American's Cup