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nica utilizzate dalla rivoluzione industriale hanno annientato
il mondo del romantico che celebrava la grandezza dell’arte
e la verità della bellezza e della poesia.
Arte e scienza definiscono non solo due mondi diversi e
inconciliabili ma formano anche due tipi diversi di uomo.
Per questo è difficile oggi essere romantici proprio perché è
difficile credere nella verità della poesia e pensare che un
suo verso possa dirci molte più cose, svelarci molti più
segreti di una formula scientifica.
Combinazioni linguistiche spacciate per poesie, pezzi di
cornici appesi come quadri, suoni disarticolati esibiti come
musica.
Tutto scivola via sulla superficie, lasciandoci indelebilmente
il segno del cattivo gusto.
Improvvisamente si apprende che la scienza è potuta
progredire perché dal suo cammino di ricerca ha tolto di
mezzo ogni valutazione, ogni sentimento, ogni ritualità che
non riguardasse i suoi metodi di analisi e i suoi principi di
verifica.
Quanto più le tradizioni sono solide, tanto più consapevole e
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convinta è l’adesione della società ai principi e alle regole
che la governano.
Oggi non troviamo più la nostra identità in una grande arte,
in una grande filosofia, in una grande religione: queste forme
dello spirito stanno perdendo i loro confini, sfumando in una
generica assenza di forti valori educativi ed emancipativi.
Viviamo in un mondo che ci richiede grande senso pratico,
molta rapidità nelle decisioni e nelle scelte da compiere.
Pensiamo che il valore delle cose sia nella loro funzionalità,
nella loro capacità di non farci perdere tempo.
Sono tutte cose molto importanti ma bisognerebbe
aggiungere qualcos’altro.
È d’altronde convinzione ben consolidata nella nostra cultura
ritenere la bellezza un elemento decorativo, esteriore, che si
sovrappone alla vera sostanza delle cose.
È questo uno degli errori più gravi della nostra cultura
moderna che ha relegato l’educazione estetica tra gli aspetti
effimeri e irrilevanti nella formazione della persona.
La bellezza è invece un valore essenziale per mantenere una
connessione fra la tradizione e l’innovazione ed evitare, così,
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la perdita della nostra identità civile e religiosa.” (1)
“Poiché l’arte è una cultura i cui concetti sono espressi in
immagini invece che in parole; e l’immaginazione non è una
fuga dal pensiero, è un pensiero altrettanto rigoroso che il
pensiero filosofico o scientifico: l’arte è al livello più alto del
pensiero immaginativo, come la scienza al livello più alto del
pensiero razionale.” (2)
“Recentemente, però, è accaduto un fatto curioso.
La modernità sembra voler riscoprire il volto assoluto e
autentico della bellezza. A tal fine ha messo in campo tutto il
suo potenziale scientifico e tecnologico che lega la bellezza
all’idea di positività, di una qualità che esprime un
sentimento positivo di fronte agli eventi della vita.” (3)
“Quando la memoria è offuscata dagli anni e i ricordi
sbiadiscono con il passare del tempo, sono sufficienti poche
immagini perché si riaccendano le nostre emozioni e accada
qualcosa di indefinito che ci rassicura: nonostante tutto, il ni-
(1) S. Zecchi, Il brutto e il bello, Mondadori Editore, Milano, 1995, pp. 31, 32, 45, 115,
118, 125, 129, 130.
(2) G.C. Argan, L’Ottocento, l’arte moderna, Sansoni per la scuola, Firenze 2002, p. 2.
(3) S. Zecchi, Il brutto e il bello, Mondadori Editore, Milano, 1995, pp. 105, 106.
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chilismo, la perdita di fiducia nella verità e nella giustizia,
ciò che è stato grande non si cancella e continua a parlarci,
ricordandoci che esiste un valore e un senso della vita da
difendere.
Tutto ciò che passa lo tratteniamo dentro di noi come un
simbolo. E i simboli ci aiutano a comprendere la realtà che
stiamo vivendo.
Oggi è tutto più sofisticato, più tecnologico e il denaro
circola in grande quantità.
Chi crede di potere tornare indietro è un illuso ma quei
simboli di innocenza e semplicità, di autenticità, di
generosità sono l’anima dell’arte e non possono essere
dimenticati.” (4)
(4) S. Zecchi, Il brutto e il bello, Mondadori Editore, Milano, 1995, pp. 109, 111.
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Ringraziamenti
Sento di voler ringraziare, con sincero affetto, il Prof.
Gustavo Cuccini, relatore di questo mio lavoro, frutto di
letture personali, studi ed interessi maturati durante ed anche
al di fuori di codesto corso di studi di laurea.
Si tratta di un argomento la cui trattazione già da tempo
meditavo nella mia mente….io, piacente di quel ‘sapore di
bellezza’….e che, grazie al mio relatore, sono riuscita a
porre in essere in quanto anch’egli, amante del ‘valore
assoluto ed autentico della bellezza’, è riuscito a
trasmettermi, durante le sue lezioni, una forza in più!
Grazie!
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1. L’EVOLUZIONE
“Nell’antichità la bellezza era l’attributo dell’idea: la verità
veniva considerata bella; un atto di giustizia o un gesto di
bontà possedevano il segno della bellezza.
Oggi la società democratica mette a disposizione di tutti
l’immagine della bellezza sotto forma di simulacro, di cosa
da usare e consumare.
Eppure non esiste un concetto assoluto di bellezza, esiste
invece la bellezza che prende forma in determinate epoche
della storia.
Ma se l’immagine della bellezza cambia, immutato rimane il
suo valore essenziale e assoluto, in cui si rispecchiano le
caratteristiche di una società.
Nella nostra modernità la bellezza tramonta: certo rimane
una parola che tutti pronunciano e discutono ma è separata
dal vero, dal giusto e dal bene e viene confinata in un angolo
accogliente e senza valore: l’effimero.
Così la bellezza diventa consumo, moda, una rapida variazio-
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ne di immagini che non crea reali differenze di valori e di
significati.
Mai come in questo secolo, il Novecento, è stata tanto
accanita la lotta contro la bellezza per sottrarle il suo valore
di verità, riducendola a cosa priva di reale significato nelle
dinamiche sociali e allontanandola dalla sua dimora naturale,
cioè dall’arte.
Le ragioni di questo attacco al millenario valore simbolico
della bellezza sono numerose ma tutte confluiscono nella
volontà nichilista di esercitare la critica senza impegnarsi in
una proposta di senso, in una visione del mondo.
Ecco che allora le è stato riservato un posto tra le mille cose
inutili alla vita: è stata confinata nell’effimero, nel futile, nel
decorativo, in tutto ciò che è maschera, parodia della realtà.
Ma la bellezza è una potenza simbolica, appartiene cioè
all’essenza stessa della vita: la violenza degli uomini la può
mortificare e tuttavia essa conserverà il modo perché si torni
a pensare al suo antico significato.
In quanto la bellezza non è semplicemente l’armonia o la
perfezione della forma ma provoca e sollecita l’intelligenza a
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scoprire il segreto in cui si cela.
Essa non è al termine di un processo ma è l’origine che mette
in cammino il pensiero.” (5)
“E così, pur non essendo in grado di dare una definizione
complessiva dell’arte, nonostante nel corso della storia
grandi pensatori si siano sforzati di formularne una,
possiamo, tuttavia, cominciare a capire quale importanza
essa abbia nella nostra vita se ci sforziamo di immaginare un
mondo che ne sia priva.” (6)
(5) S. Zecchi, Il brutto e il bello, Mondadori Editore, Milano, 1995, pp. VIII, IX, X.
(6) J. Bronowski, G. Barry, J. Fisher, J. Huxley, L’arte, idea, creazione, forma, Mondadori
Editore, Verona, 1971, p. 20.
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1.1. “L’ IO ESPRESSO”
“È l’arte che crea la bellezza, la perfezione, l’armonia,
l’ordine, rende visibili cose invisibili o inaccessibili o del
tutto fantastiche, dà espressione alla gioia o alla tristezza: ma
per adempiere a tali funzioni, occorre compiere un vasto
lavoro di pensiero visuale.
La creazione della bellezza pone problemi di selezione e di
organizzazione e similmente, rendere visibile un oggetto
significa coglierne i tratti essenziali; non si può dipingere
qualcosa senza elaborarne il carattere nei termini offerti
dall’immagine.
Per converso, alcuni degli obbiettivi attribuiti all’arte
costituiscono mezzi per rendere possibile il pensiero visuale.
La bellezza, la perfezione, l’armonia, l’ordine servono a dare
un senso di benessere presentando un mondo congeniale alle
necessità umane; ma sono pure condizioni indispensabili per
rendere chiara, coerente, comprensibile un’asserzione
conoscitiva.
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La bellezza estetica è il corrispondente isomorfo tra quanto
si dice e il modo in cui lo si dice.
Le prime forme e relazioni ben strutturate, che caratterizzino
i concetti e le loro applicazioni è facile trovarle nelle opere
fatte ai livelli iniziali dell’evoluzione mentale, ad esempio
nei disegni infantili. Ciò perché la mente giovane opera con
forme elementari che si distinguono facilmente rispetto alla
complessità degli oggetti che raffigurano.
Senza dubbio i fanciulli, spesso, non danno che
approssimazioni grezze delle forme e delle relazioni spaziali
che intendono raffigurare. Inoltre, i bambini non disegnano,
dipingono e modellano, amano esercitarsi, allenare i muscoli,
ritmicamente o disordinatamente, amano veder apparire
qualcosa dove prima non c’era nulla, specialmente se questo
qualcosa stimola i sensi col colore forte o con una massa di
forme, amano pure toccare, appiccicare, distruggere, imitano
ciò che vedono altrove e tutto questo, lo amano fare
giocando” (7): “i giochi sono infatti per tutti, artisti in potenza
(7) R. Arnheim, Il pensiero visivo, Einaudi Paperbackz, Torino, 1947, pp. 299, 300.
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o no, una parte vitale del processo di crescita.
Giochi che insegnano ai bambini qualcosa del mondo degli
adulti, e nello stesso tempo una gran parte del divertimento
che i bambini traggono da tali finzioni giocose deriva
inconsciamente proprio dalla scoperta dei limiti e delle
capacità della loro personalità.
Sotto questo aspetto l’artista è, quindi, un uomo che non
smette mai di giocare: il suo lavoro è infatti una continua
esplorazione delle proprie capacità.” (8)
“Tutto ciò lascia le proprie tracce e impedisce al quadro di
un bambino di costituire sempre una registrazione precisa del
suo pensiero.” (9)
“A questo proposito, ricordiamo che nei primi anni della
scuola materna ed elementare la nostra produzione di
immagini originali ed espressive avveniva spontaneamente,
senza il bisogno di insegnamenti particolari;
successivamente è subentrato un appiattimento della nostra
spontaneità che ci ha portato a produrre immagini assai poco
(8) J. Bronowski, G. Barry, J. Fisher, J. Huxley, Arte, idea, creazione, forma, Mondadori
Editore, Verona, 1971, p. 27.
(9) R. Arnheim, Il pensiero visivo, Einaudi Paperbackz, Torino, 1947, p. 301.
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espressive e banali, per lo più stereotipi.” (10)
“Il disegno rimane senza dubbio primitivo, in confronto alla
complessità degli oggetti che ritrae.
Quel che importa, però, è che invece di mostrare
un’aderenza meccanica, per quanto rozza, al modello, il
disegno attesta una mente che scopre liberamente elementi
strutturali di rilievo nel soggetto.
Da questi inizi, una evoluzione ininterrotta conduce ai
risultati della grande arte.
Percettivamente un’opera matura riflette un senso della
forma altamente differenziato, capace di organizzare le varie
componenti dell’immagine in un ordine compositivo
generale. Le opere di arte visiva, d’altra parte, sono state
fatte esclusivamente per essere percepite e pertanto l’artista
si sforza di creare l’incarnazione più forte, più pura e precisa
del significato che consapevolmente o inconsapevolmente
intende trasmetterci.
Ogni arte, inoltre, è retta sia dalle esperienze personali che
(10) V. Ambrosiani, G. Conti, A. Pinotti, Arte & visual, Minerva Italica, Bergamo, 1986, p.
8.
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dall’immaginazione dell’artista.” (11)
“Molti letterati, molti pittori e anche molti musicisti
elaborano avvenimenti, sentimenti e situazioni che hanno
vissuto in qualche particolare momento; l’artista è quasi
legato a rispecchiare la propria esperienza personale, così
come il tipo di comunità in cui vive e il modo di pensare, di
agire, di guardare della gente che lo circonda.
Ognuno, infatti, ha un magazzino di immagini che fanno
parte del proprio mondo che si è venuto formando durante
tutta la vita; immagini consce e inconsce, immagini lontane
della prima infanzia e immagini vicine e, assieme alle
immagini e strettamente legate ad esse, le emozioni.
Ed è affascinante costatare che ogni essere umano, passando
attraverso i vari stadi dall’infanzia alla maturità, rivive in un
modo o nell’altro questa progressione. Da bambino, si
servirà probabilmente di sassi, fango, pezzetti di legno o di
carta, o anche di colori e matite colorate, per comporre
liberamente e senza inibizioni forme che esprimono
intensamente sentimenti personali e privati sulle persone che
(11) R. Arnheim, Il pensiero visivo, Einaudi Paperbackz, Torino, 1947, pp. 301, 315.
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vivono intorno a lui e sulla sua esperienza immediata; più
tardi, giunto a maggiore consapevolezza, creerà forme,
narrerà storie e reciterà drammi ampliandone il significato in
modo da farne partecipi altri.
Il passaggio da una forma di espressione all’altra è,
probabilmente, parallelo al processo secondo il quale
l’umanità sviluppò l’espressione artistica in tutte le sue
forme.
A questo proposito, ci si domanda spesso se questa abilità sia
innata o acquisita: naturalmente, nessuno nasce con tali doti
artistiche da poter fare a meno dell’educazione delle proprie
capacità ma è altrettanto ovvio che il solo addestramento non
basta a fare di un uomo un artista.” (12)
“Le forme d’arte odierne, così complesse e specializzate,
possano essere seguite fino dalle loro origini preistoriche le
quali sono in stretto rapporto con gli impulsi primitivi nei
riguardi della magia e del rituale.
(12) J. Bronowski, G. Barry, J. Fisher, J. Huxley, Arte, idea, creazione, forma, Mondadori
Editore, Verona, 1971, pp. 9, 26, 28.