Ed è qui che si inserisce questo lavoro di tesi, che si pone come
obiettivo la promozione di una complementare educazione alla intercultura
attraverso l’arte, forma di espressione e di comunicazione che ha la grande
capacità di rompere le barriere, le differenze e le ignoranze pericolose e
dannose che generano squilibrio ed indifferenza, permettendo la riscoperta
di se stessi attraverso l’altro.
A tal proposito, nel primo capitolo, dopo l’enunciazione di alcuni
concetti chiave a fondamento del discorso umano, verrà trattato il concetto
di cultura, spiegandone le varie declinazioni che ha avuto nel susseguirsi di
epoche, per poi passare al concetto di multiculturalità, un processo che non
prevede scambi e integrazioni tra le culture e che si regge sulla separazione
delle stesse, sull’esistenza di nicchie culturali tenute in equilibrio dalla
tolleranza, termine spesso ritenuto positivo, ma che racchiude in sé un
atteggiamento di rifiuto del confronto, dello scambio e dell’integrazione tra
le culture, un disinteresse sostanziale per l’alterità, fino a quando non
vengono messi in discussione spazi, abitudini e tradizioni. Di seguito, quindi,
si dirà dell’interculturalità che, mera evoluzione della base multiculturale, è
un positivo progetto umano a cui tendere e alla cui base vi è l’impegno
comune per attivare il confronto, l’interazione e lo scambio tra culture, e
che coinvolge necessariamente le emozioni e la partecipazione affettiva, in
quanto l’interculturalità non è un processo freddo, non è un fatto spontaneo
e immediato. Dopo l’attenta analisi del termine, si cercherà di definire,
anche con cenni storici, cosa si intende, distinguendo l’interculturalità micro
dalla macro e richiamando, infine, la transculturalità. Per finire, in questo
4
primo capitolo, verrà trattata l’educazione allo stare insieme, l’educazione
all’interculturalità, che non nega l’esistenza dei conflitti, ma li assume e si
impegna per una loro risoluzione.
Nel secondo capitolo, entrando nel vivo del lavoro, si introdurrà
sull’arte che va oltre l’essere pura godibilità estetica, che nelle sue possibili
forme e contenuti non è ascrivibile a una determinazione culturale elettiva,
e di come questo linguaggio non verbale si predisponga meglio della parola
ad incoraggiare lo scambio tra popoli e la conoscenza delle culture
geograficamente e storicamente lontane, con il positivo risultato di
avvicinarle. L’arte, quindi, solleva lo spettatore oltre il suo ego individuale o
collettivo, qualificandosi come “strumento” privilegiato per sviluppare
l’educazione interculturale, essenziale per rimuovere ogni forma di
particolarismo culturale e accomunare l’intera umanità, superando divisioni
e facilitando relazioni e mescolanze, abituando le persone al confronto e
all’interpretazione. In tal modo, quindi, l’accento non cade sulle differenze
irriducibili, ma su ciò che di universale possiede ogni cultura, oggi ancor più
enfatizzato dagli effetti della globalizzazione, cosicché ogni uomo è
superiore alla propria cultura. Per questo, l’arte si presta bene come
catalizzatore di incontri tra portatori di culture diverse, in quanto abitua al
confronto e allo scambio, offre la scoperta di nuovi modi di pensare e di
essere; è un continuo spostamento di confini, un superamento degli
stereotipi, uno sconvolgimento delle consuetudini; è invenzione di nuovi
scenari, di nuovi stili, di nuovi linguaggi; è un ponte per l’interculturalità. In
questo scenario, l’arte è vista come via migliore per avvicinarsi alle altre
5
culture e per costruire ponti di dialogo e di collaborazione tra di esse.
Nasce, così, un vero e proprio “progetto educativo” che come tale, genera
un cambiamento, perché una volta che si è creata una certa empatia,
l’osservatore non è più lo stesso, perché è cambiato lui ed i suoi criteri.
Nel terzo capitolo, restringendo il vastissimo campo artistico, verrà
fissata l’attenzione sull’arte “delle Muse” che, nonostante non sia un
linguaggio universale, si presta ad operazioni di fusione culturale che aiutino
a superare le limitazioni e le chiusure dei rigidi localismi e dei regionalismi
culturali. Quindi, il tema dell’identità musicale e dell’educazione musicale
con prospettive interculturali, cercherà di spiegare come affinché le culture
comunichino tra loro, attraverso una dinamica aperta e tesa all’ibridazione
con l’altro, sia necessario conoscere a fondo la propria storia, avere
memoria della propria cultura e dei molteplici incontri, cambiamenti,
integrazioni che in essa sono già avvenuti. Da qui, opportuno ed essenziale
sarà favorire una educazione musicale in prospettiva interculturale.
6
“A fondamento di ogni possibile analisi
“A fondamento di ogni possibile analisi
sta il principio della comune dignità umana:
sta il principio della comune dignità umana:
al di fuori di questa assunzione
al di fuori di questa assunzione
ooggnnii ccoonnssiiddeerraazziioonnee ddiivveennttaa iimmpprrooppoonniibbiillee,,
ppeerrddee iill ssuuoo sseennssoo ee llaa ssuuaa ppeerrccoorrrriibbiilliittàà””..
Santelli Beccegato Luisa
(Interculturalità e Futuro, 2003)
CAPITOLO I
INTERCULTURALITÀ: SIGNIFICATI E PROSPETTIVE.
§ I.1 – Diversità culturali: nuovo equilibri.
L’assunzione di una prospettiva interculturale non rappresenta
solamente una possibile opzione, ma nell’epoca delle interdipendenze,
da un punto di vista civile e culturale (prima ancora che pedagogico)
è l’unica opzione nella direzione dell’incontro e reciproco
arricchimento.
Non sono le culture ad incontrarsi, come non sono le civiltà a
scontrarsi, ma sono le persone con diverse appartenenze culturali (e
di genere, e di idee, e di sensibilità, e di storia, etc.) a doversi
incontrare. E forse – oggi più che mai – la ricerca di nuovi equilibri
7
diventa una necessità, se non una priorità, per scongiurare come
alternativa obbligata la presenza della forza per mantenere
l’esistenza, determinante, come unica e ovvia risposta, l’esercizio della
1
violenza per conseguire spazio.
2
Difatti, la Storia così come la Bibbia, ci insegna che la violenza è
frutto dell’ingiustizia, e attecchisce nella sopraffazione del più forte;
tutto ciò, in ogni caso, non deve significare che le prospettive della
non violenza, del dialogo e della convivenza siano immancabilmente
attuabili, perché l’uso della forza e l’impiego della violenza anche se
hanno drammaticamente presidiato, e tuttora continuano a farlo, il
rapporto fra uomini e fra stati, sono comunque evitabili.
Sulla necessità di ridurre, se non eliminare, tali forze distruttive,
l’impegno prioritario diviene quello di orientarsi verso l’integrazione
che tenga conto dell’interazione dei diversi gruppi. Affinché si possa
prospettare una società interculturale, prima realizzandone una
multiculturale, è necessaria, nel reciproco rispetto, perseguire una
base comune per nuove modalità di convivenza civile.
Un nucleo minimo di regole e di princìpi da riconoscere e
condividere come base, la Santelli lo individua:
? “nel principio giuridico dell’uguaglianza di tutti di fronte alla
1
Santelli Beccegato L., “Interculturalità. Cosa se no?”, in Santelli Beccegato L. (a cura di),
Interculturalità e futuro. Analisi, riflessioni, proposte pedagogiche ed educative. Bari: Levante, 2003, p.
16.
2
“Opus justitiae pax” (Isaia 32, 17) : “La pace è frutto della giustizia”.
8
legge;
3
? nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”.
A tal proposito, affinché la p resenza dello straniero perda la
dimensione di minaccia e acquisti un ruolo costruttivo per la nascita di
nuove realtà, la Santelli ci suggerisce anche le due sostanziali
categorie fondative del discorso interculturale, che sono:
? “assumere la diversità non come un ostacolo, un limite, ma
come una possibilità e uno stimolo per l’arricchimento personale
e sociale;
? riconoscere nella comunicazione, la strategia fondamentale da
4
perseguire con se stessi e non solo con gli altri”.
“Imparare a interessarsi delle differenze e a non temerle significa
innescare una dimensione di reciprocità, alimentare il proprio sviluppo
5
superando blocchi di varia origine e natura.”
Pertanto, la qualità della vita potrà migliorare per ciascuno e per
tutti solo quando si innesterà la convinzione diffusa dell’uguaglianza e
della diversità, ovvero che ognuno di noi è uguale all’altro e ognuno di
noi è diverso dall’altro.
Di certo, lo sviluppo di queste scelte per l’approdo verso una
società interculturale, ha i suoi costi, ma si possono superare, anche
come prospettiva di un proprio singolare vantaggio, altrimenti non ci
3
Santelli Beccegato L., op. cit., p. 16.
4
Ibidem, p. 12.
5
Ibidem, p. 12.
9
resta che una conflittuale prospettiva.
6
“L’educazione della ‘gestione’ delle diversità culturali”, però, è
un aspetto che richiede il concorso di tutti i soggetti se si vuol mirare
al raggiungimento di una società interculturale, se vuol essere un
progetto da realizzare e perseguire.
6
Ibidem, p. 20.
10
§ I.2 - La cultura: prima che multi, cosa è?
Multiculturalità, ovvero essenza di multi-cultura, è un concetto
legato a quello di cultura.
Il significato di multiculturalità, quindi, varia al cambiare del
significato che si attribuisce al termine cultura, parola che è stata
soggetta a molti mutamenti nel corso del tempo, in relazione del
contesto disciplinare e storico in cui è stata inserita, come testimonia
la ricerca di Alfred Kroeber e Clyde Kluckhohn (1952), che a tal
proposito raccolsero più di 160 definizioni diverse del concetto.
Le principali interpretazioni del concetto di cultura, sono
7
raggruppabili in due categorie:
? in senso antropologico, il concetto di cultura è l’insieme di ogni
forma di conoscenza tecnico-pratica, di tradizioni, di costumi, di
credenze, di linguaggio; quindi, ogni società, e ogni individuo ad
essa appartenente, è portatrice di una propria cultura;
? in senso umanistico, la cultura è sapere, erudizione, patrimonio
di conoscenze, nutrimento per l'intelletto e grazie al quale
l'animo si eleva e i gusti si raffinano. Tale accezione è retaggio
della tradizione classica, della paideia greca, e dell’humanitas di
Cicerone e Orazio, ripresa in età moderna da S. Agostino.
7
A.A.V.V., Percorsi di pace nell'era della globalizzazione. Soveria Mannelli (CZ) : Rubbettino, 2003,
p. 69.
11
Le definizioni di cultura hanno progressivamente mutato di
significato passando, ad esempio da “coltivato” nel senso di
“sottoposto ad intervento umano”, fino al significato metaforico di
“coltivazione dello spirito”.
L'edizione del 1789 del Dictionnaire de l’Academie Francaise
stigmatizzava “uno spirito naturale e senza cultura” istituendo, per la
prima volta l'opposizione tra natura e cultura: il termine veniva a
designare direttamente la formazione e l'educazione come
superamento di un presunto stato di natura.
La nozione di cultura, ancora declinata al singolare, come
proprietà fondamentale e distintiva della specie umana, rifletteva la
speculazione universalista del Secolo dei Lumi e in questo senso,
associata all'idea di progresso, evoluzione ed educazione, venne ad
assumere un significato analogo a termini come “civiltà/civilizzazione”.
All'epoca, il termine civilisation si diffuse con grande rapidità e
conobbe grande successo, testimoniando lo spirito dell’Illuminismo,
basato, infatti, sull'idea di progresso attraverso la nascita di una
nuova filosofia della natura e dell’uomo. Il compito della cultura
consisteva nell’illuminare gli uomini circa la loro uguaglianza e libertà.
Tale coscienza egualitaria avrebbe condotto gli esseri umani a vivere
secondo natura, cioè secondo ragione, in un atteggiamento fraterno e
solidale.
12
Ma il termine “cultura” e quello di “civiltà/civilizzazione”
nonostante appartengano allo stesso campo semantico e talvolta
vengano impiegati come sinonimi, riflettono due concetti non
equivalenti; infatti, mentre “cultura” fa riferimento a un progresso
legato all’individuo, “civiltà/civilizzazione” si riferisce più propriamente
al progresso collettivo. Se, quindi, i filosofi del secolo XVIII intendono
con “cultura” quel processo che disvela l'uomo liberandolo
dall'ignoranza e dall'irrazionalità, con “civiltà/civilizzazione” si viene a
definire il processo di miglioramento delle istituzioni, dell’educazione e
della legislazione, estendendo quindi il termine a tutti i popoli che
compongono l'umanità.
Difatti, nella seconda metà del 700, si affacciò il termine
“etnologia”, come disciplina che studia “la storia del progresso dei
popoli verso la civilizzazione”. In questi termini “civilizzazione” rivela,
quindi, una concezione “evolutiva” della storia nella quale l'uomo, per
come esso è immaginato dai pensatori europei, è posto al centro della
riflessione e dell'universo.
In Germania il termine francese culture, inteso come espressione
massima del concetto di umanità, si diffonde come Kultur. A metà del
secolo XIX, l’espressione Cultur (con la c al posto della k) viene infatti
ad assumere un nuovo e diverso significato. Il filosofo Johann
Gottfried Herder (1744-1803), aveva individuato nella “diversità
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culturale” il fondamento spirituale delle identità nazionali europee,
fornendo una lettura del concetto che potremo definire già “proto-
antropologica”: la cultura è l'insieme delle attività dell'uomo, degli usi
dei costumi, delle tecniche, del linguaggio e delle credenze. Per
Herder ogni popolo, attraverso la sua cultura, ha uno specifico destino
da perseguire e ogni cultura, a suo modo, viene così a esprimere un
aspetto dell’intera umanità. Sulla stessa linea, lo studioso tedesco
Gustav Klemm (1802-1886), nella sua imponente opera in dieci volumi
“Storia culturale universale dell'umanità”, impiegando il termine kultur
in un senso oggettivo, cioè in riferimento alla cultura materiale, pose
l'individuo occidentale, l'europeo, al punto più alto del processo
storico dello sviluppo della civiltà. Nel 1871, nell’apertura del suo
saggio Primitive Culture, Edward Burnett Tylor (1832-1919), che
conosceva bene il lavoro di Klemm, presentò la sua, nonché più
importante definizione sistematica e scientifica del concetto di cultura:
“la cultura, o civiltà intesa nel suo ampio senso etnografico, è
quell’insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte,
la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine
acquisita dall'uomo quale membro di una società”.
Secondo Clifford Geertz (1987), proprio la nascita e l'introduzione
del concetto di cultura, superando l’immagine illuministica di una
natura umana universale e costante, ha avuto l’effetto principale di
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