5
INTRODUZIONE
Il presente lavoro, dal titolo Art. 117, primo comma, Cost. e CEDU, è realizzato con lo scopo
di fare il punto sull’evoluzione dell’apertura del nostro ordinamento alle norme provenienti
dall’ordinamento CEDU, da quelli internazionale e comunitario, alla luce della riforma
costituzionale del titolo V della Costituzione realizzata nel 2001; quest’ultimo, pur
riguardando essenzialmente la ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni,
ha in parte inciso anche sull’incidenza che le norme di diversi ordinamenti hanno nel nostro,
alimentando ulteriormente le diatribe dottrinali sul tema, già esistenti prima del 2001, e
modificando anche gli orientamenti giurisprudenziali finora affermatisi.
L’obiettivo della tesi, pertanto, è quello di verificare quanto la riforma del 2001 ha inciso sul
tema dei vincoli alla funzione legislativa interna, prendendo come riferimento principale il
nuovo art. 117, comma 1, Cost. e non mancando però di analizzare anche quella che era la
situazione antecedente riguardante l’incidenza nel nostro ordinamento delle norme
comunitarie, delle consuetudini e dei trattati internazionali. Fatto questo, si passerà ad
un’analisi più specifica incentrata sull’incidenza nel nostro ordinamento delle norme di un
importantissimo trattato internazionale, ossia la Convenzione Europea per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU): anche in questo caso attraverso un
excursus, si analizzerà il ruolo speciale attribuito alla CEDU nell’ordinamento italiano fino al
2007, anno in cui la Corte Costituzionale, con le sentenze nn. 348 e 349, ha invertito il
precedente orientamento, assimilando la CEDU nell’ambito dell’art. 117, comma 1, Cost. al
pari di ogni altro trattato internazionale, non curante del suo particolare contenuto. L’analisi
sulla CEDU non si limiterà, tuttavia, al solo mutamento d’opinione operato dalle sentenze
“gemelle” del 2007, ma si incentrerà anche sulla verifica del seguito che sia la
giurisprudenza costituzionale sia quella ordinaria e amministrativa hanno dato ad esse,
ponendo l’accento sulle diverse opinioni dei vari organi di giurisdizione. Inoltre si cercherà
di dare una risposta alla probabile assimilazione della CEDU alle norme comunitarie in
seguito all’adesione dell’UE alla CEDU prevista dal Trattato di Lisbona, provando a vedere
se e fino a che punto questa “comunitarizzazione” apporterà dei cambiamenti al modo in cui
la CEDU viene recepita attualmente nel nostro ordinamento.
L’organizzazione consta di quattro capitoli in cui vengono trattati i singoli argomenti, qui
accennati.
6
Nel primo capitolo, intitolato I vincoli internazionali e comunitari a cavallo della riforma
costituzionale del 2001, si prende in analisi il concetto di apertura dell’ordinamento italiano
alle norme degli ordinamenti internazionale e comunitario. Si analizzano, nello specifico: le
norme internazionali generalmente riconosciute ex art. 10, comma 1, Cost.; la disciplina dei
trattati internazionali antecedente alla riforma costituzionale del 2001; l’evoluzione del
rapporto tra lo Stato e le norme emanate in ambito comunitario.
Delle norme internazionali generalmente riconosciute si cercherà: di spiegare il meccanismo
di adattamento automatico applicato per immetterle nel nostro ordinamento; di individuare
quali siano effettivamente le norme generalmente riconosciute; e, infine, di giustificare il
rango costituzionale di queste norme. Il tutto, tenendo presente i vari orientamenti dottrinali e
giurisprudenziali. Dei trattati internazionali si dirà: del loro valore “ordinario” affermatosi
fino al 2001 nonostante alcune tesi dottrinali contrarie; dell’eccezione operata riguardo ai
trattati individuati come “fonti atipiche” per il loro particolare contenuto, con specifico
riferimento ai Patti Lateranensi; del problema dei trattati in forma semplificata; della
disciplina originaria del potere estero delle Regioni; e dell’inclusione delle leggi
d’esecuzione dei trattati tra le leggi non sottoponibili a quesito referendario ex art. 75 Cost.
Infine, il capitolo sarà chiuso da un excursus sull’evoluzione dei vincoli comunitari: partendo
dalle iniziali reticenze della Corte Costituzionale a riconoscere agli atti comunitari un valore
superiore alle leggi ordinarie; passando per le prime aperture degli anni Settanta fino al
definitivo riconoscimento del primato del diritto comunitario e del meccanismo della
disapplicazione della legge interna con la sentenza n. 170/1984; per finire, poi, con qualche
cenno sull’istituto del rinvio pregiudiziale del giudice comune alla Corte di Giustizia di
Lussemburgo.
Nel secondo capitolo, dal titolo Gli obblighi comunitari e internazionali dopo il 2001, si
passa alla trattazione della nuova disciplina costituzionale (l. cost. 3/2001), con specifica
attenzione all’art. 117, comma 1, Cost., che sancisce per la legislazione statale e regionale il
limite del rispetto della Costituzione, degli obblighi internazionali e dei vincoli
dell’ordinamento comunitario. Saranno trattati analiticamente tre temi: l’incidenza della
nuova disciplina costituzionale sul rapporto con i vincoli comunitari; l’incidenza della stessa
in tema di trattati internazionali; e, infine, l’evoluzione dei rapporti tra l’ordinamento interno
e quei trattati internazionali riguardanti i diritti umani, e, specificamente, la CEDU.
Riguardo ai vincoli comunitari si cercherà di confrontare le varie teorie che ritengono che
l’art. 117, comma 1, Cost. abbia apportato un’innovazione nel sistema dei rapporti con l’UE,
designando un ordinamento unitario, e quelle che, al contrario e come affermato anche dalla
7
giurisprudenza costituzionale, sono favorevoli ad una soluzione “continuista” della suddetta
disposizione, che non fa altro che confermare l’acquis communitaire finora consolidatosi.
Più ampia sarà la trattazione degli obblighi internazionali, avendo la nuova disciplina inciso
sul tema al punto da sovvertire la precedente idea che riteneva i trattati come norme di pari
rango dell’atto con cui venivano immessi, la legge ordinaria, in favore di una nuova
concezione dei trattati come fonti “sub-costituzionali”, sovraordinate alla legge ordinaria, la
cui violazione comporta anche la violazione della Costituzione (art. 117, comma 1, Cost.). Il
tutto sarà spiegato con confronti tra varie tesi dottrinali. Infine, si parlerà della CEDU e della
sua evoluzione nei rapporti con l’ordinamento italiano fino al 2007: dalle prime ritrosie della
Consulta a giustificarne il particolare ruolo, alle successive aperture fino alla sentenza n.
10/1993, che ha riconosciuto la CEDU come fonte atipica in virtù del suo contenuto e del
suo collegamento stretto con i diritti inviolabili dell’uomo sanciti dall’art. 2 Cost. L’analisi
non si fermerà solo alla giurisprudenza costituzionale, ma prenderà in esame anche la
posizione, talvolta contrastante, della Corte di Cassazione e dei vari giudici comuni, in alcuni
casi favorevoli addirittura ad una diretta applicabilità delle norme CEDU e alla
disapplicazione delle norme interne contrastanti, anziché alla sottoposizione di queste ultime
al giudizio di costituzionalità.
Il terzo capitolo è intitolato Il livello “sub-costituzionale” della CEDU e il giudizio di
costituzionalità delle leggi interne contrastanti ed esamina le sentenze “gemelle” n. 348 e
349 del 2007 della Corte Costituzionale, in tutti i loro aspetti innovativi, e la principale
giurisprudenza successiva della Corte Costituzionale.
In una prima fase l’analisi si incentrerà sul rifiuto della Consulta a ricomprendere la
disciplina della CEDU sia nell’art. 10 Cost., in quanto riservato alle norme consuetudinarie,
sia nell’art. 11 Cost., in quanto la CEDU non dà vita ad un ordinamento giuridico vero e
proprio come accade per l’ordinamento comunitario. Tale rifiuto, come si vedrà, si pone alla
base dell’inclusione degli obblighi della CEDU tra gli obblighi internazionali ex art. 117,
comma 1, Cost., equiparando quindi la CEDU a tutti i trattati internazionali e qualificandola
come norma interposta di rango “sub-costituzionale”, posta cioè ad un livello intermedio tra
la Costituzione e la legge ordinaria, che le permette di integrare il parametro costituzionale
nei giudizi sulla costituzionalità delle leggi. Tutto questo, considerando anche le varie
posizioni dottrinali. Successivamente si analizzerà il secondo aspetto innovativo, quello
riguardante, da un lato, l’interpretazione delle norme CEDU da parte della Corte di
Strasburgo e il bilanciamento delle stesse con tutte le norme costituzionali e, dall’altro, il
procedimento di risoluzione dei contrasti tra leggi interne e CEDU, da risolvere
8
preventivamente per via interpretativa conformemente alla giurisprudenza di Strasburgo e
solo successivamente mediante giudizio di legittimità costituzionale, da operare
eventualmente anche nei confronti della stessa CEDU per verificarne la sua idoneità ad
integrare il parametro di costituzionalità. Infine si chiuderà il capitolo con una breve rassegna
giurisprudenziale della stessa Corte Costituzionale con cui si è cercato di dare continuità alle
sentenze “gemelle” e, in parte, anche di innovare la disciplina della CEDU e dei diritti
fondamentali, come nella sentenza n. 317/2009.
Il quarto capitolo, La CEDU come parte dell’ordinamento comunitario o come fonte di
obblighi internazionali?, espone la questione relativa all’adesione dell’UE alla CEDU,
prevista dal Trattato di Lisbona, le sue prospettive riguardo al rapporto tra i due sistemi e alla
posizione della CEDU nelle fonti del diritto e, infine, l’orientamento dei giudici ordinario,
amministrativo e costituzionale. Inizialmente il discorso si incentrerà sul tema della
considerazione dei diritti umani nel diritto comunitario, analizzando l’evoluzione della
giurisprudenza di Lussemburgo, passando per le successive modifiche di Maastricht, di
Amsterdam e di Nizza con la realizzazione della Carta dei diritti fondamentali, fino
all’adesione alla CEDU prevista dal Trattato di Lisbona. Successivamente, prendendo spunto
dalle prospettive dell’adesione dell’UE alla CEDU e della possibile trasformazione delle
norme CEDU in norme comunitarie, si analizzeranno alcune prese di posizione del giudice
ordinario e del giudice amministrativo, favorevoli alla diretta applicabilità della CEDU
analogamente alle norme comunitarie. Infine si smentirà questi ultimi orientamenti
commentando la sentenza n. 80/2011 della Corte Costituzionale, che ha chiarito come in
realtà l’adesione dell’UE alla CEDU, pur consentita dal Trattato di Lisbona, non sia ancora
avvenuta, lasciando quindi invariato il meccanismo stabilito dalle sentenze nn. 348 e 349 del
2007. Gli ultimi due paragrafi del suddetto capitolo saranno dedicati alla più recente
giurisprudenza: il primo con l’obiettivo di evidenziare alcuni aspetti del rapporto tra la Corte
EDU e la Corte di Cassazione, il secondo volto all’identificazione del ruolo dei giudici
comuni sul tema CEDU.
9
I
I VINCOLI INTERNAZIONALI E COMUNITARI A CAVALLO
DELLA RIFORMA DEL 2001
1 Apertura del nostro ordinamento al diritto internazionale
Un tema sicuramente importante nell’approccio allo studio dell’ordinamento giuridico
interno è sicuramente quello dell’apertura di quest’ultimo alle norme degli ordinamenti
stranieri. In modo particolare è importante verificare se e come il nostro ordinamento
recepisce le norme derivanti dall’ordinamento internazionale. Che il nostro non sia un
sistema chiuso è dimostrato innanzitutto dalla disposizione costituzionale che sancisce
l’apertura del nostro ordinamento alle norme dell’ordinamento internazionale, ossia l’art. 10,
comma 1, Cost. Questa disposizione sancisce che “l’ordinamento giuridico italiano si
conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”. Si predispone un
meccanismo di adattamento automatico nei confronti del diritto internazionale, assicurando
una costante conformità fra ordinamento interno e internazionale generale. Le norme
consuetudinarie, riprendendo la teoria di Cicconetti
1
, realizzano la “creazione indiretta” del
diritto, ossia quella produzione del diritto non attraverso fonti-atto o fonti-fatto previste
dall’ordinamento interno, ma attraverso fonti derivanti da ordinamenti diversi, come in
questo caso è l’ordinamento internazionale. Tale creazione indiretta, nei casi previsti dall’art.
10, comma 1, Cost. si realizza indipendentemente dall’esistenza di un atto ad hoc, al quale
viene preferita la tecnica del rinvio. Si potrebbe pensare che tale rinvio sia un rinvio di
produzione: la norma costituzionale produrrebbe direttamente, istante per istante, le norme
interne necessarie a mantenere l’ordinamento nazionale conforme alle norme internazionali
generali, attraverso un richiamo al loro contenuto
2
. Da un altro lato, però, il rinvio dell’art.
10, comma 1 Cost., potrebbe fungere anche da rinvio formale, che consente alle norme
internazionali generali di operare anche al di fuori dell’ambito in cui sono state prodotte.
Questa prospettiva si fonda sulla considerazione che ciascuna norma ha un contenuto
precettivo e un ordine di applicazione. Le norme internazionali generali hanno un contenuto
precettivo, ma l’ordine di applicazione, che nelle norme interne è implicito nell’atto che le
contiene, qui viene assicurato dall’art. 10, comma 1 Cost. Tale disposizione costituzionale
interviene, quindi, come “trasformatore permanente”, attribuendo forza normativa ad un
1
S.M. CICCONETTI, Le fonti del diritto italiano, Torino, 2001, 36 ss.
2
T. PERASSI, La Costituzione italiana e l’ordinamento internazionale, in AA.VV., Scritti giuridici,
Milano, 1958, 433
10
contenuto normativo che nasce sprovvisto della capacità di operare nell’ordinamento
interno
3
.
Visto come agisce l’art. 10, comma 1, Cost., bisogna vedere a quali norme esso fa
riferimento. Nella disposizione si parla di “norme del diritto internazionale generalmente
riconosciute”; ciò lascerebbe intendere agevolmente che si tratti, quindi, delle sole norme
internazionali consuetudinarie. Una diversa prospettiva è, però, quella di Quadri
4
, secondo
cui l’esistenza di una norma consuetudinaria richiamante il principio pacta sunt servanda
amplierebbe la portata dell’art. 10, comma 1, Cost. anche alle norme internazionali derivanti
dai trattati. In realtà, come confermato sia dalla Corte Costituzionale
5
che dalla prevalente
dottrina
6
, i trattati sono esclusi da tale disposizione costituzionale indipendentemente
dall’esistenza di una norma consuetudinaria come fondamento della loro obbligatorietà nel
diritto internazionale. La limitazione del contenuto dell’art. 10, comma 1, Cost. alle sole
norme consuetudinarie ha la sua ratio nella volontà del Costituente di operare l’adattamento
con strumenti costituzionali solo a quelle norme che, godendo di generale approvazione,
esprimono le tendenze di fondo dell’ordinamento internazionale. Il bene tutelato dalla norma
costituzionale è, quindi, l’esigenza che lo Stato italiano non si estranei a tali tendenze di
fondo dell’ordinamento internazionale, rendendo quindi comprensibile come lo stesso
risultato non può essere assicurato dalla norma pattizia
7
. A differenza dei trattati, le norme
consuetudinarie non hanno, infatti, un momento di formazione ben identificato, rendendo
difficile un adattamento volta per volta; il carattere mutevole delle consuetudini rende,
quindi, appropriato un meccanismo di adattamento automatico.
Per i trattati, la Costituzione prevede, invece, una dettagliata procedura di formazione, quale
quella dell’art.80 Cost.
8
, alla cui scansione è ricollegata la produzione di conseguenze
3
T. PERASSI, cit.
4
R. QUADRI, Diritto internazionale pubblico, Napoli, 1968, 42 ss.
5
C. Cost. n.32/1960 in cui si afferma che l’art. 10, comma 1 Cost., “si riferisce alle norme del diritto
internazionale generalmente riconosciute e non ai singoli impegni assunti in campo internazionale dallo
Stato: ciò risulta chiaramente dal testo dell’art. 10 ed emerge dai lavori preparatori”
6
Si vedano: A. LA PERGOLA, Costituzione e adattamento dell’ordinamento interno al diritto
internazionale, Milano, 1961, 305-306; G. PAU, Le norme di diritto internazionale e le garanzie
costituzionali della loro osservanza, in Rivista di diritto internazionale, 1968, 258 ss.; B. CONFORTI,
Diritto internazionale, Napoli, 2002, 318; A. CASSESE, Diritto internazionale, I, Bologna, 2003, 272;
CATALDI, Rapporti tra norme internazionali e norme interne, in AA.VV. Digesto pubblico, XII, Torino,
1997, 391
7
E. CANNIZZARO, Art. 10, 1° co, Cost., in AA.VV., Commentario alla Costituzione, I, Torino, 2006,
246
8
Art. 80 Cost.: “Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura
politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle
finanze o modificazioni di leggi
11
normative nell’ordinamento interno
9
. Assodato, quindi, che i trattati non rientrano tra le
norme internazionali generalmente riconosciute, resta ancora da risolvere il problema di
quali siano effettivamente queste norme. Secondo un primo orientamento
10
sarebbero norme
generalmente riconosciute solo quelle norme di diritto internazionale generale che
impongono obblighi allo Stato. Secondo un’altra tesi
11
, l’art. 10, comma 1, Cost. è
particolarmente selettivo: ricadrebbero, così, nell’ambito dell’art. 10, comma 1, Cost., le
consuetudini universali, i principi generali del diritto internazionale e quelle norme
convenzionali dal contenuto vincolante per gli Stati, ossia le norme jus cogens
12
. La Corte
Costituzionale, dal canto suo, ha aggiunto a tali tipologie di norme anche i “principi generali
di diritto comuni alle nazioni civili”
13
. Dubbi sorgono riguardo alle consuetudini locali, che
sarebbero sì di carattere generale, ma riferite solo ad un gruppo ristretto di Stati. La
considerazione principale che viene fatta
14
è che le norme consuetudinarie raramente
assumono contenuto uniforma su base universale, mentre più facilmente assumono un
contenuto proprio nell’ambito di un gruppo ristretto di Stati. Ragionando in questi termini,
una volta che tali norme venissero considerate come consuetudini, seppur locali, nulla
osterebbe alla loro inclusione nell’art. 10, comma 1, Cost. Va poi evidenziato come una certa
dottrina
15
ha giustificato l’inclusione delle consuetudini locali tra le norme generalmente
riconosciute sulla base di un’incontestabile “regionalizzazione” del diritto internazionale, che
porterebbe a intendere come norme generali anche quelle riconosciute non universalmente,
bensì da tutti quegli Stati che formano una base omogenea di sostegno e rappresentano le
forze rilevanti dell’ordinamento internazionale. In ogni caso, la dottrina maggioritaria e la
giurisprudenza
16
hanno sostenuto che la disposizione costituzionale in questione opera nei
9
E. CANNIZZARO, Trattato (esecuzione al), in AA.VV., Enciclopedia del Diritto, XLIV, Milano, 1991,
1394
10
G. BISCOTTINI, L’adeguamento del diritto italiano alle norme internazionali, in AA.VV., Jus, II,
1951, 217
11
V. ONIDA, Guerra, diritto, costituzione, Bologna, 1999, 959
12
Si vedano in dottrina: L. CONDORELLI, Il riconoscimento generale delle consuetudini internazionali
nella Costituzione italiana, in Rivista di diritto internazionale, 1979, 5 ss.; G. CATALDI, On the
enforcement of costumary rules of human rights by National judges, in I.Yb.I.L., 2001, 101 ss.; N.
RONZITTI, Adattamento dell’ordinamento italiano alle norme imperative del diritto internazionale, in
AA.VV, Studi di diritto internazionale in onore di G. Arangio Ruiz, Napoli, 2004, 635 ss. – Si veda in
giurisprudenza: Cass., S.U., 5044/2003
13
C. Cost. n.48/1967, in Giurisprudenza costituzionale, 1967, 299; C. Cost n. 69/1976
14
F. CAPOTORTI, Corso di diritto internazionale, Milano, 1995, 185 e 187
15
G. STROZZI, Regioni e adattamento dell’ordinamento interno al diritto internazionale, Milano, 1983,
94; L. CONDORELLI, cit.
16
Per una visione completa della dottrina e giurisprudenza prevalente sul punto si veda P. PICONE – B.
CONFORTI, La giurisprudenza italiana di diritto internazionale pubblico. Repertorio 1960-1987,
Napoli, 1988, 92 ss. e P. PICONE (a cura di), La giurisprudenza italiana di diritto internazionale
pubblico, II. Repertorio 1987-1997, Napoli, 1997, 147 ss.
12
confronti delle consuetudini generali, cioè di quelle regole sono tali solo se caratterizzate
dalla diuturnitas, cioè il ripetersi generale, costante e uniforme di un dato comportamento da
parte degli Stati, e dall’opinio iuris ac necessitatis, cioè la convinzione degli Stati stessi che
quella regola di condotta sia “doverosa”.
Altri dubbi sorgono, invece, riguardo all’ipotesi di possibili contestazioni da parte italiana
all’affermarsi della consuetudine; ma, in realtà, l’art. 10, comma 1, Cost., mira a favorire
l’inserimento dello Stato italiano nella comunità internazionale e non la sua dissociazione;
così la norma interna sorge anche rispetto allo Stato obiettore
17
, al fine di evitare
discostamenti dalla comunità internazionale.
Definite quali siano le norme internazionali generalmente riconosciute, bisogna ora cercare
di evidenziare la posizione assunta da tali norme nell’ordinamento italiano e il loro rapporto
con le altre norme interne. L’adattamento automatico previsto dall’art. 10, comma 1, Cost.,
secondo la dottrina straniera
18
, fa sì che vi sia una prevalenza delle norme internazionali su
quelle interne; secondo questa teoria l’art. 10, comma 1, Cost. conferisce alle regole
internazionali una forza super-costituzionale, che renderebbe impossibile una loro
abrogazione anche mediante una legge di revisione costituzionale. La tesi della super-
costituzionalità è stata, comunque, criticata, osservando che tale natura possa, nel silenzio
della Costituzione, riconoscersi a prescrizioni esterne oggetto di un rinvio globale
19
. Un’altra
tesi in merito alla posizione delle norme internazionali generali nel nostro ordinamento, è
quella di La Pergola
20
, che sostiene che nel conflitto con le norme inserite ab initio nella
Costituzione non possono prevalere le norme internazionali generali formatesi prima della
Costituzione stessa, perché il rinvio dell’art. 10, comma 1, Cost. fa riferimento solo alle
norme internazionali generali formatesi a partire dall’entrata in vigore della Costituzione;
proprio per questo motivo si ha una prevalenza delle norme internazionali generali
successive rispetto a quelle costituzionali, essendo dotate le prime di quella forza
costituzionale concessagli proprio dall’art. 10, comma 1, Cost. La tesi di La Pergola è stata
criticata, però, da Bernardini, che gli ha opposto una differente tesi
21
. Bernardini sostiene che
il Costituente non ha inteso le norme internazionali generali come norme costituzionali e che,
quindi, il rango delle norme di adattamento alle norme internazionali non può non essere
17
B. CONFORTI, cit., 40-41; A. CASSESE, cit., 172-173
18
D. S. COSTANTOPOULOS, Verbindlichkeit un Kunstruktion des positiven Volkerrechts, Amburgo,
1948, 201 ss.
19
A. D’ATENA, Adattamento del diritto interno al diritto internazionale, in AA.VV., Enciclopedia
Giuridica, Roma, 1988, 6
20
A. LA PERGOLA, cit. 293-294 e 430
21
A. BERNARDINI, Diritto internazionale generale e ordinamento interno, in Giurisprudenza
costituzionale, 1961, 1465 ss.
13
subordinato alla Costituzione. Bernardini, inoltre, afferma che se davvero le norme
internazionali generali fossero di rango costituzionale, il contrasto con una legge ordinaria
anteriore dovrebbe risolversi in una dichiarazione di incostituzionalità di quest’ultima e non
in un’applicazione diretta della norma internazionale da parte del giudice. L’autore, però,
risolve questo dilemma affermando che in realtà le norme internazionali generali prevalgono
su quelle ordinarie in base al principio lex posterior derogat priori, se queste ultime sono
antecedenti, oppure per via della loro atipicità, se le leggi ordinarie sono posteriori.
L’atipicità è giustificata dal fatto che la legge ordinaria successiva abrogando la norma di
adattamento al diritto internazionale generale, violerebbe l’art. 10, comma 1, Cost., che
stabilisce un differente criterio di inserimento delle norme di adattamento al diritto
internazionale generale rispetto alle leggi ordinarie. Scaturisce da ciò una particolare forza
passiva della norma internazionale generale rispetto alle altre norme interne di rango
ordinario. Tesi, questa, parzialmente rivista da parte della dottrina
22
, che ha considerato le
norme internazionali generali come “norme atipiche intermedie”; una legge ordinaria che
abroga una norma di adattamento al diritto internazionale generale è illegittima, ma non
incostituzionale, perché non viola direttamente la Costituzione, bensì una norma intermedia
tra la Costituzione e la norma ordinaria; pertanto, sono sindacabili non già dalla Corte
costituzionale, ma da tutti i soggetti del diritto che si trovino a doverle applicare. Un’altra
teoria è quella di Barile
23
, secondo cui il rinvio dell’art. 10, comma 1, Cost., consentendo
l’applicazione delle norme internazionali generali nel loro autentico significato maturato in
ambito internazionale, obbliga all’applicazione delle stesse anche in Italia e anche se non
conformi alla Costituzione. Secondo Barile, il contrasto con altre norme costituzionali si
risolverebbe in favore delle norme internazionali sulla base del principio di specialità, in base
al quale la regola speciale deroga quella generale. Barile, inoltre, si pronuncia anche su un
altro punto, partendo dal presupposto dell’esistenza di due disposizioni della Convenzione di
Vienna sul diritto dei trattati: l’art. 53, che dispone che “è nullo qualsiasi trattato che, al
momento della sua conclusione, sia in contrasto con una norma imperativa di diritto
internazionale generale”; l’art. 64, statuente che “quando sopravvenga una nuova norma
imperativa di diritto internazionale generale, qualsiasi trattato esistente che contrasti con tale
norma diventa nullo ed ha termine”. L’autore va anche oltre, ritenendo che le norme
internazionali generali, anche si di rango costituzionale, se non sono imperative possono
22
F. SORRENTINO, Corte costituzionale e Corti di Giustizia delle Comunità Europee, I, Milano, 1970,
53 ss.
23
G. BARILE, Costituzione e diritto internazionale. Alcune considerazioni generali, in Rivista
trimestrale di diritto pubblico, 1986, 957-958
14
essere derogate da un trattato, sebbene questo sia autorizzato e reso esecutivo nel nostro
ordinamento mediante un atto di rango inferiore. Inoltre, per Barile, anche le norme
internazionali generali imperative (jus cogens) non possono derogare ai principi supremi
della Costituzione. Altra teoria è quella dell’adattamento “scalare” o “polivalente”, sostenuta
da Cassese
24
, secondo cui l’impossibilità di desumere un’indicazione chiara sul rango delle
norme di adattamento al diritto consuetudinario internazionale giustificherebbe un criterio
valevole ratione materiae, ritenendo che le norme non scritte immesse automaticamente ex
art. 10, comma 1, Cost., hanno efficacia di norme costituzionali, di norme ordinarie o di
regolamenti a seconda che la materia che disciplinano sia regolata, nel nostro ordinamento,
con norme costituzionali, con norme ordinarie o con regolamenti. Il principio cronologico
risolverebbe i contrasti tra norme interne e norme di adattamento al diritto internazionale
generale di pari rango; anche secondo questa tesi, comunque, le norme internazionali
generali non derogano ai principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale. Tutte queste
tesi, sostanzialmente, affermano un rango costituzionale delle norme internazionali generali,
sebbene in maniera diversa tra loro (Cassese prevede il rango costituzionale solo ratione
materiae; Barile lo prevede ma ciò non impedisce la derogabilità dei trattati verso le norme
internazionali generali non imperative; la tesi “rivisitata” di Bernardini afferma l’atipicità
delle norme internazionali generali non sulla base della loro forza passiva ma sulla loro
natura di norme interposte; anche La Pergola afferma che queste norme siano di rango
costituzionale, pur ancorandole nell’ambito del principio cronologico). Ciò comporta che il
contrasto con esse giustifica un giudizio sulla legittimità costituzionale delle norme interne
contrastanti
25
. Eppure, c’è anche chi, come Esposito
26
, ha sostenuto che non sia necessario il
controllo di costituzionalità da parte della Corte costituzionale. Esposito prende in esame due
ipotesi: contrasto tra norma internazionale generale e altra norma ordinaria o altra legge
costituzionale
27
; contrasto tra norma internazionale generale e altra disposizione della
Costituzione. In quest’ultimo caso il contrasto sarebbe inesistente perché l’art. 10, comma 1,
Cost. stabilisce che l’ordinamento italiano “si conforma” a quello internazionale e quindi le
24
A. CASSESE, L’art. 10 della Costituzione italiana e l’incostituzionalità di atti normativi contrari a
norme interne di adattamento al diritto internazionale generale, in Rivista di diritto pubblico, 1964, 378
ss.
25
G. SORRENTI, La conformità dell’ordinamento italiano alle norme di diritto internazionale
generalmente riconosciute e il giudizio di costituzionalità delle leggi, in G. PITRUZZELLA – F. TERESI
– G. VERDE ( a cura di), Il parametro nel giudizio di costituzionalità, Torino, 2000, 604
26
C. ESPOSITO, Costituzione, legge di revisione della Costituzione e altre leggi costituzionali, in
AA.VV., Raccolta di scritti in onore di A. C. Jemolo, III, Milano, 1963, 191
27
La tesi parte dal presupposto della distinzione tra “altra legge costituzionale” e “legge di revisione
costituzionale”, secondo cui, sebbene la formazione e l’efficacia sia la stessa per entrambe le categorie di
leggi, solo quest’ultima può emendare una disposizione della nostra Costituzione