6
quella volta ad esaminare la materia in questione, riguardo al problema
del risarcimento dei danni a favore del nascituro e vedremo come la
giurisprudenza ha riconosciuto tale diritto.
L’ultima parte dello scritto è incentrata sulla disamina della
modifica dell’art. 1 c.c., col tentativo (forse ardito) di epifanizzare le
conseguenze che ne deriverebbero; in questo contesto, trova
inevitabilmente trattazione quello che mi piace definire “il dilemma
shakespeariano dell’embrione”. Come vedremo, si tratta di una questione
molto delicata e controversa che anima, oggi più che mai, il dibattito
politico ma anche civile. Tale delicatezza è dovuta al fatto che la
questione “capacità giuridica” va a tangere degli argomenti di natura
etica, morale, religiosa, per cui, inevitabilmente, si assiste alla
contrapposizione tra principi per l’appunto etici e principi di estrazione
laica. Per questo motivo la disamina di cui si parla, assume una fattezza
di carattere giuridico-filosofico, non essendo (per quanto mi riguarda)
possibile inserire l’argomento in un contesto prettamente tecnico-
giuridico.
Sarà inoltre fatto il punto sul rapporto tra diritto e morale, tentando
di indicare una plausibile soluzione.
7
CAPITOLO I
LA CAPACITÀ GIURIDICA NEL DIRITTO ROMANO
I.1 - SIGNIFICATO DEI TERMINI CAPACITAS, CAPAX E PERSONA
La mancanza, nel diritto romano, di una definizione di capacità
giuridica in termini astratti e generali, trova fondamento nella tendenza
dei giuristi romani a rifuggire dalle teorizzazioni.
La ricerca di parole che presentano una qualche assonanza
terminologica o un qualche riferimento concettuale con i termini
moderni di capacità e di personalità giuridica, ci porta all’analisi di
alcuni vocaboli
2
.
Con capacitas
3
si indica la possibilità dell’acquisto mortis causa
da parte dei soggetti non dichiarati a quest’effetto incapaci da leggi
speciali (come, ad esempio, le leggi matrimoniali augustee).
2
V. ARANGIO RUIZ, Istituzioni di diritto romano, XII ed., Napoli, 1954, p. 43; G. SCIASCIA, Capacità
giuridica (diritto romano), in Noviss. dig. it., II, Torino, 1958, p. 870; A. BURDESE, Capacità (diritto
romano), in Enc. dir., VI, Milano, 1960, p. 1; P. RESCIGNO, Capacità giuridica, in Noviss. dig. it., II,
Torino, 1958, p. 1027 ss.
3
Sulla capacitas vedi B. BIONDI, Successione testamentaria, in Foro it., 1943, p. 133 ss.
8
Capax si riferisce più genericamente alla capacità di acquistare, ad
esempio, un credito, o di ricevere un pagamento, ovvero ad indicare
capacità fisiche o psichiche di un individuo.
L’espressione persona
4
in senso proprio indica la maschera del
teatro che amplifica la voce dell’attore. Secondo Ermogeniano (l. 2, D, h.
t., l, 5) tutto il diritto troverebbe luogo per regolare la vita tra uomini,
unici destinatari della norma giuridica. Ma ai romani era sconosciuta
l’uguaglianza tra uomini e la teoria dei cosiddetti diritti della personalità:
come vedremo, l’uomo poteva essere preso in considerazione come sui
iuris o alieni iuris; come cittadino o meno; come libero o schiavo. Né
mancano, indipendentemente dallo status e dalla capacità, ipotesi in cui
la persona umana era presa in considerazione come tale (ad esempio nel
diritto penale e criminale o, come prova il fatto che Gaio, nel I libro delle
Institutiones, dedicato al ius quod ad personas pertinet, annovera tra le
personae anche gli schiavi, riguardati come oggetto di diritti).
Vediamo allora i requisiti per poter considerare sussistente la
persona. Pur mancando criteri legislativi e giurisprudenziali unitari,
4
Vedi P.W. DUFF, Personalità in Roman private law, Cambridge, 1938; R. AMBROSINO, Il
simbolismo della “capitis deminutio”, in Stud. doc. hist. jur., 6, 1940, p. 369; C. GIOFFREDI, Caput, in
Stud. doc. hist. jur., 12, 1946, p. 301.
9
tuttavia si possono trarre alcune regole generali da varie fattispecie
considerate nelle fonti.
Il nascituro era considerato mera parte del corpo materno (l. 1, 1,
D, de inspiciendo ventre, 25, 4). Con la nascita, tuttavia, la vita
intrauterina poteva avere rilevanza ove gli portasse giovamento,
affermazione derivante dal brocardo conceptus pro iam nato habetur (l.
7, D, h. t., 1, 5). Se durante la gestazione la donna era stata, anche solo
per un istante, libera, il figlio nasceva libero ed ingenuo (l. 5, 3, D,
h. t., 1, 5); se era stata fatta prigioniera dal nemico, il figlio poteva
godere dello stesso ius postliminii; per lo status di figlio legittimo era
rilevante il momento del concepimento (l. 18, D, h. t., 1, 5); al postumo
erano inoltre riservati i diritti successori (l. 3, 9, D, de suis, 38, 16)
5
.
L’ordinamento pretorio, completato dai senatoconsulti, prevedeva
una serie di provvedimenti cautelari per il nascituro e per il futuro
padre
6
.
La vita prenatale, era presa in considerazione anche dalle norme
penali. Il procurato aborto veniva paragonato, ma non identificato,
all’omicidio e punito con l’esilio (l. 8, D, ad legem Corneliam, 48, 8);
5
Sui postumi cfr. P. VOCI, Diritto ereditario romano, vol. I, Milano, 1960, p. 378 ss.
6
Vedi: D, de inspiciendo ventre, 25, 4; D, si ventris nomine muliebre in possessionem missa, 25, 5; D,
si mulier ventris nomine possessione calumniae causa, 25, 6.
10
inoltre l’esecuzione della pena di morte, inflitta alla donna incinta,
veniva sospesa fino al parto (l. 18, D, h. t., 1, 5)
7
.
La nascita avveniva con la separazione totale dal corpo materno (l.
3, 1, C, de postumis, 6, 29), prescindendo che ciò avvenisse in seguito a
parto naturale o ad operazione chirurgica, anche su donna già deceduta
(l. 1, 9, D, unde cognati, 38, 8; l. 1, 5, D, ad S. C. Tertull., 38, 17). Il
nato morto veniva considerato come mai esistito (l. 129, D, de verb.
Sign., 50, 16). Ed incertezze vi erano anche per il nato vivo, subito
morto. Giustiniano risolse il caso specifico della rottura del testamento
per sopravvenienza del postumo, e della di lui successione necessaria,
accogliendo la tesi dei Sabiniani, per cui, per la rottura del testamento,
sarebbe stato sufficiente un qualsiasi segno di vita; né sarebbe stato
indispensabile il vagito, poiché il muto, se sopravvissuto, avrebbe rotto il
testamento. I Proculeiani richiedevano invece il vagito. La disputa
riguardava non una mera questione di prova di vita del neonato subito
morto
8
, ma la necessità o meno di un ulteriore requisito, quasi di vitalità,
per considerarlo capace di successione (l. 3, C, de postumis, 6, 29).
Riguardo ad altri effetti che non fossero quelli successori, secondo i
7
Vedi: G. SCIASCIA, Capacità, cit.
8
Cfr. A. BURDESE, Manuale di diritto privato romano, Torino, 1964, p. 159.
11
Sabiniani e Giustiniano il nato morto, poteva considerarsi persona (e
come tale, ad esempio, capace di rendere religioso il luogo di sepoltura).
In caso di aborto, il feto, pur staccatosi ancora vivo dalla donna ma
incapace di vita extrauterina, non rompeva il testamento (l. 2, C, de
postumis, 6, 29) e non si considerava persona. Sarebbe opportuno
precisare fino a che momento si parlasse di aborto o di parto prematuro.
In l. 12, D, h. t., 1, 5, Paolo, rifacendosi alla autorità di Ippocrate,
asseriva che al settimo mese il partorito fosse perfetto, concludendo che
il nato sette mesi dopo le nozze fosse da ritenersi concepito in pendenza
del matrimonio; da ciò si potrebbe congetturare che per essere
considerato persona, l’essere dovesse risultare almeno settimino, e che, a
sua volta, il settimino fosse sempre da considerarsi persona
9
.
Veniva considerato uomo solo chi avesse forma umana, non il
monstrum (l. 14, D, h. t., 1, 5). Il monstrum, con Giustiniano, veniva
computato agli effetti dei figli avuti (l. 135, D, de verb. Sign. 50, 16).
La persona cessava di essere tale con la morte, provata da chi ne
aveva interesse
10
.
9
Così, G. SCIASCIA, Capacità, cit.
10
In questo senso, C. GIOFFREDI, Caput, cit.
12
I.2 - SIGNIFICATO DEI TERMINI CAPUT, CAPITIS DEMINUTIO
Neppure il termine caput
11
indica il soggetto di diritti; il suo
significato si specifica con la qualifica di liberum, per designare
l’individuo libero e quindi capace e quindi soggetto di diritti, a
prescindere dalla sua posizione di cittadino e di membro di una famiglia;
oppure con quella di servile con riferimento allo schiavo, che è oggetto e
quindi privo di personalità giuridica. Una dottrina difforme si rifà alla
definizione servum nullum caput habet (Inst. 1, 16, 4; D, 4, 5, 3, 1,
Paul.), per attribuire al termine un significato generale corrispondente al
concetto moderno.
Capitis deminutio, originariamente, potrebbe aver significato che
il gruppo di cui l’individuo faceva parte, subiva la diminuzione di una
unità in seguito all’uscita dell’individuo stesso dal nucleo sociale.
Nell’uso classico, essa si trova riferita piuttosto che alla perdita della
capacità, al mutamento di status (perdita della posizione giuridica di
membro della famiglia o della civitas, come anche della posizione
giuridica di uomo libero, che era il presupposto necessario dello status di
11
Le espressioni persona e caput si trovano usate pure nel senso di capacità: par. 2, Nov. Theod., de
competit., 17; par. 4, I, de cap. dem., 1, 16.
13
cittadino, per cui non era possibile perdere la libertà senza perdere la
cittadinanza, mentre era possibile il contrario)
12
.
È così che si creò in età classica la tricotomia scolastica tra: capitis
deminutio maxima, consistente nella perdita della libertà, e quindi della
cittadinanza; capitis deminutio media, consistente nella perdita della sola
cittadinanza; capitis deminutio minima, consistente nella perdita
dell’appartenenza ad una famiglia, cui corrispondeva l’ingresso in
un’altra
13
.
Eccettuati taluni casi, la capitis deminutio comportava un
peggioramento di status, cosicché potrebbe intendersi come
“diminuzione della capacità giuridica”. Ma solo nel linguaggio
bizantino, caput, sulla traccia della analoga evoluzione di significato
subita dal termine persona, pare assumere un significato che adombra
l’idea di capacità giuridica, quando si diceva del servus che egli nullum
caput habet (Paul. Dig. 4, 5, 3, 1 e Inst. 1, 16, 4)
14
.
12
G. SCIASCIA, Capacità, cit.
13
Cfr. Gaio, Institutiones, I, 159; Paul. Dig. 4, 5, II; Ep. Ulp. II, 10.
14
A. BURDESE, Capacità, cit.
14
I.3 - STATUS LIBERTATIS: LIBERI E SCHIAVI
Nell’analisi dello status libertatis, invece, notiamo che gli
individui si distinguevano in liberi e in schiavi.
Nel genus dei liberi, coloro che godevano dei diritti ab origine,
erano gli ingenui, cioè i nati da madre libera che non furono mai schiavi.
In particolare, la ingenuitas indicava la posizione di coloro che erano
esenti da quella serie di doveri propri di un’altra categoria di persone
libere: i liberti. In epoca classica questi ultimi ottenevano la loro
posizione sociale, per concessione (ius aureorum anulorum); con
Giustiniano tutti i liberti ottennero lo ius regenerationis.
Lo status di civis
15
era la condizione necessaria, oltre che per il
godimento dei diritti politici (ius suffragii; ius honorum; ius
provocationis; ius militiate), anche per il godimento dei diritti civili: il
ius civile era il ius proprium civitatis e cioè civium Romanorum.
Anche riguardo allo status civitatis occorre fare delle distinzioni:
dei cives già abbiamo detto; troviamo poi i liberi non cittadini romani, i
quali erano capaci per il diritto del loro stato e di riflesso tale capacità, se
15
Vedi A. BURDESE, Capacità, cit.
15
garantita da trattati internazionali, era loro riconosciuta, entro certi limiti,
nell’ambito della sfera privatistica, nella iurisdictio dei magistrati
romani: si sviluppò così il ius gentium come diritto oggettivo in relazione
al quale erano egualmente capaci sia i romani che i peregrini, in orbe
romano qui sunt, i quali, se dediticii, non avevano alcuna nazionalità
riconosciuta ed erano sudditi di Roma. Tra i romani e i peregrini,
avevano posizione intermedia i latini, suddivisi in prisci o veteres e in
coloniarii
16
.
Nell’ambito dell’appartenenza alla civitas, l’uomo libero
apparteneva anche, ab antiquo, oltre che al gruppo familiare gentilizio
che ben presto si disgrega, ad una famiglia, proprio iure dicta, o in
qualità di soggetto alla potestà del pater (alieni iuris) o, in mancanza di
ascendenti maschi in linea retta, in qualità di sui iuris.
La persona sui iuris, se uomo (anche se la giurisprudenza classica
-Ep. Ulp. 4, 1- gli parifica la donna cittadina sui iuris), e non aggregato
come soggetto ad un’altra familia, veniva chiamato pater familias,
indipendentemente dalla sua età e dalla circostanza di avere o no prole.
16
Così, sia G. SCIASCIA, Capacita, cit., sia A. BURDESE, Capacità, cit.
16
Tutte le altre persone erano alieni iuris, cioè soggette al potere del pater
familias, fossero figli o nipoti o affini di lui.
Indipendentemente da queste limitazioni alla capacità giuridica
fondate sullo status dell’individuo, ve ne erano altre fondate sul sesso,
sull’età, sullo stato di salute, e alcune conseguenti a condanne penali. In
tali casi non è facile distinguere se si trattasse di capacità giuridica o di
capacità d’agire; distinzione peraltro irrilevante nel diritto romano, che
non conosceva neppure la nozione generale di capacità d’agire.
Nell’orbita della familia, trovava la sua posizione giuridica lo
schiavo (salvo l’eccezione del servus sine domino) che, pur privo di
personalità giuridica, era una persona soggetta alla potestà del pater.
La figura dello schiavo
17
non era differenziata dall’uomo libero,
quanto alla realtà obbiettiva, ma era assimilata alla cosa, quanto
all’ordine giuridico. Come res, lo schiavo era suscettibile di essere
oggetto di qualsiasi rapporto patrimoniale (proprietà, possesso, oggetto
di obbligazione o di atto di ultima volontà). Il padrone aveva su di lui gli
stessi poteri che su una cosa, e la lex Aquiliana del III sec. a.C., parificò
l’uccisione dello schiavo altrui, alla distruzione della proprietà. Ogni
17
Vedi anche C. GIOFFREDI, Caput, cit.
17
acquisto fatto dallo schiavo, apparteneva al suo padrone; ma gli atti a
questo pregiudizievoli, non si ripercuotevano su di lui. Lo schiavo non
poteva contrarre matrimonio, ma solo una relazione di fatto
(contubernium), senza alcuna conseguenza giuridica. Quindi non aveva
diritti di famiglia o diritti successori. Non aveva patrimonio, non poteva
contrarre crediti o debiti, non poteva agire né essere convenuto in
giudizio. Però, soprattutto per influenza delle dottrine stoiche, si
riconobbe che anche lo schiavo era un uomo, e la sua personalità e la sua
capacità giuridica tendevano costantemente ad affermarsi. Nel diritto più
antico, era permessa l’adozione degli schiavi; le unioni tra schiavi erano
sottoposte agli stessi impedimenti che valevano per gli uomini liberi; il
luogo di sepoltura degli schiavi era res religiosa, poiché il diritto sacro
considerava la personalità dello schiavo. Il parto della schiava non era
classificato tra i frutti, e quindi non spettava all’usufruttuario. Lo schiavo
liberato per testamento come erede necessario, non doveva sottostare alla
eventuale ignominia per la insolvenza della massa ereditaria,
conseguenza legale necessaria, intervenuta senza sua colpa. Varie
disposizioni limitavano poi i poteri dei signori, fino ad affermare che non
era permesso castigare gli schiavi oltremisura. Era riconosciuto che gli
18
schiavi restavano obbligati per delitto, né veniva meno la loro
responsabilità dopo la manomissione. Per le obbligazioni da contratto, si
giunse a parlare di obbligazioni naturali
18
.
Come abbiamo visto, la religione, in quanto tale, non portava
limitazioni alla capacità giuridica della persona; ciò avverrà invece con
gli imperatori cristiani, per i quali eretici, pagani ed ebrei verranno
duramente limitati anche nel campo del diritto privato, fino al punto di
vietare loro di essere testimoni, di acquistare beni con atti tra vivi, ecc.
Sotto un certo aspetto, una limitazione alla capacità giuridica della
persona si può vedere anche nel Basso Impero, nell’appartenenza a
corporazioni professionali in rapporto specialmente a determinati servizi
pubblici: si tratta dei prestinai, dei fabbri, degli zecchieri, dei mugnai,
ecc, i quali non potevano mutare attività, cambiare residenza o vendere i
loro beni; in qualche caso vi erano limitazioni anche per il matrimonio,
che doveva essere contratto nell’ambito della stessa corporazione
19
.
18
A. BURDESE, Capacità, cit.
19
Vedi, G. SCIASCIA, Capacità, cit.