4
Questo è un dibattito molto frequente nello studio dei media e nasce
dalla teoria del determinismo tecnologico proposta nel 1964 da
Marshall McLuhan nel suo celebre libro “Gli strumenti del
comunicare”
1
.
Partendo appunto dal determinismo tecnologico e dalle sue critiche
più recenti, cercherò di vedere come il mondo della produzione
radiofonica ne sia un esempio oppure una smentita. MI riferirò ad
alcuni esempi concreti, descrivendo in dettaglio alcune tecnologie
ormai affermate nelle radio, per finire con una riflessione su quale
potrebbe essere il peso deterministico di alcune innovazioni future
ormai in fase di sperimentazione.
L’ Italia è per di più un caso particolare: contemporaneamente
all’inizio della rivoluzione digitale, c’è stato l’avvento della radiofonia
privata, aggiungendo un’ulteriore spinta al rinnovamento.
L’imprenditore radiofonico, abbandonato l’ideale pedagogico della
radio di servizio pubblico, iniziava allora a rendersi conto che doveva
creare un prodotto mirato a raccogliere la più ampia fetta di audience
possibile. Lo scopo era vendere spazi radiofonici agli investitori
pubblicitari. Infatti fino al 1976, anno in cui una sentenza della Corte
Costituzionale
2
legittimava la radiofonia privata, in Italia c’era stato
un monopolio pubblico. La RAI gestiva l’intera offerta radiofonica e
traeva i fondi necessari dal canone che i cittadini pagavano,
sfruttando pochissimo la vendita di spazi pubblicitari.
Alla fine degli anni 70, le radio commerciali che trasmettevano
dall’estero, e le radio pirata avevano ormai fatto conoscere un
modello di intrattenimento molto più dinamico e adatto ai giovani,
creando una forte spinta agli investimenti nella radiofonia privata. In
molti (disc jockey, discografici…) si rendevano conto che l’Italia era
un terreno fertile e ancora quasi inesplorato, e non aspettavano altro
che ci fosse una scossa legislativa.
1
McLuhan, Marshall, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano, 1967 (ed.
orig. 1964).
2
Sentenza n. 202 del 28 luglio 1976.
5
Nel 1975 ci fu la riforma della RAI in cui si ribadiva il suo monopolio
radiotelevisivo, riforma che fu dichiarata illegittima l’anno successivo
dalla Corte Costituzionale, come detto prima. Questa fu la scossa:
dalle città del nord iniziarono a nascere diverse radio commerciali e
gradualmente la tendenza si estese anche al centro-sud. La prima
radio privata nazionale fu, all’inizio degli anni ottanta, Rete 105 e nel
1982 Philips e Sony lanciarono il compact disc, come nuovo supporto
musicale.
Il cd offre una qualità audio digitale superiore grazie al formato Wav,
che adotta una stereofonia a 44,1 Khz per entrambi i canali; facilità di
selezione della traccia che si vuole riprodurre e ridotto ingombro di
supporti e lettori; il “disco compatto” ha notevole resistenza e
affidabilità rispetto ai nastri magnetici e ai vinili; ma soprattutto,
usando per la prima volta un formato digitale, spiana la strada all’uso
dei computer come database musicali. Prima del cd nessuno, anche
chi aveva già un personal computer, avrebbe pensato di poter
immagazzinare musica dentro le sue memorie, perché
fondamentalmente mancava uno formato standard per convertire la
musica analogica in digitale.
Il formato Wav del cd, nonostante fosse molto pesante per i deboli
computer di allora, spianò la strada alla ricerca che ha portato all’Mp3
e a tutti gli altri formati che permettono di archiviare musica nei PC.
Le radio fecero subito sue queste nuove possibilità, tanto che in
America, dove la rivoluzione digitale era partita un po’ in anticipo, la
Rcs lanciò la prima versione di Selector nel 1979. Selector fu il primo
software che permetteva alle radio di trasmettere musica senza dover
usare alcun supporto, ma semplicemente con un computer in cui
erano stati precaricati con i cd tutti i file musicali.
6
Prima di passare oltre, vorrei motivare il titolo che ho scelto per
questo lavoro, cogliendo l’occasione per riflettere sul rapporto tra la
radio e i propri utenti.
“Recitando e inventando
e profanando
Con la tua esibizione
Con la mia imitazione…
Arredando il silenzio
Di ogni sorta di mercanzia…”
3
Da questa canzone di Paolo Conte ho ripreso il titolo perché, fin dal
primo ascolto, il concetto di arredare il silenzio mi ha colpito e subito
mi era sembrato perfetto per descrivere ciò che fa la radio.
Arredare il silenzio nel senso di riempire quel vuoto di suoni e di
contatto con il mondo che spesso le nostre vite ci portano ad
affrontare. Arredare anche nel senso letterale di organizzare lo
spazio e il tempo: infatti la radio ci accompagna in molte situazioni
quotidiane, dalla preparazione mattutina alle faccende domestiche,
fino alla guida in auto; quando siamo noi e la radio questa diventa il
punto di riferimento delle nostre azioni sia temporalmente che
fisicamente; muovendoci per la casa rimaniamo sempre nel raggio
d’azione dei suoni che emette e ci rende costantemente consapevoli
del tempo che scorre
4
.
La definizione del dizionario del verbo arredare è: “fornire un
ambiente di mobili, suppellettili, oggetti ornamentali, disponendoli
secondo criteri di funzionalità e di gusto”
5
. La radio arreda il silenzio
con i suoi programmi che sono il frutto del lavoro del suo staff, quindi
possiamo dire che speaker, registi e autori radiofonici sono i nostri
“arredatori del silenzio”.
3
Paolo Conte, dalla canzone Recitando nell’album Aguaplano, 1987.
4
Cfr. Menduni, Enrico, Il mondo della radio. Dal transistor a internet, Il Mulino,
Bologna, 2001, cap. 2.
5
Il Grande Dizionario di Italiano 2005, Garzanti Linguistica, Milano, 2004.
7
Se pensiamo all’ultima parte della definizione detta sopra, i “criteri di
funzionalità e di gusto” sono l’espressione delle capacità e delle scelte
dello staff della nostra radio preferita; continuando l’analogia, “mobili,
suppellettili, oggetti ornamentali” sono la musica, il parlato, i jingle e
le pubblicità che vengono messi in onda.
L’ascolto radiofonico ha sempre una componente sociale che deriva
dal bisogno dell’individuo di non sentirsi mai solo, ma costantemente
connesso alla società. Il silenzio della casa o della nostra auto ci
provoca angoscia, stimola riflessioni spesso negative e ci spinge
istintivamente a riflettere su noi stessi, su quello che stiamo facendo
e sul senso della nostra vita. E’ proprio questo il silenzio che la radio
arreda, quello che è figlio della nostra società frenetica e
individualista. Schafer
6
propone un curioso paragone a questo
proposito: egli dice che nel medioevo i giardini dei castelli erano
circondati da mura anche per chiudere fuori i suoni del mondo ostile e
per tenere dentro quelli degli uccelli e delle fantasie. Quindi conclude:
“la radio è realmente diventata il canto degli uccelli della vita
moderna, il sottofondo naturale, che esclude gli influssi negativi
esterni”.
La nostra società postindustriale ci ha spinto sempre più verso
l’individualismo; la radio risponde a questo problema aiutandoci a
sentirci parte di una comunità, tenendoci informati e allontanando la
solitudine. Da quando fu inventato il transistor, nei laboratori della
Bell Telephone nel 1948, la radio è potuta diventare un medium
personale, che ci accompagna nello spazio pubblico. Da allora,
paradossalmente, le radioline con le cuffie ci fanno sentire più
partecipi della società, isolandoci acusticamente da essa.
“Ogni volta che vengo qui (Los Angeles) non vedo l’ora di andarmene.
Sembra tutto disconnesso […], 17 milioni di persone e invece nessuno
si conosce. Ho letto di uno che ha preso la metropolitana qui, è
6
Schafer, R. Murray, The tuning of the world, Knopf, New York , 1977.
8
morto: ci sono volute 6 ore prima che qualcuno se ne accorgesse. Il
cadavere ha fatto il giro della città, la gente è salita e scesa, si è
seduta vicino a lui, nessuno l’ha notato.”
7
Credo che questo spezzone di dialogo descriva bene la società urbana
in cui la radio è uno dei principali mezzi di comunicazione. Essere in
mezzo agli altri con le cuffie è sempre più frequente e lo testimonia il
vivacissimo mercato degli apparecchi di questo genere: infatti, se
dopo l’invenzione del transistor c’era la tendenza alla
miniaturizzazione della radio, oggi, dopo l’avvento del walkman, il
sintonizzatore FM è entrato nei telefoni cellulari e nei lettori portatili
di musicassette, cd, minidisc e Mp3. Poter sceglier tra la nostra radio
preferita e l’ultimo cd che abbiamo comprato, ci permette di non
rimanere nel silenzio dove la radio non può arrivare (sottopassaggi,
metropolitane) e di essere un consumatore di musica; possibilità,
quest’ultima, molto cara alle case discografiche che sono molto
spesso controllate dalle multinazionali dell’elettronica, produttrici dei
walkman. Questa pratica sociale consiste anche nel voler comunicare
a chi ci circonda che apparteniamo ad una comunità e che siamo in
un certo modo diversi. Noi non sappiamo cosa ascolti il ragazzo
seduto vicino a noi sull’autobus, ma egli ci comunica che è qualcosa
che non possiamo capire.
Durante una mia vacanza a New York sono rimasto scioccato dalla
enorme quantità di pile usate che c’erano tra i binari della
metropolitana ad ogni stazione: oltre che sintomo di poca coscienza
ambientale, mi sembra una prova chiara del massiccio uso di questi
apparecchi.
Oggi gran parte dei tipi di lavoro si adattano all’ascolto della radio:
tutti abbiamo visto che in quasi tutti gli uffici o le fabbriche c’è
sempre una radio accesa; per non parlare di bar, ristoranti e negozi.
7
Dal film Collateral, diretto da Michael Mann, 2004.
9
Per chi lavora ascoltare la radio crea un “tappeto sonoro”
8
, una
connessione blanda che non distrae, ma accompagna nel proseguo
dell’orario di lavoro, scandendo i ritmi della giornata.
La radio si cala nella società e la modifica, così come l’evoluzione
sociale crea nuovi modi di usufruire della radio. E’ un rapporto di
reciproche influenze che nel corso del tempo subisce accelerazioni
dovute alle nuove possibilità tecniche del medium (come per
l’invenzione del transistor). In questo lavoro cercherò di parlare
proprio di questo, senza la presunzione di esaurire l’argomento, ma
con l’intento di capire un po’ meglio qual è stato, qual è e quale sarà
il rapporto fra la radio e la società.
8
Il concetto di tappeto sonoro è di Ugo Volli.
10
CAPITOLO PRIMO
MEDIA E SOCIETA’
1.1 IL DETERMINISMO TECNOLOGICO
Il determinismo tecnologico è la tesi secondo cui lo sviluppo della
tecnologia è la causa dello sviluppo storico e sociale. Aderire a questa
teoria significa riconoscere che le nuove tecnologie e i mass media
riorganizzano i rapporti sociali, le pratiche lavorative e perfino la
conformazione degli spazi in cui viviamo e l’architettura delle nostre
città. Se pensiamo a tutte le rivoluzioni tecnologiche dell’800 e del
‘900, non possiamo non riconoscere che ci sia stata sicuramente una
componente di determinismo tecnologico; è altrettanto vero che, se
decidiamo di spiegare la storia in questo modo, automaticamente
neghiamo ogni ruolo della società nel suo sviluppo, riducendo l’uomo
a una sorta di burattino guidato dalle continue nuove possibilità che
la ricerca scientifica offre.
Il padre del determinismo tecnologico è considerato lo studioso
canadese Marshall McLuhan che nel 1964, con il suo celebre libro “Gli
strumenti del comunicare”
1
, propose a tutto il mondo una riflessione
sul ruolo dei media nella società e nella storia, in stile provocatorio e
aforistico. La sua asserzione più celebre è “il medium è il messaggio”:
egli voleva dire che ogni medium influisce sul pensiero, sulla cultura e
sulla società soprattutto in virtù delle sue caratteristiche, e non solo
per i messaggi che veicola; un nuovo modo di comunicare non si
limita a dare nuove possibilità ai suoi utenti, ma ne plasma i
comportamenti. Proviamo a fare un esempio: il telefono cellulare,
1
McLuhan, Marshall, Gli strumenti del comunicare, op. cit.
11
durante l’ultimo decennio, ha profondamente cambiato il modo di
gestire i rapporti sociali; la nostra vita, nel lavoro come nel tempo
libero, è divenuta una continua ri-negoziazione degli appuntamenti e
degli impegni grazie alla possibilità di comunicare in tempo reale
durante ogni spostamento, senza più il vincolo di un telefono fisso
che ci relegava a stare a casa o in ufficio per essere reperibili.
L’uomo, da quando porta in tasca un oggetto che gli permette di
parlare con chiunque e di essere sempre rintracciabile, ha iniziato a
sentirsi più libero; ha dimenticato la paura di rimanere solo in
difficoltà in luoghi sconosciuti; durante gli spostamenti in auto può
continuare a lavorare con il telefono massimizzando così il proprio
tempo. Il senso del determinismo tecnologico sta proprio in questi
cambiamenti che non dipendono dal messaggio che il cellulare
trasmette, ma sono dovuti al suo modo di essere, alle caratteristiche
della sua tecnologia wireless (senza fili). Infatti il telefono è una sorta
di estensione della parola, non ha un messaggio suo; è
semplicemente un canale di comunicazione vuoto che attiviamo
quando vogliamo riempiendolo con le nostre parole. Questo intendeva
McLuhan dicendo “il medium è il messaggio”.
McLuhan non voleva dire che l’evoluzione tecnologica in sé e per sé
sia il motore unico dello sviluppo storico e sociale. Tuttavia, forzando
le sue idee oltre le sue intenzioni, molti altri studiosi dei media hanno
accolto questa interpretazione radicale nelle loro teorie. Infatti il
determinismo tecnologico ha avuto molta fortuna nella cultura
contemporanea, e non solo nelle discipline che studiano la
comunicazione. Specialmente in campo economico molti sostengono
che il fattore determinante dello sviluppo sia l’innovazione
tecnologica, e questa interpretazione è presente anche in alcuni studi
storici ed antropologici. Il determinismo tecnologico ha poi riscosso
particolare successo nelle teorie dedicate alle nuove tecnologie digitali
ed ai nuovi media.
12
Ma è veramente sostenibile che l’evoluzione storico-economica sia
riconducibile esclusivamente all’evoluzione tecnologica? Senza dubbio
ci sono dei nessi reali tra l’introduzione di una nuova tecnologia e il
verificarsi di trasformazioni sociali e culturali. D’altro canto è
innegabile che ci sono stati molti casi in cui invenzioni promettenti
non sono state accolte, casi in cui lo sono state solo dopo molto
tempo e, soprattutto, casi in cui le loro applicazioni hanno avuto
luogo secondo modalità completamente diverse da quelle previste dai
loro inventori. Ortoleva parla di “mortalità delle tecnologie” per
sottolineare come molte innovazioni si siano affermate a discapito di
altre che, sebbene avrebbero potuto rivelarsi altrettanto valide, la
società non ha accolto. Egli ci propone l’esempio del confronto che ci
fu alla fine dell’800 tra i due possibili modelli di cinema, quello di
Edison e quello dei fratelli Lumière: erano due modi di creare
immagini in movimento molto simili, ma con profonde differenze nella
modalità di visione. Edison aveva in mente l’industria delle Arcades,
che dovevano essere sale divertimento in cui la fruizione
cinematografica era individuale; i fratelli Lumière riuscirono, invece, a
far prevalere la loro idea di cinema come spettacolo di massa, in cui
un pubblico si riuniva di fronte ad uno schermo
2
. Entrambe queste
proposte erano nate come promettenti industrie del divertimento, ma
la società premiò quella che tutti conosciamo, così come ne favorì lo
sviluppo in direzione della narrazione fantastica e della fiction,
piuttosto che del documentario e dell’informazione. In realtà questo
ultimo punto potrebbe nascondere un fattore di determinismo
tecnologico: il cinema, per motivi tecnici, non è mai stato adatto
all’informazione, poiché ha dei tempi di preparazione e post
produzione molto lunghi (sviluppo della pellicola, montaggio ecc); da
subito i cinegiornali non ressero la concorrenza con i giornali cartacei
in quanto a tempestività delle notizie, infatti erano una sorta di
riassunto dei fatti più importanti degli ultimi giorni.
2
Ortoleva, Peppino, Mediastoria, Pratiche, Parma, 1995, pag. 48-52.
13
Come abbiamo visto, nell’affermarsi di un nuovo media e nella sua
evoluzione, ci sono diversi fattori sociali e tecnologici che entrano in
gioco. McLuhan ne era sicuramente consapevole ed ha avuto il merito
di esemplificare che il determinismo tecnologico era una teoria
plausibile e che poteva avere un ruolo importante. A differenza di
molti che si sono riconosciuti pienamente nella sua interpretazione,
non bisogna dimenticarsi che le nuove tecnologie non possono essere
solo la causa del mutamento sociale, ma sono principalmente un suo
effetto.
Il dibattito che si aprì tra sostenitori e avversari (quelli che credono in
un determinismo sociologico) del determinismo tecnologico è ancora
vivo, sebbene ormai, come vedremo nei prossimi paragrafi, la ricerca
abbia preso una direzione molto più interdisciplinare, ed il
determinismo tecnologico puro non appaia più una possibilità da
tenere in considerazione. Bisogna comunque constatare che molti
sostengono ancora questa posizione radicale e che è molto diffusa tra
l’opinione pubblica; questo perché è di facile comprensione per chi
non è molto esperto di sociologia dei media, e perché offre una
conferma a chi fa dei nuovi media una sorta di capro espiatorio degli
odierni problemi sociali; mi riferisco a coloro che hanno poca
dimestichezza con le nuove tecnologie e si sentono schiacciati
dall’accelerazione sociale prodotta dalla nuova era dell’informazione.
Questo è un argomento molto delicato e che richiederebbe molto
spazio. Poiché questo lavoro intende approfondire altre tematiche,
ritengo più utile proseguire nel mio percorso e chiudere qui questa
riflessione.
14
1.2 IL DETERMINISMO SOCIOLOGICO
Lo schieramento opposto al determinismo tecnologico è quello che
viene anche chiamato determinismo sociologico: in breve si tratta di
un semplice rovesciamento dei termini di causa-effetto fra tecnologia
e società. Questa interpretazione è radicale almeno quanto il
determinismo tecnologico, poiché considera la società come il luogo in
cui tutti i cambiamenti sono frutto delle sue dinamiche evolutive
interne. In questa ottica le tecnologie della comunicazione divengono
strumenti perfettamente controllati dall’uomo, che ne esprimono in
pieno le capacità innovativa, perdendo ogni loro componente di
specificità.
In realtà quanto appena detto è solo un sunto generale del
determinismo sociologico, infatti questa corrente mette insieme
posizioni anche molto differenti, mentre il determinismo tecnologico
ha una base teorica largamente condivisa che fa riferimento, come
detto nel paragrafo precedente, a McLuhan: ci sono autori come A.
Mattelart che analizzano l’evoluzione tecnologica dei media
principalmente in funzione delle dinamiche socio-econimiche
3
; altri
come P. Flichy che ritengono che il fattore più importante sia la
domanda sociale di tecnologie che dipende da variazioni
demografiche, culturali e di stile di vita
4
; infine, fanno parte del
determinismo sociologico, un’ampia gamma di studi che si
concentrano sull’uso delle tecnologie e su come i media cambino a
seconda di questi usi sociali che gli individui ne fanno, usi che spesso
possono essere inaspettati e molto diversi da quelli pensati in
origine.
R. Williams parla di “concezione sintomatica della tecnologia” in
contrapposizione al determinismo tecnologico, e ritiene che il
confronto tra questi due schieramenti sia sterile, poiché entrambe le
3
Mattelart, Armand, La comunicazione mondo, Il Saggiatore, Milano, 1994.
4
Flichy, Patrice, Storia della comunicazione moderna. Sfera pubblica e dimensione
privata, Baskerville, Bologna, 1994.
15
teorie considerano, anche se in modo diverso, “la tecnologia avulsa
dalla società”
5
. Williams sottolinea che, per mettere a punto una
teoria dei mezzi di comunicazione, non si può prescindere dall’analisi
delle dinamiche tecnologico-sociali che portano ad un nuovo media.
Infatti, continua, all’interno del determinismo tecnologico la ricerca
scientifica sembra autogenerarsi indipendentemente dalla società,
mentre la concezione sintomatica della tecnologia si limita ad
affermare che questa sia il frutto spontaneo delle dinamiche sociali.
Ortoleva, in “Mediastoria”, ci suggerisce che i sostenitori del
determinismo sociologico sono, specialmente in Italia, i componenti
della destra politica, che considerano i mass media come espressione
libera della società civile e del mercato; dal loro punto di vista
liberista, siccome tutto nasce e si autoregola nella società e nel
mercato, bisogna evitare qualsiasi controllo dello stato sui media,
onde evitare di interferire con l’innovazione, lo sviluppo e la libera
espressione dei cittadini
6
.
Negli ultimi anni questo dibattito è stato abbandonato a favore di un
approccio più flessibile che introduce anche fattori culturali ed
economici, oltre a quelli sociali e tecnologici; molti si sono infatti resi
conto che è limitante voler capire il rapporto tra media e società da
un solo punto di vista. Ogni tecnologia non è solo strumento, ma
anche oggetto della cultura di una società, perciò subisce un continuo
confronto con l’ambiente in cui irrompe, producendo cambiamenti e
adattandosi a sua volta. Ultimamente, come vedremo più avanti,
sembra prevalere la convinzione che un nuovo medium nasce e si
sviluppa in funzione di fattori tecnologici, sociali, culturali ed
economici interdipendenti.
5
Williams, Raymond, Televisione. Tecnologia e forma culturale, Editori Riuniti,
Roma, 2000 (ed.or. 1974), pag. 31-34.
6
Ortoleva, Peppino, “Mediastoria”, op. cit. , pag. 123-125.