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II - La dottrina e l’eresia
Come si è detto, già dalla metà dell’XI secolo era viva l’indignazione per i comportamenti
scandalosi del clero. Anche in seguito alle riforme volute dalla Chiesa di Roma il desiderio di
ritorno ad una antica purezza di costumi era molto sentito. Varie correnti si formarono a questo
proposito, alcune più ortodosse e comunque inserite nel tessuto dottrinario, altre più estreme,
fino ad essere considerate eretiche.
II.1- Principi dottrinali e risvolti temporali
La riforma desiderata dalle correnti più ortodosse doveva promanare dal Papa stesso ed essere
indirizzata ad un radicale rinnovamento dei costumi del clero e ad una ritrovata spiritualità.
Insieme all’affermazione dei principi dottrinali la riforma aveva anche l’obiettivo di ribadire la
scala gerarchica della Chiesa di Roma, ristabilendo la sua superiorità sui vescovi e su tutto il
clero e anche rivendicare le proprie prerogative nei confronti delle autorità civili e riaffermare
il primato della Chiesa di Roma sull’Impero.
Papa Gregorio VII fu il più fervente sostenitore della riforma della Chiesa, tanto che quella
attuata in quel periodo è conosciuta come Riforma Gregoriana; ma fu anche protagonista degli
scontri più duri con l’Impero e strenuo sostenitore del primato papale che riaffermò nel Dictatus
Papae del 1075
8
.
Il processo di riforma continuò anche dopo la morte di Gregorio VII così come gli scontri con
l’Impero che si conclusero temporaneamente solo con il Concordato di Worms del 1122
9
e il
compromesso che fu trovato per por fine alla lotta per le investiture.
La struttura della Chiesa era oramai improntata su un modello di monarchia con una gerarchia
di tipo verticistico. L’organizzazione del clero fu basata sul celibato, sulla separazione delle
posizioni di laici ed ecclesiastici all’interno della Chiesa e della società e sulla precisazione
delle attività riservate ai sacerdoti.
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Il Dictatus Papae è costituito da 27 affermazioni ognuna delle quali enuncia specifici poteri del Pontefice di
Roma.
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Il Concordato di Worms avvenne fra Enrico V e Papa Callisto II. Anche se di natura compromissoria il
Concordato fu largamente favorevole alla Chiesa, segnando il riconoscimento dell’autonomia del Papato da
qualunque interferenza laica, stabilendo il suo primato su tutta la gerarchia ecclesiastica e di conseguenza il suo
dominio diretto sui vasti territori e possedimenti delle diocesi.
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Ma il persistere di comportamenti contrari ai dettati della riforma e il rifiuto dell’intolleranza
per qualunque dissenso suscitarono, come già accennato, reazioni di diverso segno, orientate
ad un ritorno all’ortodossia ma anche molto più estreme, fino all’eresia.
Fra i principali rappresentanti delle correnti più ortodosse troviamo Bernardo di Clairvaux che
nel suo “De Consideratione”, scritto per il suo allievo diventato Papa Eugenio III, esprime la
sua amarezza ed indignazione per la degenerazione dei costumi del clero che esorta a lasciare
l’interesse per le vili cose terrene e, rivolgendosi direttamente al Papa, gli ricorda:
”Petrus hic est qui nescitur processisse aliquando vel gemmis ornatus, vel sericis, non tectus
auro non vectus equo albo, nec stipatus milite; in his successisti non Petro, sed Constantino”10.
Anche Giovanni di Salisbury, come Arnaldo allievo di Abelardo, abbraccia la corrente
ortodossa e nel “Policraticus” libro VI punta il dito contro i vescovi che, non rinunciando ai
beni terreni sono strumenti di Satana
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.
Questi, come anche altri eminenti rappresentanti della Chiesa romana, non misero mai in
discussione il clero in quanto tale, affermavano l’autorità e la superiorità assoluta del Papa, non
contemplavano la possibilità di disobbedire: la riforma aveva eliminato qualunque ruolo dei
laici all’interno della Chiesa, aveva valorizzato il clero ed estromesso di fatto il laico dalle cose
relative alla religione negando ogni possibilità di discussione e confronto.
Questo atteggiamento radicale e di chiusura al dialogo deluse molti laici e anche uomini di
chiesa che si erano battuti a favore della riforma ed ora si trovavano estromessi dalle scelte della
Chiesa e non vedevano se non in minima parte quel ritorno al modello della Chiesa delle origini
per cui avevano sostenuto i cambiamenti.
Essi volevano cambiare la situazione attraverso la predicazione e la possibilità per tutti di
accostarsi al Vangelo, prerogativa riservata al clero. In aggiunta predicavano la povertà,
certamente non gradita alla maggior parte delle gerarchie ecclesiastiche.
Quando non fu possibile ricondurre questi predicatori itineranti e le comunità da essi costituite
a una forma di vita stabile e ordinata da regole approvate dalla Chiesa, le posizioni da loro
espresse furono giudicate eretiche e condannate.
II.2 - Eresie medievali: manifestazioni e dispute al tempo di Arnaldo
Nei primi secoli del cristianesimo non ci sono molte fonti riguardanti eretici ed eresie: sembra
quasi che fossero considerate divergenze di interpretazione, opinioni e controversie interne,
10
Bernardo di Clairvaux, “de Consideratione…..” Lib.IV, caput III.6.
11
A. Ragazzoni, op.cit, p. 21.
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soprattutto perché non c’era ancora nella Chiesa una ortodossia precisa e codificata che dettasse
leggi e verità; si cercava di delineare i confini del cristianesimo soprattutto rispetto al politeismo
e al radicalismo giudaico.
Vari concilii cercarono di definire la dottrina escludendo le deviazioni che si andavano
manifestando: Nicea nel 325 proclamò la stessa sostanza divina di Padre e Figlio contro
l’Arianesimo; Efeso nel 431 condannò il nestorianesimo che esaltava l’umanità di Gesù e Maria
non madre di Dio ma di Gesù uomo; Calcedonia nel 451 sconfessò il monofisismo, diffuso in
Armenia, Egitto, Etiopia e che separava in Cristo la natura umana da quella divina.
Ma l’eretico non veniva perseguito, persistendo ancora il lavoro di formazione e definizione
dell’ortodossia cristiana, con Ambrogio, Girolamo, Agostino.
Per tutto l’Alto Medioevo non sembra si siano presentati casi di singoli eretici trascinatori di
folle, o di eresie così diffuse tali da preoccupare seriamente la Chiesa. Anche la definizione
delle varie devianze dalla dottrina e le manifestazioni eterodosse venivano sempre classificate,
spesso forzatamente, come ariane, manichee o comunque inserite fra quelle classificate da
Agostino.
Secondo fonti del periodo, nei primi decenni del secolo XI comparvero diversi episodi
ereticali
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, riportati per esempio da Rodolfo il Glabro, monaco di Cluny, che fornisce notizie
sugli eventi storici dal 900 al 1044 e interessanti esempi di casi di eresia; Ademaro di
Chabannes, monaco, sacerdote e storico, esaltò gli elementi diabolici degli eretici, Paolo di
Chartres descrisse la dottrina di un gruppo di eretici inserendovi anche favole di orge diaboliche
e situazioni di pazzia. Tutti gli episodi narrati finiscono comunque col trionfo della giusta fede
sull’eresia
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.
Come già detto la Chiesa dell’XI secolo viveva due grandi problemi al suo interno: la simonia
ed il nicolaismo; con la dura contestazione nei confronti del clero considerato indegno, in un
contesto generale che stava diventando sempre più vitale e dinamico, nacquero movimenti
religiosi popolari al seguito di figure carismatiche con l’obiettivo di riportare la Chiesa alla
purezza primitiva.
Fra questi movimenti ebbe rilevanza in Lombardia la “pataria”, inizialmente sostenuta dal
Papato di Gregorio VII che contava di usarla per riaffermare il suo potere sull’episcopato
milanese, sostenitore della politica imperiale di Enrico IV.
Alla pataria partecipavano il clero medio, la piccola nobiltà ed il popolo che, nonostante gli
obiettivi del movimento fossero strettamente religiosi, ne facevano mezzo per opporsi, sia sul
12
Barbara Garofani, Le eresie medievali, Carocci editore, Roma, 2019, p. 29 e segg.
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Cfr. B. Garofani, op. cit.
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piano sociale che economico, alle alte gerarchie clericali ed ai grandi feudatari legati all’impero.
La pataria predicava contro il matrimonio dei sacerdoti, la simonia, i preti non degni dell’abito
che portavano, che gli appartenenti al movimento costringevano a fare giuramento di castità e
vita corretta; lo scopo era imporre una riforma dei costumi del clero, una maggiore vicinanza
tra Vangelo e vita del buon cristiano, senza intermediazione della gerarchia ecclesiale.
La pataria fu appoggiata anche dai monaci di Vallombrosa che per supplire alle mancanze dei
chierici, proponevano di concederne le mansioni a monaci e laici.
Il laico così assumeva sempre maggiore importanza e ciò spaventava anche i sostenitori della
riforma: la conseguenza fu un aumento dell’intolleranza verso le forme di dissenso sia interne
che esterne ad essa, per cui, di fatto, l’eventuale rifiuto della totale autorità del Papa, o la sua
messa in discussione, costituiva una eresia.
Si può dire che l’eresia sia nata con la riforma: gli episodi di dissidenza si moltiplicarono nel
momento in cui qualunque ruolo dei laici all’interno della Chiesa venne cancellato e fu
restaurata l’assoluta centralità del clero, sia come istituzione che come tramite del rapporto con
Dio
14
.
Con l’impossibilità di scegliere uno stile di vita apostolica ed evangelizzante questa Chiesa si
scontrò con il modello originario: i nuovi eretici pensavano che tutti potessero avvicinarsi al
Vangelo senza l’intermediazione esclusiva del clero autorizzato e cominciarono a predicare fra
la popolazione con passione, talvolta con violenza, attirandosi condanne dalla Chiesa di Roma
e riscuotendo successo e seguito nel popolo.
Uno dei principali rappresentanti di questo movimento di ritorno alla originaria semplicità fu
Pietro di Bruis, sacerdote cattolico poi scomunicato, che proponeva una religiosità in cui ogni
cristiano era responsabile del suo rapporto con Dio, ma anche rigettava l’autorità del Vecchio
Testamento e di tutti i testi dei Padri della Chiesa, ritenendo parola di Gesù solo i quattro
Vangeli. Dal punto di vista dottrinale rifiutava il battesimo dei bambini in quanto non in grado
di esprimere consapevolmente la fede, negava il valore dei sacramenti, rifiutava la croce come
simbolo sacro in quanto strumento della morte di Gesù. Arrivò al punto di spezzare e bruciare
le croci, cosa che gli costò la vita, perché fu spinto nel rogo delle croci da lui stesso appiccato,
dagli abitanti di un villaggio, esasperati da questa sua fissazione.
La sua eresia mosse Pietro il Venerabile, abate di Cluny, difensore della Chiesa ma di per sé
uomo di mentalità aperta, misericordioso e disposto al perdono, a inserirlo fra i tre più pericolosi
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Cfr. B. Garofani, op. cit.