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CAPITOLO PRIMO
La produzione teatrale di Pio Baroja
1.1. Il teatro di Baroja: un corpus esiguo
Le ragioni che spinsero Pío Baroja (San Sebastián, 1872- Madrid, 1956) a
dedicarsi solo marginalmente alla drammaturgia sono sostanzialmente due.
In primo luogo, non era disposto a lottare con le circostanze che
condizionavano la vita teatrale spagnola e, in seconda istanza, dubitava
delle proprie doti di drammaturgo. Tale insicurezza lo spinse a rifiutare una
proposta di collaborazione ricevuta da parte di uno dei più apprezzati autori
di sainetes dell’epoca, Carlos Arniches:
Al despedirme de Arniches y al ir a la Biblioteca
Nacional pensé en el pro y el contra de una proposición
así: yo era viejo ya para desviarme de un camino [...] ¿
para qué iba a cambiar vida y a pretender ganar dinero?
No valía la pena [...] No tenía afición al teatro, ni siquiera
por el público ni por los cómicos, ni quería tener más
dinero que el necesario para vivir. No creía que pudiera
hacer nada que estuviera medianamente bien. Aun
teniendo afición salen las cosas mal, no teniéndola tienen
que salir peor.
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Più che ad una reale mancanza di passione per il teatro, questo rifiuto
sembra piuttosto dovuto ad uno scarso desiderio di far parte di un circuito
commerciale nel quale Arniches era ormai entrato come autore affermato.
Tuttavia, Baroja si sentì attratto dal genere teatrale in ogni fase della sua
vita e si accostò alla drammaturgia in più di un’occasione. Nell’edizione
delle Obras Completas del 1948 la sezione teatro include sei pièces
2
; ma
Andrés Franco, nella sua classificazione, conferisce dignità drammaturgica
1
P. Baroja, Memorias, Madrid, Minotauro, 1955, p. 647.
2
P. Baroja, Obras Completas, V, Madrid, Biblioteca Nueva, 1948. Le opere sono: La leyenda de Jaun de Alzate
(1922), Arlequín, mancebo de botica o los pretendientes de Colombina (1926), Chinchín comediante o las ninfas de
Bidasoa (1926), El horroroso crimen de Peñaranda del campo (1926), El “nocturno” del hermano Beltrán (1929) e
Todo acaba bien…a veces (1937).
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anche a tre racconti dialogati che l’autore non volle considerare testi
teatrali: La casa de Aizgorri (1900), El mayorazgo de Labraz (1903) e
Adiós a la Bohemia (1923)
3
. La casa de Aizgorri rappresenta la prima
incursione di Baroja in ambito scenico; inizialmente concepito come
dramma, dopo il rifiuto da parte di un impresario fu dato alle stampe come
novela dialogada, con il sottotitolo Novela en siete jornadas. L’autore
ricorda l’episodio nelle Memorias:
No sé quién me dio el consejo de que fuera a ver a
Ceferino Palencia, que era entonces empresario del
Teatro de la Princesa y marido de la cómica María
Tubau. Como nunca creí que fuera a representar nada
mío, hice la prueba de pegar ligeramente en el manuscrito
dos o tres páginas del comienzo y otras dos o tres del
final. Palencia me dijo todas esas vulgaridades que se
dicen a los principiantes. Que no tenía experiencia del
teatro… palabrería pura. A los cuatro o cinco meses vi
que el empresario no hacía nada; le pedí el manuscrito,
me lo devolvieron, y, al llegar a casa, noté que las dos o
tres páginas pegadas al principio y al final seguían
pegadas; no las había abierto.
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L’opera, incentrata sulle rivolte degli operai baschi negli ultimi anni del
diciannovesimo secolo, affronta tematiche ottocentesche, ma affida
l’elemento drammatico ad un dialogo conciso ed agile, in contrasto con lo
stile enfatico che caratterizza il teatro dell’epoca. Lo stesso Baroja, in
Pequeños ensayos, si dichiara nemico della retorica:
La retórica es un arte musical de sofismas que predispone
a la mentira. Al sofista le gusta que la frase hábil, la
palabra de efecto, llegue a dominar a la razón.
5
Nel secondo racconto dialogato, pubblicato nel 1903 con il titolo El
mayorazgo de Labraz
6
, Baroja avrebbe voluto avvalersi dello stesso tipo di
3
Cfr. A. Franco, “El teatro de Baroja”, Cuadernos Hispanoamericanos, 296, 1975, pp. 277-289.
4
P. Baroja, Memorias…cit., p. 412.
5
P. Baroja, Pequeños ensayos, Buenos Aires, Editorial Suramericana, 1943, pp. 187-188.
3
linguaggio, ma il tema era diverso, così come il pubblico al quale era
destinata l’opera; quindi si scontrò con la necessità di adottare uno stile più
elaborato e un ritmo più lento. La difficoltà non fu superata e il racconto
rimase incompiuto:
Si yo pudiera hacer que mis personajes pudieran hablar
de una manera alambicada o pudiera mezclar en el
diálogo imágenes mitológicas y hablar de la luna y de las
sirenas, podría marchar adelante; pero la necesidad de
una retórica moderna me atranca.
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Adiós a la Bohemia, terzo ed ultimo racconto dialogato, è il dramma che
ebbe maggior fortuna
8
. Si tratta della versione ampliata di un racconto
pubblicato nel 1911, dal titolo Caídos, contenuto nel primo volume della
raccolta Vidas sombrías. La pièce porta in scena gli amori infelici di una
prostituta, Trini, e di un pittore “fracasado”, Ramón. Al tavolo di un caffè i
due protagonisti ricordano il passato felice e, facendo un bilancio delle loro
vite, arrivano alla conclusione che l’età dei sogni è ormai tramontata. La
fine della giovinezza coincide con la perdita delle illusioni; l’evocazione di
un mondo ormai svanito si scontra con il grigiore del quotidiano e nella
consapevolezza che il passato non può tornare si perde ogni speranza. Il
pessimismo di Baroja è sintetizzato nell’ultima battuta pronunciata dal
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L’opera appartiene al ciclo Memorias de un hombre de acción. Un adattamento per le scene, realizzato in
collaborazione con Eduardo M. del Portillo, fu rappresentato il 27 aprile 1923 nel Teatro Cervantes di Madrid dalla
compagnia di Miguel Muñoz. Vengono narrate le vicende della famiglia Labraz, antico casato nobiliare inserito in un’
arretrata realtà rurale del Paese Basco. I temi fondamentali sono due: la critica di un sistema sociale ancorato ad
un’organizzazione feudale (che vede i Labraz come anacronistico simbolo di un prestigio scomparso), e gli intrighi
amorosi di natura incestuosa che causano la rovina morale ed il disonore della famiglia protagonista. Il testo era
destinato ad un pubblico appartenente alla classe medio alta e venne data alle stampe soltanto la versione narrativa. Cfr.
A. Franco, “El teatro de Baroja”… cit., p. 282.
7
P. Baroja, Memorias…cit., p. 762.
8
L’opera fu rappresentata per la prima volta il 23 marzo 1923 nel Teatro Cervantes di Madrid, dalla compagnia di
Mercedes Pérez de Vargas. Successivamente, andò in scena nel 1926 nell’ambito del teatro intimo El Mirlo Blanco; il
21 novembre 1933, in una versione musicale, nel Teatro Calderón di Madrid, per la compagnia di María Vallojera; il 23
novembre dello stesso anno nel Teatro Victoria Eugenia di San Sebastián per la compagnia Saus de Caballé e il 20
novembre 1945 nel Teatro Reina Victoria di Madrid. Quest’ultima rappresentazione fu curata dalla compagnia lirica del
compositore Pablo Sorozábal.
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protagonista alla fine dell’opera, nel momento in cui la donna esce di
scena:
RAMÓN: Es que no es una mujer la que se va, Antonio.
¡Es la juventud…, la juventud…y ésa no vuelve!
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Storie e miti dell’antica regione basca sono, invece, l’argomento di La
leyenda de Jaun de Alzate
10
, un dramma di ambientazione medioevale,
diviso in cinque parti, corrispondenti a cinque atti; il realismo del testo è
accentuato dal dialogo serrato e dall’impiego di numerose espressioni in
lingua basca o latina. L’antico e il moderno sono messi a confronto; il
vecchio mondo non si arrende all’arrivo del nuovo e lotta per
l’affermazione della propria identità. Nel prologo Baroja, in una sorta di
captatio benevolentiae, si rivolge direttamente allo spettatore spiegando
qual è l’obiettivo dell’opera:
Yo soy el autor de La leyenda de Jaun de Alzate, soy un
poeta aldeano, poeta humilde, de un humilde país, del
país de Bidasoa. El objeto principal de mi Leyenda es
cantar esta tierra y este río. Nuestra comarca es pequeña y
sin grandes horizontes, es verdad; mi canto será también
pequeño y sin grandes horizontes. No lo siento. Tengo
más simpatía por lo pequeño que por lo enorme y lo
colosal.
11
L’uso della didascalia è del tutto personale nel teatro di Baroja. Infatti, in
testi come El “nocturno” del hermano Beltrán o La leyenda de Jaun de
Alzate, oltre a fornire indicazioni scenografiche e chiarire gli spostamenti
nello spazio, la didascalia funge da nesso aneddotico, introduce il tema che
verrà trattato e colloca l’azione nel proprio contesto. In altri casi, le
didascalie descrivono in modo dettagliato l’abbigliamento dei personaggi
9
P. Baroja, Adios a la Bohemia!; Arlequín, mancebo de botica o Los pretendientes de Colombina; El horroroso crimen
de Peñaranda del Campo, introducción de J. Rubio Jiménez, Madrid, Biblioteca Nueva, 1998, p. 91.
10
Si tratta di una sorta di epopea dell’antico mondo basco, del quale vengono esaltate le tradizioni, la mitologia, la
cultura e la religione, in contrapposizione al cristianesimo che intendeva imporre il suo sistema di valori.
11
P. Baroja, “La leyenda de Jaun de Alzate” in Obras Completas… cit., VI, p. 1101.
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ed il loro linguaggio, oppure rappresentano la scena nei minimi particolari,
includendo perfino elementi sensoriali quali colori ed odori. Serva da
esempio una didascalia tratta da El “nocturno” del hermano Beltrán:
Es de noche. Hay un olor penetrante, mixto del perfume
de las flores de azahar y de claveles. El aire está tibio y el
firmamento lleno de estrellas. Se oye el rumor de una
fuente. La duquesa ha escrito a Beltrán para que vaya a
verla.
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L’ultimo dramma in ordine cronologico, intitolato Todo acaba bien…a veces
13
, è
suddiviso in tre parti. Racchiude molte delle caratteristiche del romanzo
rosa o “folletín” per quello che riguarda la caratterizzazione dei personaggi,
pur trattando il tema -del tutto nuovo- degli esuli spagnoli, giunti in Francia
dopo lo scoppio della guerra civile
14
. Il testo si apre con un prologo
innovativo, che serve a collocare le vicende in una determinata dimensione
spazio-temporale ed a spiegare le motivazioni politiche che hanno portato
all’esilio in Francia.
La parte più interessante della produzione teatrale di Baroja è costituita
però dai sainetes: Arlequín, mancebo de botica o Los pretendientes de
Colombina, El horroroso crimen de Peñaranda del Campo e Chinchín
comediante o las ninfas de Bidasoa
15
. In due di essi, Chinchín
commediante e Arlequín, mancebo de botica
16
, è facile notare l’abilità
dell’autore nel creare personaggi falsi, irreali; a questo proposito, Antonio
Gago Rodó ricorda una sorta di legge letteraria, formulata dall’autore
stesso:
12
P. Baroja, “El nocturno del hermano Beltrán” in Obras Completas... cit., VI, p. 1187.
13
La pièce è stata pubblicata a Parigi nel 1937.
14
Cfr. Andrés Franco, “El teatro de Baroja”…cit., p.285.
15
Andrés Franco ritiene che i tre testi siano stati scritti appositamente per il Mirlo Blanco (cfr. ibid., p. 286).
16
Il primo testo è una farsa formata da tre quadri e un prologo. Porta in scena la metateatralità, poiché l’elemento
scatenante è l’arrivo nella piazza del villaggio di Bidasoa della compagnia del teatrante Chinchín per la
rappresentazione de Las ninfas de Bidasoa, in occasione di una festa in paese. Del secondo testo, oggetto del presente
lavoro, si parlerà in seguito in maniera più diffusa.
6
Una obra es siempre más fácil de hacer cuando los personajes son
más falsos y más amanerados.Una obra es más difícil de hacer
cuando los personajes están más copiados de la realidad.
17
La figura di Chinchín e le maschere della Commedia dell’arte aiutano a
creare situazioni che divertono lo spettatore. La comicità viene spesso
ricercata tramite l’impiego di ripetizioni ed equivoci, di una lingua infarcita
di regionalismi, capaci di generare una risata diretta, genuina, senza
pretese. Nella prima delle due farse le didascalie, normalmente molto
concise, sono più lunghe poiché ad esse sono affidati i cambi
d’ambientazione nel passaggio da un atto all’altro. Il terzo sainete, El
horroroso crimen de Peñaranda del Campo, è senza dubbio la pièce più
letta e più studiata di Baroja. Non è stata mai rappresentata, ma nel 1929
costituì uno degli sketchs del film Holliwood madrileño
18
. Il testo,
costituito da un prologo, tre quadri e un epilogo, rappresenta una parodia
della letteratura truculenta: si preannuncia l’esecuzione di una sentenza
capitale nei confronti di un reo confesso, “el Canelo”, ma il protagonista si
rivela poi innocente; si autoaccusa di omicidio e antropofagia per poter
godere degli ultimi desideri di un condannato a morte. La Sinforosa, la
donna che avrebbe ucciso secondo le accuse, è in realtà viva e l’unico
omicidio che l’uomo ha commesso è quello di una gallina della sua
matrigna, affettuosamente chiamata dai suoi padroni “la Sinforosa”. Il testo
ironizza sul desiderio di castigo, volto a raggiungere una notorietà che solo
l’aver commesso un delitto può conferire. Un ruolo importante è affidato
anche in questa pièce agli equivoci che provocano la risata:
EL DIRECTOR.- Aquí no se trata de palo, sino de palos
que te vamos a dar.¿Qué embustes nos has contado?
¿Qué era eso de que habías comido un pedazo de carne
de la Sinforosa y que sabía a cerdo?
17
P. Baroja, Entretenimientos (Dos sainetes y una conferencia), Madrid, Caro Raggio, 1927, p. 159 (citato in A. Gago
Rodó, “La trayectoria teatral de Pío Baroja”,Teatro: Revista de Estudios Teatrales, 11, 1997, pp. 111-133, a p. 120).
18
Cfr. A. Gago Rodó, “La trayectoria teatral de Pío Baroja” …cit., p. 127.
7
EL CANELO.- Era de una gallina de casa de mi
madrastra, a la que llamábamos así.
EL DIRECTOR.- ¡Conque de una gallina! ¡Mamarracho!
¡Mentecato! ¡Fuera de aquí!
19
Ciò che distingue questa farsa dalle altre è però l’adozione dell’elemento
grottesco e truculento quale strumento di comicità: il reo confesso che si
autoaccusa di aver mangiato un pezzo di carne della sua vittima dovrebbe
causare spavento; ma è solo una gallina ad essere stata uccisa e tutto si
risolve in un mare di risate, poiché viene riconosciuta la meschinità del
protagonista. Il dialogo è veloce ed è caratterizzato da un linguaggio
colorito, a tratti volgare, che richiama il teatro popolare. Inoltre, il crimine
viene narrato nel primo quadro da una “canción de ciego” scritta su un
“cartelón de feria”:
EL TUERTO.-
En Peñaranda del Campo,
el día diez de febrero
mil novecientos veinte,
día terrible y funesto,
cerca del árbol del Cuco,
hallaron en el paseo
el cuerpo de una mujer
convertido en esqueleto.
20
Baroja compie in questa pièce un’ operazione molto simile a quella messa
in atto da Valle Inclán nell’esperpento Los cuernos de don Friolera, anche
se con esiti diversi
21
.
19
P. Baroja, Adios a la Bohemia; Arlequín, mancebo de botica, o Los pretendientes de Colombina; El horroroso crimen
de Peñaranda del Campo…cit., p. 147.
20
Ibid., p. 123.
8
Il teatro di Baroja tocca dunque generi molto distanti tra loro: il dramma,
la farsa giocosa e la satira, ognuno dei quali è trattato in maniera personale
nel completo rifiuto di ogni forma di retorica. L’intenzione dell’autore è
dichiarata esplicitamente nel prologo di El horroroso crimen de Peñaranda
del Campo:
Quizá algunos estetas refinados nos reprochen cierta
intención social. ¡Qué se va a hacer! No hemos llegado en
Peñaranda a la deshumanización del arte. Si se nos
presenta en el camino lo humano, y hasta lo demasiado
humano, lo dejaremos pasar. Si le exigimos algo, lo único
que le exigiremos es que cuelgue en las perchas del
guardarropa las prendas de la retórica altisonante con que
suele venir ataviado.
22
21
La “canción de ciego” di Baroja si limita a trasformare il truculento in grottesco mentre don Ramón innalza il cattivo
gusto a categoria estetica e le sue creature, pur se mostruose, non saranno mai ridicole in termini estetici. A tale
proposito, cfr. D. Bary, “Un tango, una farsa y un esperpento”, Insula, 191, 1962, p. 7.
22
Ibid., p. 120.