AREE DI GRANDE IMPRESA E AREE
DISTRETTTUALI:
IMPLICAZIONI ECONOMICO-FINANZIARIE
PER LE IMPRESE INDUSTRIALI
di Giorgio Abate
1. Premessa
Il presente lavoro tenta di individuare, empiricamente, le principali differenze economico-
finanziarie tra due aree cruciali per lo sviluppo economico italiano, le aree di grande
impresa e le aree distrettuali. Molti sono gli scritti teorici che enfatizzano la peculiarità del
caso economico italiano, l’unico ad avere una cosi radicata e profonda tradizione di piccole
medie imprese (d’ora in poi PMI) che con il passare del tempo sono diventate il motore
dell’ economia e dello sviluppo italiani, ruolo assunto negli altri paesi da imprese di più
grandi dimensioni.
L’analisi qui condotta non si fermerà allo studio delle peculiarità dei distretti industriali cosi
come definiti dall’Istat e dalla tradizione letteraria, ma si baserà sul confronto tra aree
distrettuali e aree di grandi impresa, cosi come individuate dalla classificazione Becattini-
Coltorti (Becattini-Coltorti 2004i). Il distretto non è più soltanto un luogo chiuso in cui si
estrinseca il processo produttivo delle imprese al suo interno, dalla fase iniziale alla fase
finale della produzione del prodotto, ma diventa una vera e propria area, dove anche
imprese esterne all’attività principale del distretto, che non svolgono l’attività tipica del
distretto in questione, ma si occupano di tutte quelle situazioni complementari necessarie
per il suo successo (come ad es. la produzione di macchinari necessari per le imprese
distrettuali, imprese di trasporti che distribuiscono i prodotti, imprese che offrono diversi
tipi di servizi,ecc… globalmente indicate come industrie ausiliarie) riescono ad essere
influenzate dagli effetti benefici che nascono in quell’area, influenzando in maniera
rilevante le prestazioni economico-finanziarie delle singole imprese.
Di contro, le aree di grande impresa non sono aree dove sono presenti solo grandi
imprese, ma aree dove i rapporti tra le imprese di grandi dimensioni e le imprese
sussidiarie (come, ad esempio le imprese sub-fornitrici), che non sono necessariamente
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imprese di grandi dimensioni, sono regolati secondo il modello tipico dell’area in questione,
diverso da quello distrettuale. Questa importante precisazione sarà fondamentale per
capire meglio i dati che analizzeremo nei prossimi paragrafi.
L’industria italiana nasce alla fine dell’800, con l’avvento anche in Italia
dell’industrializzazione, che nel corso del secolo si era già diffusa in gran parte dell’Europa.
In questo periodo nascono le future grandi imprese italiane (FIAT,Pirelli,ecc..) e si crea
quel triangolo industriale tra Milano,Torino e Genova che sarà il traino dell’economia per
molto tempo. La prepotente ribalta dei distretti industriali si può far risalire agli anni 50-60,
periodo della golden age e del boom economico. Le favorevoli condizioni congiunturali di
quel periodo (aumento del reddito pro capite e quindi della domanda dei prodotti) e le
condizioni intrinseche presenti nei diversi territori, caratterizzati dalla presenza di fattori
locali favorevoli allo sviluppo come: la presenza di tradizioni manifatturiere, di aspirazioni,
di ambizioni radicate nei luoghi, di spirito comunitario e cooperativo, hanno creato le basi
per l’affermarsi dell’odierno distretto. Da quel momento, per il distretto industriale, è stata
una progressiva scalata verso la posizione di centralità che adesso occupa nell’industria
manifatturiera italiana, fattore non ravvisabile in nessun altro paese avanzato, e della
contemporanea stagnazione delle grandi imprese. Infatti, mentre le imprese distrettuali
decidevano di accedere sempre più prepotentemente sui mercati internazionali, costrette
dall’elevata concorrenza a rendere sempre più efficienti i propri processi produttivi e
aumentare la qualità dei propri prodotti,la grande impresa si rintanava nei facili profitti del
mercato interno, senza preoccuparsi di innovare e di stare al passo con la concorrenza
estera. Negli anni in cui il dibattito economico si concentrava in quali settori
tecnologicamente avanzati le grandi imprese dovevano specializzarsi, le imprese
distrettuali avevano già spontaneamente scelto la loro strada, specializzandosi in quei
settori più tradizionali, quali l’arredo-casa, l’abbigliamento, l’alimentare e la meccanica
leggera, le produzioni più rilevanti del made in italy, adottando l’agile dimensione
aziendale delle PMI e costruendo un assetto economico-produttivo locale che definisce
un’organizzazione della produzione che supera i confini della singola impresa, selezionando
e coniugando per tale via i vantaggi della piccola e della grande dimensione. Gli anni 80-
90 sono quelli del boom delle imprese distrettuali che trascinano il settore manifatturiero
tra i primi a livello mondiale, obiettivo raggiunto seguendo strade diverse da quelle seguite
dalla maggior parte dei paesi industrializzati, cioè specializzati in high-tech e sospinti dalle
grandi imprese.
Adesso l’Italia occupa nel settore manifatturiero 4,8 milioni di addetti su 57 milioni di
abitanti, seconda in Europa solo alla Germania (7,3) che ha una popolazione però di 82
milioni di abitanti. In termini relativi l’occupazione manifatturiera si equivale (intorno
all’8% per entrambi), solamente che l’Italia ha pochissimi grandi gruppi industriali, non
solo nell’industria manifatturiera ma anche nei servizi in generale. In una classifica delle
prime 500 società del mondo, le presenze italiane sono solo 8 ed una sola di queste è
manifatturiera (FIAT).Come è possibile che un paese che è secondo in Europa e tra i primi
nel mondo nel settore manifatturiero abbia cosi poche grande imprese? La risposta è
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appunto nei distretti industriali e nelle piccole e medie imprese. L’ISTAT individua 156
distretti industriali sparsi tra le varie aree distrettuali, con un’occupazione manifatturiera di
quasi 2 milioni di addetti, mentre gli addetti impiegati nelle grandi imprese sono circa 800
mila, poco più del 16%. Questo tratto caratterizzante dell’industria italiana è stato per
molti anni un fattore di vantaggio verso gli altri paesi, grazie alla vivacità delle PMI ed alla
loro facilità di inserirsi in quelle nicchie e settori del mercato mondiale particolarmente
redditizi. La necessità di scovare questi settori e mercati ha spinto i distretti industriali a
cercare sempre di più nuovi mercati con queste caratteristiche, rivolgendosi soprattutto
all’estero e diventando cosi la spina dorsale delle nostre esportazioni, in cui un ruolo
prevalente è assunto da quell’insieme di settori che vengono chiamati made in Italy,
strettamente connessi al successo del distretto industriale.
L’analisi che sarà qui condotta si fonderà principalmente sui risultati empirici, non vorrà
essere una mera illustrazione teorica delle differenze tra le due aree, ma attraverso lo
studio di un campione determinato sarà posta l’enfasi sulle caratteristiche peculiari di ogni
singola area. Gli aspetti indagati saranno verificati attraverso lo studio di bilanci di imprese
operanti in alcuni settori italiani. Quello che si vuole ottenere è una risposta su come i
diversi modelli organizzativi sott’esame possano influenzare i risultati aziendali di imprese
che operano nello stesso settore,si indagherà quindi sulle differenze reddituali, operative e
nette, delle imprese, sulla loro struttura finanziaria e patrimoniale e sulla struttura dei costi
per capire se la diffusione così massiccia delle imprese distrettuali è motivata
economicamente. Nei diversi settori sarà anche analizzata la composizione del campione
delle imprese, osservando in ciascuno di quelli analizzati se c’è un predominio industriale o
uno di grande impresa. Inoltre il distretto non sarà più automaticamente identificato con
imprese di piccole dimensioni. L’analisi svolta vuole mettere in risalto come le differenze
che si riscontreranno non derivino da una differente dimensione aziendale, bensì da due
modelli diversi di “fare imprese” indipendentemente dalla dimensioni che assumono le
imprese all’interno delle diverse aree. Queste domande troveranno risposta nei paragrafi
successivi quando si entrerà nel cuore dell’analisi,
Nel secondo paragrafo saranno illustrati i tratti teorici che caratterizzano il distretto
industriale e come si vanno a formare i due tipi diversi di area, secondo il saggio di
Becattini-Coltorti (2004). Nel terzo paragrafo,sulla base delle differenze tra le due aree
individuate e argomentate dall’analisi teorica, saranno formulate le ipotesi sulle
implicazioni economico-finanziarie derivanti dall’appartenenza delle imprese alle due
tipologie di aree, che riguarderanno 4 ambiti: la redditività, la struttura patrimoniale, la
struttura finanziaria e la struttura dei costi. Il quarto paragrafo conterrà lo studio empirico,
con la descrizione del campione utilizzato, sua composizione e integrazione con la
classificazione Beccatini-Coltorti e alcune implicazioni sulla correlazione tra aree e
dimensioni d’impresa. Il quinto paragrafo tratterrà i principali indici aziendali utilizzati per
la verifica empirica delle ipotesi, il loro significato e le modalità di loro misurazione. Il sesto
paragrafo descriverà il design della verifica empirica effettuata e la metodologia statistica
utilizzata. Il settimo paragrafo è quello dei risultati, in cui vengono analizzati e posti a
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