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quelli ideati e agiti dalla Raffaello Sanzio sono complessi
meccanismi di
simulazione, che lasciano sempre aperta la porta del sospetto:
perché dietro le loro beffarde costruzioni, si muovono ogni volta
realtà più profonde.
Ed è per questo che all’interno delle rappresentazioni della
Raffaello Sanzio Socìetas ha fondamentale importanza la parte
scenica che deve per l’appunto ricostruire un mondo, o meglio
ancora, costruirne uno parallelo a quello reale per far si che
l’attore, e in particolar modo lo spettatore, vivano esperienze
che diventino contatto reale con la vita, senza l’intromissione di
alcun intermediario, coinvolgendolo e facendo così in modo che
egli autonomamente possa creare e produrre dei vissuti.
Un teatro quello della Socìetas Raffaello Sanzio che
potremmo definire come “teatro che si rende comunicativo” e
che risulta quindi di forte impatto attraverso l’utilizzo delle
immagini e delle video proiezioni, portando così questo tipo di
innovazioni all’interno del contesto teatrale.
Per questo ho deciso di analizzare un episodio della loro più
imponente rappresentazione teatrale, la Tragedia Endogonidia,
un ciclo tragico di undici episodi messi in scena in altrettante
capitali europee, aventi funzione di muse per il cambiamento e
l’adattamento della specifica rappresentazione, accompagnati
da crescite, ovvero azioni teatrali che fanno riferimento a uno o
più episodi della Tragedia Endogonidia.
L’episodio che si va ad analizzare è quello presentato a
Roma nel corso del RomaEuropaFestival nel 2004, dove è
stato riproposto l’episodio BR.#04 Bruxel/Brussel, del quale ho
preso personalmente visione in quell’ occasione.
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Ma prima di arrivare all’analisi specifica dello spettacolo-
episodio il lavoro da me realizzato si articola anche in quella
che è una presentazione, nel primo capitolo, della teatralità
intesa dalla Socìetas Raffaello Sanzio, le loro linee storiche
della ricerca, la loro personalissima concezione sia del teatro,
la concezione dell’attore, del suo corpo e del come stare in
scena, il ruolo dello spettatore e delle dinamiche che vive
durante le rappresentazioni degli spettacoli, lo spazio che viene
destinato al regista, considerato da Romeo Castellucci come un
“pover’uomo che deve relegarsi a lato degli spettatori e
costretto ad esplorare se stesso all’interno di un mondo
parallelo riflesso da uno specchio”
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; infine, ma con un ruolo del
tutto principale, le scene, pensate, ideate e costruite da gruppi
di scenografi, dei moderni Houdini chiamati a realizzare magie
sceniche che sbalordiscano il pubblico senza che il trucco
venga svelato, vere e proprie creazioni artistiche di altissima
levatura, accompagnate dalla più moderna tecnologia che
supporta così le immagini e le sonorità che accompagnano ogni
rappresentazione teatrale della Socìetas.
All’interno del secondo capitolo è presentato il lavoro svolto da
Chiara Guidi all’interno della Scuola Sperimentale del Teatro
Infantile, di cui ne è ideatrice, scuola dove il fulcro essenziale
diviene il concetto della non condivisione forzata di quelle che
saranno le esperienze, i vissuti e le emozioni provate tra i
bambini che hanno preso parte a questo laboratorio
sperimentale; una scuola dove si punta quindi allo sviluppo
1. Romeo Castellucci, www.lapenseedemidi.org/revues/revue2/articles/13_castellucci.pdf.
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personale e al prendere atto della unicità e singolarità di ogni
persona, volontà espressa da Chiara Guidi nell’atto di non voler
mai incontrare i genitori dei bambini – che non hanno mai
messo piede nella scuola ma dovevano unicamente fidarsi dei
racconti dei bambini - per fare in modo che il bambino
all’interno della scuola prendesse le distanze anche dal
contesto familiare ed evitare anche coinvolgimenti della
maestra sul piano delle azioni da compiere.
Una scuola questa dove anche le architetture non rispettano
i canoni previsti dai grandi edifici-caserme dove i bambini sono
soliti associare l’immagine di scuola, ma che va di proposito a
sradicare la concezione classica proponendo pavimenti
realizzati da vecchi mattoni di cotto e antiche volte medievali
fungenti da spettatori, posti però sul soffitto.
Ho così analizzato i vari incontri che si sono tenuti non
dando molta importanza alla struttura del incontro nel suo
didascalico riporto delle azioni, bensì alle metodologie utilizzate
e alle reazioni ottenute dai bambini, fino ad arrivare alle
conclusioni finali che la stessa Chiara Guidi confessa a termine
degli incontri e quindi dei lavori, dove, oltre ad esprimere le
proprie impressioni e ad annotare cosa sarebbe stato bello fare
o cosa sarebbe stato giusto modificare, aggiunge la volontà di
aver soltanto voluto realizzare una compagnia fatta di bambini.
Chiara Guidi, inoltre, osserva e analizza le dinamiche che sono
scaturite dal lavoro realizzato da un gruppo di bambini che
lavora insieme non perché è imposto loro ma perché loro
autonomamente scelgono di esservi parte.
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Nel terzo capitolo invece viene presentata quella che si
potrebbe definire la re-invenzione della tragedia curata dalla
Socìetas, partendo da un confronto con la classica concezione
di tragedia e le recisioni che in questo ciclo di spettacoli vi
vengono apportate, per passare poi alla vivisezione di un
episodio in particolare, di cui ho preso personalmente visione.
Sono stati riportati quelli che sono stati gli elementi costitutivi
come la scena, una sorta di attore aggiunto con una
fondamentale importanza, dato che ha subito nel corso delle
rappresentazioni una continua evoluzione ad indicare un
preciso stato d’animo; i personaggi che si sono susseguiti ed
animati all’interno della scena stessa, descrivendone l’impatto
emotivo sul pubblico e il senso che è stato assegnato loro dalla
precisa volontà del regista.
Infine sono inserite le descrizioni dei progetti correlati alla
Tragedia Endogonidia, dalla quale sono nati e
indipendentemente da essa hanno trovato crescita e sviluppo,
come la realizzazione di un ciclo filmico con valenza di
memoria di tutte le rappresentazione degli episodi e delle
crescite o un progetto basato sulla sperimentazione della voce
e della vocalità corale.
Il lavoro quindi si è svolto analizzando prima in modo generale
la compagnia teatrale, poi entrando nello specifico di un
laboratorio realizzato per i bambini ed infine, nella descrizione-
analisi di uno spettacolo, tutto quanto realizzato con un attento
lavoro di ricerca, per nulla facile sia nel reperimento del
materiale sia nella “codifica” di quelle che erano le affermazioni,
le intenzioni e le pubblicazioni, sempre scritte in “codice”, quindi
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da decodificare, come se si volesse a tutti costi che non tutti
potessero avvicinarsi a loro e alle loro concezioni così poco
scontate, quasi a voler creare un limite, un cancello, nei
confronti di chi non fosse effettivamente motivato o interessato,
per evitare il facile diffondersi di una “moda” o di una svendita
di quello che è invece un attento e accurato lavoro di ricerca ed
analisi, rendendo così ostica l’impresa anche per chi, invece, si
avvicina a loro con spirito attento e consapevole.
La Socìetas Raffaello Sanzio ci appare così come una delle
più importanti compagnie teatrali degli ultimi venti anni, di certo
non il prototipo da copertina patinata, bensì come compagnia di
ricerca e sperimentazione. Lo straordinario percorso di questa
compagnia, non solo teatrale, ma fatto anche di una nutrita
pubblicazione di testi di teoria teatrale e prodotto
autonomamente alcune opere video, le ha guadagnato, da
tempo, una indiscutibile posizione a livello internazionale.
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CAPITOLO I
Anatomia della teatralità
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Linee storiche della ricerca
La cura della Socìetas Raffaello Sanzio nel percepire il lavoro
teatrale e la venerabilità nella concezione di teatro che i suoi
fondatori hanno, fa si che ogni rappresentazione diventi un evento
estremo che unisca il sacro e il sacrilego, un evento che miri
fortemente a dissacrare lo spettacolo e disarmare lo spettatore.
La visione del teatro dei componenti della Socìetas non termina
quando le luci del palco si spengono, bensì perpetua anche nella
vita quotidiana: il confine, la separazione tra l’essere in scena su
di un palco e l’essere in scena nella vita quotidiana,
semplicemente non esiste, il tempo del teatro si intesse e si
impone creando un’unica identità tra la vita, i pensieri e i legami,
sia artistici che familiari, indissolubilmente intersecati.
La Socìetas Raffaello Sanzio nasce a Cesena nel 1981 ad opera
di due giovanissime coppie di fratelli, Romeo e Claudia
Castellucci, rispettivamente regista e scrittrice, e Chiara e Paolo
Guidi, di cui Chiara Guidi compositrice drammatica e sonora e
Paolo Guidi attore: l’impulso di fondare la compagnia è stato
dichiarato da Romeo Castellucci in un intervista e racconta che
venne dopo la visione di un spettacolo dei Magazzini, Punto di
rottura, nel 1979, che a loro non piacque affatto e li spinse così ad
attuare le loro idee e le loro concezioni di teatro.
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2. Oliviero Ponte di Pino, Il nuovo teatro italiano 1975-1988, La Casa Usher, Firenze, 1988.
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La storia della Socìetas Raffaello Sanzio è caratterizzata
soprattutto dal percorso di rottura e superamento del linguaggio
teatrale tradizionale: dalle immagini alla parola, dal rapporto con il
pubblico alla presenza scenica dell'attore. Il loro teatro, attraverso
passaggi graduali, si configura come “teatro dei corpi”.
La loro ricerca si spinge fino alla creazione di una nuova
utopica lingua universale, chiamata “generalissima”, assunta
nell'opera Kaputt Necropolis , rappresentata con successo alla
Biennale di Venezia del 1984. Questa lingua nuova, creata a
partire dalle lingue creole, è composta da 500 parole con le quali
è possibile dire qualsiasi cosa utilizzando l’intonazione, come
accadeva nell’antico Egitto, grazie alla quale si poteva distinguere
la verità dalle falsità.
È invece del 1985 Santa Sofia, Teatro Khmer , l'opera che ha
segnato la dichiarazione di guerra alle immagini, radicalizzata poi
successivamente sul piano del linguaggio con I Miserabili nella
quale l'Araldo, figura centrale, per tutta la durata della
rappresentazione rimane immobile e muto, unico modo che ha di
agire e parlare scenico: solo il corpo, condizione prima dell'essere
attore, spettatore di se stesso è presente sul palcoscenico.
Con La bellezza tanto antica la Socìetas Raffaello Sanzio si
accosta al carattere mitico della fiaba. Da qui un orientamento
positivo del teatro non in senso morale, ma come situazione di
superamento semantico. A sostegno di questo versante sta
l'animale, che a partire da questo momento affiancherà in scena
l'attore, vivo o morto o con effetti che ne rendano in battito
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cardiaco presente all’interno del suo corpo. Si ricorre alla
presenza scenica dell’animale perché si vuole mostrare la
corporeità originale dell’essere umano, l’utilizzo e l’efficacia di una
comunicazione immediata, istintuale senza gesti né sentimenti.
La successione di corpi di uomini, donne, animali, di ogni età,
dimensione e deformità, sarà quindi la costante del teatro della
Socìetas Raffaello Sanzio. Il corpo, segno significante più potente
del teatro stesso, diviene elemento essenziale per le sue
componenti comunicative e di diversità. Una sorta di
smascheramento del teatro attraverso l'azzeramento dell'attore,
che con il suo essere esclusivamente ‘corpo' rende didascalia il
linguaggio.
Questo percorso di monopolio comunicativo del corpo sfocia
nella realizzazione nel 1992 dell' Amleto - La veemente esteriorità
della morte di un mollusco dove, alla base di tale realizzazione,
c’è una particolare attenzione alla corporeità dei bambini autistici.
In questo spettacolo si è lontani da quando veniva adoperata la
lingua generalissima: avviene una totale condensazione del
linguaggio dove il testo di Shakespeare scompare per far
rimanere il silenzio della parola e le urla di un corpo costretto
all’interno di una condizione, quella di Amleto autistico, in bilico
tra l’essere e il non essere, tra il voler esserci e il voler
scomparire.
L’attività della compagnia prosegue con la rappresentazione
Masoch, i trionfi del teatro come potenza passiva, colpa e
sconfitta del 1993 in cui l’attenzione per la corporeità si rivolge
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in questo caso alla body art; nel 1995 la compagnia mette in
scena Orestea (una commedia organica?) dove Romeo
Castellucci crea uno spettacolo insieme audace e ludico
sottotitolando la sua Orestea "commedia organica": è stata
segnalata dalla critica come una delle letture più provocanti della
celebre tragedia greca.
Con Giulio Cesare, nel 1997 il teatro diviene ars oratoria, artificio
retorico. In questo spettacolo la retorica, grazie alla tecnologia
meccanica e chimica, compie un viaggio a ritroso nel discorso,
fino alla fonte della parola, della voce e dell'articolazione dei suoni
che sono alla sua origine, spiati da una micro telecamera calata
nella gola dell'attore e collegata a un grande schermo. Nel
succedersi dell'azione con la morte di Cesare, quando Antonio
pronuncia la celebre orazione, la carica seduttiva della parola
viene cancellata definitivamente. Antonio è infatti un
laringectomizzato, le sue parole non vogliono dire più niente,
assumono valore di segno esattamente come il corpo. Giulio
Cesare ha vinto il premio Ubu nel 1997 quale miglior spettacolo
dell'anno.
Nel 1999 è stato realizzato Genesi, Dal museo del sonno,
all’interno del quale si parte dal miracolo della creazione per
mostrare gli orrori della civiltà umana passando attraverso la
guerra e Auschwitz.
Nel 1988 la Socìetas Raffaello Sanzio ha inaugurato, sotto la
direzione di Claudia Castellucci, la Scuola Teatrale della Discesa
e le edizioni Casa del Bello Estremo, casa editrice che pubblica
scritti drammatici, filosofici e lirici.