- Introduzione -
Sono queste strutture abitative che assumono carattere permanente, con tutte
le loro componenti aggiuntive necessarie nella vita quotidiana, che sono
oggetto della nostra ricerca. Il nostro scopo è quello di determinare quale
direzione e modalità abbia assunto l’evoluzione degli edifici monastici e se
sia lecito parlare, almeno dopo un periodo di elaborazione, di “tipologia
standard” di san۟ghārāma. La nostra indagine quindi non si interessa
esclusivamente dei singoli monasteri, sui quali si è cercato di fornire il
maggior numero di informazioni possibili, ma anche del confronto tra i
diversi esemplari a nostra disposizione per ottenere una visione complessiva
di quelli che devono essere considerati elementi imprescindibili o solo
occasionali nella costruzione di un san۟ghārāma.
Il territorio interessato dalla nostra indagine è quello del Gandhāra. Con
questo termine però non intendiamo riferirci alla regione geografica con
questo nome, che corrisponde all’odierno distretto di Peshawar. In realtà
l’area geografica che prenderemo in considerazione è quella che fu
interessata dall’espansione della scuola d’arte del Gandhāra.
I limiti di questa espansione sono rappresentati dalla città di Taxila a SE, dal
corso dell’Amū Dar’ja a NO, dalla regione dello Swāt a N. Stiamo quindi
parlando di un territorio che si estende all’interno dei confini degli attuali
stati di Pakistan ed Afghanistan.
1
All’interno di questo vasto territorio è possibile distinguere delle aree ben
definite in cui sono concentrati resti di complessi monastici buddhisti. Nel
Pakistan abbiamo le aree di Taxila, Mingora/Butkara e Mardān; in
Afghanistan quelle di Had da, Begram/Kāpiśi e Kābul.
Nell’approccio alla ricerca non è stato definito alcun arco cronologico entro
il quale indirizzare la scelta dei siti da esaminare. Poiché lo scopo è quello
di verificare le particolarità dell’evoluzione delle strutture monastiche,
1
M. Bussagli, 1984: pp. 61-64.
5
- Introduzione -
abbiamo ritenuto che fosse indice di parzialità definire un arco cronologico
che escludesse a priori testimonianze che potevano rivelarsi importanti nel
trarre le conclusioni.
Le più antiche strutture indagate appartengono al I sec. a.C. e questo
dipende esclusivamente dal fatto che non è stato possibile rintracciare
edifici antecedenti. Dobbiamo considerare che non molti complessi sono
stati risparmiati dal deterioramento dovuto al trascorrere del tempo, alle
intemperie e ad eventuali guerre. Per questo motivo non dovremmo stupirci
se le testimonianze più numerose che sono arrivate ai giorni nostri
appartengono alle costruzioni in pietra mentre nulla abbiamo a proposito di
ciò che potrebbe essere stato costruito in materiali deperibili e poche
strutture, non sappiamo in quale percentuale, in terra cruda.
Dal I sec. a.C. la nostra indagine si protrae sino all’VIII – X sec. d.C.
quando arriva al termine la vita dei monasteri più longevi. Questo lungo
periodo di tempo vede il susseguirsi di diverse dominazioni che
influenzeranno, a livelli differenti, la vita nei territori qui considerati.
La ricerca ha avuto inizio con la consultazione dei testi a carattere
bibliografico: W. Ball & J.-C. Gardin, 1982; H. Deydier, 1950; M. Taddei,
2003a; M. Taddei, 2003b. La consultazione di questi testi ci ha permesso di
individuare in quali siti fossero stati identificati dei san۟ghārāma buddhisti e
quale fosse la relativa bibliografia di riferimento. Abbiamo quindi stilato la
lista dei complessi monastici su cui avrebbe dovuto soffermarsi la nostra
indagine.
2
Per avviare il nostro studio non restava altro da fare che reperire il materiale
necessario. E’ a questo punto che ci siamo resi conto che la bibliografia
relativa a diversi siti in cui era indicata la presenza di un san۟ghārāma si
2
Vorremmo precisare che la presenza di Borj-i-Kafarihā tra i siti esaminati è dovuta al
caso: i testi bibliografici di cui ci siamo serviti sono stati redatti prima dell’articolo in cui si
esamina lo scavo di questo sito (Z. Tarzi, 1990), che abbiamo trovato consultando South
Asian Archaeology 1987.
6
- Introduzione -
riduceva a citazioni di poche righe a proposito dell’esistenza di complessi
monastici con relativo monastero. In mancanza di altre testimonianze ci
siamo quindi trovati costretti ad eliminare dalla lista dei siti da esaminare
quelli per i quali non avevamo a disposizione almeno una breve descrizione
dell’edificio monastico. Dobbiamo ammettere inoltre che il più importante
fattore che ha condizionato la selezione dei complessi monastici da
analizzare è stato in realtà il reperimento di almeno una planimetria del san۟
ghārāma: anche i complessi per i quali non sia stata rintracciata alcuna
pianta sono quindi stati eliminati dalla lista dei siti da esaminare.
E’ ovvio come i testi principali di riferimento siano stati quelli redatti da
coloro i quali hanno scavato nei siti in esame. Per questo motivo per i siti
dell’Afghanistan è stata inevitabile l’analisi dei diversi volumi delle
Mémoires della DAFA. Per quanto riguarda i numerosi complessi monastici
dell’area di Taxila, il nostro punto di riferimento non poteva essere che J.
Marshall con i volumi di Taxila. Nei dettagliati testi editi dall’IsMEO (ora
IsIAO) compaiono invece i risultati degli scavi effettuati dagli archeologi
delle missioni italiane nei siti della regione dello Swāt. Il testo a carattere
generale che non potevamo evitare di consultare è ovviamente L’art gréco-
bouddhique du Gandhâra di A. Foucher.
Il passaggio successivo è stato quello di stilare, in base ai dati raccolti, delle
schede in cui il san۟ghārāma in esame viene descritto in base al suo rapporto
con il territorio e con l’area di culto, alla sua pianta e ai diversi ambienti che
ne fanno parte, alla tecnica costruttiva utilizzata per l’edificazione,
all’eventuale decorazione, ai cambiamenti subiti nel tempo, alla sua
datazione. Durante la redazione delle schede ci siamo trovati davanti due
problemi diametralmente opposti: non sempre è stato possibile essere
sufficientemente esaurienti a causa della mancanza di informazioni precise
da parte degli studiosi oppure, in pochi casi in realtà, ci trovavamo nella
condizione di dover sintetizzare al limite una mole molto ampia e dettagliata
di informazioni. Non si è in alcun caso, però, tralasciato di indicare (se
presenti) le posizioni contrastanti degli studiosi tentando, nei casi in cui le
7
- Introduzione -
informazioni in nostro possesso lo consentissero, di trarre anche le nostre
personali conclusioni in proposito.
Completate le schede, il corpo principale del nostro lavoro poteva dirsi
compiuto. Il nostro scopo, però, non era solo quello di esaminare i singoli
edifici monastici, per trarre le nostre conclusioni è stato quindi necessario
mettere in relazione i dati raccolti ed esaminati solo individualmente. Le
Conclusioni sono quindi nate dal confronto degli elementi emersi
nell’esame individuale dei diversi san۟ghārāma.
8
Termini tecnici
In mancanza di un glossario in italiano totalmente soddisfacente nella
descrizione delle tecniche costruttive abbiamo usato i tradizionali termini
inglesi. Per ognuno di essi viene fornita una dettagliata spiegazione.
ϒ Ashlar masonry. Tecnica muraria che prevede l’aggiunta di corsi
orizzontali di conci tra i piani orizzontali di diaper masonry in cui i massi
diventano piatti nella parte inferiore (per appoggiarsi ai nuovi elementi) e le
pietre degli interstizi più grandi. Si può parlare di semi-ashlar masonry
quando si usano corsi di semi-conci. Introdotta a Taxila nel II sec. d.C. in
relazione alla nuova città di Sirsukh.
3
ϒ Diaper masonry. Tecnica muraria che prevede l’utilizzo di massi
irregolari disposti in file più o meno regolari. Gli interstizi tra i massi sono
riempiti da pile ordinate di piccole pietre. La mancanza di regolarità del
tessuto non ha importanza dal punto di vista estetico poiché le facce visibili
dei muri erano coperti con intonaco. Muratura introdotta nel Gandhāra, in
sostituzione del pietrisco, nel I sec. d.C. circa.
4
3
J. Marshall, 1951: pp. 248-249, 260-261, 275, 282.
4
P. Brown, 1956: p. 43. P. Callieri, 1989: pp. 85, 87. J. Marshall, 1951: pp. 248-249, 259-
260.
9
- Termini tecnici -
ϒ Kañjūr. Pietra morbida utilizzata principalmente nelle parti esterne
dei muri perché adatta ad essere intagliata. Elementi decorativi come
modanature e pilastri sono spesso realizzati con essa. I dettagli della
decorazione sono però affidati all’intonaco o allo stucco che a volte lo
ricopre.
5
ϒ Pakhsa. Muratura realizzata predisponendo letti successivi di terra
cruda e materiali leganti.
ϒ Semi-ashlar masonry. Vedi ashlar masonry.
5
J. Marshall, 1951.
10
Schede
11
Scheda 1: Bhamāla
Fig. 1 – Complesso monastico di Bhamāla
(A. H. Dani, 1986: tav. 34)
Oggetto: Monastero buddhista all’aria aperta. San۟ghārāma di collina.
Località: Bhamāla: Pakistan, valle N di Taxila, circa 16 km ad E di Sirsukh.
Datazione: Periodo kusano-sasanide (tecnica muraria, planimetria,
numismatica), IV/V sec. d.C. – fine V sec. d.C.
Scavi: J. Marshall, 1930-4.
Bibliografia: P. Callieri, 1989: pp. 116-117.
A. H. Dani, 1986: pp. 5-6, 11, 76-78, 148-149; tav. 34.
H. Deydier, 1950: p. 154.
A. Foucher, 1905: pp. 158-177.
J. Marshall, 1936: pp. 152-158; tav. XCc.
J. Marshall, 1951: pp. 5, 248-249, 260, 275, 281, 391, 393-397 (vol. I); tav.
114 (vol. III).
12
- Bhamāla -
Fig. 2 – Monastero di Bhamāla
(J. Marshall, 1951: -parte di- tav. 114)
Descrizione: Il sito di Bhamāla, nella valle N di Taxila, situato ai piedi delle
colline a monte della valle dell’Hāro, è protetto su tre lati dal fiume, che in
questo punto scorre rapidamente all’uscita di una gola, e sul quarto lato
dalle colline
6
. Il complesso monastico sorge su una terrazza naturale (circa
122m EO, 43m NS) la cui zona O è stata erosa a tal punto dalle inondazioni
del fiume da non poter indagare sulle altre strutture, sicuramente monastiche
secondo J. Marshall, che si trovavano su questo lato
7
.
6
A. H. Dani, 1986: pp. 11, 148. J. Marshall, 1936: p. 152. J. Marshall, 1951: pp. 5, 391.
7
J. Marshall, 1936: pp. 153, 158. J. Marshall, 1951: p. 391.
13
- Bhamāla -
Il complesso (Fig. 1) è composto dallo stūpa principale al centro della
terrazza, circondato da stūpa minori e cappelle votive
8
, e da un monastero
ad E, ad un livello più basso (circa 2.13m), raggiungibile attraverso una
rampa di scale
9
.
La Corte dello Stūpa, alla quale si accedeva attraverso una camera
rettangolare (B4) con due portali ad E ed O
10
, era pavimentata
principalmente con mattonelle di terracotta
11
che davanti la scala E dello
stūpa principale erano disposte in modo tale da formare una Ruota della
Legge, mentre davanti al piccolo vihāra B5
12
avevano le facce incise con
simboli buddhisti.
13
Lo stūpa principale
14
ha una pianta quadrata con gradinate al centro dei
quattro lati che gli fanno assumere la forma cruciforme. Al livello delle
fondamenta, un deposito, sepolto al momento della costruzione dello stūpa,
conteneva sei monete ed un altro ne aveva centotredici: sebbene non
identificate con precisione, sono state datate al IV – V sec. d.C.
15
Il monastero rettangolare (Fig. 2), orientato EO, ha l’entrata ad O, attraverso
un ambiente aggettante verso l’esterno
16
che funge da vestibolo. Le celle,
che occupavano tutti e quattro i lati di una corte, erano precedute da una
8
I diciannove stūpa votivi, tipiche strutture del IV – V sec. d.C. secondo J. Marshall, in
semi-ashlar masonry (occasionalmente in ashlar masonry), avevano basi quadrate ed erano
decorati con pilastri corinzi alternati a Buddha. I tre vihāra, a N e S dell’ingresso alla Corte
dello Stūpa, erano camere singole con portici frontali; forse tutti all’interno contenevano
rilievi su bassi plinti posti lungo le mura, B8 racchiudeva uno stūpa con venti scanalature
concave sulla base. (A. H. Dani, 1986: p. 149. J. Marshall, 1936: pp. 155-156. J. Marshall,
1951: p. 393.)
9
A. H. Dani, 1986: p. 149. J. Marshall, 1936: pp. 153-154. J. Marshall, 1951: pp. 391, 393.
10
I portali furono ridotti di larghezza in un secondo momento; su ciascun lato della porta O
si trova un plinto per statue.
11
0.41x0.23x0.04m. Coperte (forse in seguito) con uno strato d’intonaco.
12
Posto contro il muro N del vestibolo d’ingresso.
13
J. Marshall, 1936: pp. 154, 156. J. Marshall, 1951: pp. 393-394.
14
Il nucleo dello stūpa è composto da corsi regolari di spessi blocchi di calcare, con piccoli
ciottoli legati con fango negli interstizi. Il rivestimento è in semi-ashlar masonry,
modanature e pilastri in kañjūr; tutto è coperto da intonaco. Il plinto è decorato con pilastri
corinzi alternati a Buddha. In una campata c’era un rilievo di stucco con un Buddha
morente sdraiato sul fianco destro. (A. H. Dani, 1986: p. 149. J. Marshall, 1936: pp. 153-
154. J. Marshall, 1951: p. 391.)
15
A. H. Dani, 1986: p. 149. J. Marshall, 1936: pp. 153-154. J. Marshall, 1951: pp. 391, 393.
16
L’ingresso aggettante, oltre che in questo sito, nell’area di Taxila è presente anche nel
monastero B di Giri e nel monastero di Saidu Sharīf I (Vedi: p. 56, fig. 13; Nota 12 p. 111,
fig. 30. P. Callieri, 1989: p. 116).
14
- Bhamāla -
veranda, più larga sul lato O a causa dell’aggiunta di due celle rettangolari
(n. 5 e 25). La disposizione degli ambienti è simmetrica, nonostante si sia
optato per stanze sia quadrate (metà orientale) che rettangolari (metà
occidentale ed angoli).
17
Lo spazio centrale della corte (Fig. 2) era raggiungibile attraverso due
gradinate poste, come l’ingresso del monastero e quello per gli ambienti di
servizio, al centro dei lati E ed O. L’angolo NE di quest’area era occupato
da un ambiente, con ingresso ad E, identificato come sala da bagno
18
.
Ad E, raggiungibili attraverso la cella centrale di questo lato, si trovano sala
d’assemblea, cucina e refettorio
19
. E’ nella cucina che, stranamente, si
trovano le scale per salire al piano superiore.
20
All’esterno, a N e nell’angolo NE, si trovano due contrafforti nella stessa
muratura dell’edificio principale al quale furono aggiunti non molto tempo
dopo la sua edificazione; la struttura a N è considerata da J. Marshall la base
di una torre di guardia.
21
Il monastero è costruito in una tarda varietà di ashlar masonry
22
. Le mura
interne erano coperte con intonaco di argilla, trasformata in terracotta
quando il monastero è stato incendiato. Le celle, preservate fino ad h=3.05
÷3.66m, avevano finestre poste molto in alto e nicchie murali. La porta della
cella 6/7 (h=1.85m), ben preservata se si eccettua la scomparsa degli
architravi lignei, larga 1.22m in basso e 0.23m in alto, ha forma
trapezoidale. Mentre il monastero era ancora occupato, la corte pavimentata
con lastre di pietra fu coperta da uno strato di terra (h=0.30–0.60m), forse,
17
A. H. Dani, 1986: p. 149. J. Marshall, 1936: p. 156. J. Marshall, 1951: p. 394.
18
A. H. Dani, 1986: tav. 34. J. Marshall, 1936: tav. XCc. J. Marshall, 1951: tav. 114.
19
In questo sito, come a Jauliān, Mohr ā Morādu ed in altri monasteri, la sala d’assemblea e,
successivamente, refettorio e cucina, si trovavano presso il lato della corte delle celle più
lontano dalla Corte dello Stūpa (J. Marshall, 1951: p. 281).
20
A. H. Dani, 1986: p. 149. J. Marshall, 1936: p. 156. J. Marshall, 1951: pp. 394-395.
21
A. H. Dani, 1986: p. 149. J. Marshall, 1936: p. 156. J. Marshall, 1951: p. 395.
22
In questo caso spesso ci sono due corsi di conci tra il diaper masonry, inframmezzati da
pietre piatte per alzarne il letto di posa (J. Marshall, 1936: p. 156. J. Marshall, 1951: p.
395).
15
- Bhamāla -
secondo J. Marshall, per assicurare maggiore frescura limitando
l’irraggiamento solare.
23
Gli studiosi sono concordi nell’affermare che il monastero è stato fondato
nel IV – V sec. d.C.
24
. Secondo J. Marshall
25
, la scelta di questo sito così
lontano dalla città dipenderebbe proprio dalla data di fondazione così tarda:
i monaci, in quest’epoca, non sarebbero più costretti a chiedere l’elemosina
visto che la struttura monastica ora prevede ambienti come magazzino,
cucina e refettorio, assenti in precedenza, la cui presenza implicherebbe un
tipo di approvvigionamento diverso e più cospicuo.
La grande quantità di terra bruciata, sia dentro le celle che nella corte, nella
maggior parte dei casi proveniente dai tetti, fa supporre che la fine
dell’edificio monastico sia da attribuire ad un incendio
26
. La presenza, tra le
monete ritrovate
27
, di ventuno emissioni degli “Unni” della seconda metà
del V sec. d.C. ha portato J. Marshall ad attribuire la distruzione del
complesso, avvenuta alla fine del V sec. d.C., a questa popolazione
28
;
ipotesi oggi scartata dagli studiosi
29
.
Il complesso di Bhamāla è una caratteristico “sa۟nghārāma di collina”
30
visto che, come caratteristico per questa tipologia, oltre ad essere costruito
in pietra, la situazione morfologica dell’area su cui sorge ha costretto i
costruttori ad adattarsi al suolo a disposizione edificando le due corti su due
assi differenti e a costruire una scala per eliminare il dislivello naturale della
terrazza.
23
J. Marshall, 1936: pp. 156-157. J. Marshall, 1951: p. 395.
24
A. H. Dani, 1986: pp. 148-149. J. Marshall, 1936: p. 152. J. Marshall, 1951: p. 391.
25
J. Marshall, 1936: p. 152. J. Marshall, 1951: p. 391.
26
J. Marshall, 1936: p. 157. J. Marshall, 1951: p. 395.
27
Oltre a quelle nei depositi degli stūpa e ad undici di rame da diversi punti del sito,
dall’area del monastero ne provengono: una d’oro, tardo-kusān a, dalla cella 8; venti
d’argento, degli “Unni”, in gruppo all’ingresso della cella 13; una d’argento, degli “Unni”,
davanti la cella 8 (A. H. Dani, 1986: p. 149. J. Marshall, 1936: pp. 157-158. J. Marshall,
1951: pp. 395-396).
28
J. Marshall, 1936: pp. 157-158. J. Marshall, 1951: pp. 396-397.
29
P. Callieri, 1989: p. 117. A. H. Dani, 1986: pp. 5-6, 76-78.
30
A. Foucher, 1905: pp. 158-177.
16
Scheda 2: Chir Tope A
Fig. 3 – Complesso monastico di Chir Tope A
31
(J. Marshall, 1951: tav. 67a)
Oggetto: Monastero buddhista all’aria aperta.
Località: Chir Tope A: Pakistan, valle S di Taxila, a SE del complesso del
Dharmarājikā, nell’angolo SO del quadrangolo formato dai complessi
monastici di Chir Tope A-D.
Datazione: Periodo kus āna (tecnica muraria, numismatica), 40/150 d.C. –
prima metà III sec. d.C.
Scavi: J. Marshall, 1913-34.
Bibliografia: P. Callieri, 1989: p. 113.
A. H. Dani, 1986: pp. 72, 131, 133.
A. Foucher, 1905: pp. 153-177.
J. Marshall, 1951: pp. 4-5, 230-231, 234, 248-249, 275, 314-316, 319-320
(vol. I); tav. 67a (vol. III).
31
La struttura posta dentro la corte appartiene ad un periodo più tardo (A. H. Dani, 1986: p.
131. J. Marshall, 1951: p. 316).
17