II
specifici orientamenti politici - svolga un ruolo
fondamentale nella mobilitazione e soprattutto
nell’adesione al regime.
Introduzione
Con il termine “inconscio collettivo” Carl
Gustav Jung
1
definisce la parte dell’intelletto
umano comprendente contenuti di coscienza comuni
a tutti gli uomini e a tutte le culture. Jung riprende
da Freud l’idea secondo cui la mente umana è
composta di una parte conscia e di una inconscia,
1
Carl Gustave Jung (1875 – 1961), psicanalista svizzero, padre di quella che egli stesso definì
“psicologia analitica”. Figlio di Paul Jung, un pastore protestante, e di Emile Preiswerk, nel 1886
inizia gli studi secondari presso il ginnasio di Basilea. Nel 1895, dopo aver conseguito la maturità,
si iscrive alla Facoltà di medicina dell’Università di Basilea, presso la quale nel 1900 si laurea con
una tesi dal titolo Psicologia e patologia dei cosiddetti fenomeni occulti, pubblicata nel 1902.
Decide di specializzarsi in psichiatria ed entra nell’ospedale psichiatrico di Burghölzli di Zurigo
come assistente. Nel 1906 prende pubblica posizione a favore della psicoanalisi di Freud ed inizia
la loro corrispondenza. L’anno successivo avviene il primo incontro fra i due. Nel 1912, durante le
lezioni alla Fordham University di New York, per la prima volta vengono espressi pubblicamente
punti di dissenso dalle teorie di Freud. Nel 1913, davanti alla Psycho-Medical-Society di Londra,
definisce il suo orientamento di ricerca “psicologia analitica”. Gli anni che seguono sono colmi di
pubblicazioni, congressi e viaggi. Si dedica a studi che esulano dalla tradizionale ricerca
psicanalitica, trattando argomenti come la mitologia, l’alchimia o gnosticismo. Tra i suoi scritti più
importanti ricordiamo: Psicologia della dementia precox (1906); Libido. Simboli e trasformazioni
(1911); La struttura dell’inconscio (1916); Tipi psicologici (1921); L’Io e l’inconscio (1928);
Psicologia e Religione (1937/40); Psicologia e Alchimia (1943/44); La sincronicità (1951);
Mysterium Coniuctionis (1954).
2
ma a differenza di quest’ultimo lo psicanalista
svizzero ritiene che ciascuna di queste parti sia a
sua volta formata da una componente personale e da
una sovrapersonale, ossia collettiva
2
; l’inconscio
collettivo costituisce quindi un substrato psichico
di natura sovrapersonale presente in ciascuno.
Mentre l’inconscio personale è costituito
fondamentalmente da “complessi a tonalità
affettiva”, contenuti di coscienza personale
dimenticati e retrocessi ad una soglia sub-cosciente,
l’inconscio collettivo si compone di “archetipi”,
ossia immagini primigenie universali e presenti sin
2
Sulla struttura dell’inconscio, in particolare sul concetto di inconscio collettivo cfr. Carl G. Jung,
Über die Archetypen des kollektiven Unbewussten, in Eranos-Jahrbuch 1934, Zurigo, 1935, trad.
it. Elena Schanzer, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, in Carl G. Jung, Opere, vol. IX*,
Boringhieri, Torino, 1980, passim; Der Begriff des Kollekltiven Unbewussten, (originariamente
conferenza dal titolo The Concept of the Collective Unconscious tenuta alla Abernethian Society
presso il St. Bartholomew’s Hospital di Londra il 10 ottobre 1936), Bartholomew’s Hospital
Journal, Londra, vol. 44, 46-49 e 64 – 66, 1936-37, trad. it. Antonio Vitolo, Il concetto di
inconscio collettivo, in Carl G. Jung, Opere, vol. IX*, Boringhieri, Torino, 1980, passim; La
structure de l’inconcient, traduzione da un manoscritto dell’autore negli “Archives de
Psychologie”, 1916, vol. XVI, pag. 152, trad. it. di Elisa Tetamo, La struttura dell’inconscio, in
Carl G. Jung, L’inconscio, Mondadori, Milano, 1992, in particolare a p. 61 viene riportato uno
schema sintetico dell’inconscio; Zur Psychologie des Kindarchetypus, in Carl G. Jung & Kàroly
Kerényi, Einführung in das der Mythologie, Pantheon Akademische Verlagsastal, Amsterdam-
Leipzig, 1942, trad. it. Angelo Brelich, “Psicologia dell’archetipo del Fanciullo”, in Prolegomeni
allo studio scientifico della mitologia, Boringhieri, Torino, 1999, p. 114; Die psychologischen
Aspekte des Mutterarchetypus, in Eranos-Jahrbuch 1938, Zurigo, 1939, trad. it. Lisa Baruffi, Gli
aspetti psicologici dell’archetipo della Madre, in Carl G. Jung, Opere, vol. IX*, Boringhieri,
Torino, 1980. p. 80 e ss.
3
dai tempi più remoti; queste non sono mai state
acquisite individualmente: la loro origine è ignota e
la loro esistenza dovuta all’ereditarietà
3
.
Jung ritiene che gli archetipi formino delle
analogie così vicine agli istinti da poter supporre
che essi siano:
[…] le immagini inconsce degli istinti
stessi; in altre parole, essi sono “schemi di
comportamento istintuale. L’ipotesi della
esistenza dell’inconscio collettivo non è
perciò più audace dell’assunto secondo cui
esistono gli istinti
4
.
Nonostante questi ultimi siano costituiti da
stimoli fisiologici e percepibili sensorialmente,
Jung fa notare come essi si manifestino parimenti
3
Cfr. Carl G. Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, cit., pp. 3 – 4. Jung scrive che
l’espressione archetipo si trova già nel De opificio mundi di Filone d’ Alessandria, riferita
all’immagine di Dio nell’uomo, nel Corpus hermeticum di Ireneo, nel De coelesti hierarchia e nel
De divinis nominibus di Dionigi l’Aeropagita, nel Tractatus auresus di Ermete Trismegisto,
persino in sant’Agostino, anche se solo come idea (cfr Carl G. Jung, Gli archetipi dell’inconscio
collettivo, cit. p. 4).
4
Carl G. Jung, Il concetto di inconscio collettivo, cit., p. 44.
4
anche in veste di fantasie, e come spesso rivelino la
loro presenza tramite immagini simboliche. Proprio
tali manifestazioni vengono definite dallo studioso
archetipi, e l’esistenza di queste immagini in
popolazioni, razze e continenti diversi, anche in
casi in cui va escluso qualsiasi tipo di contatto fra
di essi, porta Jung a supporre un’origine ereditaria
degli archetipi
5
.
L’archetipo, dice lo psicanalista, è infatti “la
tendenza a formare singole rappresentazioni di uno
stesso motivo che, pur nelle loro variazioni
individuali anche sensibili, continuano a derivare
5
In realtà Jung non ritiene che siano le immagini delle fantasie archetipiche a essere trasmesse
ereditariamente, quanto le possibilità di loro rappresentazione ricorrenti nell’uomo. Lo studioso
riferisce: «Il termine “archetipo” è spesso frainteso in quanto viene identificato con certe immagini
definite o precisi motivi mitologici. Questi, in realtà, non sono altro che rappresentazioni conscie;
sarebbe assurdo pensare che tali rappresentazioni variabili fossero ereditarie». (Carl G. Jung,
Approaching the Unconscious, in Carl G. Jung et al., Man and His Symbols, Aldus Books Limited,
London, 1976, trad. it. Tettucci Robert, “Introduzione all’inconscio”, in L’uomo e i suoi simboli,
TEA, Milano, 1991, p. 52). Ad esempio Gilbert Durand riporta che per Jung l’aspetto
dell’immaggine dell’ anima, uno degli archetipi più importanti, assieme ad animus, ombra,
vecchio saggio, Sé (cfr. infra), è maggiormente motivato dai costumi sociali che determinato
fisiologicamente. Le culture patriarcali contribuiscono infatti a rafforzare l’ animus e ad affievolire
l’anima, così come la società occidentale, tollerando una poligamia di fatto per il maschio, suscita
in quest’ultimo un’anima unificata e consacrata, mentre l’animus della donna, a causa della
monogamia cui è condannata, è polimorfo (cfr. Gilbert Durand, Les structures anthropologiques
de l’imaginair.,Introduction á l’archétypologie générale, Presses Universitaires de France, Paris,
1963, trad. it. Ettore Catalano, Le strutture antropologiche dell’immaginario, introduzione
all’archetipologia generale, Dedalo, Bari, 1984, p. 387).
5
dal medesimo modello fondamentale”
6
; ed ancora:
“La loro origine è ignota e si riproducono in ogni
tempo e in qualunque parte del mondo, anche
laddove bisogna escludere qualsiasi fattore di
trasmissione ereditaria diretta o per ‹‹incrocio››”
7
.
L’archetipo designa dunque un contenuto
psichico non ancora sottoposto a elaborazione
cosciente, anzi esso è preesistente alla stessa
coscienza. In questo senso Jung rovescia la
concezione freudiana dell’inconscio: non è la
coscienza a generare l’inconscio, tramite un
meccanismo di rimozione, bensì è l’inconscio
collettivo a precedere la coscienza in quanto
ricettacolo delle immagini primordiali dell’umanità.
Tra i principali archetipi Jung indica l’Ombra,
l’Anima, l’Animus e il Vecchio Saggio
8
. Il primo di
6
Carl G. Jung, Introduzione all’inconscio, in Carl G. Jung et al., L’uomo e i suoi simboli, cit., p.
52.
7
Ibidem.
8
Sugli archetipi in genere Cfr. Carl G. Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, cit., passim;
Über den Archetypus mit besonderer Berücksichtigung des Animabegriffes, in Zentralblatt für
Psychotherapie und ihre Grenzgebiete, vol. 9 N. 5, 259-75, Lipsia, 1936, trad. it. Lisa Baruffi,
Sull’archetipo, con particolar riguardo al concetto di Anima, in Carl G. Jung, Opere, vol. IX*,
6
essi rappresenta la nostra parte più primitiva e
oscura, ciò che non vorremmo conoscere di noi
stessi. Anima e Animus sono rispettivamente le parti
inconsce del maschile e del femminile; mentre
l’anima è legata alla sfera sentimentale, all’Eros,
l’animus si identifica con il Logos, con la ricerca
della conoscenza e della verità. Infine, il vecchio
saggio rappresenta l’archetipo dello spirito, colui
che “[…] penetra le tenebre caotiche della vita
ordinaria con la luce del significato. È colui che
illumina, guida, maestro e psicopompo”
9
.
Ad ogni modo, fra tutti gli archetipi un posto
principale è occupato dall’archetipo della Totalità:
il Sé, simbolo e al tempo stesso fine di uno
sviluppo globale della personalità definito da Jung
Boringhieri, Torino, 1980, passim; The Meaning of Individuation, in The Integration of
Personality, Farrar & Rinehart, New York e Toronto, 1939, (2ª ed., “Bewusstein, Unbewusstes
und Individuation”, in Zentralblatt für Psychotherapie und ihre Grezgebiete, vol. 11, N. 5, 257-70,
Lipsia, 1939), trad. it. Lisa Baruffi, Coscienza, inconscio e individuazione, in Carl G. Jung, Opere,
vol. IX*, Boringhieri, Torino, 1980, pp. 275 e ss.; Aion-Untersuchungen zur Symbolgeschichte,
Zurigo, 1951, trad. it. Elena Schanzer, Aion: ricerche sulla storia del simbolo, in Carl G. Jung,
Opere, Vol IX**, Boringhieri, Torino, 1979, passim.
9
Carl G. Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, cit., p. 35.
7
“processo di individuazione”
10
. Generato dal
fondamentale conflitto tra coscienza e inconscio, il
processo di individuazione tende all’integrazione
dell’inconscio alla coscienza, alla produzione di
«un “individuo” psicologico, vale a dire un’entità
separata, indivisibile, un tutto»
11
.
L’archetipo del Sé esprime l’obiettivo
dell’intero decorso della vita, e cioè la completezza
umana, la compenetrazione delle forze opposte che
da sempre, con moti alterni, influenzano il nostro
comportamento: la Coniuctio Oppositorum. Esso si
esprime nei molteplici simboli di perfezione
rintracciabili in tutte le culture, nei Mandala ad
esempio, allo studio dei quali Jung dedicò
10
Sull’archetipo del Sé, sul processo di individuazione e sulla sua simbologia cfr. Carl G. Jung,
Coscienza, inconscio e individuazione, cit., passim; Psychologie und Alchimie, Walter Verlag,
Olten, 1944, trad. it. Roberto Balzen, interamente riveduta da Lisa Baruffi, Psicologia e alchimia,
in Carl G. Jung, Opere, vol XII, Boringhieri, Torino, 1992, pp. 38, 181 e ss.; Mysterium
coniuctionis. Untersuchungen über die Trennung und Zusammensetzung der seelischen
Gegensätze in der Alchimie, Rascher, Zurigo, 1955-56, trad. it. Maria Anna Massimello, Carl G.
Jung in Opere, vol. XIV, Boringhieri, Torino, 1989, passim; Zum psycholischen Aspekt der
Korefigur, (Aspetto psicologico della figura di Kore), in Jung Carl Gustav Jung & Kerényi Kàroly,
op. cit., pp. 229,230; Gli archetipi dell’inconscio collettivo, cit., p. 38; Zur Empirie des
Individuationsprozesses, in Gestaltungen des Unbewussten, “Psychologische Abhandlungen“, vol.
7 , Zurigo, 1950 [versione interamente rivista e ampliata della lezione dallo stesso titolo,
pubblicata per la prima volta in Eranos-Jahrbuch 1933], trad. it. Lisa Baruffi, Empiria del processo
d’individuazione, in Carl G. Jung, Opere, vol. IX*, Boringhieri, Torino, 1980, passim.
11
Carl G. Jung, Coscienza, inconscio e individuazione, cit., p. 267.
8
parecchio tempo
12
, oppure nella figura
dell’ermafrodito
13
, o ancora nelle ierogamie o nelle
“nozze regali”
14
.
12
Cfr. Carl G. Jung, “Mandalas”, in Du, Schweizerische Monatsschrift, Zurigo, vol. 15, N.4, 16-21
(gennaio 1955), trad. it. Lisa Baruffi, Che cosa sono i mandala in Carl G. Jung, Opere, vol. IX*,
Boringhieri, Torino, 1980, pasim; Empiria del processo d’individuazione, cit., pp. 315, 342-343;
Psicologia e alchimia, cit., passim; Über Mandalasymbolik, in Gestaltungen des Unbewussten,
“Psychologische Abhandlungen”, vol. 7, Zurigo, 1950, trad. it. Lisa Baruffi, Simbolismo del
Mandala, in Carl G. Jung, Opere, vol. IX*, Boringhieri, Torino, 1980, passim.
13
Cfr. Arthur Cotterell, A dictionary of World Mythology, Oxford University Press, 1979, trad. it.
Manola Stanchi, Dizionario di mitologia, Mondadori, Milano, 1991, pp. 255-256; Robert Graves,
Greek Myths, s.l., 1955, trad. it. Morpurgo Elisa, I Miti Greci, Longanesi, Milano, 1991, p. 58;
Gilbert Durand, op. cit., pp. 293-294; Carl G. Jung, Mysterium coniuctionis, cit., pp. 17, 21; Carl
G. Jung, Psicogia dell’archetipo del Fanciullo, in Carl G. Jung & Karoly Kerényi, op. cit., pp.
138-143. Molto interessante è la tesi dell’androginia divina, ripresa anche da una certa tradizione
alchemica nell’androginia del Cristo. Mircea Eliade, Traité d’histoire des religions, Payot, Parigi,
1948, trad. It. Virginia Vacca, Trattato di storia delle religioni, Boringhieri, Torino, 1972, pp.
435-438; Gilbert Durand, op. cit., p. 301, 305. Vedi anche Zolla: “L’apoteosi rende androgini
come gli dèi egizi, come Dioniso” (Elémire Zolla, Archetypes, Allen & Unwin, Londra, 1981, trad.
it. Grazia Marchianò, Archetipi, Marsilio, Venezia, 2002, p. 88). Anche l’indiano Vishnu è spesso
androgino (cfr. ibidem, p. 117). Ricordiamo inoltre il mito dell’androgino celebranto da Platone
(cfr.Platone, Συµπόσιον (V sec. a.C. circa), trad. it. C. Diano, Simposio, Marsilio,Venezia, 1992,
189c – 193b). Per Durand “Il simbolo del Figlio sarebbe una traduzione tardiva dell’androginato
primitivo delle vanità lunari. Il Figlio conserva la valenza maschile a fianco della femminilità della
madre celeste. Sotto la spinta dei culti solari la femminilità della luna si sarebbe accentuata e
avrebbe perduto l’androginato primitivo di cui un a parte soltanto si conserva nella filiazione. Ma
le due metà, per così dire, dell’androgino non perdono attraverso la loro separazione la loro
relazione ciclica: la madre dà alla luce il Figlio e questo ultimo diventa amante della madre in una
sorta di uroborus eredosessuale” (Gilbert Durand, op. cit., pp. 301-302). Durand ritiene che nella
tradizione alchemica tale ruolo fosse svolto da Ermete Trismegisto; per gli alchimisti egli era il
figlio e il Cristo, l’ermafrodito descritto nelle Nozze chimiche (cfr. Gilbert Durand, op. cit., pp.
304-305). Lo stesso Jung ci dice che “L’equivalente alchemico dell’uomo-Dio e del figlio di Dio
era Mercurio il quale, in quanto ermafrodito, conteneva in sé sia l’elemento femminile, la sapientia
e la materia, sia anche il maschile, lo Spirito Santo e il diavolo” (Carl G. Jung, Mysterium
coniuctionis, cit., p. 34). Sulla figura dell’ermafrodito nell’ opus alchymicum cfr. Arnaldo da
Villanova, Rosarium Philosophorum, in De Alchemia Opuscula complura veterum philosophorum,
vol. II, Frankfurt, 1550, trad. ingl. John F. Ferguson, Bibliotheca Chemica. A Catalogue of the
Alchemical, Chemical and Pharmaceutical Books in the Collection of the Late James Young of
Kelly and Durris, 2 vols., Glasgow, 1906, sito web “The Alchemy Web Site”
(http://www.alchemywebsite.com/index.html), visitato il 18 dicembre 2003.
14
Il motivo della coppia divina o della coppia regale non è simbolicamente dissimile da quello
dell’ermafrodito (Cfr. Mircea Eliade, Trattato di storia delle religionis, cit., pp. 84, 246-248;
Robert Graves, op. cit., pp. 25-26; Arthur Cotterell, op. cit., pp. 302-303; Johann Valentin
Andreae, Chymische Hochzeit Christian Rosenkreutz (1459), trad. it. Le nozze chimiche, Atanòr,
Roma, 1997, passim; Robert J. Steward, Creation myth, Element Books Ltd., Shaftesbury
9
Tuttavia, nel mondo inconscio, ed in particolar
modo negli archetipi, assieme agli aspetti positivi
che possono derivare da un’antica saggezza di
inestimabile valore, si celano al tempo stesso
temibilissimi pericoli. Se le immagini archetipiche
rappresentano una componente essenziale
all’interno del processo di individuazione, che come
abbiamo visto può condurre l’uomo accorto sulla
strada per la completezza, parimenti dietro essi è
perennemente in agguato il germe della distruzione.
Un primo pericolo è quello di soccombere
all’archetipo, il quale, a causa della sua
“numinosità” e del suo grado di autonomia,
potrebbe liberarsi da ogni controllo cosciente e dare
origine a fenomeni di possessione
15
. Inoltre, se
l’assimilazione totale dell’inconscio da parte della
coscienza è solamente improponibile, la tendenza
(Dorset), Rockport (Massachusetts), 1989, trad. it. Vittorio Cucchi, I miti della creazione, Xenia,
Milano, 1993, p. 48; Gilbert Durand, op. cit., pp. 231.
15
Numinosità e autonomia sono due delle tre caratteristiche dell’immagine archetipica indicate da
Jung (la terza è ilcarattere inconscio). Con il concetto di numinosità lo studioso indica l’intensità e
l’influenza che l’archetipo può esercitare. Sul concetto di pericolosità dell’archetipo vedi Carl
Gustav Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, cit., pp. 20, 37.
10
opposta, quella cioè della sua repressione, può
risultare catastrofica, potendosi ripercuotere contro
noi stessi.
Del resto, Jung sembra voler mettere in guardia
l’uomo moderno da tali insidie. I suoi scritti sono
pieni di riferimenti ad un “disagio della civiltà” che
attanaglia il mondo occidentale, ad un uomo che ha
ormai perduto i suoi simboli storici e culturali, e
innanzi al quale si spalanca un nulla che si riempie
di idee politiche e sociali assurde
16
. Sono pagine
nelle quali indubbiamente risalta l’influenza
dell’irrazionalismo fin de siècle, dominante nella
cultura tedesca di quegli anni, e Jung del resto è
svizzero solo per nascita, non per formazione
culturale
17
.
16
Cfr. Carl G. Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, cit., pp. 13-14.
17
Nell’ultimo decennio dell’Ottocento il razionalismo positivista, con la sua concezione
meccanicistico-deterministixca della vita, entrò in una cisi radicale. A cavallo fra il XIX e il XX
nessun settore della cultura europea rimase insensibile al fascino dell’irrazionale e dell’inconscio.
Ovviamente viene da pensare per prima cosa alla nascita della psicoanalisi, ma a ben guardare ci si
accorge che questo fu solo un piccolo tassello in un disegno ben più grande. Come non ricordare
ad esempio la diffusione della filosofia Nietzchiana, la serrata polemica antipositivista che
caratterizzò il pensiero filosofico, portata avanti, pur con modalità differenti, da spiritualismo e
neo-criticismo; o ancora i movimenti d’avanguardia nelle arti scritte e figurative (il dadaismo, il
futurismo, successivamente il surrealismo), il teatro dell’assurdo di Becket e Ionesco, la fortuna
11
Ad ogni buon conto, non sembra priva di
fondamento l’ipotesi sulla pericolosità di certe
immagini inconsce. Per essere più precisi, va
ripetuto che la pericolosità non sta tanto nelle
immagini in sé, nelle forze ctonie che popolano la
nostra psiche, quanto nell’ostinato tentativo di
reprimerle, rifiutando di considerarle parte di noi
stessi. In questo caso esse possono venire allo
scoperto e sprigionare tutta la loro carica
devastante
18
. I loro simboli sconfinano nella
che ebbe l’opera di Richard Wagner, con il suo indomito incedere tipicamente teutonico; per non
parlare di fenomeni “limite” come il crescente interesse per lo spiritismo o la teosofia. La crisi
dello scientismo positivistico ebbe ovviamente una precisa traduzione anche nel campo delle
ideologie politiche, dove si fece avanti in particolar modo il nazionalismo antidemocratico, che
nella sua accezione tedesca avrà un’influenza determinante nell’elaborazione del mito della
superiorità germanica in termini razzisti. Sembrò quasi che la vecchia Europa fosse stata colta da
un’afflato vitalistico che l’avrebbe transitata, parafrasando Nietzche, da una tradizione culturale
tipicamente apollinea ad una nuova dimensione irrazionalmente dionisiaca. Sull’argomento vedi
Massimo L. Salvadori, Storia dell’età contemporanea. Dalla restaurazione a oggi, Loescher,
Torino, 1990, pp. 409-416; Richard Noll, The Jung Cult, Princeton University Press, 1994, trad. it.
Massimo Parizzi, Jung, il profeta ariano, Mondadori, Milano, 1999, pp. 13-129.
18
Cfr. Carl G. Jung et al., L’uomo e i suoi simboli, pp. 75-77. Sull’argomento, e in particolare
sulla pericolosità dell’archetipo della “Grande Madre”, vedi Domenica Mazzù, Il complesso
dell’usurpatore, Giuffrè, Milano, 1999, pp. 164-167; Erich Neumann, Die Bedeutung des
Erdarchetyps für die Neuzeit, in Eranos.Jahrbuch 22-1953, Ascona, Fondazione Eranos, 1954,
trad. it. Donatella Besana, Il significato dell’archetipo della terra nell’era moderna, in Erich
Nuumann, Karl Kerényi, Daisetz T. Suzuki, Giuseppe Tucci, La terra Madre e Dea. Sacralità
della natura che ci fa vivere, Red., Como, 1989, passim, in particolare pp. 37 ss.; Claudio Risé, La
storia mitica delle nazioni oggettive nei conflitti identitari postmoderni, in AA. VV., Il nuovo volto
di Ares o il simbolico nella guerra post moderna¸ Cedam, Padova, 1999, passim.
Claudio Bonvecchio, Imago imperii imago mundi. Sovranità simbolica e figura imperiale, Cedam,
Padova, 1997, cap. III.3. “Imperatore e vittima”; Bellum omnium contra omnes, il simbolico e la
guerra post-moderna, in AA. VV., Il nuovo volto di Ares o il simbolico nella guerra post-
moderna, cit., passim. In quest’ultima opera Bonvecchio sostiene che il fluire allo scoperto della
12
dimensione cosciente, l’assaltano, la divorano,
infine la possiedono:
la coscienza si ribella, proclamando la sua
totale lontananza dall’Ombra. La coscienza,
tuttavia, ne è signoreggiata e quanto più la
disconosce, rifiutando la sua origine
inconscia, tanto più vi cade in preda, con
effetti devastanti
19
.
Ci rendiamo conto che esponendo la questione
in questi termini si potrebbe pensare di avere a che
fare con fenomeni che esulano da un contesto
propriamente scientifico. In realtà, nonostante lo
stile “ieratico” ed a tratti ermetico di Jung, lo
psicanalista si riferisce costantemente a fenomeni
biologici, sebbene la natura di questi rimanga per
dimensione inconscia sia particolarmente evidente all’interno di quella che egli definisce guerra
“post-moderna”. Questa, a differenza delle guerre classiche e moderne, è caratterizzata da un
affievolirsi della funzione di controllo operata dalla coscienza individuale e collettiva, cosa che
determina la comparsa di “numi e demoni antichi”, di forze archetipiche inconsce, da tempo
rimosse o razionalizzate, volutamente neutralizzate dalla guerra moderna.
19
Claudio Bonvecchio, Imago imperii imago mundi. Sovranità simbolica e figura imperiale, cit.,
p. 162.
13
molti versi misteriosa. Come si è visto è infatti
possibile rintracciare un parallelo fra gli archetipi
di Jung e i ben più “rassicuranti” istinti delle razze
animali, patrimonio oramai riconosciuto delle
scienze biologiche. Parimenti, riteniamo doveroso
ribadire la propensione verso l’accettazione di una
natura esclusivamente biologica dell’inconscio
collettivo, senza nulla concedere ad ipotesi
“trascendenti”. Più specificatamente, quando
parliamo di natura biologica, ci riferiamo a
disposizioni della struttura psichica, a tendenze
congenite della razza umana.
L’esempio più immediato di tali disposizioni è
rappresentato indubbiamente dalla tendenza della
mente umana ad essere attratta verso particolari
immagini, come il cerchio, il quadrato o il
triangolo, giusto per citare le più comuni. É noto a
tutti, infatti, come tali immagini siano ricorrenti
nelle tradizioni mitico-religiose dei più disparati