1
1. INTRODUZIONE
L’idea dello studio sperimentale applicato alle olle ad impasto rossiccio è nata con lo
scopo di indagare il rapporto esistente tra la classe d’impasto e le forme funzionali
dei grandi vasi, rinvenuti in abbondanza nel sito costiero della prima età del ferro di
Duna Feniglia – loc. Ansedonia, Orbetello (GR), nell’ambito del progetto di ricerca
“Paesaggi d’Acque” condotto, a partire dal 2000, dal Centro Studi Preistoria e
Archeologia – Onlus in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano e la
Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana.
La sperimentazione oggetto del presente lavoro, intende sottoporre a preliminare
verifica sperimentale le ipotesi formulate riguardo alle attività che si svolgevano
negli insediamenti costieri denominati “giacimenti di olle ad impasto rossiccio”,
rinvenuti lungo il litorale medio-tirrenico e datati tra la fine del Bronzo Finale e la
prima età del ferro. Lo studio vuole avvicinarsi alla funzionalità della ceramica
cercando di comprendere le relazioni esistenti tra la classe d’impasto, la forma e
l’uso inserite nel quadro economico e politico che vede un nuovo assetto territoriale
in funzione dello sviluppo protourbano di quelli che saranno i centri maggiori
dell’Etruria subcostiera.
Il sito di Duna Feniglia, indagato mediante scavo stratigrafico dal 2003, è stato scelto
in questa sede come rappresentativo del fenomeno di stanziamento costiero sia per la
sistematicità della ricerca, sia per la presenza di particolari strutture e per la grande
quantità di materiale ceramico rinvenuto; è stato inoltre considerato quale punto di
riferimento per la tipologia delle forme ceramiche riprodotte sperimentalmente
1
.
La prima parte del lavoro consiste in una generale introduzione riguardante gli studi
e le finalità dell’archeologia sperimentale, e in una contestualizzazione storica e
geografica dei siti costieri medio-tirrenici con particolare riferimento a Duna Feniglia.
Nella seconda parte si affronta il tema della sperimentazione in relazione ai dati
emersi durante le campagne di scavo condotte dall’anno 2003.
1
La trattazione della tipologia dei materiali del sito di Duna Feniglia si trova in Benedetti et alii 2008.
2
A partire dallo studio geologico e territoriale dell’area circostante Orbetello, si è
cercato di definire la zona di approvvigionamento dell’argilla, la quale è risultata
trovarsi nel raggio di 10 km di distanza dal sito; sono state in seguito affrontate le
fasi di realizzazione delle forme ceramiche sulla base del preliminare studio
tipologico dei materiali rinvenuti in Duna Feniglia.
Il fulcro della ricerca si è svolto presso il Laboratorio di Archeologia Sperimentale
Gli Albori, dove è stata affrontata la sperimentazione vera e propria sulle modalità di
utilizzo delle olle ad impasto rossiccio, considerando le ipotesi che i siti costieri
medio-tirrenici della prima età del ferro costituissero una rete di stanziamenti
artigianali all’interno del raggio di influenza dei grandi centri protourbani subcostieri
dell’Etruria, e che fossero volti alla produzione intensiva di sale. Il lavoro è stato
eseguito rispettando i criteri di scientificità che la sperimentazione richiede e
mantenendo, in tutte le fasi della ricerca, quel rigore metodologico senza il quale
l’archeologia sperimentale non sarebbe piø tale. Tutte le fasi della sperimentazione
sono state documentate con disegni dei materiali (Tavole di Documentazione
Grafica), con fotografie (Tavole di Documentazione Fotografica), misurazioni e
schede riassuntive per una lettura scientifica e sistematica delle operazioni svolte
(Schede di Riproduzione Sperimentale). Tutte le schede sono state studiate e
realizzate dalla scrivente nell’ambito di questo lavoro.
L’indagine intorno all’uso della ceramica replicata sperimentalmente si è rivolta
all’esame delle ipotesi circa la vocazione produttiva dei siti costieri di olle ad
impasto rossiccio: è stata verificata l’effettiva possibilità di estrarre sale dall’acqua di
mare mediante bollitura di questa nelle olle, allestendo un focolare simile, nella
struttura, a quello rinvenuto in Duna Feniglia, ma di dimensioni ridotte.
Le successive operazioni di estrazione del prodotto dai vasi, le osservazioni
macroscopiche delle tracce lasciate dalla presenza di sale sulle pareti delle olle, le
valutazioni delle condizioni dei contenitori, insieme al confronto con i frammenti
ceramici rinvenuti nel sito di Duna Feniglia, hanno permesso di giungere ad alcune
considerazioni circa le attività produttive ipotizzate.
3
Una prima riflessione ha riguardato la stagionalità della lavorazione delle acque
marine mediante bollitura: si è concluso che questa pratica doveva probabilmente
svolgersi in inverno, stagione in cui l’evaporazione naturale dell’acqua in strutture
assimilabili a saline non garantiva una resa sufficiente, in modo che
l’approvvigionamento di sale fosse assicurato durante tutto l’anno. In un secondo
momento della sperimentazione, la facilità di estrazione dei cristalli di sale prodotto
per ebollizione dell’acqua, ha suggerito di non considerare l’ipotesi di frattura
intenzionale dei contenitori in favore dell’ipotesi dello scarto di questi dovuto a
successivi riutilizzi fortemente deterioranti e distruttivi per gli impasti ceramici.
Questo dato potrebbe spiegare la presenza, in Duna Feniglia in modo particolare e
nei siti costieri in generale, dell’enorme cumulo di materiale ceramico rinvenuto
all’interno di una fossa.
Si sono inoltre intraviste nuove possibilità di indagine ai fini di una comprensione su
piø larga scala del fenomeno dello stanziamento costiero volto alla produzione di
sale, nella direzione di uno studio delle implicazioni sociali, politiche ed economiche
relative ad un piø ampio contesto territoriale. Considerando il carattere artigianale
dei siti costieri medio-tirrenici nella prima età del ferro, la loro diffusa dislocazione,
la presenza di altri insediamenti lungo le valli fluviali , emerge il quadro di una rete
produttiva e commerciale gravitante nell’orbita dei grandi centri protourbani
subcostieri. Il sito di Duna Feniglia rientrava verosimilmente nel raggio di influenza
di Vulci, che destinava una parte della sua popolazione alle attività produttive sulla
costa, mentre organizzava altri centri minori lungo le valli fluviali con probabili
funzioni sia di controllo delle vie di comunicazione tra la costa e l’entroterra, sia di
trasporto e smistamento della preziosa merce di scambio. Tale situazione sembra
quindi indicativa di un complesso universo sociale ed economico in cui
l’organizzazione del lavoro, con la diversificazione dei compiti produttivi, era molto
articolata: la manifattura stessa della ceramica necessaria alle attività lavorative dei
siti costieri, pur non richiedendo maestranze particolarmente specializzate, avveniva
localmente seguendo un ciclo organizzativo di approvvigionamento e trattamento
dell’argilla e di reperimento del combustibile necessario non soltanto per la cottura
4
dei vasi, ma anche per le attività di estrazione del sale, che a loro volta dovevano
richiedere una loro ben definita logistica. Accanto ai lavori piø propriamente
produttivi, si devono considerare, inoltre, le operazioni legate al trasporto delle merci
lungo le vie verso l’entroterra, svolte verosimilmente dagli stanziamenti presenti
nelle valli fluviali e facenti capo anch’essi a Vulci.
La comprensione della problematica relativa alla produzione e alla distribuzione del
sale nella prima età del ferro, sembra quindi richiedere un approfondimento della
ricerca sperimentale intorno alle potenzialità produttive dei siti costieri di olle ad
impasto rossiccio, per incrociare poi i risultati ottenuti con i dati noti intorno alle
condizioni economiche e politiche dei centri maggiori e definire infine, con piø
precisione, il quadro sociale di articolazione del lavoro che pare di poter scorgere.
Desidero ringraziare la Prof.ssa Chiaramonte, relatore di questa tesi, per l’aiuto
fornitomi durante la stesura e per la grande disponibilità e cortesia dimostratemi.
Ringrazio sentitamente la Prof.ssa Negroni Catacchio, direttore dello scavo di Duna
Feniglia e presidente del Centro Studi Preistoria e Archeologia – Onlus, per avermi
consentito di muovere i primi passi “sul campo” e per avermi permesso di crescere,
negli anni, nello studio di un contesto archeologico di grande interesse.
Ringrazio in modo particolare il Dott. Riccardo Chessa, titolare del Laboratorio di
Archeologia Sperimentale Gli Albori, senza la cui enorme esperienza e conoscenza
non avrei potuto affrontare questo lavoro in maniera scientifica.
Ringrazio il Corpo Forestale dello Stato, nella persona dell’Ispettore Capo Eugenio
Sereni, per l’infinita disponibilità e per aver sempre fornito un indispensabile aiuto
alle operazioni di scavo e alla mia ricerca in particolare.
Ringrazio inoltre con affetto la Dott.ssa Laura Benedetti, amica e maestra, per avermi
sostenuta e consigliata; la Dott.ssa Cecilia D’Aliberti, per il suo sguardo attento da
fotografa; la Dott.ssa Irene Cappello, amica e instancabile aiutante; ringrazio di cuore
la mia famiglia, per avermi sempre dato fiducia e sostegno, e tutte le persone che
hanno contribuito, nei modi piø diversi, alla realizzazione di questo lavoro.
5
2. STORIA, FINALITÀ E APPLICAZIONI DELLA SPERIMENTAZIONE
ARCHEOLOGICA
L’archeologia sperimentale è una branca dell’archeologia che nasce in ambiente
anglosassone e si fa spazio tra gli studi di carattere scientifico a partire dagli anni
Sessanta del XX secolo, sulla scia dell’indagine processuale della New Archaeology
(Vidale 2004), grazie al lavoro di John Coles (Coles 1979) e di Peter Reynolds
(Reynolds 1999). Quest’ultimo, dal 1972 divenne direttore di uno dei piø importanti
centri di ricerca archeologica del Regno Unito: la Butser Ancient Farm
2
, una fattoria
dell’età del ferro che si trova a Petersfield, nella campagna dello Hampshire, in cui la
sperimentazione riguarda tutti gli aspetti della vita nel passato, dalla tecnologia alla
produzione, dall’agricoltura all’allevamento.
Un altro esempio notevole e ancora oggi attivo, nato nel 1964 ad opera dell’etnologo
Hans-Ole Hansen, è il laboratorio sperimentale danese di Lejre Land of Legends
3
, in
cui coesistono villaggi e strutture riferite ai piø diversi periodi storici, dalla preistoria
al medioevo. Dal 2003 un’iniziativa del centro di Lejre ha creato un’associazione
internazionale non-profit, EXARC International Organisation of Archaeological
Open Air Museums and Experimental Archaeology
4
, un network di professionisti che
assicura lo scambio e la diffusione di conoscenze ed esperienze attraverso un
costante contatto garantito dal web.
Il crescente interesse nei confronti del nuovo approccio metodologico, insieme al
dibattito filosofico nato intorno alle esigenze di trovare spiegazioni ai fenomeni
archeologici fino ad allora osservati e studiati, nel corso degli anni Ottanta diede il
via a numerose altre attività di archeologia sperimentale in tutto il mondo. I centri
nati con tali finalità di ricerca, in Europa e poi anche in Italia, sono i parchi
2
www.butserancientfarm.co.uk
3
www.landoflegends.dk
4
www.exarc.net
6
archeologici, i musei all’aperto (open air museums), e i centri di ricerca e di
formazione che coniugano al lavoro scientifico di ricerca e pubblicazione, un aspetto
di non secondaria importanza: l’attività esperienziale come eccellente metodo di
insegnamento da cui nasce una didattica coinvolgente ed efficace a tutti i livelli di
apprendimento. Tra questi, esempi di successo sono lo Jorvik Viking Centre di York,
collegato all’Archaeological Resource Centre (ARC)
5
, il Federseemuseum
6
e il
Pfahlbau Museum
7
di Unteruhldingen sul Lago di Costanza in Germania.
Anche in Italia si trovano alcuni centri per la sperimentazione archeologica e la
didattica. L’Istituto Italiano di Archeologia Sperimentale (I.I.A.S.)
8
, nato a Milano
nel 1986 e con sede ora a Genova, si occupa principalmente di ricerca preistorica e
protostorica, lavora in collaborazione con il Ministero per i Beni Culturali e con Enti
Statali e Locali.
Degno di nota è il Laboratorio di Archeologia Sperimentale Gli Albori
9
, nel cuore
della Maremma toscana, fondato da Riccardo Chessa il quale ha fornito un prezioso e
indispensabile supporto scientifico al presente lavoro. La Toscana offre inoltre
attività di archeologia didattica associata ai parchi naturali e archeologici, presso i
Parchi della Val di Cornia (LI): nel Parco Archeominerario di San Silvestro e nel
Parco Archeologico di Baratti e Populonia
10
; mentre nel viterbese si trova un centro
di ricerca e formazione, il Centro Antiquitates
11
.
L’Italia vanta un centro, il Parco Archeologico e Museo all’aperto della Terramara
di Montale (MO)
12
, ideato e diretto dal Prof. A. Cardarelli, che è uno dei protagonisti
del progetto europeo Archeolive
13
, un sistema internazionale di musei all’aperto
dedicati alla promozione e alla diffusione del patrimonio culturale preistorico
5
www.vikingjorvik.com
6
www.federseemuseum.de
7
www.pfahlabuten.eu
8
www.iias.it
9
www.glialbori.com
10
www.parchivaldicornia.it
11
www.antiquitates.it
12
www.parcomontale.it
13
www.liveARCH.eu
7
europeo. Nel mantovano, anche il Parco Archeologico del Forcello di Bagnolo S.
Vito coniuga l’attività scientifica di ricerca sperimentale alla didattica
14
.
Al giorno d’oggi è fondamentale definire le pratiche e le finalità dell’archeologia
sperimentale, e porre un netto confine con quella che può essere definita
“archeologia imitativa” o “falsa archeologia sperimentale”: una serie di
entusiasmanti quanto poco scientifiche attività che, svolte senza alcun rigore
metodologico, ripropongono romanticamente la rievocazione del passato o la vita
nella preistoria, stimolando interessi che vanno ben oltre i confini della ricerca
archeologica. Tale approccio spettacolarizzante, non solo non porta alcun tipo di
contributo allo studio dell’archeologia ma concorre a creare scetticismo e talvolta
discredito nei confronti dell’archeologia sperimentale come attività di ricerca.
Un’altra distinzione deve essere posta tra la sperimentazione archeologica e le
attività con finalità esperienziali che riguardano la riproduzione di tecniche e
lavorazioni ormai note quali, per esempio, la scheggiatura della selce, l’accensione
del fuoco, la lavorazione della ceramica o dei metalli. L’esperienza archeologica
consente di imparare e/o mettere in atto una tecnica favorendo la comprensione di
quelle che potevano essere le modalità produttive e le problematiche relative a
determinate pratiche del passato, suscitando nei partecipanti alle attività, un
atteggiamento positivo di curiosità nei confronti della tematica archeologica. Per tale
motivo l’attività esperienziale trova un notevole sviluppo nell’ambito
dell’apprendimento.
Tuttavia, senza sminuire l’importanza della didattica e della divulgazione, la
differenza tra esperienziale e sperimentale è consistente. L’archeologia sperimentale
è un metodo scientifico di ricerca che, attraverso l’uso attivo dell’esperimento,
contribuisce a fornire nuove spiegazioni e a confermare oppure smentire
interpretazioni elaborate dai dati di scavo (Reynolds 1999). I grandi ambiti tematici
14
www.parcoarcheologicoforcello.it
8
di questa disciplina si possono così riassumere: esperimenti che studiano la
tecnologia, le tecniche produttive e le tecniche costruttive; esperimenti che studiano
le influenze reciproche tra l’uomo e il territorio in cui vive; esperimenti di lungo
periodo che studiano i processi di formazione e si rivolgono alla comprensione dei
tempi e delle modalità di alterazione e formazione dei resti archeologici rinvenuti.
Tale distinzione degli ambiti di studio, non toglie che la ricerca archeologica
necessita sempre di mantenere un ampio sguardo rivolto simultaneamente a tutti gli
aspetti della vita dell’uomo nel passato, avvalendosi di una molteplicità di supporti
disciplinari che spaziano dalla chimica alla geologia, dalla biologia all’informatica.
Mediante l’applicazione allo studio del passato delle regole del Metodo sperimentale
(o scientifico empirico) galileiano, il punto di partenza dell’esperimento archeologico
è costituito dall’interpretazione dei dati prodotti dallo scavo archeologico. Al termine
“interpretazione”, che implica piena comprensione, si preferisce però sostituire il
termine “ipotesi”, che ha in sØ l’idea di deduzione sottoponibile a verifica (Reynolds
1999). Al fine di condurre a risultati scientifici e quindi alla formulazione di una
teoria, la verifica sperimentale deve necessariamente rispettare i criteri metodologici
che impongono l’utilizzo di tecniche, materie prime e condizioni lavorative, esistenti
al tempo a cui l’esperimento si riferisce, quindi senza che vi sia l’interferenza di
tecnologie o di materiali moderni la quale falserebbe le conclusioni in maniera
tutt’altro che trascurabile
15
.
15
Risulta quindi evidente che la manualità dell’archeologo sperimentalista, deve sempre essere
supportata da un costante lavoro di ricerca e studio, affiancato dalla collaborazione di altri specialisti
quali archeometristi, chimici, biologi, fisici, geologi, etnologi.
Metodo Sperimentale Galileiano:
Applicando all’archeologia il Metodo galileiano, le prime tre fasi di osservazione e
misurazione del fenomeno e di
archeologico.
Dallo schema risulta chiaro che il prodotto a cui tende l’archeologia sperimentale è il
dato, la formulazione di una teoria, non tanto l’esperimento in sØ il quale costituisce
l’indispensabile fase di
sperimentazione archeologica, cioè nella riproduzione e nell’uso del manufatto
secondo i rigorosi criteri dettati dal rispetto delle condizioni esistenti nel periodo
storico in questione: tale esperimento deve avere le caratteristiche di essere ripetibile
in condizioni analoghe, a conferma che la regola enunciata in seguito abbia valenza
universale, ma anche ripetuto nel corso dello studio, a garanzia che i risultati non
siano frutto di casualità.
Metodo Sperimentale Galileiano:
Applicando all’archeologia il Metodo galileiano, le prime tre fasi di osservazione e
misurazione del fenomeno e di registrazione dei dati, sono relative allo scavo
Dallo schema risulta chiaro che il prodotto a cui tende l’archeologia sperimentale è il
dato, la formulazione di una teoria, non tanto l’esperimento in sØ il quale costituisce
fase di test delle ipotesi formulate. La verifica consiste nella
sperimentazione archeologica, cioè nella riproduzione e nell’uso del manufatto
secondo i rigorosi criteri dettati dal rispetto delle condizioni esistenti nel periodo
e esperimento deve avere le caratteristiche di essere ripetibile
in condizioni analoghe, a conferma che la regola enunciata in seguito abbia valenza
universale, ma anche ripetuto nel corso dello studio, a garanzia che i risultati non
osservazione
misurazione
registrazione dei dati
formulazione di un'ipotesi
verifica sperimentale
formulazione di una teoria
9
Applicando all’archeologia il Metodo galileiano, le prime tre fasi di osservazione e
registrazione dei dati, sono relative allo scavo
Dallo schema risulta chiaro che il prodotto a cui tende l’archeologia sperimentale è il
dato, la formulazione di una teoria, non tanto l’esperimento in sØ il quale costituisce
delle ipotesi formulate. La verifica consiste nella
sperimentazione archeologica, cioè nella riproduzione e nell’uso del manufatto
secondo i rigorosi criteri dettati dal rispetto delle condizioni esistenti nel periodo
e esperimento deve avere le caratteristiche di essere ripetibile
in condizioni analoghe, a conferma che la regola enunciata in seguito abbia valenza
universale, ma anche ripetuto nel corso dello studio, a garanzia che i risultati non
10
Una volta effettuata la sperimentazione, la teoria formulata deve essere criticamente
raffrontata con i dati sopra i quali è stata formulata l’ipotesi: se il confronto è
positivo, questa può essere accettata come valida; se invece è negativo, il rifiuto
dell’ipotesi può portare all’elaborazione di una nuova supposizione da sottoporre a
ulteriore sperimentazione (Reynolds 1999). Tale apparente rigidità, tiene conto della
possibilità che in ambito archeologico possa esistere piø di un’ipotesi la cui
formulazione muove sempre dal ragionamento deduttivo e, trattandosi di un contesto
antropologico, questo passaggio non deve mai trascurare la presenza della variabile
comportamentale. Tra le componenti umane da tenere in considerazione, un posto di
rilievo occupa il fattore tempo, che può essere il tempo di realizzazione di un
manufatto o quello di utilizzo di una tecnologia: la difficoltà dell’archeologia
sperimentale consiste proprio nell’operare senza che condizionamenti moderni
interferiscano nel lavoro di ricerca. I condizionamenti moderni derivano dalla
distanza cronologica, sociale e di mentalità che esiste tra noi e le società oggetto
degli studi e riguardano, ad esempio, la concezione del tempo, infatti l’odierna
percezione del tempo è sicuramente diversa rispetto a quella del passato, anche del
passato recente; essi limitano inoltre la comprensione degli antichi concetti di utilità
e di bisogno e di conseguenza influenzano lo studio del rapporto tra sforzo impiegato
in un determinato lavoro e risultato ottenuto.
Negli ultimi anni anche il mondo accademico italiano ha rivolto la propria attenzione
alla sperimentazione, riconoscendone il valore di supporto alle problematiche di
metodologia della ricerca archeologica. L’insegnamento di Archeologia
Sperimentale è attivo presso l’Università di Siena e presso l’Università di Roma1,
mentre in diversi altri atenei, tra cui Milano, l’archeologia sperimentale è un
argomento trattato nei programmi del corso in Metodologie e tecnica della ricerca
archeologica.
11
3. INSEDIAMENTI ARTIGIANALI COSTIERI TRA TOSCANA E LAZIO
NELLA TARDA ETÀ DEL BRONZO E NELLA PRIMA ETÀ DEL FERRO
Il mutamento degli assetti politco-territoriali dell’Italia peninsulare verificatosi tra
Bronzo Finale e la fase iniziale della prima età del ferro, nel contesto culturale
Protovillanoviano e Villanoviano, è alla base del vistoso fenomeno di intensa
occupazione delle aree costiere medio-tirreniche
16
. Alla consistente diminuzione del
numero degli abitati avvenuta durante l’età del bronzo finale in funzione di un
sinecismo verso i principali centri della zona, segue la spinta alla rioccupazione di
nuovi territori e alla creazione di nuovi piccoli centri dipendenti dagli stanziamenti
maggiori e collocati in punti strategici del territorio: lungo la fascia litoranea con
immediato sbocco al mare e nelle zone lagunari
17
(Arcangeli 2002), ma
un’occupazione consistente deve avere interessato anche le aree collinari piø interne
in posizione di controllo delle zone piø periferiche destinate alle attività legate alla
costa ma anche delle vie di comunicazione che, attraverso le valli fluviali, mettevano
in comunicazione la costa stessa con l’entroterra (Pacciarelli 1991b, 2000).
L’area geografica interessata dal fenomeno insediativo si estende, da Nord a Sud
lungo il litorale, all’incirca tra Livorno e il massiccio del Circeo. Nonostante alcuni
siti risalgano all’età del bronzo finale, la superiorità numerica delle testimonianze
comprese nel territorio va attribuita alla prima età del ferro, pur considerando la
parzialità della documentazione dovuta anche ai fenomeni di erosione marina e alla
progressiva cementificazione (Pacciarelli 1991a, 2000).
16
Numerose sono le pubblicazioni sull’argomento. Si ricordano: Torelli 1981; D’Agostino 1985;
Bartoloni 1986, 1987; Peroni - di Gennaro 1986; Delpino 1986; Pacciarelli 1990, 1991a, 1991b, 2000;
Negroni Catacchio 2006; Negroni Catacchio - Cardosa 2002,, 2008; Cardosa 2002; Belardelli –
Pascucci 1996, 2002.
17
Le coste della Maremma, come quelle della piana Pontina piø a sud, presentano forti caratteri di
ambiente paludoso e malsano. Per tale motivo i grandi centri etruschi, fatta eccezione per Populonia,
sorsero distanti dal mare pur mantenendo un facile accesso al litorale (Torelli 1981).
12
Se la topografia suggerisce di porre gli insediamenti costieri nel quadro del processo
di riorganizzazione territoriale promossa dai grandi centri protourbani
18
(Populonia,
Vulci, Tarquinia, Veio, Chiusi, Orvieto e Caere), è possibile individuare un nesso tra
risorse ambientali e sviluppo, in un sistema in cui l’interazione fra l’uomo e
l’ambiente condiziona necessariamente i rapporti di produzione. I centri protourbani
inaugurarono dunque nuovi sistemi produttivi e, in questo contesto di sviluppo, la
frequentazione intensa delle zone litoranee potrebbe trovarsi in relazione con
l’incremento di attività artigianali collegate all’ambiente marittimo e costiero
(Pacciarelli 1990, 1991a, 2000) e quindi con la differenziazione specializzata del
lavoro.
Per quanto riguarda l’area litoranea relativa al territorio dell’Etruria settentrionale, si
registrano insediamenti costieri con caratteristiche artigianali e produttive. La fascia
costiera settentrionale, nel livornese, presenta un caso di studio importante per il
rapporto dialettico tra uomo e ambiente tra fine del Bronzo Antico e prima età del
ferro: il sito di Isola di Coltano, sorto su un sistema dunale pleistocenico ai margini
di una laguna. Il lungo periodo di continua rioccupazione del sito, acquitrinoso e
quindi malsano, sembra indicare che le attività produttive che vi si svolgevano
vincevano sugli svantaggi che una vita ai margini di una laguna poteva comportare
(Di Fraia – Secoli 2002). Altri rinvenimenti costieri riferibili a orizzonti culturali piø
recenti rispetto a quelli di Isola di Coltano, tra Bronzo Finale e Primo Ferro,
consistono in aree di fuoco e in grandi quantità di frammenti ceramici costituiti in
maggioranza da olle con orlo estroflesso, di impasto grossolano, di colore rosso-
bruno, con superfici sommariamente steccate. Tali evidenze, insieme alla
collocazione territoriale dei siti, suggeriscono che gli insediamenti avessero una
18
Con il termine “centri protourbani" si intendono quelle concentrazioni insediative riferibili a una
fase evoluta dell’età del bronzo finale che si pongono alla base di quelli che saranno i principali centri
urbani dell’area tirrenica, sia per quanto riguarda gli aspetti sociali ed economici , sia dal punto di
vista dell’estensione e dell’organizzazione topografica degli abitati (Pacciarelli 1991b).
13
destinazione specializzata, produttiva e verosimilmente anche redistributiva, in cui
era coinvolto l’utilizzo dei grandi contenitori ritrovati in frammenti (Pasquinucci -
Del Rio - Menchelli 2002).
Le attività ipotizzate riguardano la produzione di sale mediante bollitura, un prodotto
immediatamente collegato alla risorsa marina con un elevato valore di scambio
poichØ era un elemento indispensabile per la conservazione di carne e di pesce o per i
processi di salatura nella caseificazione: il sale veniva quindi impiegato a scopo
alimentare e veniva estratto in grandi quantità per venire incontro alle esigenze
crescenti dei maggiori centri abitati.
L’Etruria centro-meridionale pare condividere la tendenza dell’Etruria nord-
occidentale, anzi vede il modello insediativo dell’età del ferro nella sua piø completa
espressione. Per quanto riguarda l’area costiera antistante il massiccio dei Monti
della Tolfa, C. Belardelli e P. Pascucci hanno svolto un lavoro sistematico di
revisione critica dei dati di documentazione relativi ai materiali della prima età del
ferro, rinvenuti a partire dalla fine degli anni ’30 del secolo scorso in seguito alle
ricognizioni di S. Bastianelli, A. M. Radmilli, F. Barbaranelli, R. Peroni, O. Toti, F.
di Gennaro e M. Pacciarelli, fino alle piø recenti indagini condotte da V. D’Ercole, F.
Trucco, F. di Gennaro e A. Mandolesi
19
(Belardelli - Pascucci 1996, 2002). Le
caratteristiche comuni a questi siti, denominati “giacimenti di olle ad impasto
19
S. Bastianelli, ispettore onorario della Soprintendenza e studioso locale, pubblicò nel 1939 la carta
archeologica del territorio di Civitavecchia, indicando i ritrovamenti (da lui definiti “neolitici”) lungo
la fascia costiera; A. M. Radmilli effettuò, per conto del Museo Pigorini nel 1948, una serie di
sopralluoghi nei siti indicati da S. Bastianelli; tra il 1947 e il 1951 F. Barbaranelli individuò una
dozzina di insediamenti protostorici nella fascia costiera tra Civitavecchia e S. Marinella (Barbaranelli
1956); nel 1952 R. Peroni approfondì le osservazioni di F. Barbaranelli, scavando in località Malpasso;
gli scavi di O. Toti in località La Mattonara all’inizio degli anni ’60, misero in luce delle strutture a
pozzetto già indagate da F. Barbaranelli (Toti 1962); i primi anni ’70 vedono l’inizio delle
sistematiche ricognizioni di superficie da parte di F. di Gennaro e M. Pacciarelli, approfonditesi fino
agli anni ’90 con le esplorazioni svolte a Tarquinia in località Le Saline da A. Mandolesi e gli scavi
effettuati per conto della SAEM a Marangone e ad Acque Fresche (Mandolesi 1994; di Gennaro 1986;
Pacciarelli 1991a, 1991b; Trucco – di Gennaro – D’Ercole 2002). La dislocazione degli insediamenti
rinvenuti ed indagati in questi ultimi studi si colloca lungo la stretta fascia litoranea a Sud di Tarquinia
comprendente i comuni di Civitavecchia e Santa Marinella, solcata da numerosi corsi d’acqua di
natura torrentizia.
14
rossiccio” sono i depositi di materiale ceramico riferibile a grandi contenitori di
forma cilindro-ovoide, per lo piø olle, in impasto grossolano bruno-rosso, con
cordoni plastici o file di impressioni, la presenza di aree di fuoco, l’insistenza sulla
riva marina e il carattere di insediamento legato allo sfruttamento della risorsa idrica.
Anche il Golfo di Follonica, basso e sabbioso e che in età protostorica comprendeva
l’antico e quasi scomparso Lago di Scarlino, ha restituito materiale ceramico
riferibile ai giacimenti di olle ad impasto rossiccio della prima età del ferro e
inquadrabili nel contesto produttivo collegato allo sfruttamento del mare (Aranguren
2002).
Dal 2000, il territorio compreso tra i bacini dei fiumi Fiora e Albegna, dal Monte
Amiata alla costa tirrenica, è oggetto di un ampio progetto di studi da parte del
Centro Studi Preistoria e Archeologia - Onlus di Milano, “Paesaggi d’Acque”
(Negroni Catacchio 2002; Negroni Catacchio - Cardosa 2005)), che mira alla
ricostruzione dei paesaggi antichi proprio in relazione alla dialettica esistente tra il
territorio e le comunità estinte che vi hanno lasciato tracce archeologiche. Il progetto
si inserisce in un filone di ricerca a cui hanno contribuito vari Autori
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e prende in
esame i rinvenimenti registrati negli anni e in diverse occasioni, sottoponendoli a
indagine critica al fine di ricercare le motivazioni degli insediamenti costieri nella
Protostoria e contestualmente di studiare se e come il rapporto tra la costa e
l’entroterra fosse frutto di una specifica e intenzionale politica territoriale (Negroni
Catacchio – Cardosa 2002). In particolare in questa sede si approfondisce lo studio
della frequentazione protostorica del Tombolo di Feniglia, settore territoriale che è
stato oggetto di numerose segnalazioni relative a rinvenimenti archeologici di
superficie in seguito alle ricognizioni del 1968 da parte delle Università di Firenze e
di California - Santa Cruz (Bronson – Uggeri 1970), e dei primi anni ’80 da parte
20
I contributi si trovano in PPE. Atti V (Negroni Catacchio 2002).
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delle Università di Pisa e Siena. La nuova ricognizione del Tombolo di Feniglia
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ha
documentato la presenza di sette siti e tra questi, tre presentano abbondante materiale
ceramico in impasto bruno-rosso, pertinente a medie e grandi forme cilindro-ovoidi
con orlo estroflesso e con decorazione a cordone plastico, databili al Bronzo Finale o
al Primo Ferro (Cardosa 2002). Tali caratteristiche li accomunano ai siti denominati
“giacimenti di olle ad impasto rossiccio” per i quali si ipotizza una funzione
produttiva specializzata legata alla risorsa marina. I dati emersi dalle operazioni di
survey, sono stati integrati dallo scavo stratigrafico, ancora in corso, del piø
significativo di tali siti, il quale sta portando alla luce numerose strutture da mettere
in relazione con le fasi della frequentazione avvenuta durante la prima età del ferro
nella Duna Feniglia (Benedetti et alii 2008).
Nell’area intorno a Civitavecchia, dalle Saline di Tarquinia a Santa Marinella, non
mancano altre testimonianze che confermano la tendenza dei siti costieri di trovarsi a
breve distanza uno dall’altro in un sistema territoriale facente capo a centri
protourbani maggiori (Belardelli – Pascucci 1996). Le ricognizioni condotte da A.
Mandolesi e C. Iaia nel territorio delle Saline di Tarquinia suggeriscono la presenza
di un vasto insediamento costiero, probabilmente dedito alla produzione del sale
(Mandolesi 1994). Proseguendo verso Sud si incontra il sito di Acque Fresche già
segnalato da S. Bastianelli e poi da F. Barbaranelli, anch’esso gravitante entro
l’orbita culturale di Tarquinia (Mandolesi – Trucco 2002). I materiali ceramici
emersi dallo scavo di Acque Fresche sono prevalentemente pertinenti a olle di
impasto bruno-rosso, con superfici grossolanamente lisciate e trovano stringenti
confronti con altri ritrovamenti provenienti dai siti litoranei vicini di Torre Valdaliga
e La Mattonara, e dai siti di Malpasso e Marangone a Sud di Civitavecchia
(Belardelli – Pascucci 1996, 2002; Pascucci 1998; Trucco – di Gennaro – D’Ercole
2002).
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Parallelamente alla ricognizione sistematica del territorio, il progetto “Paesaggi d’Acque” ha
verificato e localizzato tutte le segnalazioni presenti nella letteratura precedente (Dolfini – Dolci –
Ravasi 2008; Bonora Mazzoli 2009)