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1. NECESSITA’ DI TUTELA DI NUOVI BENI GIURIDICI.
Prima di procedere alla ricostruzione ed interpretazione della
normativa riguardante le due fattispecie penalmente sanzionate, è utile
osservare la situazione attuale relativa al diritto penale dell’impresa e
procedere dalla constatazione che una molteplice serie di ragioni
hanno portato ad una sensibile dilatazione del panorama normativo. Il
fenomeno è principalmente da ricondursi all’evoluzione economica e
sociale degli ultimi decenni.
Questo deve portare ad analizzare la situazione da un altro punto di
vista: non è possibile riconoscere alla materia un riflesso solamente
verso l’interno del sistema economico ma va adeguatamente studiata
in senso dinamico. Esempio lampante è una parte della disciplina
penale dell’impresa volta a tutelare interessi esterni all’impresa stessa
(es. salubrità delle condizioni di vita, conservazione dell’ambiente,
ecc.).
Un’ulteriore caratteristica del sistema sta nel fatto che le offese che
possono essere recate dall’attività d’impresa hanno queste peculiarità:
1) i soggetti passivi sono indeterminati;
2) il potenziale lesivo delle condotte è seriale.
8
Il primo attributo è determinato dall’utilizzo di tecnologie e dalla
possibilità di raggiungere una pluralità di soggetti, inoltre non può
passare inosservata la constatazione che questi ultimi siano totalmente
inconsapevoli dell’esposizione al pericolo.
Per ciò che riguarda la serialità delle lesioni è da notare che le
aggressioni ai beni giuridici perpetrate dall’attività d’impresa non
sono valutabili singolarmente ma è piuttosto la continuazione di tale
attività lesiva e la sommatoria dei suoi effetti che porta ad una
valutazione penalmente rilevante degli interessi in gioco; questo
perché spesso non è sufficiente un singolo comportamento per ledere
ragionevolmente il bene protetto dalla fattispecie1.
È proprio per queste peculiarità che ci si è diretti verso la tutela di
interessi superindividuali: nuovi beni giuridici sono ora garantiti
penalmente; senza poi tenere conto dello strumento utilizzato dal
legislatore quale l’istituzione di Agenzie di vigilanza e controllo. A
tali organismi sono attribuiti compiti di tutela di determinati interessi
mediante la facoltà di raccolta di informazioni che debbono essere
obbligatoriamente fornite dalle imprese alle quali siano richieste, al
fine di rendere trasparente l’attività degli operatori (il numero di
1
Pedrazzi, in Aa. Vv, Milano, 1979, 17
9
queste autorità è in costante crescita: oltre a Consob, Banca d’Italia e
Isvap, si pensi al Garante dell’editoria, a quello della Concorrenza e a
quello della privacy).
Tale ampliamento di situazioni tutelabili ha portato però degli
inconvenienti e soprattutto a discutere se i beni superindividuali
possano entrare a fare parte della sfera penalistica, data la concezione
del legame bene giuridico-individuo. Restare fermi su questa
posizione non giova certo alla tutela del mercato in genere perché si
dovrebbe attendere, prima di intervenire, un’offesa molto elevata e
una lesione del bene, quindi, già compiuta2. Così facendo la
caratteristica pericolosità dell’attuale attività d’impresa non troverebbe
nessun limite e nessun controllo.
Tutto ciò richiede uno sforzo non indifferente per il legislatore penale,
principalmente per quanto riguarda la selettività delle figure e la
riconoscibilità dell’oggetto della tutela, senza contare l’impegno da
dedicare alla valutazione dell’effettività della sanzione penale quale
extrema ratio, per evitare incriminazioni inefficaci e opache.
2
v. STELLA, Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, Milano, 1975, rist. 1990.
10
2. COMPLESSITA’ DELLA DETERMINAZIONE DEL
SOGGETTO ATTIVO.
Dalle caratteristiche della lesione (indeterminatezza dei soggetti
passivi, serialità della lesione) nascono tutte le problematiche
riguardanti le posizioni di garanzia3. Ed è proprio per questa
caratteristica che l’ordinamento affida la salvaguardia degli interessi
esposti a coloro che sono gli unici a potere garantire il loro rispetto: a
chi sta all’interno dell’impresa e può gestire i fattori aziendali che
possiedono capacità offensive; da qui l’incremento della
responsabilità omissiva. Tale responsabilità ha il fine principale di
evitare che l’imprenditore gestisca la propria attività restando
completamente indifferente alla cura degli interessi in questione.
L’accertamento penale ha come suo compito principale
l’individuazione della persona fisica che ha recato un danno agli
interessi tutelati o li ha esposti a pericolo ed è questo un compito che
deve adattarsi alla realtà aziendale, complessa ed articolata, e deve
quindi preventivamente analizzare l’organizzazione per poi
3
SGUBBI, Responsabilità penale per omesso impedimento dell’evento, Padova, 1975;
FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, Milano, 1979; GRASSO, Il reato omissivo
improprio, Milano, 1983; ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, sub art. 40,
11
individuare i soggetti che sono venuti meno all’obbligo loro imposto.
Questa necessità è dovuta al fatto che la divisione del lavoro comporta
la collaborazione simultanea di più operatori all’interno di un’impresa.
Se non si tenesse conto di questo elemento essenziale si rischierebbe
di far rispondere per il solo fatto di aver assunto un certo ruolo
nell’impresa (responsabilità di “posizione”4 ), ma il principio della
personalità esige che sia solo l’autore del fatto a subire le conseguenze
della sua condotta.
Da qui nascono tutte le problematiche inerenti alla ricerca di chi sia
l’effettivo titolare del potere causa dell’offesa. Bisogna aggiungere
inoltre che nel diritto penale dell’impresa è diffusa la presenza di reati
propri “nei quali, cioè, il soggetto attivo è definito in virtù di una
qualificazione giuridica o di fatto, che esprime un particolare
collegamento con il bene protetto”5: vi è quindi la necessità
dell’individuazione dei criteri per rintracciare il titolare dei poteri che
risultano indispensabili affinchè vi sia la qualifica soggettiva inserita
nel fatto tipico.
Milano, 1995, 337; PULITANO’, 1982, IV, 178; FIANDACA, Omissione (dir. pen.), Digesto
pen., VIII, Torino, 1994, 546; CADOPPI, Il reato omissivo proprio, Padova, 1988
4
NUVOLONE, Le leggi penali e la costituzione, Milano, 1953, 34
5
C. PEDRAZZI, A. ALESSANDRI, L. FOFFANI, S. SEMINARA, G. SPAGNOLO, Manuale di
diritto penale dell’impresa, Bologna, 1998, 44
12
Ma anche nei confronti di un reato comune tale incombenza non è da
meno: tutti i reati comuni commessi nell’ambito dell’attività
d’impresa presentano le stesse peculiarità dei reati propri, facendo
nascere la questione dell’accertamento della qualifica.
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2.a. CRITERI DI DETERMINAZIONE E FIGURA DEL GARANTE
Per diversi anni i criteri per l’individuazione del soggetto responsabile
hanno registrato diverse oscillazioni. In dottrina un orientamento
puntava al vertice aziendale6 e, all’estremo opposto stava un altro
orientamento che si rifaceva a termini puramente fattuali dove un
valore decisivo viene assunto dalle mansioni svolte in concreto7. Al di
là di questi estremi orientamenti occorre far tesoro sia delle
indicazioni funzionali (concrete mansioni svolte) che di quelle formali
(vertice aziendale). Questo perché in base al criterio formale, quindi
partendo dall’analisi delle regole che l’impresa si è data per
organizzarsi ed operare, è possibile determinare uno o più garanti
originari, titolari di poteri autonomi, tali cioè da non richiedere
integrazioni di alcun tipo. In base al criterio fattuale è possibile
verificare se chi ha esercitato o omesso di esercitare un potere fosse
anche garante effettivo degli interessi tutelati nell’esercizio del potere
stesso. Tutto ciò perché l’organizzazione degli enti complessi e la loro
attività non sono mai riducibili al mero esercizio fattuale delle
mansioni o alla pura realtà regolamentare.
6
PEDRAZZI, 1962; PADOVANI, Riv. It. Dir. proc. Pen. 1979, 1177; PADOVANI, 1983;
PULITANO’, 1982; PULITANO’, 1985; PULITANO’, Igiene e sicurezza del lavoro, Dig. Pen.,
Vi, 1992, 102
7
PAGLIARO, Indice pen., 1985, 17; FIORELLA, 1985
14
Il criterio funzionale gioca però un ruolo molto importante
nell’interpretazione di alcuni soggetti la cui qualifica è richiamata
all’interno dei reati propri.
2.b. LA FIGURA DELL’AMMINISTRATORE DI FATTO.
Un esempio è, nell’ambito dei reati societari, la figura, discussa in
dottrina, dell’amministratore di fatto, specie in relazione all’art. 2621
c.c. . La ragione è che risulta ingiustificato pretendere di applicare la
disciplina sanzionatoria esclusivamente ad amministratori
regolarmente investiti. Tale costruzione dottrinale e giurisprudenziale
ha dalla sua vantaggi di elasticità applicativa: garantisce un maggior
tasso di effettività della fattispecie, permettendo di raggiungere
situazioni “sostanzialmente” riconducibili allo schema legale nel
momento in cui questo venga aggirato o eluso8.
8
v. ANTOLISEI, Manuale, I, 53; CONTI BRUTI LIBERATI, in Aa. Vv., Il diritto penale delle
società commerciali, Ricerca a cura di Nuvolone, Milano, 1971, 119; CONTI, in Aa. Vv., Trattato
a cura di Di Amato, I, 225; LA MONICA, Diritto penale commerciale, I, Milano, 1988, 103; per
acute riflessioni critiche sull’orientamento dominante, PEDRAZZI, 1962. Nella dottrina
commercialistica , v. per tutti, BONELLI, Gli amministratori di società per azioni, Milano 1985
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2.c. LA DELEGA E LA SORVEGLIANZA.
Altre problematiche si affacciano nella determinazione dei soggetti
attivi. Ad esempio, laddove si incontrano reati propri centrati su
adempimenti che i soggetti qualificati devono porre in essere
personalmente è chiaro che non si va incontro a nessuna
complicazione. Il problema si pone nel campo della delega. Bisogna
cioè determinare se ed in quale misura la distribuzione delle
competenze ed il riparto delle mansioni esistenti nell’impresa abbiano
un effetto sull’attribuzione della responsabilità penale. Dopo notevoli
contrasti si è giunti alla conclusione di favorire la costruzione secondo
la quale la delega interviene a mutare il contenuto dell’obbligo che
grava sul garante, il quale si sposta da adempimento in prima persona
a dovere di controllare l’adempimento affidato ad altri9. Di
conseguenza, la nascita di un obbligo di sorveglianza da parte del
delegante nei confronti del delegato. Il garante primario non si libera
definitivamente con la delega ma gli residua un compito di
9
v. PEDRAZZI, 1962; PEDRAZZI, 1988, 138 “… la delega di funzioni trova posto come
espediente organizzativo, e quindi come modalità di adempimento commisurata alla posizione di
vertice propria dell’imprenditore … Per quanto concerne la posizione del delegante, come
modalità di adempimento la delega sottintende l’intrasferibilità della posizione penalmente
vincolata. Allargando la base personale della garanzia, il delegante si libera soltanto dall’obbligo
di una presenza diretta. L’obbligo del garante originario cioè permane, ma muta di contenuto.”
16
permanente controllo al fine di prevenire inosservanze di obblighi di
legge10.
10
v. Cass. 13 marzo 1987, Cass. pen. 1988, 2161; v. PALOMBI, in Aa. Vv., Trattato a cura di Di
Amato, I, 280
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PARTE II
IL REATO DI APPROPRIAZIONE
INDEBITA.
Sommario: 1. Concetto di possesso: corrente privatistica e
autonomista. Soluzioni interpretative. – 2. Appropriazione indebita:
cenni storici. – 3. Oggetto del reato. – 4. Condotta tipica:
appropriazione e distrazione. – 5. Consumazione ed elemento
soggettivo.
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1. CONCETTO DI POSSESSO. CORRENTE PRIVATISTICA
E AUTONOMISTA. SOLUZIONI INTERPRETATIVE.
Al fine della nostra trattazione rileva particolare importanza la
determinazione del concetto di possesso, dato che dalla nozione che si
accoglie deriva la sussunzione del fatto concreto sotto la fattispecie di
furto o di appropriazione indebita.
E’ questo elemento, infatti, che va a caratterizzare e distinguere i due
delitti citati dove, nel furto, non è richiesto il possesso della cosa da
parte del soggetto attivo, a differenza che nell’appropriazione indebita.
Proprio per quanto riguarda la nozione di possesso si è riscontrata in
dottrina la distinzioni di due correnti: quella privatistica e quella
autonomista.
Coloro i quali condividono la prima sostengono l’identità del possesso
ai fini del diritto penale con il concetto di possesso determinato e
regolato dal Codice Civile ex art. 1140: “Il possesso è il potere sulla
cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della
proprietà o di altro diritto reale. Si può possedere direttamente o per
mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa.”
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I sostenitori della seconda corrente affermano che nel campo del
diritto penale il concetto di possesso abbia significato e portata
particolari.
E’ fuori discussione che sia preventivamente utile partire dal concetto
delineato dalla disciplina civilistica, nella quale può affermarsi che
affinchè vi sia possesso debbano sussistere due presupposti:
a) un potere di fatto (elemento oggettivo);
b) un animus possidendi (elemento soggettivo)11.
E’ evidente che la nozione civilistica di possesso è piuttosto ristretta,
mentre è riservato maggior spazio al concetto di detenzione. Sia l’uno
che l’altra comportano lo stesso rapporto di fatto con la cosa, ma ciò
che li differenzia è l’elemento dell’animus .
Se tale istituto venisse trasportato senza nessun adattamento
all’interno della disciplina penalistica dovremmo ritenere che il
depositario, il locatario, il comodatario ed il mandatario, essendo
detentori e non possessori, potrebbero essere responsabili del delitto di
furto; conclusione che contrasta con l’oramai costante dottrina e
11
Cfr. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, p. 437; TORRENTE-SCHLESINGER, Manuale
di diritto privato, p. 383; GALGANO, Diritto privato, p. 126; RESCIGNO, Manuale di diritto
privato italiano, p. 536; TRIMARCHI, Istituzioni di diritto privato, p. 571; CANDIAN, Nozioni
istituzionali di diritto privato, 3° ed., Milano 1953, p. 650; FERRANTE, Il libro della proprietà,
2° ed., Milano 1951, p. 868; DE RUGGERO-MAROI, Istituzioni di diritto privato, 8° ed., Milano-
Messina 1950, v. I, p. 636; MESSINEO, Manuale di diritto civile commerciale, 8° ed., Milano
1950, v. II, parte I, p. 159; BARASSI, Istituzioni di diritto civile, 4° ed., Milano 1948, p. 365.
20
giurisprudenza che non dubitano più del fatto che tali soggetti si
renderebbero autori di appropriazione indebita e non certo di furto.
I sostenitori della corrente civilistica dovrebbero quindi rivoluzionare
tutta la materia relativa ai due delitti.
Tutto questo ci può dimostrare come sia necessario modificare ed
adattare alle nostre esigenze la nozione civilistica di possesso. Tale
operazione consiste nell’ampliare tale nozione in modo da farvi
rientrare tutti quei casi in cui la signoria di fatto sulla cosa sia
esercitata in modo autonomo, senza cioè la diretta vigilanza di un
soggetto che abbia sulla cosa stessa un potere giuridico maggiore.
Possiamo ora notare come, per il diritto penale, la detenzione venga a
ridursi alle ipotesi nelle quali il potere di fatto sulla cosa venga posto
in essere “entro la sfera di sorveglianza del possessore e cioè quando
colui che dispone materialmente della cosa non è altro che uno
strumento, una longa manus del possessore.”
Quindi possiamo giungere alla conclusione secondo la quale tutti
coloro che esercitano la signoria di fatto sulla cosa in modo autonomo,