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In parte, la salute mentale è una forma di conformismo
John Nash
Introduzione
Non vi è dubbio che la schizofrenia sia uno dei disturbi mentali
più studiati, ne è conferma l‟elevato numero di articoli pubblicati sulle
principali riviste scientifiche internazionali che hanno per oggetto
questo argomento. Tale interesse potrebbe essere dovuto ai lati oscuri
che sembrano ancora caratterizzarla e alla sua diffusione a livello
planetario che ne fa un veicolo di sofferenza e di costi sociali
notevolissimi.
La quantità e lo spessore delle ricerche testimoniano della
complessità della questione che, necessariamente, deve essere
approfondita in ogni sua variante.
Uno degli aspetti più discussi è quello relativo alla sua
eziologia, questo perché se, come tutto lascia pensare, la schizofrenia
fosse una patologia in cui la componente genetica gioca quasi
sicuramente un ruolo preponderante, resterebbero tuttavia da chiarire
ancora molti aspetti, per esempio la coesistenza di individui, nei quali
è dimostrata l‟influenza di una familiarità di tipo schizofrenico, e di
altri, la maggioranza, nei quali essa non è riscontrabile.
Un altro aspetto da spiegare è l‟insorgenza frequente della
patologia nella tarda adolescenza.
Il disturbo appare, pertanto, complesso e sfuggente in quelli che
sono i suoi reali meccanismi eziologici, ma estremamente concreto e
drammatico nella sua realtà clinica tanto da essere stato definito “il
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problema centrale della psichiatria” e “la principale sfida
neurobiologica contemporanea”.
Questo perché la schizofrenia è attualmente considerata uno fra
i più gravi disturbi psichiatrici e nonostante la sua bassa incidenza, si
calcola che la percentuale di rischio sia di circa l‟1% ogni anno
(Jablensky et al., 1992), comporta un investimento di risorse
economiche e sociali (terapia, assistenza e riabilitazione) di gran lunga
superiore ad altre patologie. Solo in America si calcola che siano spesi
più di 70 milioni di dollari all‟anno in assistenza diretta e a lungo
termine (Wu et al., 2005).
Il concetto di schizofrenia è piuttosto recente, almeno nella sua
caratteristica configurazione di sindrome; nasce tra la fine dell‟800 e
gli inizi del „900 con le osservazioni di due studiosi: Eugen Bleuler
(1857-1939) ed Emil Kraepelin (1856-1926). Quest‟ultimo aveva
individuato, attraverso studi longitudinali condotti su centinaia di
pazienti, un disturbo da lui definito “dementia praecox” in cui
comprendeva un gruppo di manifestazioni psicotiche apparentemente
eterogenee, ma da lui considerate espressione dello stesso processo
morboso, aventi come caratteristiche tipiche l‟insorgenza in età
giovanile, il progressivo decadimento psichico e un irreversibile
deterioramento della personalità molto simile alla demenza di origine
organica (Kraepelin, 1989).
Più tardi Bleuler (1985) criticò lo stesso concetto di demenza
soprattutto in relazione all‟evidenza, tra l‟altro già nota a Kraepelin,
che in alcuni soggetti la malattia non iniziava né precocemente né
comportava il suddetto decadimento delle funzioni intellettive. Sulla
base di queste osservazioni propose di sostituire il termine demenza
con quello di schizofrenia e di far riferimento per la diagnosi
soprattutto alla qualità dei sintomi. Chiamò così “fondamentali”
l‟autismo, la dissociazione, l‟ambivalenza affettiva e la
disorganizzazione del pensiero che venivano a rappresentare il nucleo
psicopatogeno principale, mentre definì “accessori” il delirio, le
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allucinazioni e i sintomi catatonici, da lui ritenuti non indispensabili
per la diagnosi di schizofrenia.
Tuttavia al di là di queste precisazioni i due uomini credevano
di trovarsi di fronte ad una vera malattia; lo stesso Kraepelin (1989)
ipotizzava che si trattasse di un‟alterazione cerebrale di natura
organica anche se al momento sconosciuta e sarà proprio questa sua
idea di “alterazione” o “lesione organica” che influenzerà gran parte
della ricerca successiva fino ai nostri giorni; ne sono conferma i due
più recenti sistemi di classificazione e di diagnosi dei disturbi mentali,
il DSM-IV (1995) e il DSM-IV-TR (2001), nei quali tuttavia il
concetto di organicità ha assunto connotati diversi ossia non più di
alterazione organica ma molecolare, come del resto hanno ben
evidenziato le tecniche di neuroimaging più avanzate.
E‟ forse interessante notare come i problemi sorti inizialmente
per la definizione del disturbo hanno continuato ad accompagnare
tutta la storia della schizofrenia senza tuttavia arrivare a stabilire se le
entità sindromiche che emergono dalla clinica siano riconducibili ad
una malattia schizofrenica o a malattie schizofreniche.
In effetti la molteplice espressività della sintomatologia, la
variabilità del decorso e la molteplicità delle cause ne fanno un
disturbo caratterizzato da un elevato livello di eterogeneità e non è
forse un caso che lo stesso Bleuler (1985), sulla base della variabilità
sintomatologica della malattia, avesse intitolato la sua monografia
“Demenza precoce ovvero il gruppo delle schizofrenie ”.
Pertanto allo stato attuale delle conoscenze sembra improbabile
che esista un‟entità unitaria del disturbo.
Nello specifico una delle caratteristiche più tipiche di questa
patologia è di manifestarsi nella tarda adolescenza o prima giovinezza,
in genere tra i 18 e i 25 anni, con un inizio più precoce per il sesso
maschile. L‟inizio della malattia è in genere contraddistinto da alcuni
segni che sono l‟espressione di un cambiamento che sta avvenendo nel
soggetto. Questo accade spesso dopo un qualche evento ben
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identificabile (per esempio delusioni affettive, esami, ecc.) che viene
vissuto dal soggetto in modo particolarmente stressante.
Alcuni dei sintomi prodromici più evidenti sono il ritiro e
l‟isolamento sociale, la perdita della capacità di pensare in modo
finalizzato; si osservano anche preoccupazioni somatiche,
depersonalizzazione e aumento dell‟ansia. Ai primi sintomi, col
trascorrere del tempo se ne aggiungono altri come allucinazioni, deliri,
disfunzione del pensiero e della comunicazione, comportamenti
bizzarri, alterazione dell‟affettività (Hafner et al., 1999).
La più recente ricerca nell‟ambito della psicopatologia
rappresenta i sintomi caratteristici della schizofrenia distinguendo tre
dimensioni sintomatologiche correlate ad un‟area disfunzionale:
1. disorganizzazione del pensiero e del linguaggio;
2. impoverimento affettivo che si esprime sul piano clinico nei
cosiddetti sintomi negativi (apatia, asocialità, abulia, anaffettività,
non pianificazione);
3. distorsione della realtà che si manifesta nei cosiddetti sintomi
positivi (deliri e allucinazioni).
La descrizione del quadro sindromico in termini dimensionali
ha rappresentato un rilevante progresso nello studio e nella
comprensione della patologia e si è dimostrata importante anche per la
terapia farmacologica e la comprensione dello “spettro schizofrenico”
introdotto da Kety nel 1976 (cit. in Pancheri, 1999).
Per quanto riguarda la prognosi si può dire che si tratta di una
malattia quasi sempre curabile ma non ancora guaribile
completamente. Il trattamento farmacologico va protratto in genere a
lungo ed è quasi sempre presente il rischio di ricadute a seguito della
sospensione della terapia.
Si valuta che la schizofrenia sia un disturbo diffuso in tutto il
mondo: è quanto emerge dai numerosi studi di epidemiologia
(Jablensky, 1997), che si sono dimostrati molto utili nell‟individuare i
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fattori biologici e psicosociali che possono favorire la comparsa di
molti disturbi mentali.
Come per altre malattie anche nel caso della schizofrenia siamo
passati dalla ricerca delle cause a quelli che sono i possibili “fattori di
rischio” considerati come determinanti concausali che possono
combinarsi e facilitare lo sviluppo di questa patologia. I principali
fattori di rischio che la ricerca epidemiologica ha preso in esame per la
schizofrenia sono: l‟ereditarietà, lo stress materno e le infezioni virali
in gravidanza, le complicanze ostetriche, lo stress da separazione
precoce dalla madre, l‟età di inizio, la stagionalità di nascita, il
genere, i luoghi urbani, la classe sociale, l‟organizzazione economica
e sociale, i diversi gruppi etnici, l‟immigrazione.
E‟ opportuno sottolineare che uno studio su questo disturbo non
è privo di difficoltà per tutta una serie di motivi: primo fra tutti quello
della raccolta dei dati, che per essere attendibile necessita della
presenza di strutture sanitarie funzionanti e anche di un accordo a
livello internazionale su quelli che sono i principali criteri nosografici
e diagnostici della patologia che si intende studiare. Evidentemente
dove queste condizioni non sono state soddisfatte, come è accaduto in
passato, non è possibile raccogliere dati di rilevanza epidemiologica e
questo spiega anche perché gran parte dei dati disponibili si riferisce
all‟Europa, al nord e sud America e alle nazioni asiatiche a maggior
sviluppo economico e a migliore organizzazione sanitaria.
Tenuto conto di questi problemi quello che si può trarre
dall‟ampia letteratura sull‟argomento è la concordanza della maggior
parte degli autori nel ritenere la schizofrenia una malattia riscontrabile
in tutte le aree geografiche, le culture contemporanee e in contesti
economici molto diversi fra loro (tabella 1; Jablensky et al., 1992).
Esistono però interventi più recenti che evidenziano come
l‟incidenza nelle varie aree non sia uniforme ma soggetta a variabili di
natura economica e sociale. McGrath et al. (2005) sottolineano come
fattori quali l‟immigrazione, il genere e l‟area urbana assumono un