Capitolo Quarto
Il sistema che circonda i bambini italiani e spagnoli
e l’influenza che esercita su di essi
4.1 La carta dei diritti dei bambini nello sport
L’attività calcistica giovanile viene regolata tenendo presente quanto riportato
dalla “Carta dei Diritti dei bambini nello sport” dell’O.N.U. che corrisponde,
nella sua enunciazione, alle norme con le quali viene organizzata l’attività dai 6
ai 16 anni da parte del Settore Giovanile e Scolastico.
A questi diritti corrispondono altrettanti doveri da parte degli adulti che devono
garantire:
1) Diritto di divertirsi e giocare come un bambino
2) Diritto di fare sport
3) Diritto di avere i giusti tempi di riposo
L’attività deve essere svolta in un clima psicologico sereno, sia negli
allenamenti che in gara; nei gruppi squadra dovrà essere previsto un “turn-over”
che permetta a tutti gli iscritti ad una Scuola di Calcio, indipendentemente dalle
loro abilità tecniche, di essere convocati alla gara e di partecipare alla partita per
almeno un tempo continuativo (senza interruzioni) dei primi due ed una cospicua
porzione di minuti del terzo tempo. I tecnici hanno il dovere di rispettare e far
rispettare tale norma. Nel caso dei due tempi sarà valida la stessa norma. È
inoltre fatto obbligo che l’utilizzazione dei calciatori si limiti ad una sola gara per
ognuna delle giornate fissate dai calendari dei tornei federali per Pulcini ed
Esordienti (C.U. n°1 s.s. 2006-2007).
4) Diritto di beneficiare di un ambiente sano
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5) Diritto di praticare sport in assoluta sicurezza a salvaguardia della propria
salute
Il benessere psicofisico può essere garantito “solo” da un’attività sportiva svolta:
in strutture salubri e sottoponendo gli allievi alla visita di idoneità medico-
sportiva prima dell’inizio dell’attività (requisito obbligatorio, in ottemperanza ad
una legge dello stato);
l’utilizzo di metodologie di allenamento, idonee al soggetto, non deve creare
scompensi agli apparati in accrescimento, bensì benefici adattamenti; deve essere
evitato, a queste età, l’uso di
inopportuni ed inutili integratori alimentari, mentre saranno favoriti, una corretta
alimentazione ed un comportamento etico che in caso di infortunio o malattia,
rispetti i giusti tempi di guarigione e recupero, evitando, se non indispensabile,
l’uso ed in alcuni casi l’abuso di farmaci, ovviamente sempre in collaborazione
con i medici competenti (Commissione Medica del Settore Giovanile e
Scolastico).
6) Diritto di essere circondato e preparato da personale qualificato
7) Diritto di seguire allenamenti adeguati ai giusti ritmi
Le società affiliate alla F.I.G.C. che svolgono attività nelle fasce d’età 6-12 anni,
fermo restando i limiti delle proprie possibilità organizzative, hanno il dovere di
garantire la presenza nei ruoli tecnici e dirigenziali, di persone adeguatamente
preparate sia tecnicamente che sul piano psicopedagogico, per un corretto
sviluppo educativo sportivo e formativo dei propri allievi. Detti
educatori devono acquisire conoscenze e competenze specifiche attraverso corsi,
aggiornamenti e incontri informativi e didattici organizzati periodicamente dal
Settore Tecnico e dal Settore
Giovanile e Scolastico in collaborazione con le strutture periferiche del CONI
(C.U. n°1 s.s. 2006-2007).
8) Diritto di partecipare a competizioni adeguate alle varie età, seguendo
allenamenti che corrispondano a giusti ritmi d’apprendimento
9) Diritto di misurarsi con giovani che abbiano le stesse probabilità di successo
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Ogni bambino, bambina, ragazzo o ragazza, deve poter essere messo in
condizione di esprimere le proprie potenzialità psichiche, cognitive, emotivo
affettive, relazionali, motorie e tecniche, attraverso progressioni didattiche che
corrispondano alle caratteristiche dell’età in oggetto. Il numero dei giocatori, le
misure del campo, delle porte e dei palloni, la durata delle gare, degli
allenamenti, devono essere in sintonia con le norme dettate dal C.U. n°1 per la
stagione sportiva in corso, che hanno preso corpo attraverso sperimentazioni,
esperienze ed adattamenti negli ultimi anni. Modelli di gara adeguati ad ogni
fascia d’età, significano una tutela al naturale processo evolutivo dei giovani.
Ogni anticipo o carico eccessivo, come pressione psicologica e tensione degli
eventi, può comportare squilibrio non solo alla formazione tecnica, ma anche
perdita di motivazione ed entusiasmo con relativo rischio per la prosecuzione
dell’attività. (C.U. n°1 s.s. 2006-2007).
10) Diritto di non essere un campione
I bambini che si sperimentano in un nuovo contesto di apprendimento, come
quello sportivo, sono tutti campioni, perché si affacciano a un contesto
sconosciuto e, nel nostro caso “stanno imparando il gioco del calcio” (C.U. n°1
s.s. 2006-2007).
I giovani calciatori e le giovani calciatrici sono invitati a:
• Rispettare i propri compagni e gli avversari.
• Rispettare le decisioni arbitrali.
• Essere leali comunque vada la gara, lottando “per” e mai “contro”.
• Rispettare la propria salute.
• Ascoltare e seguire i consigli del proprio allenatore.
• Portare sempre a termine i propri impegni scolastici.
• Confrontarsi con i propri genitori ed i propri allenatori sulle esigenze ed i
bisogni personali e sulle attività svolte.
• Continuarsi a divertire come quando si gioca sotto casa, al parco o sulla
spiaggia.
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Questa appena enunciata è appunto la “Carta dei diritti dei bambini nello sport”,
che riqualificherei come “……… E DEI DOVERI DEGLI ISTRUTTORI, DEI
DIRIGENTI E DEI GENITORI”.
Nella mia esperienza in Spagna ho avuto modo di riscontare una forte
divergenza, ovvero durante tutti gli allenamenti e le partite dei bambini del
Granada 74, la società garantiva una cospicua presenza di dirigenti ed
accompagnatori, che erano a disposizione delle richieste degli allievi ma
soprattutto dei genitori, evidenziando così un importante spirito d’interesse verso
l’attività dei propri iscritti. Una cosa che di questa società mi ha colpito
particolarmente è stata l’affissione in bacheca (sito visibile facilmente da tutti), di
una raccolta di regole e principi per i ragazzi, come il rispetto degli orari, dei
compagni e dell’allenatore, o la richiesta di mantenere gli spogliatoi puliti, ma
anche per i dirigenti stessi, i quali umilmente si proponevano di mettersi
rigorosamente a disposizione dei genitori, tramite colloqui, o garantire premi ai
bambini che meglio si erano comportati durante il mese sotto il profilo civico, o
dare la possibilità famiglie non particolarmente agiate di pagare per il figlio una
quota minore.
Mentre nell’altra squadra, il Granada C. F., i bambini sembravano lasciati allo
sbaraglio, senza nessuna considerazione da parte della dirigenza, senza
possibilità, nelle sedute di allenamento, di avere un responsabile a monitorare il
lavoro svolto dagli allenatori; o ancor peggio non si preoccupava di fornire
spogliatoi con docce funzionanti ai ragazzi, permettendo che questi tornassero a
casa ancora sudati. La cosa più grave però è rappresentata dalla totale mancanza
di rapporti coi genitori, ai quali non erano concesse riunioni o colloqui per far
luce sul procedimento dello sviluppo sportivo ed educativo, ma doveva essere
l’allenatore, di sua iniziativa, ad organizzare cene come occasione di conoscenza
e condivisione del gruppo di genitori.
Il percorso didattico educativo che è alla base del nostro programma di lavoro
deve essere fondato su tali precetti tenendo presente che il quotidiano
“bombardamento” che in Italia ogni bambino riceve dalla società odierna, dai
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mezzi di comunicazione, soprattutto da TV ed Internet, gli atteggiamenti della
famiglia, della scuola, della società sportiva, influenzano la disponibilità da parte
del bambino a praticare sport. Tale realtà, quella della nostra penisola, incide il
più delle volte negativamente sugli obiettivi formativi della pratica sportiva
facendola regredire, deprimendo l’attitudine al sacrificio e al sottoporsi ad
impegni, che invece necessitano dedizione, motivazione, interesse. La mia
esperienza di campo mi suggerisce e mi permette di osservare che oggi in Italia,
il gioco del calcio sembra essere vissuto dalle nuove generazioni e dall’ambiente
degli addetti ai lavori, non più come un puro divertimento, come un gioco, ma
quasi come un’imposizione. La scarsa cultura sportiva ormai dilagante nel Bel
Paese, alimentata da un inadeguato modo di proporre calcio ai nostri bambini,
l’eccessiva ricerca del risultato da parte di tecnici e dirigenti, le pressioni dei
genitori che esprimono giudizi, sul “figlio migliore”, che pretendono il “figlio
titolare”, gli assurdi e prematuri tatticismi, il volersi per forza proiettare in
dimensioni professionistiche lontane dai fini di un’attività che, a rigor di logica,
dovrebbe essere prima di tutto ludica ed aggregante, rendono abbastanza
complesso il panorama odierno dei settori giovanili “azzurri”. Tutto ciò è vero
“smog asfissiante” che si respira e circola indisturbato nei nostri campi di calcio
nocendo particolarmente al bambino, al giovane calciatore, che vorrebbe
imparare, sperimentare le sue possibilità, divertirsi, far gol.
Sotto questi aspetti, da quanto ho potuto osservare nella mia permanenza a
Granada, in Spagna la situazione non è tanto differente: i bambini facilmente
soffrono le pressioni di padri che vedono il figlio come futuro campione, e come
mi ha confermato Enea Righetti, allenatore della categoria Cadetes del Multivera
di Pamplona, squadra di cui ho potuto osservare alcuni allenamenti, e mio caro
amico, spesso invadono i loro spazi spingendoli a giocare secondo i loro dettami,
sovrastando il lavoro dell’allenatore, e ignorando il reale bisogno di
spensieratezza del bambini nell’affrontare un’attività ancora vista come sfogo
ludico. I genitori spagnoli sembrano quindi assomigliare a quelli italiani, nelle
molteplici partite che ho visto delle squadre che ho allenato, le madri per
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esempio, erano solite gridare e sbraitare fomentando l’enfasi dei match, per
chiedere al figlio (mentre stava giocando) prestazioni che lo mettessero in luce o
segnatura di reti, eventi che avrebbero scaturito l’invidia da parte delle altre
madri. Ed era ancora più probabile notare padri che inveivano ferocemente
contro l’arbitro, a due passi da questi, solo per richiedere un calcio di punizione.
Ciò non deve spaventare, anzi deve rendere consapevoli della responsabilità che
abbiamo nel cercare di invertire la tendenza appena descritta. Solo un progetto di
lavoro, serio, consapevole, finalizzato alla crescita delle qualità umane e tecniche
del giovane che garantisca il dialogo, la comunicazione, la formazione di uno
spirito aperto ed autonomo ma soprattutto il divertimento, la gioia di praticare
sport, di saper imparare individualmente e collettivamente e quindi la messa in
atto dei “diritti” sopra enunciati, potrà rappresentare la giusta medicina per le
devianze che minano la nostra attività didattica. Il calcio italiano in questo senso
dovrà unire in maniera decisiva gioco ed educazione, salute fisica e mentale,
passione e divertimento dovrà essere il luogo da condividere con i nostri bambini
che faciliti la socializzazione, l’esplorazione del loro mondo, dei loro bisogni,
delle loro aspettative. A noi istruttori quindi il compito di sorvegliare, di
sensibilizzare, di educare contribuendo al necessario cambiamento, nella
consapevolezza che l’unico protagonista della nostra “missione” rimane solo lui,
il bambino.
4.2 Lo smog mediatico investe anche la Spagna
Il clima sportivo nella penisola iberica è caratterizzato da situazioni comuni
alle nostre: il calcio anche qui rappresenta una vera e propria fede per gran parte
della popolazione, e gode per questo di enorme visibilità; alle partite si hanno
numerosi spettatori e le televisioni ricoprono di denaro le società per assicurarsi i
diritti d’immagine. Si può ben capire, quindi, che non si tratta di un fenomeno
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