8
formata da Senegal, Mali e Mauritania, i tre Paesi solcati dalle acque del
fiume. Con l’appoggio finanziario e tecnico di organismi e attori
internazionali, la Valle ha intrapreso un percorso di crescita in linea con il
modello occidentale, apparentemente vincente su tutti i fronti e per
questo ritenuto universalizzabile.
Agricoltura irrigua, moderna e meccanizzata, ed energia
idroelettrica sono i due elementi di innovazione, motori di uno sviluppo
indotto dall’esterno e monitorato da soggetti estranei al contesto socio-
economico haalpulaar. Considerati strumenti ideali e imprescindibili per
favorire un reale miglioramento delle condizioni di vita dei villaggi rurali,
sono stati introdotti attraverso la realizzazione di due imponenti dighe,
Diama e Manantali.
La valorisation del Senegal – come viene comunemente chiamata –
si inserisce in un momento storico dominato da un approccio
evoluzionista, riduzionista ed unilineare dello sviluppo, oggi peraltro
ampiamente superato e spogliato dell’etnocentrismo che lo
caratterizzava. Ciò ha implicato, di fatto, considerare quei Paesi
“arretrati” rispetto al livello occidentale come manchevoli di qualcosa.
L’unico rimedio possibile a questo ritardo non poteva che essere allora
l’acquisizione di quegli elementi ritenuti indispensabili alla crescita.
Investimenti e aiuti stranieri, sostegno finanziario e tecnico all’agricoltura
e generalizzazione delle pratiche occidentali sono stati gli strumenti
privilegiati della ristrutturazione nella regione.
La tesi che qui si cerca di dimostrare è che un investimento
massiccio in grandi opere, quali dighe e sistemi agricoli automatizzati,
rischia di rivelarsi controproducente nel lungo periodo se non
accompagnato da uno studio scrupoloso delle strutture socio-
9
economiche elaborate localmente e degli equilibri sistemici esistenti,
politico-culturali, ambientali e legati allo sfruttamento del territorio.
In seguito all’implementazione del programma, la Valle del
Senegal ha subito delle profonde trasformazioni, osservabili a più livelli e
imputabili alla scarsa attenzione riservata al contesto nel quale si è
operato. L’esclusione della popolazione autoctona dal processo
decisionale e dalle fasi esecutive del progetto ha poi sancito il fallimento
totale del piano di sviluppo.
Qual era il legame tra l’organizzazione sociale e produttiva
haalpulaar e il sistema ambientale prima della realizzazione delle dighe?
In che modo l’interruzione della piena naturale del fiume provocata da
Manantali ha inciso sulle pratiche locali? Come si sono inseriti i moderni
schemi agricoli razionalizzanti in un sistema economico integrato e
antichissimo quale quello della regione? Cos’è successo ad allevatori e
pescatori, dediti ad attività secondarie ma assolutamente complementari
rispetto all’agricoltura? E ancora: come si sono modificate le abitudini
alimentari e come ne ha risentito la salute umana? In che maniera
l’introduzione di strategie economiche innovative e lontane dalla
dimensione micro della Valle ha inciso sulla struttura sociale, sui rapporti
di potere e sulla mentalità locale? Come ha reagito la popolazione e quali
effetti ha avuto il cambiamento sulle strategie di appropriazione che
questa adoperava tradizionalmente?
Si cercherà di trovare una risposta esauriente a tutti questi
interrogativi, sia attraverso elementi oggettivi sia grazie al vissuto della
popolazione rurale. I primi sono stati ricavati da una rigorosa ricerca
nella letteratura contemporanea antropologica e sociologica riferita alla
Valle, attenta alle dinamiche socio-economiche e storiche che la
riguardano. La voce dei villaggi è stata raccolta prevalentemente, invece,
10
attraverso interviste condotte personalmente da me durante un
soggiorno presso il villaggio senegalese di Dabia, nel dipartimento di
Matam lungo il fiume Senegal. L’osservazione diretta sul campo ha così
permesso di conoscere il punto di vista di coloro che avrebbero dovuto
beneficiare del cambiamento in atto, e che, al contrario, ne hanno
sopportato tutta la drammaticità.
Il percorso di questo studio è suddiviso in due parti. Nella prima
si vuole concentrare l’attenzione sull’analisi del contesto nel quale si è
inserita la valorizzazione e sulle tappe che hanno condotto alla situazione
attuale. Nella seconda, invece, si intende esaminare l’impatto generato a
livello dei villaggi e la risposta popolare alle trasformazioni intervenute.
Più specificamente, il primo capitolo mira a prendere in esame gli
equilibri ambientali, sociali ed economici che da secoli
contraddistinguono la Valle.
Si parte da una descrizione dell’ecosistema dell’intero bacino del
Senegal, in cui si cerca di evidenziare la particolarità della Media Valle e
di porre l’accento sull’interazione tra le piogge e il ciclo delle piene
attraverso cui il fiume inonda le terre circostanti. Si dimostrerà come le
genti dei villaggi abbiano saputo nel tempo sfruttare a proprio vantaggio
un sistema semplice e del tutto naturale come questo, secondo un
approccio adattivo e sostenibile.
Si intende poi analizzare l’organizzazione sociale tradizionale degli
Haalpulaar, discriminatoria perché basata su una divisione in caste e
un’endogamia che alcuni definiscono feudale, ma allo stesso tempo
carica di un egualitarismo preservato costantemente dalle figure che
gestiscono il potere. Posto che l’elemento centrale della vita haalpulaar è
la terra, luogo mistico che unisce la sacralità degli antenati alla materialità
della vita presente e bene prezioso perché custode dello spirito del
11
popolo e mezzo di sostentamento essenziale, si vuole sottolineare la
specificità del meccanismo fondiario in cui rientrano le terre bagnate dal
fiume, elaborato proprio per proteggerne le caratteristiche ed assicurarne
i benefici anche alle generazioni future.
Si intende dimostrare, infine, come la popolazione abbia ideato
un impianto economico ormai millenario perfettamente compatibile con
un sistema ambientale non certo favorevole. Una struttura limitata alla
sussistenza ma in grado di integrare agricoltura, allevamento e pesca in
un ciclo continuo, che garantisce a tutte le componenti sociali un accesso
equo alle risorse disponibili (terra e acqua soprattutto). Una simbiosi tra
società, ecologia ed economia, assicurata nel tempo e nello spazio.
Il secondo capitolo mira a tracciare un percorso che metta in
relazione le ragioni storico-sociali, ambientali ed economiche che hanno
da sempre fatto della Valle un’area decisamente strategica con gli
obiettivi perseguiti dall’OMVS, e che indaghi il rapporto tra questi ultimi
e l’ideologia dello sviluppo ad ogni costo, dominante negli anni Settanta.
Si cercherà di dimostrare che gli attori interessati allo
sfruttamento della regione hanno preparato il campo d’azione che
avrebbe poi costituito il senso del loro intervento; e ciò è avvenuto allo
stesso modo sia durante il dominio coloniale di una potenza straniera (la
Francia) che dopo il raggiungimento dell’indipendenza. La riflessione qui
suggerita è che il colonialismo ha innescato dei meccanismi di
dipendenza e creato nuove categorie concettuali che sono oggi parte
indelebile della mentalità locale, tanto da costituire un ostacolo
all’autodeterminazione dei villaggi del fiume.
L’idea di fondo è che l’OMVS, figlia di una mentalità superficiale
e riduttiva, ha interpretato bene le aspirazioni di governi e finanziatori
internazionali, promettendo benessere per tutti attraverso una
12
ripartizione più equa delle risorse esistenti e una maggiore uguaglianza
nell’accesso ad esse.
Il terzo capitolo è concepito come punto di raccordo tra la prima
parte, più esplicativa, e la seconda, rivolta invece all’indagine
antropologica condotta sulle conseguenze provocate direttamente o
indirettamente dalla valorizzazione.
Si tenterà un’analisi delle trasformazioni che via via hanno
interessato la Valle (le dighe, le parcelle irrigue per la risicoltura e, ultima,
la produzione di energia idroelettrica), accompagnata da spunti e
riflessioni che introducono importanti elementi per lo studio successivo
dell’impatto sulla popolazione e permettono di comprendere a chi sono
attribuibili le responsabilità più gravi della condizione attuale in cui versa
la regione.
Errori talvolta grossolani, promesse non mantenute e assoluta
mancanza di considerazione nei confronti dei bisogni della popolazione
rurale dimostrano l’inadeguatezza di riforme totalmente avulse dal
contesto che dovrebbero migliorare. I ripetuti fallimenti, tuttavia, non
hanno impedito ai sostenitori del progetto di proseguire il loro
programma, giunto oggi ad un’impasse cronica.
Il quarto capitolo è interamente dedicato all’impatto che la
valorisation ha provocato, che ha riguardato tutti i più importanti aspetti
del vivere haalpulaar.
Si vuole qui mettere in luce il legame tra la rottura intervenuta
nell’equilibrio ecologico e le attività umane tradizionalmente associate al
fiume e alla terra; comprendere cosa abbia significato la perdita della
diversificazione alimentare e produttiva rispetto alla dieta tipica e al
sistema economico a rotazione, e come ciò abbia influito sulla salute
dell’uomo e sui suoi rapporti sociali; e poi ancora, indagare come sono
13
cambiate la struttura del potere all’interno e all’esterno dei villaggi e
l’organizzazione sociale haalpulaar, e quale ruolo rivestono oggi le figure-
chiave legate alla tradizione; e, infine, cosa ne è delle pratiche di un
popolo una volta perduti i paradigmi di riferimento e cosa provoca la
loro snaturizzazione.
Nel quinto capitolo, poi, l’attenzione è rivolta esclusivamente alla
popolazione locale, beneficiaria mancata di un progetto lontano
dall’immaginario collettivo haalpulaar.
L’intenzione è quella di osservare il (non) ruolo che essa ha
giocato e di esaminare la situazione attuale della Valle dal suo punto di
vista, attraverso le parole di chi, di fatto, ha solo rappresentato il mezzo
per soddisfare i bisogni di altri. L’attenzione si sposta successivamente
sul tipo di reazione che essa ha avuto di fronte ad un cambiamento tanto
inatteso quanto drastico e sulle possibili ragioni alla base del suo
comportamento. Il capitolo termina con una riflessione su quelle
categorie di soggetti che hanno effettivamente tratto vantaggio dalla
ristrutturazione del Senegal.
Infine, si è deciso di ripercorrere nelle conclusioni i punti centrali
di questa ricerca. Attraverso il caso della Valle si vogliono rilanciare
alcune riflessioni in merito al concetto di sviluppo viziato da un
etnocentrismo che si dimostra decisamente pericoloso, e investigare i
possibili scenari futuri.
14
PARTE PRIMA
LA VALLE DEL FIUME SENEGAL:
I CARATTERI GENERALI E IL PIANO
DI VALORIZZAZIONE
15
CAPITOLO 1
LA VALLE DEL SENEGAL E I SUOI
ANTICHI EQUILIBRI
1.1 Un fragile ecosistema e il suo rapporto con l’uomo
Il fiume Senegal disegna una traiettoria ad arco che dall’altopiano
del Fouta Djallon in Guinea sbocca nell’oceano Atlantico in prossimità
del noto polo turistico di Saint-Louis, dopo aver risalito la parte più
occidentale della Repubblica del Mali e aver tracciato la frontiera tra
Senegal e Mauritania. Con i suoi 1.800 km di lunghezza, non può certo
essere annoverato tra i corsi d’acqua più imponenti a livello mondiale;
tuttavia, riveste un’importanza particolare nel panorama africano per via
dell’antichissimo sistema di sfruttamento delle sue risorse che le
popolazioni locali hanno ideato.
16
L’intero bacino tracciato dal fiume abbraccia un’area di circa
300.000 km
2
estesa su quattro Paesi dell’ovest sub-sahariano: Senegal,
Mali, Mauritania e Guinea
1
. La sua superficie può essere ripartita in tre
diverse aree geografiche in ragione dei tratti distintivi che le qualificano.
La prima è l’Alto Bacino, comprendente buona parte del confine
occidentale maliano e il versante orientale del massiccio del Fouta
Djallon guineano, contraddistinto da un clima sub-equatoriale che
garantisce precipitazioni piuttosto abbondanti, distribuite in due
momenti diversi dell’anno. Considerando il manto vegetale, si nota come
la presenza di diversi bracci del fiume favorisca lo sviluppo di fitte
foreste a galleria, attraverso le piene relativamente importanti che
annualmente invadono i terreni contigui: più acqua significa
evidentemente più nutrimento per l’ambiente naturale.
Da queste considerazioni si può trarre una prima riflessione sul
rapporto tra l’uomo e l’ambiente circostante. Nonostante la precarietà di
un ecosistema instabile quale questo, le popolazioni lungo il fiume sono
state in grado di adattarsi ad esso e di sfruttarne al meglio le potenzialità.
Qui il sistema ecologico è caratterizzato da una variabilità
pronunciata ma ancora sostanzialmente gestibile. La disponibilità di
risorse idriche in abbondanza, assicurate dalle piogge intense, ha sempre
permesso ai villaggi di affidarsi completamente al fiume per il
soddisfacimento dei loro bisogni più elementari. Inoltre, la presenza delle
foreste è sempre stato un elemento fondamentale della vita sulle sponde
1
Si tratta, più precisamente, di 289.000 km
2
, distribuiti in maniera diseguale tra i
Paesi interessati. In termini relativi, si può precisare che in Mali si trova concentrato il
53% dell’intero bacino, il 26% appartiene alla Mauritania, mentre il territorio
senegalese e quello guineano ospitano le porzione minori, rispettivamente il 10 e
l’11%. Tuttavia, ben il 36,5% della superficie nazionale totale del Senegal è occupata
dal bacino del fiume; da qui la grande importanza riconosciuta allo sviluppo di questa
regione. Cfr. OMVS, Senegal River Basin, Guinea, Mali, Mauritania, Senegal: pilot case
studies, a focus on real-world examples, OMVS, Dakar 2003.
17
del Senegal, perché capace di assicurare legname da costruzione e di
contribuire alla tutela di un sistema ecologico comunque sottoposto a
forti pressioni.
Muovendo verso aree più settentrionali, queste foreste si diradano
via via con l’innestarsi del clima sudaniano, afoso e soffocante, che non
permette certo alla popolazione una facile sopravvivenza. In quest’area, è
l’elevata umidità a fare la differenza. Solo grazie al connubio tra questa e
le (scarse) inondazioni i terreni destinati alle coltivazioni godono di una
forma di protezione che ne garantisce lo sfruttamento per diversi periodi.
Ecco allora che, a fronte di un ambiente sfavorevole all’uomo, questi ha
potuto comunque utilizzare a proprio vantaggio i meccanismi
indubbiamente mutevoli tipici della regione.
La linea di separazione tra la parte superiore del bacino e la Valle,
questa la seconda zona che si incontra risalendo verso nord, attraversa
idealmente la città senegalese di Bakel, a circa 800 km dalla foce del
fiume. Solcata da una compagine naturale di argini che ne impediscono la
completa inondazione, è sottoposta ad un regime climatico decisamente
saheliano, pur presentando alcune sfumature che ne suggeriscono
l’ulteriore differenziazione tra Bassa e Media Valle.
Mentre la prima risulta completamente spoglia in assenza di
precipitazioni, l’altra si è sempre presentata come un’ampia distesa
pianeggiante, periodicamente alimentata dai depositi fluviali rilasciati
dalle piene: il ciclo annuale di ingrossamento del Senegal ha sempre
consentito di idratare i terreni, di rivitalizzarli e di prepararli alla
coltivazione.
Vera e propria pianura alluvionale fino all’arrivo delle grandi
siccità degli anni Settanta, essa è modellata dalla presenza di una
particolare specie di pianta, l’Acacia Nilotica (gonaké nella lingua locale),
18
importantissima perché, oltre ad offrire legname di elevata qualità, è un
ottimo nutrimento per il bestiame, una discreta sostituta della gomma
arabica e le sue radici possiedono svariate proprietà curative.
È proprio questa immagine di terra ricca e fertile che ha attratto
per secoli etnie provenienti da diverse aree africane. E la relativa
abbondanza di acqua, la disponibilità di terreni irrigabili naturalmente e
una situazione socio-politica tra le più stabili del continente africano
spiegano l’interesse che governi e organismi internazionali hanno sempre
manifestato nei confronti di questa regione.
Nonostante un equilibrio fragile perché insidiato da siccità e
desertificazione, la popolazione della Media Valle ha dimostrato
storicamente di saper beneficiare di ciò che l’ambiente esterno le offriva.
In presenza di piogge sempre più scarse e brevi, essa ha ripiegato ancora
una volta su un sistema naturale, sul quale non poteva ovviamente agire
ma che era in grado comunque di garantirle la sopravvivenza. Non
potendo sfruttare le piogge, ha elaborato un preciso meccanismo che le
consentisse di servirsi delle inondazioni del fiume.
Si tratta di un modello che – come si preciserà più avanti – trova
la propria legittimità in una concezione rispettosa e assolutamente
sostenibile nei confronti del sistema ecologico. Alla base di questo
approccio, che deve necessariamente assecondare la variabilità esterna,
c’è una mentalità più complessa e strutturata, che abbraccia la
dimensione socio-culturale prima ancora di quella economica ed
ambientale. Le genti del fiume hanno elaborato un sistema attraverso cui
riescono a beneficiare dell’ambiente naturale, senza tuttavia
comprometterne gli equilibri e preservandone le caratteristiche per le
generazioni future.
19
Il Delta è l’ultima regione del bacino, situata soprattutto in
territorio senegalese e comprendente alcune aree costiere meridionali
della Mauritania. Esso racchiude più precisamente la foce del Senegal,
costituita da molteplici estuari formanti un complesso sistema di
canalizzazione naturale.
Grazie alla presenza di stretti serbatoi che raccolgono l’acqua
salata del mare, anche qui gli abitanti hanno sempre attuato strategie
efficaci per garantirsi la coltivazione e limitare il grado di salinità dei
terreni. Di fatto, queste tecniche non sono quasi più praticate; e ciò come
conseguenza dei lavori di ristrutturazione che hanno interessato il fiume,
studiati proprio per contenere i danni derivanti da questo fenomeno.
Quello della salinità è infatti un grave problema per tutto il Sahel, perché
mette a rischio ogni tipo di attività agricola – già di per sé difficoltosa a
causa del clima desertico – e inoltre compromette pesantemente l’utilizzo
futuro delle terre, in quanto tende a sfibrarle rendendole in tal modo
ancora più aride.
La popolazione rurale non ha la possibilità di incidere sulle
dinamiche di queste fasi se non assecondando l’imprevedibilità del clima
e appropriandosi di ciò che può portarle beneficio. Solo così è riuscita
per secoli a conservare la propria identità etnica e i propri costumi socio-
economici, quelle stesse tradizioni che sono state messe in crisi trent’anni
fa dai moderni sistemi di ispirazione occidentale.
20
Fig. 1.1: Il bacino del fiume Senegal
Fonte: AFDEC, 2004.
21
Anche il profilo irregolare tipico del fiume prima dell’edificazione
delle dighe di Diama e Manantali – di cui si avrà modo di parlare
dettagliatamente più avanti – ha sempre dimostrato la fragilità degli
equilibri della Valle. Il Bafing e il Bakoye, i due più importanti affluenti
del Senegal, erano un tempo caratterizzati da un andamento torrenziale
per via delle forti pendenze, in grado di dare origine a piene improvvise.
Ciò significava per la popolazione poter godere di piene
eccezionali in presenza di piogge abbondanti; ma significava anche essere
esposti ad un’incertezza costante, incapace di fornire previsioni sicure di
produzione o di pesca. È questa la ragione principale per cui il fiume è
stato spesso oggetto di tentativi di ristrutturazione, il più delle volte però
fallimentari perché condotti in maniera superficiale.
L’importanza del regime idrologico del fiume si coglie a pieno
solo considerando che le piene annuali sono essenziali soprattutto
laddove le precipitazioni scarseggiano, perché rappresentano un sostituto
essenziale ad esse.
Posto che esiste comunque una correlazione positiva tra i
millimetri di pioggia caduta e il livello della portata, il carattere tropicale
del Senegal è particolarmente pronunciato nell’Alto Bacino, da cui arriva
in effetti il maggior apporto in acqua dell’intera regione del fiume. Verso
il Delta il flusso è sempre più debole perché soggetto al clima saheliano,
quando il valore pluviometrico medio si stabilizza sui 500 mm l’anno e le
piene diminuiscono consistentemente. Il ritiro delle acque qui è così
repentino e accelerato da annullare sistematicamente i potenziali benefici
ricavabili dall’ingrossamento del fiume.
Situazione diversa riguarda le pianure alluvionali della Media Valle
immediatamente adiacenti al corso del fiume, soggette al ciclo di
inondazioni che da giugno a settembre contrassegna la stagione delle