5
fornire le nozioni necessarie per poter affrontare adeguatamente il dibattito che si è
sviluppato tra gli studiosi nel tentativo di estendere la portata di tale modello.
Sebbene, infatti, sia indubbio il valore dei contributi apportati da Markowitz,
l’imposizione di un mondo descritto da due sole variabili potrebbe risultare troppo
restrittivo, ”imposing this two dimensional world may be too restrictive in practice
because the mean-variance framework uses rather strong assumptions on the
preferences of the investor and/or the representation of investment alternatives”
[Hallerbach e Spronk, 1997, p.276].
Nel capitolo 2 si presenteranno i fondamenti e le proprietà caratterizzanti la
formulazione di un problema multicriteriale, evidenziando come l’abbraccio di tale
approccio comporti necessariamente una ridefinizione del concetto di “scelta
ottima”: ”in today’s complex organizational environment economic man is not trying
to maximize, but is trying instead to satisfice” [Lee, 1973, p.13]. Queste
considerazioni, applicate al problema della selezione di un portafoglio, verranno poi
analizzate e approfondite attraverso l’illustrazione di alcuni dei più importanti e
recenti contributi presenti in letteratura.
Nel capitolo 3 si analizzerà il rapporto tra la disciplina della finanza e quella
dell’etica che fino ad un passato recente sono state spesso considerate tra loro in
antitesi. Dal loro processo di avvicinamento, infatti, si è sviluppata la disciplina della
cosiddetta finanza etica. Si cercherà quindi di caratterizzare il significato di questa
nuova materia delineandone i suoi principali aspetti e approfondendo lo strumento
finanziario denominato investimento socialmente responsabile, che rappresenta una
delle esperienze di finanza etica di maggior successo.
Nel capitolo 4 si presenterà una particolare metodologia risolutiva per problemi
di natura multicriteriale elaborata da Jaap Spronk e chiamata Interactive Multiple
Goal Programming. Si illustrerà quindi un modello per la selezione del portafoglio
che cerca di integrare l’approccio multicriteriale, oggetto del capitolo 2, con elementi
di natura etica, oggetto invece del capitolo 3. Tale modello verrà poi applicato alla
realtà italiana consentendo di arrivare alla determinazione di un portafoglio
socialmente responsabile.
6
Infine, nel capitolo 5, verranno presentate delle riflessioni conclusive
finalizzate ad un migliore inquadramento dell’ambiente in cui si è sviluppato questo
lavoro, per terminare con un’analisi critica dei benefici e dei limiti che tale modello
presenta.
7
1. IL MODELLO MEAN- VARIANCE (M-V) DI
MARKOWITZ
1.1 Le basi della Selezione del Portafoglio
Con il termine investimento si intende “l’impiego di denaro in attività
produttive, titoli e simili, allo scopo di ottenere o accrescere un utile o un reddito”
1
.
In una teoria dell’investimento, però, assurgere ad unico criterio decisionale il
profitto rappresenterebbe una scelta quanto mai triviale poiché rappresenterebbe il
tentativo di voler massimizzare una funzione complessa come quella dell’utilità
globale dell’investitore servendosi di una sola variabile
2
. Inoltre, nel momento in cui
si passa dallo studio di un investimento da un punto di vista storico (ex post) ad uno
prospettico (ex ante) di alternative possibili, nel complesso meccanismo delle
valutazioni decisionali si inserisce una variabile completamente nuova, il rischio. Un
decisore, infatti, nel momento in cui è chiamato a scegliere tra più possibilità di
investimento si trova ad operare in un ambito necessariamente incerto “per
mancanza, incompletezza o inattendibilità, delle conoscenze ed informazioni a
disposizione” [Bortot et al., 1993, p.439].
Per definire il rischio va precisato che anziché di qualcosa di generale ciò che
si ricerca è una definizione utilizzabile per scopi particolari e che quindi dovrà
potersi tradurre in un qualche indice quantitativo. Espressioni infatti come “molto
rischioso”, “poco rischioso”, “abbastanza rischioso” ecc. sono del tutto inutilizzabili
a fini decisionali perché tutti gli investimenti sono “più o meno rischiosi”, il
problema è sapere di quanto. Poiché “distinguere ciò che ad un certo momento
ignoriamo da ciò che invece ci risulta essere o certo o impossibile serve a permetterci
di contemplare l’ambito delle possibilità, ossia l’ambito su cui si estende la nostra
1
DOGLIOTTI M., ROSIELLO L. (a cura di), 1994, Lo Zingarelli, Bologna , Zanichelli Editore.
2
Per la definizione di Utilità si veda Canestrelli, Nardelli (1991, p.15).
8
incertezza. Ciò non basta tuttavia come strumento e guida per orientarci, per
decidere, per agire: per tale scopo occorrerà basarsi su un ulteriore concetto: quello
di probabilità” [De Finetti, 1970, p.35], vi è la necessità di associare ad ogni
rendimento futuro che si ritenga possibile una valutazione probabilistica,
permettendo così di descrivere la variabile aleatoria rendimento del progetto di
investimento in uno spazio multidimensionale comprendente anche la variabile
rischio. Inoltre, l’esigenza di quantificare l’aleatorietà per poterla poi inserire in un
modello decisionale scaturisce anche dalla necessità di omogeneizzare i termini
essenziali di una scelta e renderli passibili di misura e confronto. Il rischio si
configura quindi come l’elemento che relativizza l’entità rendimento e stabilisce
un’ulteriore dimensione, assolutamente imprescindibile, dell’utilità dell’investitore.
L’importanza della Selezione del Portafoglio teorizzata da Markowitz (1952)
risiede nell’aver fornito un modello che tratti in maniera sistemica il problema della
ripartizione di risorse finanziarie tra diverse possibilità di investimento con
rendimento aleatorio, avendo come obiettivo primario quello di controllare sia il
rendimento sia il rischio degli investimenti. La giustificazione teorica della scelta di
questi due criteri decisionali nasce dalla constatazione dell’impossibilità di affrontare
la totalità delle potenziali conclusioni ottenibili circa l’analisi di portafoglio, e quindi
dall’inevitabile necessità di ridurre la complessità delle variabili a quelle strettamente
funzionali alla comprensione di ciò che è importante e rilevante da ciò che, invece,
non lo è. Infatti, come peraltro sostenuto dallo stesso Markowitz, la corretta scelta
dei criteri decisionali dovrebbe avvenire sulla base delle priorità preferenziali
espresse da ciascun investitore, “the investor should build toward an integrated
portfolio which best suits his needs” [Markowitz, 1991, p.3]. Fattori istituzionali,
limitazioni legali, la relazione tra il rendimento del portafoglio e il costo della vita
potrebbero rappresentare variabili rilevanti e significative per alcuni ma non per altri.
Ad esempio, per alcuni la variabile più importante è rappresentata dalla tassazione,
per altri, come le aziende no-profit, questa è irrilevante.
9
Quindi, le variabili da utilizzare nell’analisi di portafoglio andrebbero
opportunamente selezionate sulla base delle caratteristiche e degli interessi specifici
di ciascuna categoria di investitori.
Ad ogni modo, Markowitz individua due obiettivi, che utilizzerà poi quali
criteri decisionali, comuni a tutti gli investitori
3
:
1- la preferenza di “rendimenti” alti. La definizione appropriata di “rendimenti” può
variare da investitore a investitore, ma in qualsiasi modo vengano definiti essi ne
preferiscono una quantità maggiore rispetto ad una quantità minore;
2- la preferenza di rendimenti sicuri, stabili, non soggetti all’incertezza. Certamente
esistono investitori che preferiscono maggiormente il carattere dell’aleatorietà, come
gli scommettitori ad una corsa di cavalli, ma non è a questi speculatori che il modello
di Markowitz è indirizzato, poiché l’ambiente in cui si sviluppa è invece
caratterizzato da un contesto di avversione al rischio.
In conclusione, si può quindi affermare che l’investitore razionale di
Markowitz cerca di massimizzare un indice bicriteriale composto da rischio-
rendimento e di definire un campo di potenziali alternative decisionali efficienti. Per
risolvere tale problema, il metodo della Selezione del Portafoglio analizza una sola
unità temporale ed applica all’insieme delle possibili scelte il criterio M-V (Mean-
Variance). Questo metodo ipotizza che il soggetto decisore persegua nella scelta del
proprio portafoglio non solo la massimizzazione del rendimento atteso (M), ma
anche la minimizzazione del rischio (V).
Prima di passare all’approfondimento delle due fasi in cui è articolato il
modello di Markowitz, e cioè la determinazione dell’insieme delle opportunità di
investimento attraverso il ricorso alla frontiera efficiente, e l’individuazione del
portafoglio efficiente per l’investitore su tale frontiera, i paragrafi successivi
forniranno una trattazione introduttiva del concetto di rendimento e del concetto di
rischio applicata allo studio prima di un titolo, poi di un portafoglio di titoli,
3
“Two objectives, however, are common to all investor for which the techniques of this monograph
are designed: 1. they want return to be high; 2. they want this return to be dependable, stable, not
subject to uncertainty” [Markowitz, 1991, p.6].
10
finalizzata a omogeneizzare nella sostanza l’utilizzo che ne verrà fatto nel prosieguo
del lavoro.
1.1.1 Il rendimento e il rischio di un titolo
Il rendimento di un titolo è funzione di tre distinte componenti:
1- l’apprezzamento del capitale, che può indicarsi come la differenza tra la
quotazione alla fine di un intervallo temporale – anno, mese, settimana, giorno, ora,
minuto - e il prezzo di acquisto;
2- il dividendo riscosso in quell’intervallo temporale;
3- ogni premio addizionale ricevuto – cedole, premi sorteggiati, opzioni, etc. – al
netto dei possibili oneri– commissioni, tasse, etc.
In formula, si definisce
ti
R
,
il tasso di rendimento previsto in t dell’i-esimo
titolo nell’intervallo temporale (t, t+1) come:
ti
tititi
ti
P
DPP
R
,
1,,1,
,
(1.1)
dove:
ti
P
,
: prezzo (quotazione) dell’i-esimo titolo all’istante t;
1, ti
D : dividendo e premi eventuali previsti all’istante t+1
4
;
1, ti
P : prezzo (quotazione) previsto dell’i-esimo titolo all’istante t+1.
Per semplificare l’analisi non verranno considerati in seguito i premi, il
dividendo e gli oneri. Si trascurerà inoltre l’indice temporale poiché verrà utilizzato
un modello uniperiodale. Ci si occuperà infatti di una sola unità temporale.
Il rendimento di un titolo può essere considerato una variabile casuale. Infatti,
il prezzo di un titolo in t = 0, cioè ad inizio periodo, è noto, mentre in t + 1, cioè a
4
Il rendimento del titolo deve essere corretto nel caso di variazioni del capitale sociale e nel caso in
cui dividendi o premi o cedole fossero corrisposti in momenti diversi dall’istante finale.
11
fine periodo, non è certo. Di conseguenza, il soggetto decisore dovrà assegnarle a
priori una distribuzione di probabilità che sebbene alcune verifiche empiriche
abbiano portato ad accettarne di forme diverse, ancora oggi quella maggiormente
utilizzata risulta essere la distribuzione normale o, altrimenti detta, Gaussiana
5
. Per
favorirne però la funzionalità, invece della distribuzione di probabilità dei rendimenti
si utilizzano degli indici sintetici, e in particolare vengono utilizzati i primi due
momenti della distribuzione: il valore atteso, che rappresenta il rendimento medio
dell’investimento, e la varianza, presa come misura della sua rischiosità.
Nel caso in cui la variabile casuale rendimento sia discreta si attribuisce ad
ogni rendimento un valore di probabilità, perciò il valore atteso e la varianza del
rendimento futuro dell’i-esimo titolo, sono rispettivamente dati da:
i
m
j
ijiji
RpRRE
ƒ
1
(1.2)
2
1
22
i
m
j
ijiijiiji
pRRRRERV ς
ƒ
(1.3)
dove
ij
R : j-esimo possibile rendimento dell’i-esimo titolo, con j = 1,2,..., m e i = 1,2,..., n ;
ij
p : probabilità associata a
ij
R , con 10 δ δ
ij
p e 1
1
ƒ
m
j
ij
p , con j = 1,2,..., m e
i = 1,2,..., n ;
ii
RRE : rendimento atteso dell’i-esimo titolo, con i = 1,2,..., n ;
2
ii
RV ς : varianza dell’i-esimo titolo, con i = 1,2,..., n .
La varianza è il valore atteso del quadrato degli scarti dei valori della variabile
casuale dal suo valore atteso ed è stata proposta da Markowitz (1952) come misura
del rischio d’investimento. A varianza crescente corrisponde una variabilità, e quindi
un rischio, crescente.
5
Per approfondire il tema delle diverse distribuzione di probabilità proposte si veda Canestrelli,
Nardelli (1991, p.47).
12
Spesso, però, poiché la varianza è espressa in termini quadratici e potrebbe
risultare quindi di difficile interpretazione, si preferisce utilizzare lo scarto quadratico
medio, omogeneizzando così l’unità di misura della variabile casuale, che è
semplicemente la radice quadrata della varianza
6
:
2
ii
RSQM ς (1.4)
In conclusione, nonostante la proposta di Markowitz sia suscettibile di critiche
poiché i due criteri decisionali valore atteso e varianza non sintetizzano tutte le
informazioni contenute nella distribuzione della variabile aleatoria rendimento, essa
è tuttora largamente utilizzata sia nella teoria (ad esempio nel CAPM e nell’APT
7
)
che nella pratica finanziaria poiché è con il modello di Markowitz che si riesce a
determinare sia l’insieme dei portafogli efficienti sia la composizione di ciascuno di
essi.
1.1.2 Confronto fra più titoli: un esempio numerico
Dopo aver introdotto i concetti di valore atteso e di varianza, si fornisce un
esempio numerico per mostrare come questi due parametri decisionali possano essere
utilizzati per ordinare e scegliere tra più titoli rischiosi.
Nella tabella 1 sono riportati il valore atteso, lo scarto quadratico medio e il
rendimento atteso per unità di rischio, di sei titoli denominati A, B, C, D, E, F. Il
valore di
i
R rappresenta un valore percentuale (ad esempio, 16 sta per 16%), mentre
il rapporto
ii
R ς esprime il rendimento atteso per unità di rischio, che in Finanza
viene altresì definito come rendimento periodale medio aggiustato per il rischio
8
.
6
Cfr. Mood, Graybill, Boes (1992, p.78).
7
Per il CAPM si veda Sharpe (1964) e Lintner (1965), mentre per l’APT si veda Ross (1976).
8
Cfr. Ruozi (1987, p.89).
13
A B C D E F
i
R 16 20 14 20 12 22
i
ς
0,71 0,95 0,83 1,35 0,57 1,24
ii
R ς 22,47 20,97 16,88 14,86 21,15 17,74
Tabella 1.1: Rendimento, scarto quadratico medio e rendimento atteso per unità di rischio
di sei titoli.
Dall’analisi dei dati numerici si può notare che:
- F ha il rendimento atteso più alto, ma non il rischio più alto;
- D ha il rischio più alto, ma non il rendimento più alto;
- E ha il rischio e il rendimento più basso;
- A è il titolo che remunera maggiormente ogni unità di rischio;
- B e D hanno lo stesso rendimento, ma D è più rischioso perché ha uno
i
ς maggiore
di quello di B.
Il rendimento atteso e lo scarto quadratico medio di ciascun titolo è stato
rappresentato sul piano ( R , ς) in figura 1.1.
A
B
C
D
E
F
0
5
10
15
20
25
00,20,40,60,811,21,41,6
Figura 1.1: Rendimento atteso e scarto quadratico medio dei sei titoli presi in esame.
14
Ora, si supponga che gli unici titoli disponibili sul mercato siano i titoli A, B,
C, D, E, F ed un investitore si trovi nella situazione in cui voglia investire tutto il suo
capitale disponibile in uno solo dei sei titoli considerati. Affinché l’investitore possa
effettuare una scelta razionale, è necessario che egli ricorra all’individuazione di un
criterio guida nella fase decisionale sulla base dei contenuti informativi da questo
espressi. “Va cioè introdotto un principio o criterio generale valido per un’ampia
classe di investitori, per mezzo del quale, e sulla base di informazioni molto generali,
sia possibile individuare quegli investimenti che risultano non efficienti (o dominati
da altri) e che pertanto vanno scartati” [Canestrelli, Nardelli, 1991, p.29].
Per poter effettuare una scelta tra i diversi titoli rischiosi oggetto di analisi
razionalmente giustificata, è possibile utilizzare i criteri decisionali valore atteso (E)-
varianza (V), ed il metodo della dominanza, che opera come segue:
1) a parità di rendimento atteso, viene scelto l’investimento meno rischioso
(dominanza per rischio);
2) a parità di varianza (o di ς) viene scelto l’investimento con rendimento atteso
maggiore (dominanza per rendimento);
3) se
i
R <
j
R e
2
i
ς<
2
j
ς il titolo j-esimo non domina il titolo i-esimo: in questo
caso a rendimento maggiore corrisponde un maggiore rischio, quindi non si
può decidere solamente sulla base al metodo E-V e si ha una situazione di
indecisione poiché entrambi i titoli sono efficienti.
L’applicazione del metodo alle sei precedenti possibilità di investimento porta
alle seguenti conclusioni:
1) nessun decisore razionale deve scegliere il titolo C perché dominato da A sia
per rischio che per rendimento;
2) nessun decisore razionale deve scegliere il titolo D perché dominato da:
- B per rischio;
- F sia per rischio che per rendimento;
3) A, B, E, F non sono dominati, e quindi sono efficienti poiché a maggior
rendimento corrisponde maggior rischio.
15
In conclusione, l’applicazione di tale metodo porta all’esclusione dei titoli C e
D, ma non permette, per ora, di individuare quale tra i titoli A, B, E, F rappresenti la
soluzione migliore. Questo è dovuto al fatto che il criterio E-V non è un metodo di
ordinamento totale, ma di ordinamento parziale. Quindi, i titoli non dominati si
dicono efficienti (in E-V) ed economicamente sensati, ma “la scelta di uno di essi è
invece questione da lasciare al decisore sulla base del suo atteggiamento verso il
rischio o, più in generale, sulla base del proprio sistema di preferenze” [Castagnoli,
Peccati, 1991, p.11].
1.1.3 Rendimento e rischio di portafogli di titoli
Nel precedente paragrafo si è visto che le variabili da considerare nel modello
di Markowitz sono due: una variabile di guadagno, espressa dal valore atteso del
rendimento di un titolo, ed una variabile di rischio, che l’autore identifica nella
varianza del rendimento del titolo. Utilizzando queste due variabili è stato inoltre
fornito un esempio di analisi rischio-rendimento applicato al caso della scelta fra più
titoli. Ora si cercherà di estendere tale analisi al caso di un portafoglio di titoli,
ovvero a tutte le infinite possibili composizioni degli stessi, che rappresenta il vero
obiettivo del modello proposto da Markowitz.
Il rendimento atteso di un portafoglio,
P
R , è la media aritmetica ponderata
dei rendimenti attesi dei singoli titoli. Sia
i
x la quota di capitale investita nell’i-
esimo titolo e sia n il numero dei titoli, in formula diviene:
ƒ
n
i
iipP
xRRER
1
(1.5)
con 1
1
ƒ
n
i
i
x che rappresenta il vincolo di bilancio, condizione per la quale
tutto il capitale disponibile viene investito.
16
La varianza di un portafoglio P , indicata con
2
P
ς, è data dal valore atteso del
quadrato degli scarti del rendimento di portafoglio dal rendimento atteso del
portafoglio stesso, in formula:
2
2
PPP
RRE ς
(1.6)
Nel caso di un portafoglio composto da due soli titoli la (1.6) può essere
scritta come:
2
P
ς
> ≅
2
22112211
2
RxRxRxRxERRE
PP
> ≅
2
222111
RRxRRxE
(1.7)
> ≅
221121
2
22
2
2
2
11
2
1
2 RRRRxxRRxRRxE
> ≅
221121
2
22
2
2
2
11
2
1
2 RRRRExxRRExRREx
> ≅
221121
2
2
2
2
2
1
2
1
2 RRRRExxxx ς ς
L’espressione > ≅
2211
RRRRE rappresenta la covarianza fra i rendimenti
dei due titoli e viene indicata con
12
ς; essa rappresenta il valore atteso del prodotto
degli scarti dalla media dei rendimenti dei titoli, misura cioè quanto i rendimenti di
due titoli siano legati da una relazione lineare e può assumere valori positivi, nulli o
negativi.
La varianza del portafoglio P può quindi essere scritta come
1221
2
2
2
2
2
1
2
1
2
2 ς ς ς ς xxxx
P
(1.8)
Si noti come la varianza di un portafoglio dipenda sia dalle varianze dei singoli
titoli che dalle covarianze tra i due titoli. Date le varianze dei singoli titoli, una
covarianza positiva fa aumentare la varianza dell’intero portafoglio. Una covarianza
negativa riduce le varianza dell’intero portafoglio. Questo risultato sembra
ragionevole: se il rendimento di uno dei titoli tende a salire quanto l’altro scende, o
viceversa, i due titoli si compensano e il rischio dell’intero portafoglio si ridurrà.
Invece, nel caso in cui i rendimenti di entrambi i titoli aumentano o diminuiscono
contemporaneamente, il rischio dell’intero portafoglio sarà maggiore.
17
Poiché la covarianza è espressa nell’unità di misura di scarti al quadrato, è
frequente il ricorso al concetto di coefficiente di correlazione, che si ottiene
dividendo la covarianza per il prodotto degli scarti quadratici medi dei rendimenti dei
due titoli. In formula
21
12
12
ς ς
ς
Υ
(1.9)
Poiché ogni scarto quadratico medio è positivo, il segno della correlazione tra
due variabili deve essere uguale a quello della covarianza tra le due variabili. Inoltre,
può essere dimostrato che il coefficiente di correlazione è sempre compreso tra 1 e
1 ; questo è dovuto alla procedura di standardizzazione operata dalla divisione per i
due scarti quadratici medi.
La formula della varianza di un portafoglio può essere generalizzata al caso in
cui questo sia composto da più di due titoli. Ad esempio nel caso di tre titoli si
ottiene
2
P
ς
2
PP
RRE
> ≅
2
332211332211
RxRxRxRxRxRxE (1.10)
da cui
2
P
ς
2
333222111
RRxRRxRRxE (1.11)
Elevando al quadrato e sviluppando l’espressione si ottiene
2
P
ς
2
33
2
3
2
22
2
2
2
11
2
1
RRExRRExRREx
> ≅ > ≅
331131221121
22 RRRRExxRRRRExx
> ≅
332232
2 RRRRExx
(1.12)
Indicate con
2
i
ς la varianza dell’i-esimo titolo e con
ij
ς la covarianza tra l’i-esimo e
il j-esimo titolo si può scrivere
2
P
ς
233213311221
2
3
2
3
2
2
2
2
2
1
2
1
222 ς ς ς ς ς ς xxxxxxxxx
(1.13)
18
L’espressione (1.13) può essere estesa a portafogli composti da più di tre titoli,
osservando che la prima parte dell’espressione della varianza di un portafoglio di
titoli è data dalla somma delle varianze dei singoli titoli moltiplicate per il quadrato
della proporzione in questi investita,
ƒ
3
1
22
i
ii
x ς, e che la seconda parte
dell’espressione è costituita dalle covarianze tra tutte le coppie di titoli possibili.
Inoltre, nella (1.13), ciascuna covarianza è moltiplicata per due volte il prodotto delle
proporzioni di ciascun titolo detenute, per cui, essendo una caratteristica della
covarianza la simmetria (
2112
ς ς ), la parte dell’espressione (1.13) che tiene conto
delle covarianze può scriversi come
ƒ ƒ
ζ
3
1
3
1i
ij
j
ijji
xx ς .
Nel caso di un portafoglio composto da n titoli, la varianza di portafoglio
può calcolarsi come
ƒ ƒ ƒ
ζ
n
i
n
i
n
ij
j
ijjiiiP
xxx
11
222
ς ς ς
(1.14)