informazione e di controllo al fine di ottenere un ”allineamento” degli attori
dell’organizzazione alle pratiche migliori che vengono pre-definite. L’assunzione implicita
di questa impostazione è quella di ritenere che tali pratiche migliori conservino la loro
efficacia per un periodo piuttosto lungo. Al contrario il “nuovo mondo degli affari e delle
imprese” si caratterizza per la presenza di un elevato livello di incertezza e di
impossibilità concreta di predefinire il futuro. Da ciò deriva che l’utilizzazione di sistemi
informativi e di controllo statici e l’adesione a obiettivi pre-definiti o alle pratiche migliori
non necessariamente riesce a soddisfare l’esigenza di una strategia organizzativa proiettata
nel futuro. E’ un mondo questo che rimette in discussione ogni cosa e che, soprattutto, è
sempre in grado di lanciare una sfida spietata a qualsivoglia assunzione che pretenda di
incarnare “il modo giusto di fare le cose.” Esso abbisogna della capacità di comprendere
dei problemi nuovi: le soluzioni ad essi vengono però in breve azzerate e rese pressoché
inutilizzabili dalle cangianti condizioni dell’ambiente. Il punto focale si sposta allora non
tanto sulla necessità di trovare le giuste risposte quanto piuttosto di porsi le domande più
opportune. Il vecchio mondo sembrava recitare:”fai le cose giuste”; il nuovo al contrario
afferma:”fai le giuste cose.”
2
L’itinerario proposto dall’autorevole esponente del knowledge management Y. Malhotra
è quello di enucleare e risolvere in via preliminare la confusione generata dalla
utilizzazione “intercambiabile” dei termini informazione e conoscenza.
Il paradigma tradizionale di sistema informativo si basa sulla ricerca di una condivisa
interpretazione del termine informazione che si basa su regole determinate dal contesto
sociale o dai mandati provenienti da chi è posto al vertice dell’organizzazione. Ciò ha
provocato una certa confusione nell’utilizzo dei termini informazione e conoscenza che
2
Con questa frase si intende anche sottolineare che quasi nessuna problematica esige il ricorso ad una unica soluzione
devono invece rimanere ben distinti. Mentre l’informazione che si genera attraverso
sistemi computerizzati non è in se il vettore della interpretazione umana che consente di
orientare le azioni che possono essere potenzialmente avviate, la conoscenza alligna
piuttosto nel contesto soggettivo di azione che si basa su tale informazione. Ciò significa
che la conoscenza, come già affermato almeno due decadi fa da W. Churchman si origina
in coloro i quali utilizzano l’informazione, mentre quest’ultima non coincide in nessun
caso con la conoscenza.
Le conclusioni a cui si è giunti possono apparire scontate: il fatto è che il persistere della
confusione tra i due termini è costato molto in termini economici a coloro che hanno
investito moltissimo in information tecnology senza approdare a risultati soddisfacenti.
Occorre invece riconoscere che la creazione della conoscenza ha luogo all’interno di un
processo di interazione sociale. Sono gli uomini ad avere un ruolo centrale nella creazione
della conoscenza e gli strumenti informatici sono essenziali non per la loro capacità di
creare conoscenza ma per le loro rapidità e capacità eminentemente computazionali.
Il riconoscimento dell’importanza del fenomeno dell’apprendimento nel generare nuova
conoscenza rischia però di tradursi al più in uno slogan pubblicitario se non viene in
qualche modo sostanziato attraverso il riferimento ad un qualche modello teorico di base a
cui attingere. E’ gia molto arduo parlare genericamente di apprendimento a proposito del
singolo individuo; farlo a proposito di una organizzazione rappresenta davvero una
proiezione in avanti molto ( forse troppo) ardua. Alcuni esponenti del knowledge
management hanno ritenuto di ottemperare a questa esigenza anche approntando dei
cataloghi comportamentali a cui figure chimeriche di manager-umanisti-documentaristi
preposti alla penetrazione di strategie centrate sui processi di apprendimento e
conoscenza (i cosiddetti gold collars o managers “ibridi”) dovrebbero costantemente
riferirsi. In realtà si ha l’impressione che queste formule ripropongano sotto mentite
spoglie tutte le problematiche che questo nuovo approccio organizzativo aveva cercato di
risolvere. L’equivoco di base da ridurre è quello di riferirsi al fenomeno dell’apprendimento
senza avere approfondito sufficientemente in cosa esso si sostanzi. In realtà non vi è nulla
di meno scontato che riferirsi alle modalità mediante le quali un attore organizzativo
apprenda e sviluppi un processo conoscitivo. Per certi versi lo stesso fenomeno
apparentemente così trasparente e analizzabile della condivisione-cooperazione
interindividuale che ha luogo in una organizzazione viene ingenuamente il più delle volte
dato per scontato. Si avrà modo di osservare che invece sono proprio questi gli aspetti da
analizzare e individuare con attenzione per non incorrere nel non trascurabile rischio di
introdurre all’interno di una organizzazione solo delle vacue e inconsistenti (e quindi
scarsamente efficaci) prescrizioni comportamentali……………..
………………………………………..
(estratto 2)
4.4.2) La matrice delle forme di conoscenza organizzativa
Molti degli studi che si sono occupati memoria organizzativa non si sono soffermati su
alcuni aspetti intimamente collegati a cosa noi intendiamo per conoscenza. Innanzitutto è
erroneo ritenere che la conoscenza sia in qualche misura incorporata negli artefatti
materiali che contengono l’insieme di codici segni simboli che noi possiamo agevolmente
immagazzinare e trasferire nel tempo e nello spazio. Il supporto di tali artefatti è
indubbiamente importante ma occorre rendersi conto che la metafora del magazzino in
grado di conservare ordinatamente ciò che ci potrà servire non è adeguata in quanto non
prende in considerazione il ruolo della conoscenza informale. Per ovviare a questa
limitazione è possibile utilizzare una metafora più efficace che traiamo dalla fisica
quantistica. Ogni particella ha, secondo questo paradigma scientifico, almeno due aspetti.
Un aspetto è quello corpuscolare-materiale che illustriamo con l’immagine del punto e un
altro non meno importante è quello energetico che viene raffigurato con l’immagine
dell’onda. Utilizzando questa metafora potremmo ricostruire uno schema interpretativo più
efficace che ci consenta di cogliere in maggior dettaglio alcuni importanti aspetti delle
relazioni che legano la conoscenza alla memoria organizzativa:
Particella Onda
I II
Conoscenza formale
Conoscenza informale
IV III
Matrice delle forme di conoscenza organizzativa (nostra elab. Da j. Conklin 1996)
La “conoscenza”viene interpretata da taluni come fortemente strutturata e formalizzata
venendo a costituire l’insieme dei documenti applicativi che una organizzazione utilizza
facendo riferimento alle teorie economiche, manageriali, che ritiene più convincenti.
Anche tali teorie di base sono formalizzate: esse hanno però la caratteristica di non porsi
con immediatezza un obiettivo operativo specifico e in questo senso risultano più fluide e
dinamiche potendo quindi essere equiparate all’immagine di onda energetica relativa alla
nostra metafora tratta dalla fisica quantistica. D’altra parte, l’insieme dei documenti
formali che caratterizzano una organizzazione non vengono rigidamente recepiti
nell’ambito della struttura organizzativa ma sono sottoposti alle limitazioni della concreta
storia delle interazioni che quello specifico contesto sociale organizzato determina. E’
questo l’ambito in cui la conoscenza formale viene applicata ed eventualmente adattata
concretamente alle specifiche modalità dell’azione generando ruoli, responsabilità,
contesti concreti di azione. Questo coacervo di elementi in cui assumono rilevanza aspetti
quali la leadership, la motivazione, gli aspetti comportamentali non possono considerarsi fluidi
in quanto rispondono a logiche e dinamiche tutte interne a tale specifico contesto
organizzativo rappresentando spesso l’elemento di resistenza al cambiamento: per questo
motivo sono associati con l’immagine della particella puntiforme. Ma le conoscenze e le
strutture informali hanno in ogni caso alla loro base la natura intimamente fluida e
cangiante che caratterizza ogni singolo attore organizzativo sistema autopoietico al quale
andranno ascritte le domande e le relative risposte che sono alla base di ogni processo
conoscitivo che deriva dall’interazione tra sistemi autopoietici: Perché devo fare questo in
questo modo? Perchè nessuno ha pensato a fare questo così? Una management che abbia
come obiettivo più o meno consapevole il raggiungimento equilibrazione coercitiva
liquiderebbe questi interrogativi come inutili e a limite dannosi per il corretto sviluppo
delle attività organizzate. In un ambiente essenzialmente stabile e predicibile,
l’organizzazione avrebbe modo di illudersi di agire efficacemente anche affidandosi a
procedure fondamentalmente standardizzate e ignorare le potenzialità auto organizzative
del singolo individuo. Si avrebbe modo di sviluppare una filosofia del processo
conoscitivo artifact-oriented in cui la conoscenza/memoria in forma puntiforme e formale è
ciò che davvero conta. Ma una organizzazione che non volesse affatto considerare la terza
casella della matrice delle forme di conoscenza risulterebbe nell’attuale mondo delle
imprese terribilmente spoglia e inadeguata. Sarebbe come tentare di descrivere un
incontro in uno sport di squadra solo esibendo le statistiche o ricreare il mistero di un
romanzo di avventura raccontandone rapidamente la trama. Non solo, una siffatta
organizzazione basata su una conoscenza formale e puntiforme perderebbe il contesto e la
storia che originarono i documenti e la memoria organizzativa si configurerebbe come un
cumulo enorme di elementi disconnessi messi in un soffitto. Si getterebbero le basi per
quella che recenti studi chiamano una amnesia organizzativa. La matrice delle forme di
conoscenza può risultare in tal senso un utile strumento interpretativo per comprendere
quale sia il modello di orientamento conoscitivo (in quanto tutti sono in diversa misura
compresenti) a cui fa prevalentemente riferimento una specifica impresa.