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può decidere la forza con cui colpire e l'eventuale effetto, l'elasticità di risposta delle palle e
dei bordi oltre naturalmente al grado di attrito del panno. Insomma proprio tutto, forse
anche più di ciò che sarebbe necessario.
Poi, però, si decide di andare a fare una partita con gli amici e i risultati sono scarsi. Allora ci
si domanda:" Mi è servito realmente passare del tempo a divertirmi sul calcolatore oppure
no?" Se è vero che si giudica in base ai fatti la risposta è no.
Torniamo alla domanda precedente: un'altra possibilità è provare a leggere la versione
informatica di un libro di teoria del biliardo. Purtroppo il risultato non è sensibilmente
migliore: probabilmente sarei in grado di fare la scelta migliore sul tiro da eseguire in una
certa situazione, però, poi non sarei capace di utilizzare la stecca in modo opportuno per
concretizzare la mia scelta1.
Alla fine dobbiamo affermare con delusione che se vogliamo veramente imparare a giocare a
biliardo, l'unica cosa che possiamo fare è rivolgerci ad un maestro oppure ad un amico
particolarmente capace.
Come si può facilmente vedere, non è affatto vero che c'è tutto ciò che serve. Ci si può
chiedere il perché di questa lacuna. Forse non c'è abbastanza richiesta di questa specifica
applicazione da motivarne la realizzazione e la commercializzazione?
Non credo che questo sia un problema reale poiché sono molti, e sempre in aumento,
coloro che vogliono imparare tale disciplina. Inoltre non è un problema limitato al gioco del
biliardo: se volessi imparare a suonare la chitarra mi troverei esattamente nelle identiche
condizioni. Esiste una vastissima letteratura su scale, accordi e canzoni facilmente trasferibile
su calcolatore, ma non capace di insegnare da sola a suonare realmente. È stato fatto anche
il tentativo multimediale: libro+videocassetta che riprende le posizioni per suonare, ma il
risultato non è migliorato molto.
La realtà delle cose è che abbiamo smascherato uno di quei limiti a cui abbiamo accennato
prima: non si riesce a realizzare l'interazione adatta con le tecnologie tradizionali. Per
esempio come si può dare all'utente l'impressione di tenere in mano la stecca se tutto ciò che
lui può fare è usare la tastiera?
È chiaro che non è un limite del programma né del calcolatore in sé. È un limite legato
all'interazione tra l'utente e l'elaboratore.
La nostra tesi è che con l'utilizzo della realtà virtuale molti di tali problemi siano risolvibili
dando così la spinta alla realizzazione di una nuova generazione di applicazioni didattiche.
Vale la pena di notare che ciò che abbiamo detto non implica affatto che d'ora in avanti tutto
potrà essere realizzato con questa tecnologia. Ci sono materie, come per esempio l'algebra,
che non sembrano richiedere nulla più di un libro e di esercizi per essere insegnate2.
Apprendimento
1Si può pensare a un diverso tipo di conoscenza che non si è ancora riusciti a riportare sui libri o altri
prodotti equivalenti.
2Torneremo su tale affermazione più avanti per verificare fino a che punto sia valida.
14
La definizione del concetto di apprendimento è tutt'altro che univoca. A seconda dell'aspetto
particolare che si tende ad evidenziare è possibile incontrare toerie differenti e, per alcuni
punti, fin contraddittorie.
Una prima classificazione di tali teorie può essere fatta a partire dalle due forme più
importanti di apprendimento: apprendimento associativo e non associativo.
Nell'apprendimento non associativo l'organismo3 viene sottoposto una volta sola o in
maniera ripetuta ad un unico stimolo4: tale tecnica dà all'organismo l'opportunità di
riconoscere le proprietà dello stimolo. A tale schema fa capo la comunissima forma di
apprendimento detta abitudine costituita dalla riduzione di una risposta comportamentale
riflessa in seguito alla presentazione ripetuta di uno stimolo non nocivo5.
Un altro esempio di apprendimento semplice non associativo è la sensibilizzazione ,
l'opposto del precedente, per cui si ottiene un aumento della risposta riflessa ad una vasta
gamma di stimoli dopo che al soggetto è stato presentato uno stimolo intenso e nocivo.
L'apprendimento associativo, invece, permette all'organismo di apprendere relazioni
intercorrenti tra diversi stimoli (condizionamento classico) o le relazioni tra uno stimolo e il
comportamento dell'organismo stesso (condizionamento operante).
Nel primo caso uno stimolo incondizionato (SI) produce una risposta incondizionata (RI).
Accoppiando lo stimolo incondizionato ad uno stimolo condizionato (SC) si otterrà ancora
la risposta incondizionata. Grazie all'esperienza dopo alcune ripetizioni presentando soltando
lo stimolo condizionato si otterrà la risposta R, diversa dalla risposta incondizionata, ma è
una risposta condizionata (RC)6. L'esempio classico è quello del cane: facendo precedere
alla presentazione del cibo il suono di una campanella (SC) e sapendo che il cane alla vista
del cibo (SI) produce un aumento della salivazione (RI), è possibile suscitare l'aumento della
salivazione con il solo suono del campanello.
Il secondo schema di apprendimento associativo consiste nella formazione di un rapporto di
previsione tra una risposta e uno stimolo: dei comportamenti vengono ripetuti quando
determinano variazioni positive dell'ambiente (ricompensa o allontanamento di uno stimolo
nocivo), altri vengono abbandonati poichè sono seguiti da conseguenze avversative
(punizioni).
Entrambe i modelli di apprendimento sono governati dalle stesse leggi e a lungo si è ritenuto
che essi costituissero le uniche fonti di conoscenza degli organismi. Tale schema purtroppo
cade in errore nel momento in cui si comincia a vedere l'uomo come essere dotato di scopi
propri disposto a lottare contro gli stimoli ricevuti dall'esyerno pur di raggiungere tali mete7.
3Ci riferiamo per semplicità a studi sull'apprendimento di organismi tra cui anche l'uomo chiaramente.
4Tali schemi vengono generalmente definiti in base agli esperimenti svolti per evidenziarli. Di norma gli
esperimenti sull'apprendimento sono del tipo: si presenta uno stimolo e se ne studia la risposta
dell'organismo. In particolare, poi, può essere interessante vedere la risposta a stimoli simili fino ad allora
mai presentati o studiare come l'organismo riesce a modificare la risposta ad un certo stimolo.
Naturalmente gli schemi possibili sono molti.
5Per esempio una persona particolarmente sensibile ai suono forti dopo che è stata esposta per circa
mezz'ora a tali stimoli ripetuti, e a cui non si accompagna uno stimolo nocivo, perde gran parte di tale
sensibilità.
6Lo scopo che si vuole raggiungere è di legare uno stimolo noto e facile da ripetere (SC) ad una risposta
del soggetto non più imprevedibile (RC).
7È evidente la contraddizione con quanto detto sopra: l'uomo non è condizionato dagli stimoli, ma solo
se lo desidera li utilizza per trarre informazioni dall'esterno.
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Partendo dalla definizione di apprendimento introdotta da Dieci e Chandler è possibile
scorgere una descrizione dell'uomo come organismo attivo fautore del suo apprendimento
che è continuo e incessante e tramite il quale l'uomo riesce a dare senso al proprio agire e al
proprio conoscere.
Le nozioni apprese vengono catalogate e categorizzate in modo da essere uno strumento ad
altissima efficienza in mano all'uomo per definire e raggiungere scopi8.
Le varie strategie tramite cui vengono organizzate le conoscenze non sono universali, ma
dipendono da persona a persona9, nè si fondano su una logica formale del tipo causa
effetto10. Tali strategie dipendono da come ci raffiguriamo la realtà, dipendono più dal buon
senso che da una valutazione precisa di alcune cifre di merito.
Apprendimento ed emozioni
abbiamo visto che la mente non è affatto passiva rispetto agli stimoli provenienti dall'esterno.
Per comprendere meglio questo punto è possibile rifarsi all'esperienza personale e
constatare che la maggior parte dei ricordi più nitidi, benché lontani nel tempo, è collegata
strettamente ad emozioni forti che le hanno impresse in memoria più saldamente di altri
episodi. In quest'ottica è plausibile descrivere le varie attività mentali come processi di
elaborazione-collegamento di informazioni al fine di costruire progetti, o programmi
comportamentali adatti a raggiungere scopi interni.
Così la mente risulta il motore che attiva le facoltà mentali in funzione dei propri fini. E nel
procedere le emozioni suscitate possono a loro volta spingere ad una rielaborazione interna
suscitando nuovi scopi11. In pratica possiamo ipotizzare che le emozioni fungano da disturbo
all'interno del processo di apprendimento, e che la loro presenza sia in grado di alterare in
maniera significativa il risultato finale12.
Infine si è anche notato come le emozioni non soltanto aumentino la stabilità in memoria di
alcuni ricordi, ma ne forniscano anche una chiave di attivazione alternativa: quante volte è
capitato di essere convinti di aver dimenticato una vecchia canzone e poi quando la si sente
la si riesce a cantare senza difficoltà.
È interessante notare come il raggiungimento dei propri scopi funga da stimolante per
continuare nella propria attività, mentre l'opposto produca un senso di inappagamento che
spinge ad un'analisi di quanto si è fin lì ottenuto e degli impedimenti incontrati.
Strategie didattiche
8In questo caso si descive spesso la mente attraverso la metafora dell'armadio a cassetti in cui ogni
singolo scomparto contiene conoscenze omogenee e modalità per maneggiarle.
9Ad esempio parlando di memoria si è notato che esistono strategie diverse per correlare le nozioni.
10Vedremo che il tentativo di descriverlo in questo modo ha portato a soluzioni assolutamente
fallimentari.
11A livello celebrale ogni singola informazione è soggetta a rimaneggiamenti continui in funzione
dell'utilità che offre al raggiungimento degli scopi prefissi.
12Come richiameremo anche in seguito, la dipendenza dell'apprendimento dalle emozioni ne rende
impossibile una formalizzazione accurata comportando, quindi, l'incapacità dei sistemi che si basano su
tale ipotesi di offrire una risposta esauriente all'ottimizzazione dell'insegnamento automatico.
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Fin qui abbiamo parlato di apprendomento di singole nozioni, ora dobbiamo tener presente
che l'apprendimento non è equivalente all'acquisizione indipendente delle nozioni che la
compongono. Infatti la capacità di utilizzare le relazioni esistenti tra le varie conoscenze è
uno dei caratteri distintivi di un apprendimento non superficiale.
Tale problema sembra decisamente sfuggire, data la sua complessità, ad uno studio in
termini psicologici. D'altro canto la sua importanza è fondamentale. Fino ad oggi si è notato
che l'ordine in cui vengono presentati gli argomenti è molto significativo in funzione della loro
mutua organizzazione all'interno della mente dello studente. Ciò fa nascere l'idea che possa
esistere una seguenza nella presentazione delle nozioni, per così dire ottima, capace di
produrre un apprendimento massimo sia in termini quantitativi che qualitativi. Tali studi
rientrano sotto la dizione di strategie didattiche dell'insegnamento.
Attualmente l'unica modalità effettivamente efficace di studio di tali strategie è l'esperienza
fatta dagli insegnanti.
Purtroppo ciò che si è notato è che non esiste alcuna strategia universale, ma che ogni
materia necessita una propria modalità di insegnamento. Inoltre, dato ancor più significativo,
l'efficacia della strategia didattica dipende in forte percentuale dalle modalità di
apprendimento e di organizzazione dello studente.
La formazione
Quanto abbiamo descritto fino qui rientra nella vasta area di studi che fa capo al concetto di
formazione.
Essa può essere definita come il processo attraverso cui si rendono disponibili ad una certa
entità tutti gli strumenti necessari a compiere il proprio lavoro efficientemente.
Tale definizione può apparire un po' fredda e asettica, ma in realtà essa gode della proprietà
di essere molto generica pur individuando con precisione le caratteristiche salienti della
formazione. Infatti non descrive se le entità siano persone oppure no, né quale siano le
caratteristiche degli strumenti che devono essere messi a disposizione, ma soltanto il fatto
fondamentale che tali strumenti hanno lo scopo principale di aumentare l'efficienza nel lavoro
assegnato all'entità in questione.
Chiarito ciò, è senz'altro utile presentare un esempio: è ormai pratica comune nella maggior
parte delle imprese far seguire all'assunzione di nuovo personale un periodo di
"addestramento" in cui a ciascun dipendente vengono presentate le modalità e le finalità del
lavoro che si accingono ad intraprendere. Come si può facilmente constatare siamo di fronte
nella maniera più lampante ad un caso di formazione.
Vale la pena, però, di far anche notare come la scuola, al contrario di ciò che si potrebbe
pensare, non può essere così facilmente descritta come luogo di formazione: infatti bisogna
chiarire a priori quale sia il lavoro di cui aumentare l'efficienza13. In realtà sono possibili
diverse risposte più o meno corrette, noi in questa sede faremo l'ipotesi di poter estendere i
discorsi validi per la formazione anche al caso scolastico.
13A esempio in Italia non tutte le scuole hanno come fine diretto l'introduzione nel mondo del lavoro.
Idem per la scuola dell'obbligo.
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Riassumendo, la formazione occupa un ruolo di primo piano in molte attività della nostra
vita14 e da essa possono dipendere i risultati che possiamo raggiungere. È evidente, quindi,
che nei luoghi in cui questi risultati possono essere decisivi essa venga curata fino nei minimi
dettagli.
L'esempio più evidente è il caso delle industrie a capo di una produzione molto spcializzata
in cui la formazione diventa discriminante della capacità di compiere o meno l'attività
richiesta. E proprio in questi luoghi si è cominciato ad affrontare il problema e a ricercare le
soluzioni più vantaggiose.
Fino ad oggi ci si è essenzialmente basati sul modello dell'istruzione scolastica con un
esperto che presentava i vari argomenti e i novizi che imparavano. Questa via, però, non è
sempre praticabile, nè la migliore. Ad esempio ipotizziamo che per un determinato lavoro
siano necessarie informazioni molto specialistiche, e al limite a conoscenza di un'unica
persona, la quale è anche l'unica a poter portare avanti l'attività dell'impresa. È pensabile che
l'impresa si fermi in attesa della fine della formazione del nuovo personale?
Questa chiaramente è una soluzione limite che deve assolutamente essere evitata, in realtà ci
serve solo per mettere in evidenza il fatto che non è così banale come affrontare il problema
della formazione.
Insegnamento automatico
Sono molte le ragioni che possono spingere a chiedersi perchè non utilizzare dei calcolatori
nel processo di insegnamento. Innanzi tutto ci sarebbe la possibilità di consentire a ciascuno
di apprendere a casa propria, nei momenti e con i ritmi che preferisce.
Da ciò sono nati una gran quantità di studi e di implementazioni che hanno portato a risultati
a volte sbalorditivi e a volte di scarso valore. Indubbiamente non è semplice realizzare una
sistema capace di far apprendere approfonditamente lo studente che lo utilizzi.
Si è passati dai primi prodotti in cui l'insegnamento era strutturato sulla semplice
presentazione di nozioni in un ordine fissato fino ad arrivare a complicatissimi sistemi capaci
di gestire un dialogo con lo studente e di guidarlo nell'apprendimento in maniera intelligente.
Interazione
Se da un certo punto di vista si può dire di aver già raggiunto un livello elevato nella qualità
dell'insegnamento automatico, è anche vero che ancora molto si deve fare. La breve
introduzione fatta prima ha mostrato che nonostante gli sforzi ci sono ancora dei limiti che
devono e possono essere superati.
Essi dipendono in gran parte dall'interazione che lo studente instaura con il calcolatore e
dalle possibilità che quest'ultimo offre al prima di manipolare le conoscenze.
Tali problemi possono sembrare ininfluenti, invece sono la prima causa di fallimento dei
sistemi di insegnamento automatico: se è l'utente che si deve adattare alla comunicazione con
il calcolatore è chiaro che non potrà rivolgere molta attenzione all'apprendimento.
Tali "barriere di comunicazione" sono insite nella comunicazione con il calcolatore e possono
essere superate solo a patto di umanizzare l'elaboratore. Con ciò intendiamo dire che il
14Facciamo notare che anche nel proprio tempo libero la formazione è fondamentale: si pensi al caso del
biliardo.
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calcolatore e le applicazioni devono nascere fin dalla fase di progetto con la caratteristica di
essere adatti alla comunicazione con l'uomo e che le caratteristiche non umane, pur sempre
presenti, devono essere mascherate in maniera opportuna.
Immaginiamo un attimo di colloquiare con un calcolatore utilizzando soltanto informazioni
sotto forma di bit: dopo poco la comunicazione verrebbe abbandonata poichè lo sforzo
richiestoci per codificare le frasi non ci permetterebbe di gustare la conversazione per
quanto interessante.
Oggi non siamo più al problema dei bit, am ancora molto si può fare.
La realtà virtuale
In particolare la realtà virtuale si presenta come una tecnologia capace di far superare tali
problemi: utilizzando la sua caratteristica essenziale di essere in grado di ricostruire un
ambiente in cui noi siamo già capaci di comunicare e inetragire dato che lo facciamo
quotidianamente, è possibile superare le barriere di comunicazione descritte prima. Non è
più necessario essere esperti di calcolatori per interagire poichè è sufficiente l'esperineza
personale acquisita nell'apprendimento del mondo che ci circonda. Il fatto decisamente
strano è che si può comunicare attraverso il calcolatore senza dover utilizzare le codifiche da
esso richiesto che producevano appunto i problemi: tramite la realtà virtuale possiamo
implementare le forme di comunicazione tipiche dell'uomo.
Questo semplicissimo fatto apre la strada ad una grandissima quantità di applicazioni
didattiche di una nuova generazione. Diventa possibile apprendere come manipolare
strumenti con assoluta precisione, diventa possibile conoscere nuovi ambienti muovendocisi,
ma senza esserci fisicamente, oppure progettare strutture e meccanismi, studiarli anche senza
possederne effettivamente i pezzi.
Le caratteristiche insite nella realtà virtuale offrono anche la possibilità di superare alcuni
limiti dell'insegnamento tradizionale come la necessità di affrontare lo studio di alcuni concetti
soltanto successivamente allo studio dell'insieme di simboli e relazioni necessari per
descriverlo. Questo, come altro problemi simili, permette di sviluppare applicazioni adatte
anche per utenti con problemi di apprendimento.
Alla luce di quanto detto fin qui è banale comprendere quanto grande sia la potenzialità della
realtà virtuale: essa per definizione è la ricostruzione multisensoriale di un mondo fittizio,
quindi una fonte inesauribile di emozioni, stimoli e processi in cui l'utente può immergersi,
ricavarne le caratteristiche e apprenderli.
Da qui il passo per la comprensione delle nuove capacità15 di un'applicazione didattica che
sfrutti tale tecnologia è molto breve.
Contenuto
15Anticipiamo soltanto che ciò che abbiamo detto fin qui si tradurrà nella constatazione che la realtà
virtuale consente un'interazione non simbolica con gli oggetti che vi sono contenuti, cioè, in altre parole,
guidata direttamente dalle emozioni. È evidente che in un interazione simbolica si introduce un filtro (la
relazione simbolica tra azione e effetto) che cancella gran parte dell'aspetto emotivo che si può correlare
all'apprendimento.
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Lo svolgimento della tesi è diviso fondamentalmente in due parti più uno studio pratico dei
risultati trovati.
Nella prima parte verrà introdotto il concetto di ambiente di apprendimento al fine di chiarire
quale ruolo debba giocare l'applicazione didattica che si intende sviluppare. In seguito verrà
fatta un'analisi molto attenta sulle applicazioni didattiche attualmente sviluppate, sui loro
schemi di funzionamento e sui loro limiti al fine di comprendere che cosa effettivamente
debba essere dato in più. Concluderemo questa prima parte affrontando il problema
dell'interazione e descrivendo come esso è stato risolto attraverso le tecnologie tradizionali.
Nella seconda parte, a partire dal capitolo 4, introdurremo le varie definizioni di realtà
virtuale e analizzeremo quali differenze introduca l'utilizzo di questa nuovo tecnologia a livello
di interazione e interfaccia. Da qui cercheremo di sviscerare alcune caratteristiche particolari
dell'interazione virtuale e presenteremo una teoria dell'apprendimento che le sfrutti a pieno.
Una volta individuati i caratteri distintivi su cui sviluppare le applicazioni didattiche virtuali, ne
passeremo in rassegna alcune tipologie studiandone le caratteristiche. Infine cercheremo di
affrontare anche il problema della verifica sempre attraverso applicazioni virtuali.
La terza parte consiste nella descrizione di un progetto che tende a riassumere tutti i punti
visti in precedenza: l'applicazione 3D-Viewer è un tipico esempio di prodotto didattico
virtuale su sfondo economico.
Parte prima
Capitolo 1
Lo scopo di questo capitolo è di introdurre alcune tematiche fondamentali nello studio dei
sistemi di insegnamento automatico: innanzi tutto quale sia il loro compito, dove si situino
all'interno dell'ambiente di apprendimento e così via.
Il punto di partenza sarà dato dall'introduzione del concetto di apprendimento utilizzato
tradizionalmente nello sviluppo di applicazioni didattiche, in più verranno introdotti alcuni
concetti molto utili per la valutazione dell'efficacia di un'applicazione didattica.
Pur rimanendo in termini assolutamente generici, verrà presentata una descrizione delle
entità, e dei loro ruoli, coinvolte nel processo di apprendimento: tale schema verrà poi
ripreso e riutilizzato per i sistemi virtuali di insegnamento automatico.
Capitolo 2
Dal punto di vista teorico, il calcolatore può implementare una qualunque delle entità definite
purché se ne riescano a descrivere le funzionalità: come già visto si può parlare sia di
computer che apprende sia di computer che insegna senza dover fare alcuna modifica al
modello. Allo stesso modo è possibile pensare al calcolatore come Manager delle risorse
del sistema, oppure come semplice Tool di aiuto nel processo di apprendimento, e così via
fin dove la fantasia può portarci.
Ora, però, possiamo concentraci su quello che è il nostro scopo: lo studio dei sistemi di
insegnamento automatico.
L'ipotesi che facciamo è che prenderemo in considerazione solo i casi in cui il calcolatore
occupi un ruolo di primo piano nell'insegnamento.
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Quindi non ci soffermeremo su quelle situazioni in cui ci si limita all'uso dell'elaboratore solo
per fare calcoli (calcolatrice) o tracciare grafici e simili, oppure fornire informazioni raccolte
in un database o in un Ipertesto16.
Sono stati fino ad oggi introdotti parecchi tipi di applicazioni didattiche, alcuni hanno avuto
vita breve altri sono ancora diffusissimi. Ciò che è importante valutare è l'efficacia di una
certa soluzione: quindi quanto essa si sia rivelata utile in casi concreti.
Vedremo come si sia partiti da applicazioni con limitatissimo grado di intelligenza, quindi
incapaci di adattarsi alle caratteristiche dell'utente, e si sia giunti fino a sistemi basati su
un'enorme complessità computazionale. In questo processo l'Intelligenza Artificiale ha
giocato un ruolo fondamentale offrendo gli strumenti più adatti per gli scopi dei progettisti.
Alcuni degli schemi di progetto presentati in questo capitolo saranno ripresi anche parlando
di applicazioni didattiche virtuali, altri, non basandosi su un paradigma dell'apprendimento
adatto, verranno abbandonati.
Capitolo 3
In questo capitolo introdurremo alcune nozioni riguardanti il processo di comunicazione tra
utente e calcolatore. Definiremo il concetto di interazione e da qui analizzaremo le cause
delle difficoltà comunicative con il calcolatore.
Studieremo alcuni paradigmi di interazione al fine di comprendere quali caratteristiche
dovrebbero essere garantite da un sistema per comunicare con una persona.
Da qui partiremo analizzando l'interfaccia, cioè l'artefatto che realizza e gestisce l'interazione
tra l'utente e il calcolatore. Vedremo quali sono le modalità interative attualmente più
utilizzate e quali possibilità offrano sia dal punto di vista dell'interfaccia utente e sia da quello
dei dispositivi di ingresso uscita.
Molte delle considerazioni fatte in questo capitolo costituiranno il fondamento per l'analisi
delle capacità comunicative della realtà virtuale.
Parte seconda
Capitolo 4
Questo capitolo è dedicato all'introduzione della realtà virtuale dalla sua definizione fino alle
tecnologie che la caratterizzano: vedremo quali e quanti tipi di realtà virtuale vengono oggi
considerati, le loro caratteristiche distintive. Parleremo di come venga ricostruito il mondo
virtuale dal calcolatore, attraverso quali tecniche sia possibile simulare l'immersione.
Il discorso poi si sposterà sulle capacità interative offerte che differenziano la realtà virtuale
dalle interfaccie tradizionali analizzate in precedenza.
Capitolo 5
16In teoria qualsiasi applicazione può essere usata a scopo didattico: il problema è come costruire
sistemi in funzione di specifiche esigenze.
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In questo capitolo raccoglieremo tutte le considerazioni fatte nel tentativo di verificare se
effettivamente la realtà virtuale sia uno strumento efficace per lo sviluppo di applicazioni
didattiche e in quale misura essa offra possibilità nuove rispetto alle interfacce tradizionali.
Per fare ciò è necessario ricercare quali siano le caratteristiche distintive della realtà virtuale.
In seguito andrà trovata la teoria dell'apprendimento che meglio sfrutti quanto abbiamo
scoperto. In questo modo otterremo un paradigma guida per lo sviluppo di applicazioni
didattiche efficaci.
Dimostreremo così perchè la realtà virtuale ampli le possibili applicazioni didattiche andando
a coprire settori prima irraggiungibili con le interfacce tradizionali. Infine presenteremo uno
schema di progetto generale per le applicazioni didattiche virtuali.
Capitolo 6
In questo capitolo descriveremo alcune classi di applicazioni che possono essere sviluppate
in ambiente virtuale. In particolare cominceremo ad analizzare come i modelli di applicazioni
presentati nel capitolo 2 possano essere modificati in base al modello dell'apprendimento
costruttivista e alle caratteristiche dell'interazione virtuale.
Capitolo 7
In questo capitolo analizzaremo alcune classi di applicazioni didattiche realizzabili soltanto
tramite la realtà virtuale. Al contrario delle precedenti si sviluppano a pieno sul paradigma
costruttivista e rappresentano l'insieme delle nuove potenzialità offerte dalla realtà virtuale.
Capitolo 8
Lo sviluppo di una nuova tipologia di applicazioni didattiche fa sorgere automaticamente il
problema della valutazione del livello di apprendimento prodotto. Avendo abbandonato lo
schema tradizionale dell'apprendimento oggettivista risulta evidente la necessità di sviluppare
nuove forme di verifica che si adattino al modello costruttivista adottato.
Partendo dall'ipotesi fondamentale che è possibile delegare anche ad entità esterne
all'applicazione la verifica dell'apprendimento, vengono presentate alcune possibili soluzioni e
ne vengono discusse l'efficacia e le finalità.
Parte terza
Capitolo 9
In questo capitolo verrà presentata l'applicazione 3D-Viewer: essa è il tipico esempio di
applicazione didattica basata sul modello costruttivista e progettata su principi tipici della
realtà virtuale.
Essa è collocata all'interno di un progetto molto più ampio il cui scopo è la produzione di
un'applicazione didattica di carattere economico in cui vengono descritti i servizi e la
struttura di Ced-Borsa.
L'applicazione risulta strutturata attraverso la comunicazione, trasparente all'utente, tra un
Ipertesto sviluppato tramite Toolbook e 3D-Viewer che implementa una modalità di
22
interazione virtuale: mettendo direttamente a confronto l'interazione simbolica dell'Ipertesto e
quella non simbolica dell'applicazione virtuale risulta particolarmente semplice notarne le
differenze e valutarne l'efficacia.
Ringraziamenti
La presente tesi è frutto di un lungo e delicato lavoro di ricerca ed elaborazione di
informazioni ricavate da varie fonti. La sua natura interdisciplinare ne costituisce la grande
ricchezza e la grande complessità. Tale lavoro sarebbe stato sicuramente al di là delle mie
sole capacità. La riuscita è frutto di essenziali e qualificate collaborazioni.
In primo luogo desidero ringraziare il professor Cugini del Politecnico di Milano che mi ha
permesso di intraprendere questa impresa. Desidero ringraziare il professor Cerri
dell'Università Statale di Milano per l'aiuto e l'esperienza offerti nello studio dei sistemi di
insegnamento automatici.
Desidero ringraziare la Dida*El per l'appoggio sia logistico e sia economico offerto durante
lo sviluppo dell'applicazione.
Desidero ringraziare Monica Bordegoni per la disponibilità dimostrata nel rispondere a
ricorrenti dubbi e nella ricerca di materiale sulla realtà virtuale.
Ringrazio particolarmente mio fratello per la disponibilità dimostrata e per il tempo speso.
Desidero ringraziare la psicologa dott. Mariolina Gaggianesi per le lunghe discussioni in tema
di apprendimento che hanno portato alla chiarificazione di alcuni aspetti fondamentali trattati
in questo lavoro.
Infine ringrazio tutti gli amici che mi hanno permesso di giungere sino a qui: mi auguro che
questa tesi sia di stimolo per altri lavori i cui benefici raggiungano anche loro.
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Parte prima
Nella prima parte verranno introdotti i concetti fondamentali che definiscono le
caratteristiche delle applicazioni didattiche.
Nel primo capitolo introdurremo un modello per identificare diverse entità coinvolte nel
processo di apprendimento. Tale schema verrà utilizzato per definire scopi e ruoli delle
applicazioni didattiche.
Nel secondo capitolo ci concentreremo sulle entità più strettamente legate al processo di
apprendimento, vedremo una serie di possibili soluzioni allo loro implementazione
automatica.
Per ottenere ciò introdurremo il modello dell'apprendimento di Piaget e sulla sua base
svilupperemo una serie di schemi di applicazioni didattiche. Dalla loro analisi evidenzieremo
alcuni parametri fondamentali per definire l'efficacia delle applicazioni, i problemi a cui
rispondono e i limiti che presentano.
Tra questi, il più importante è certamente legato alle modalità di interazione permesse
all'utente: nel terzo capitolo presenteremo una serie di definizioni e alcune considerazioni che
introdurranno il problema da un punto di vista teorico. Su questa base analizzeremo le
soluzioni fino ad oggi più diffuse per implementare tale interazione. Ne analizzeremo i limiti e
le cause al fine di poter dimostrare come, attraverso l'utilizzo della realtà virtuale, sia
possibile superare tali problemi.
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Capitolo 1
L'AMBIENTE DI APPRENDIMENTO
Introduzione
Lo scopo di questo capitolo è di introdurre alcune tematiche fondamentali nello studio dei
sistemi di insegnamento automatico: innanzi tutto quale sia il loro compito, dove si situino
all'interno dell'ambiente di apprendimento e così via.
Il punto di partenza sarà dato dall'introduzione del concetto di apprendimento utilizzato
tradizionalmente nello sviluppo di applicazioni didattiche, in più verranno introdotti alcuni
concetti molto utili per la valutazione dell'efficacia di un'applicazione didattica.
Pur rimanendo in termini assolutamente generici, verrà presentata una descrizione delle
entità, e dei loro ruoli, coinvolte nel processo di apprendimento: tale schema verrà poi
ripreso e riutilizzato per i sistemi virtuali di insegnamento automatico.
Didattica e apprendimento
La didattica viene generalmente definita come quell'insieme di regole studiate per facilitare il
processo di apprendimento con interventi mirati.
Se questo è il punto di partenza, nasce spontanea la domanda se sia possibile isolare un
insieme di regole ottime capaci di svolgere questo compito. La psicologia moderna ha
dimostrato che, a seconda della materia, devono variare le modalità di insegnamento al fine
di ottenere il risultato migliore. La risposta trovata, purtroppo, non semplifica il lavoro di chi
deve realizzare un sistema per l'apprendimento automatico poiché gli impone di rivolgersi
sempre ad un insegnante esperto sia per la stesura e sia per l'organizzazione del materiale.
Oltre a ciò, i termini di giudizio sul lavoro svolto dal sistema non riguardano tanto se si sia
usata questa o quella via per insegnare, piuttosto quanto lo studente ha imparato ed è
proprio per questo che l'apprendimento sarà maggiormente oggetto della nostra discussione.
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A parte tutto questo vale la pena di sottolineare che il processo di apprendimento può
essere descritto in maniera indipendente dal contenuto della materia da imparare17 come
dimostrano i risultati raggiunti dalla psicologia cognitiva.
L'ipotesi fondamentale alla base di questa disciplina è la rappresentazione della mente
dell'uomo come un centro di elaborazione di informazioni: quindi l'apprendimento può
essere descritto come l'acquisizione sia di informazioni sia di capacità di manipolazione di
esse.
In gergo si parla di conoscenza descrittiva (knowledge) e conoscenza procedurale
(skills)18.
Come vedremo, rappresentando la mente dello studente come una macchina a stati, è
possibile descrivere l'apprendimento come il passaggio da una stato ad un altro19.
In realtà poi, si introducono altre ipotesi che distinguono tra loro le varie teorie. A noi non
interessa in questo luogo farne una lista non essendo nei nostri scopi, anche se più avanti
verranno fatti degli accenni più precisi.
Per quanto riguarda l'apprendimento risultano particolarmente significativi anche i risultati
raggiunti nelle ricerche di intelligenza artificiale (AI). Su di essi si baseranno molte delle
considerazioni e dei giudizi che seguiranno.
La distinzione tra apprendimento e didattica è molto importante perché definisce quale sarà
il nostro punto di partenza: come già detto, non è possibile pensare di costruire
17È possibile rappresentare il livello di apprendimento di un certo argomento tramite tre stati:
? ignoranza: non si sa nulla o molto poco.
? incomprensione: si conosce l'argomento ma alcune parti sono state fraintese: è la
situazione più complicata da rilevare e risolvere, purtroppo, anche la più frequente. La
conoscenza e i comportamenti incorretti sono stati costruiti allo scopo di risolvere
problemi in assenza di informazioni o in presenza di informazione scorretta (Brown &
Van Lehn, 1980).
? perfetta conoscenza.
Esiste anche un altro criterio che si riferisce più strettamente al livello di conoscenza in un certo istante:
? ignoranza: al momento l'argomento non è noto.
? dimenticanza: l'argomento è stato studiato e ormai dimenticato, però può essere facilmente
riappreso.
? conoscenza: l'argomento al momento è noto.
Queste classificazioni sono solo esempi su come può essere descritto formalmente l'apprendimento.
18Senza voler entrare nella disputa tra declarativisti e proceduralisti (chiamati così a seconda dell'aspetto
enfatizzato) che movimenta l'ambiente dell'intelligenza artificiale, si fa notare che una distinzione di
questo tipo in realtà non esiste: si può pensare di ridurre la parte descrittiva ai dati di un programma che
invece rappresenta quella procedurale. Di fatto, però, il programma (codice sorgente) è esso stesso un
dato per il compilatore. Se poi si prendono in esame i linguaggi funzionali come il LISP la distinzione è
praticamente impossibile: ogni funzione può essere argomento di un'altra.
19Ricordiamo brevemente che una macchina a stati è definita dalla quintupla < I,U,S,????? con i seguenti
significati:
I: insieme degli ingressi
Z: insieme delle uscite
S: insieme degli stati
?: funzione di uscita
?: funzione di stato prossimo
È banale ricondurre il tutto al nostro caso.
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un'applicazione a partire da quanto si sa sulla didattica poiché essenzialmente si tratta di
regole non formali, per lo più dettate dal buon senso e dall'esperienza, quindi non facili da
implementare su un calcolatore. Invece partendo da considerazioni relative
all'apprendimento è possibile definire un modello e da questo dedurre le strategie più adatte
da implementare (ciò la parte di didattica dell'insegnamento).
Apprendimento profondo e superficiale
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Per apprendimento superficiale si intende l'acquisizione da parte dello studente di tutte le
nozioni che costituiscono la materia in oggetto comprese le capacità di risolvere gli esercizi
presentati.
Con apprendimento profondo invece si indica non solo l'apprendimento superficiale, ma
anche la maturazione di una consolidata esperienza nella soluzione di tutti i possibili esercizi,
nello studio di molti testi specialistici o nella partecipazione a convegni e seminari. Tutto ciò
non è insegnabile, ma può essere solo frutto di un costante impegno in un determinato
campo, dettato sia da interessi e sia da necessità lavorative
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.
In sintesi si possono elencare i seguenti punti per definire l'apprendimento profondo:
? Possesso di multiple visioni del dominio: strutturale, funzionale, causale e filosofico.
? Possesso delle relazioni per il passaggio da uno all'altro dei vari modelli del dominio.
? Possesso di procedure e ragionamenti per la soluzione quantitativa e qualitativa dei
problemi.
? Possesso di capacità di risolvere nuovi problemi.
Il modello di apprendimento di Piaget
Presentiamo qui di seguito le conclusioni maggiormente significative raggiunte da Piaget nei
suoi studi: tale scelta e' dettata dalla constatazione che esse si adattano bene ai discorsi che
faremo in seguito sul processo cognitivo e sul modo di rappresentare la conoscenza.
Egli, nel suo lavoro, enfatizzò il concetto di struttura: la funzione principale dell'intelligenza
consiste nel capire e inventare, cioè costruire dal nulla, strutture dalle strutture della realtà.
Lo sviluppo dell'intelletto può essere descritto come la costruzione di strutture organizzate
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cominciata fin da bambini interagendo con l'ambiente: ogni oggetto è confrontato con queste
strutture e compreso solo quando se ne trova una che ne descriva gli aspetti salienti
(assimilazione). Se non si trova nulla allora si opera una modificazione della struttura. Questo
tipo di modifica non è mai troppo profonda.
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È importante questa distinzione ai fini della specificazione di quali saranno i compiti di un sistema di
apprendimento.
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Un sistema di apprendimento automatico non deve dare tutto ciò essendo legato a termini temporali
ben precisi. Impiegare 10 anni per imparare tutto ciò che si sa sulla meteorologia non può essere frutto di
nessuna politica didattica intelligente. Solo un esperto oppure qualcuno spinto da interessi propri può
impiegare tali tempi.
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Le strutture, ad esempio, sono del tipo di quelle studiate da Collins, Quillian, Minsky e Winston (vd.
reti semantiche).