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Introduzione: La psicologia sperimentale dello sport
“L’essere umano non percepisce né ragiona per
unità isolate, ma per insiemi o forme. L’insieme è
più della somma delle parti.”
Kurt Koffka, Max Wertheimer, Wolfgang Köhler.
Quando si nomina la psicologia, spesso, la prima cosa che viene in mente è il lettino di
Freud, l'interpretazione dei sogni e le loro dinamiche inconscie.
Come tante altre discipline però, sotto la spinta di varie correnti di pensiero, fin dalla sua
nascita nel 1897 con Wundt (Legrenzi, 2002), nel corso degli anni, la psicologia è andata
incontro ad una suddivisione in vari e numerosi ambiti di ricerca, e quindi ha assunto, come
scienza, una molteplicità di sfaccettature che solo in minima parte riguardano il lavoro
pionieristico svolto da Freud. Si può parlare infatti di psicologia clinica, psicologia dei
gruppi, psicologia sociale, psicologia della percezione, neuropsicologia, psicologia dello
sviluppo, psicologia dinamica (quella concettualmente più vicina al sopracitato Freud),
psicologia delle decisioni; si potrebbe continuare l'elenco a lungo.
In questa lunga lista spesso non viene nominata la psicologia dello sport. Essa infatti,
nonostante i primi esperimenti di Norman Triplett presso l'università dell'Illinois risalgano al
1898 e la fondazione del primo Istituto di psicologia dello sport ad opera di Coleman Robert
Griffith negli anni venti sempre presso la stessa università, è andata incontro ad un crescente
interesse solo negli ultimi cinquant'anni. Il 1965 viene riconosciuto come la data ufficiale
della nascita della psicologia dello sport. Infatti in quell'anno, sotto la spinta promotrice di
Ferruccio Antonelli, si tenne a Roma il primo Congresso Mondiale di Psicologia dello Sport,
in occasione del quale si formò l'International Society of Sport Psychology (ISSP). Pochi
anni dopo l'International Journal of Sport Psychology diventò l'organo ufficiale di stampa,
seguito da altre autorevoli edizioni come il Journal of Sport and Exercise Psychology e il
Journal of Applied Sport Psychology (Guicciardi, 2000).
La psicologia dello sport ha per definizione un approccio multidisciplinare; si avvale delle
conoscenze apportate da altre dottrine come " [...] medicina, psichiatria, sociologia,
pedagogia, filosofia, igene, educazione fisica, riabilitazione fisioterapica […] " e quindi è
“[...] aperta al contributo che ciascuno può portare sulla base della propria preparazione
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specifica [...]” (Antonelli e Salvini, 1978). Secondo l'ISSP “la psicologia dello sport trova le
sue radici sia nelle scienze dello sport e del movimento, sia nella psicologia. E' una
specializzazione della psicologia applicata e delle scienze dello sport”. E' quindi una
disciplina che si occupa di diverse prospettive di ricerca e ambiti di applicazione.
Quest'ultimi possono essere divisi grossolanamente in diverse macro aree come personalità,
emozioni, motivazione, dinamiche di gruppo, preparazione mentale, controllo motorio e
apprendimento, attività motoria e salute, infortuni. Come è possibile dedurre, sono ambiti
vasti, generali e tutti molto importanti, per quanto riguarda la prestazione sportiva, nei quali
lo psicologo dello sport può sicuramente svolgere un ruolo di primo piano.
La psicologia sperimentale dello sport
La psicologia dello sport però, per definirsi disciplina scientifica, deve poter contare su un
apporto teorico forte, che certifichi e garantisca, attraverso dati e ricerche, la qualità del
contributo che può essere dato al vasto mondo dello sport. L'approccio sperimentale, proprio
di molta ricerca psicologica, può essere la via più adeguata per fornire alla psicologia dello
sport quella solidità scientifica che è necessaria alla sua affermazione nell'ambito delle
scienze dello sport. E' possibile lo sviluppo di una psicologia sperimentale dello sport? La
risposta a questa domanda può senz'altro essere positiva, qualora questa impostazione
sperimentale “[…] individua il proprio dominio d'indagine nella complessità delle
prestazioni psico-motorie più raffinate ed evolute, affrancandosi, quindi, da ogni tentativo di
ridurre l'attività motoria ad una valutazione di singole attivazioni ed inibizioni neuronali o
neuromuscolari. [...]” (Agostini, Righi, Galmonte, 2005). Rispetto ad una concezione
dell'uomo come “semplice” elaboratore di informazioni, cavallo di battaglia del
Cognitivismo, una psicologia sperimentale dello sport deve considerare l'atleta e il gesto
sportivo nella sua completezza, cioè come “[…] l'interazione continua ed inscindibile tra il
corpo e i processi cognitivi che da esso traggono le informazioni e ad esso restituiscono
un'organizzazione sistematica e coordinata delle sue parti.[...]” (ibid.). L'oggetto di studio, se
di oggetto si può parlare, è l'atleta, e la sua performance è ciò su cui una psicologia
sperimentale dello sport deve concentrare i suoi sforzi, con l'obiettivo di migliorare la
prestazione dello sportivo e di standardizzarne il livello nel tempo, in modo tale da
consolidare e rendere automatici quei meccanismi psico-motori propri del gesto atletico.
Inoltre, le ricerche svolte in psicologia dello sport hanno lo scopo di far conoscere all'atleta
le risorse a sua disposizione per ottimizzare la prestazione in un determinato ambito di
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attività sportiva (Fattorini e Gerbino, 2000; Righi et al., 2003). E' dunque essenziale che le
proposte, i tempi e le modalità di applicazione siano valutati e decisi dopo il confronto con
l'atleta e il suo allenatore. Infatti le ipotesi strategiche sono uniche, adattabili e applicabili ad
un singolo atleta, siccome è dotato di una sua esperienza e quindi possiede determinate
esigenze personali, probabilmente diverse da quelle di un altro sportivo. Le ipotesi
strategiche della psicologia sperimentale dello sport possono essere paragonate infatti ad una
“tuta” che, in confronto ad un vestito fatto su misura (modello delle scienze cognitive), è più
adattabile al singolo soggetto e del quale, nel caso in cui le proporzioni siano sbagliate, non è
da buttare (Agostini, Righi, Galmonte, 2005).
Metodologia
La psicologia sperimentale, e quindi necessariamente anche la psicologia sperimentale dello
sport, deve avvalersi di principi metodologici saldi, tali da garantire che lo svolgimento degli
esperimenti sia il più possibile rigoroso e coerente con le ipotesi sperimentali
precedentemente messe a punto. In generale bisognerebbe considerare i seguenti punti:
• Ipotizzare quali variabili possono essere manipolate per ricercare un effetto
significativo in determinate situazioni considerate come l'oggetto d'analisi dell'ipotesi
sperimentale;
• Creare le condizioni ideali affinchè sia possibile il controllo delle variabili
considerate;Individuare il setting più adatto per permettere la sperimentazione;
• Considerare il fatto che bisogna far “convivere” le esigenze metodologiche con gli
“obblighi” ecologici che una ricerca sperimentale “in campo aperto” deve prendere in
considerazione;
• Adattare gli strumenti classici della psicologia sperimentale alle condizioni e al
livello del setting;
• Individuare il campione adatto all'esperimento;
• Valutare con attenzione, per esempio, i parametri per stabilire un determinato livello
di abilità di un atleta rispetto ad un altro (eg. l'handicap dei giocatori di golf, vedi
Bresolin et al., 2010, che nasce come un indice specifico, ma che diventa una
“certificazione” dell'abilità del giocatore, e permette quindi di comparare il livello
dello stesso con quello di un altro);
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• Finita la fase di progettazione, condurre l'esperimento con rigore in modo tale da
controllare al meglio le variabili, e quindi raccogliere i dati in modo efficiente per un
possibile sviluppo di strategie atte al miglioramento della performance;
• Infine analizzare i dati in modo tale da fornire un risultato che sia indicativo
dell'effetto o meno della manipolazione di una o più variabili indipendenti e che
sottolinei come l'abilità dell'atleta sia stata essenziale per lo svolgimento
dell'esperimento.
Per quanto concerne la seconda parte del quarto punto, è essenziale sottolineare come una
psicologia sperimentale dello sport, deve perseguire il principio di massima ecologicità
(Neisser, 1976; Gibson, 1979) dato che, definendosi una psicologia sperimentale applicativa,
il già menzionato laboratorio, dominio indiscusso della psicologia sperimentale, deve
trasferirsi sul “campo”, dove l'atleta può esprimere la maggior parte dei suoi gesti tecnici e,
fatto ancor più importante, dove questo può ricevere degli stimoli sensoriali il più possibile
vicini percettivamente a quelli che riceve naturalmente durante la sua attività fisica (Righi et
al., 2002; Righi et al., 2003). Per questo motivo, come già accennato in precedenza, si
preferisce considerare l'atleta nella sua completa totalità psico-motoria, preferendola a
paradigmi classici della psicologia, come potrebbe essere la misurazione dei tempi di
reazione. Infatti, come generalmente si conviene che “il tutto è differente dalla somma delle
singole parti”, così la prestazione sportiva dev'essere valutata come un gesto unico, e deve
essere considerata, nel momento in cui si vengono a definire le strategie, come unità d'analisi
e punto di partenza (Brentano, 1874).
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Capitolo 1: Aspetti psicologici e motori
“Si intende per “sport” qualsiasi forma di
attività fisica che, attraverso una partecipazione
organizzata o non, abbia per obiettivo
l’espressione o il miglioramento della
condizione fisica e psichica, lo sviluppo delle
relazioni sociali o l’ottenimento di risultati in
competizioni di tutti i livelli.”
Carta Europea dello Sport, art. 2, comma 1
(1992).
Le pratiche sportive sono l’oggetto di studio di diverse discipline scientifiche. Ciò che
riguarda più da vicino l'argomento che tratto nella mia tesi sono in primis gli aspetti
psicologici del gesto sportivo e successivamente quelli motori. L'essere umano passa la
propria esistenza in un mondo "stimolante". Gli organi di senso sono bombardati da
continui stimoli (luminosi, meccanici, chimici) che vengono tutti convertiti in impulsi
elettrici, l'unica modalità di informazione che il nostro cervello capisce e gestisce.
1.1) Elaborazione delle informazioni.
Il cervello umano è sede della totalità dei processi psicologici, e spesso, quando si fa
riferimento al cervello come "elaboratore di informazioni" lo si fa utilizzando l'analogia
che forse più logicamente riesce a spiegarne il funzionamento. La corrente cognitivista
infatti considera il Sistema Nervoso Centrale (SNC) l'hardware del "computer" umano,
all'interno del quale i software dei diversi processi cognitivi in atto elaborano le
informazioni. Il risultato del lavoro dei "software" è un output che può essere di diverso
tipo.
Considerando quindi un gesto sportivo, l'ouput dell'elaborazione sarà un output di tipo
motorio; schematizzando, e semplificando di molto, utilizzando la metafora dell'uomo –
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computer, il calcio di punizione nel rugby può essere sintetizzato in questo modo:
• Attraverso la vista il giocatore riconosce l'acca formata dai pali; infatti i segnali
luminosi, convertiti a livello della retina in impulso elettrico, viaggiano
attraverso il nervo ottico fino a giungere alle aree corticali deputate all'analisi del
segnale visivo
• ;Con la collaborazione di aree diverse, e quindi di software diversi, la forma
creata dai pali sulla retina viene associata al concetto di "acca formata dai pali"
che quindi ha un valore importante per un rugbysta: 3 punti. La vista dell'acca
formata dai pali viene associata al gesto tecnico del calcio: solo se la palla passa
al di sopra del palo orizzontale permette alla propria squadra di ottenere i punti;
• Analizzate tutte le informazioni fornite dall'ambiente e dai recettori interni, come
potrebbero essere la percezione dell'equilibrio, della posizione del corpo e dei
suoi arti, i software generano un output di tipo motorio, che permette al giocatore
di contrarre i muscoli che servono per la corretta realizzazione di quel
determinato gesto.
Naturalmente, i processi appena citati sono molto più complessi di come io li ho
descritti, e sono studiati e spiegati in modo più approfondito ed esaustivo da discipline
come la neuropsicologia e le neuroscienze.
1.2) La memoria
La capacità di memorizzare è quella funzione cognitiva che permette di apprendere e
quindi di adattarsi all'ambiente e di riuscir a trarre profitto dalle esperienze passate.
E' possibile suddividere il processo mnemonico in tre stadi, che corrispondono a tre
"magazzini" (Atkinson e Shifrin, 1968; Baddeley, 2003):
Registri sensoriali. In questa fase il soggetto ha a disposizione un magazzino con
capacità molto elevata, ma di durata temporale limitatissima, dell'ordine qualche decimo
di secondo. Questo magazzino è infatti deputato alla registrazione di tutti gli input
sensoriali provenienti dal mondo esterno. Solo tramite processi attentivi l'informazione
può raggiungere la fase successiva.