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Figura 1.1 Il ciclo percettivo completo [Neisser, 1967].
La psicologia sperimentale dimostra il pregio di fare ricerca in un’ottica
computazionale, nello sforzo di spiegare e soprattutto prevedere il comportamento
umano nella complessità delle sue attività percettive, attentive, linguistiche e di
pensiero. La centralità del rapporto tra informazione disponibile e modalità di
elaborazione della mente è un punto di partenza imprescindibile per lo sviluppo di
qualsiasi paradigma di ricerca che voglia indagare la realtà mentale dell’attività umana e
quindi i suoi processi cognitivi [Agostini, Righi & Galmonte, 2005].
E’ possibile, quindi, analizzare con precisione la natura dell’input in primo luogo, e
successivamente, dopo l’elaborazione dell’informazione da parte della nostra mente,
quella dell’output. La circolarità dei processi di percezione-azione riporta l’attenzione
sulla necessità di considerare l’essere umano nel suo complesso, superando le derive
mentalistiche di certa parte del cognitivismo [Kelso, Del Colle & Schoner, 1990].
Negli ultimi anni l'approccio di ricerca comunemente definito come “Perception and
Action” ha sviluppato alcuni paradigmi finalizzati allo studio degli aspetti specifici del
movimento umano, che partono proprio da una analisi dei processi cognitivi che in esso
si integrano. Questo approccio rivolge l’attenzione sul rapporto basilare dell’esperienza
umana tra l’informazione sensoriale e l’elaborazione della stessa da parte dell’essere
umano, in un’ottica complessiva riferita alla realtà psico-motoria [Heuer & Sanders,
1987].
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Nella vita di ogni giorno, le informazioni che continuamente raccoglie un soggetto che
si muove, sono indirizzate in gran parte alla continuazione, efficace ed efficiente, del
movimento stesso. Dalla circolarità dei processi di percezione-azione, l’attenzione viene
perciò riportata sulla necessità di considerare l’essere umano nella sua totalità. Non si
può certo dubitare del fatto che l’essere umano sviluppa la funzionalità dei processi
cognitivi a partire dall’informazione sensoriale disponibile, ma è altrettanto importante
considerare il fatto che l’attività di movimento propria dello stesso essere umano
fornisca informazioni diverse da quelle di una situazione statica [Agostini, Righi &
Galmonte, 2005].
La psicologia sperimentale dello sport deve quindi determinare il proprio settore di
indagine nella complessità delle prestazioni psico-motorie più evolute. Deve inoltre
ampliare i suoi orizzonti di interesse scientifico, attraverso l’utilizzo di paradigmi di
studio da validare in un primo momento, e successivamente da implementare, in modo
da renderli adatti al proprio campo di ricerca.
Si può pertanto parlare dello studio di un “sistema” percezione-azione dotato di
feedback per sviluppare un nuovo approccio sperimentale della psicologia dello sport. Il
gesto sportivo inteso come movimento complesso ed articolato è senza dubbio il
risultato di un processo di elaborazione cognitiva delle informazioni sensoriali.
L’apporto scientifico dell’approccio sperimentale della psicologia dello sport è proprio
quello di ottimizzare questo processo, assicurando un grado di efficienza
progressivamente crescente. A livello applicativo, tale prospettiva di studio e di ricerca
mira a fornire all’atleta quante più strategie possibili per fare in modo che l’insieme dei
processi motori da lui sviluppati in virtù dei suoi processi cognitivi sia il migliore
possibile, partendo dall’informazione sensoriale disponibile e dalle abilità dell’atleta
stesso [Singer, Lidor & Cauraugh, 1993].
Questo approccio, con l’intento esplicito dello studio delle prestazioni psico-motorie più
raffinate e complesse, potrebbe dare una veste più applicativa agli studi di psicologia
spostando il laboratorio sui campi di gioco. L’ovvia e naturale predisposizione
applicativa dei campi nei quali indaga la psicologia sperimentale dello sport presume
una ricerca della massima ecologicità, che sfocia nell’elaborazione di macro-modelli di
funzionamento dell’ ”essere umano elaboratore di informazioni”.
Seguendo il principio della massima ecologicità [Neisser, 1976; Gibson, 1979], che
dovrebbe contraddistinguere la psicologia sperimentale dello sport per così essere
definita applicativa, il laboratorio diventa il luogo fisico dove l’atleta deve poter
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riprodurre la maggior parte dei suoi abituali gesti tecnici e, soprattutto, deve poter
ricevere degli stimoli sensoriali il più possibili fedeli a quelli naturali [Righi et al., 2002;
Righi et al., 2003]. In questo modo, a paradigmi classici come la misurazione dei tempi
di reazione semplici che si esplicano solamente attraverso la riduzione del numero di
variabili, si preferisce operare in una visione dell’atleta nella sua totalità psico-motoria.
Considerando che in una visione gestaltica classica, anche nell’azione motoria umana
“il tutto è diverso dalla somma delle sue parti”, non si procede al controllo di alcune
variabili eliminandole dal modello, cosa prevista di fatto dal rigore metodologico, ma si
preferisce dare risalto ad alcune caratteristiche percettive esaltando parte degli stimoli
percepiti dal soggetto. Si cerca quindi di individuare le informazioni ambientali più utili
al miglioramento della prestazione e successivamente convogliare le energie attentive
dell’atleta verso di esse. Sulla base degli studi ad oggi condotti va sottolineato inoltre
come tra tutte le informazioni ambientali disponibili all’atleta, quella sonora sia
generalmente sottovalutata, infatti in ambito sportivo essa non viene solitamente
considerata utile per il miglioramento del gesto tecnico e per il consolidamento dello
schema motorio complesso.
La psicologia sperimentale dello sport ha il requisito molto importante di doversi
relazionare continuamente con la realtà applicativa che la caratterizza. È suo compito,
infatti, definire ipotesi operative per il miglioramento della performance sportiva. I
risultati scientifici devono necessariamente rientrare nella formulazione di ipotesi
strategiche, da utilizzare per l’ottimizzazione della performance sportiva. Il concetto di
miglioramento della performance, in tale ottica, assume un significato particolare e non
significa solo raggiungere livelli qualitativi più alti nei riscontri cronometrici e metrici,
ma anche riuscire a standardizzare nel tempo il livello di una prestazione, creare quindi
degli automatismi psico-motori molto robusti.
La psicologia dello sport utilizza quindi paradigmi propri della psicologia sperimentale
al fine di progettare strategie per il miglioramento della performance sportiva,
giungendo così a definire strumenti operativi specifici per ogni singolo atleta. Tali
strategie si caratterizzano come valore aggiunto alla psicologia sportiva, evitando i
limiti di una scienza basata quasi esclusivamente su modelli teorici.
Un approccio indirizzato all’attività sportiva come può essere quello della psicologia
dello sport, permette di superare determinati limiti imposti da alcuni approcci
elementistici, destinando un ruolo fondamentale ai vantaggi della metodologia della
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ricerca sperimentale, per unirli ad una prospettiva applicativa che si rivolge all’atleta,
considerandolo nella sua totalità cognitiva psico-motoria.
1.2 LA CENTRALITÀ DELL’ATLETA NELL’APPROCCIO SPERIMENTALE
La metodologia di studio e di intervento tipica di una psicologia sperimentale dello
sport è focalizzata all’analisi di atteggiamenti e comportamenti propri dell’atleta
nell’ambiente sportivo, ed il loro conseguente effetto sulla qualità della sua prestazione.
L’obiettivo è l’applicazione di strategie volte al miglioramento del rendimento
agonistico di ogni singolo atleta. Inoltre il compito della psicologia sperimentale dello
sport è di far comprendere agli atleti che la competizione non è solo un fattore di
potenza muscolare, ma anche di una mente lucida pronta a reagire.
Una psicologia sperimentale dello sport deve fare riferimento ad ipotesi strategiche,
espresse nell’ottica di un’applicazione specifica e peculiare, e questa specificità soddisfa
le richieste proprie degli ambienti sportivi. Le ricerche svolte in psicologia dello sport
hanno il compito principale di indicare all’atleta le risorse a sua disposizione per
ottimizzare la prestazione in un determinato ambito di attività sportiva [Fattorini &
Gerbino, 2000; Righi et al., 2003]. E’ importante specificare che per quanto riguarda le
strategie proposte, i tempi e le modalità di applicazione non possono essere fissati a
priori, ma provengono dall’esperienza dell’atleta e del suo allenatore. La singolarità
delle ipotesi strategiche va intesa nel senso di una applicabilità e di una plasticità delle
indicazioni fornite in virtù delle situazioni e delle esigenze personali [Agostini, Righi &
Galmonte, 2005].
Va quindi ribadito come la psicologia sperimentale dello sport deve considerare l’atleta
nella sua totalità psico-motoria. Per fare ciò, essa si avvale dei processi cognitivi
analizzati e della necessità pratica e teorica di integrare questi ultimi con l’attività
motoria complessa per così migliorare la performance sportiva. In generale, come il
tutto è diverso dalla somma delle singole parti, così la performance sportiva rappresenta
un atto, e come tale deve essere considerata come l’unità d’analisi e il punto di
riferimento nella definizione delle strategie [Brentano, 1874]
La plasticità delle ipotesi strategiche in psicologia dello sport ben si integra, in ogni
caso, con la necessità di un preciso rigore scientifico, che anche una psicologia
sperimentale dello sport deve tenere in considerazione. L’adattabilità delle ipotesi
strategiche è tipica della parte applicativa delle scienze dello sport, e questo permette di
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concepire un approccio che caratterizza maggiormente la sperimentazione, la quale
deriva da una serie di dati provenienti dall’esperienza diretta degli atleti [Spinelli,
2002].
Proprio partendo da un’attenta analisi del vissuto percettivo di ogni singolo atleta, viene
introdotta la ricerca quantitativa, che fa seguito a quella qualitativa. Questo risulta
essere il passaggio preliminare per lo sviluppo di una sperimentazione dedicata al
fenomeno della prestazione sportiva che va ad analizzare l’influenza di tutte le
informazioni ambientali disponibili all’atleta durante la sua performance.
Il principale compito della psicologia sperimentale dello sport, in sostanza, è di offrire
ad ogni atleta delle linee guida per permettergli di essere consapevole delle risorse che
ha a disposizione, e di canalizzare le proprie energie attentive nella ricerca di
indicazioni ambientali più adatte ad integrarsi nella pratica sportiva, caratterizzata dal
cosiddetto processo di percezione-azione.
In tale ottica, la moderna psicologia scientifica, tramite i suoi approcci sperimentali, è
sicuramente in grado di porre in evidenza sia da un punto di vista teorico sia da quello
applicativo, quali siano le risorse cognitive più disponibili e molto spesso meno
utilizzate nelle competizioni e negli allenamenti da parte dell’atleta. Si pone, quindi,
come alternativa in grado di porre gli sportivi nella condizione di prendere coscienza
delle numerose potenzialità personali da sviluppare, per poi ottenere risultati
soddisfacenti sui campi di gara che siano il frutto dell’allenamento consapevole e di una
completa conoscenza di sé.
1.3 LA METODOLOGIA NELLA RICERCA SPERIMENTALE DELLO SPORT
Fare ricerca sperimentale in psicologia dello sport implica sostanzialmente alcune fasi
che sono più specifiche rispetto a quelle della ricerca in laboratorio. Qui troviamo molte
variabili e minacce che possono influenzare l’esito della prova e per questo bisogna
porre molta attenzione ad esse per il conseguimento del risultato ottimale.
ipotizzare quali variabili possono essere rilevanti in specifiche condizioni poste
come oggetto di analisi della sperimentazione;
contestualizzare all’interno di situazioni specifiche un progetto di ricerca che sia
compatibile con le necessità di un approccio sperimentale;
creare le condizioni affinché sia possibile il controllo delle variabili individuate e
prevedere il setting più idoneo a realizzare la sperimentazione;