POLITECNICO DI TORINO 1. Introduzione
2
La parte teorica del presente lavoro cercherà di evidenziare alcune possibili strade da intraprendere
al fine di mitigare gli impatti ambientali provocati dal settore delle costruzioni; in particolare
verranno trattati:
1) L'applicazione dei concetti della Bioedilizia, una disciplina progettuale che da alcuni
anni si propone, come scopo, di analizzare l'ambiente e il costruito in termini di sviluppo
sostenibile, attraverso un utilizzo razionale delle risorse, l'impiego di materiali "eco-
compatibili", ed un'attenta analisi del totale ciclo di vita dell' Edificio.
2) Il recupero e la valorizzazione degli scarti provenienti dalle attività di costruzione e
demolizione; una corretta gestione del fine vita di un edificio porta infatti notevoli
vantaggi all'ambiente, quali ad esempio la riduzione dell'attività estrattiva, un massiccio
contenimento della produzione di rifiuti, la riduzione delle aree destinate allo
smaltimento.
La parte applicativa della tesi riguarda l'analisi del ciclo di vita di un edificio residenziale, mirata
in particolare alla definizione del suo fine vita. Durante le fasi di esistenza, un organismo edilizio ha
un forte impatto sull'ecosistema circostante (occupazione del suolo, utilizzo di materia prima ed
energia, emissioni in aria..) e gli effetti sull'ambiente possono essere valutati a livello locale,
regionale e globale. Il metodo più opportuno per valutare gli impatti a livello regionale e globale è
l'applicazione della metodologia LCA (Life Cycle Assestment). La metodologia, usata per lo più
per valutare gli impatti ambientali provocati dai processi finalizzati alla realizzazione di un
prodotto, è stata applicata in questo caso ad un “prodotto” più complesso, che può essere visto come
l'assemblaggio di più prodotti, ovvero i materiali costituenti l'involucro edilizio. L’edificio è un
organismo, che alla stregua di un prodotto più semplice, deve essere costruito, viene utilizzato e
infine demolito o decostruito.
Nel presente lavoro verranno analizzati e quantificati gli impatti ambientali dell'organismo edilizio
in questione a partire dal reperimento delle materie prime necessarie per la fabbricazione dei
prodotti edilizi fino alla demolizione dell'edificio, passando per le fasi intermedie che riguardano la
costruzione e la fase d'uso dell'edificio in oggetto, la cui vita è stata pari a 40 anni.
Lo scopo principale dell'analisi consiste nel determinare in che modo e in che percentuale si
ripartiscano gli impatti tra le varie fasi, ponendo un particolare riguardo al fine vita.
Si potrà chiaramente osservare come la fase d'uso sia quella che maggiormente incide sulla totalità
degli impatti inerenti la vita dell'edificio; è in questa fase infatti che si realizzano i maggiori
POLITECNICO DI TORINO 1. Introduzione
3
consumi di energia dovuti alla necessità di riscaldare e rifornire di energia elettrica il complesso per
un periodo relativamente lungo.
Per quanto riguarda la fase di demolizione e smaltimento delle macerie, si porrà l'accento sulla
convenienza, dal punto di vista ambientale, del recupero del materiale demolito, e sull'influenza che
avrebbe il tipo di gestione del fine vita sugli impatti globali generati. E' importante sottolineare che
l'analisi dettagliata del fine vita rappresenta un elemento innovativo, e non sempre contemplato
negli studi LCA già esistenti; le valutazioni svolte nell'ambito del presente lavoro potranno quindi
essere considerate un valido completamento del panorama degli studi LCA.
POLITECNICO DI TORINO 2. La Sostenibilità Ambientale
4
2. La Sostenibilità Ambientale
2.1 Cenni Storici
L’esplosione del problema ambientale attorno agli anni ’70 ha messo in luce l’esigenza della
conservazione delle risorse vitali per l’uomo.
La crescente richiesta, da parte della società, di difesa e riqualificazione dell’ambiente in cui
viviamo porta alla ricerca di forme innovative di interazione tra ambiente e società, ricerca che può
essere riassunta nel concetto di sviluppo sostenibile. Il modello di sviluppo economico
caratterizzante l’Occidente industrializzato era fondato sulla certezza che le risorse naturali fossero
infinitamente disponibili e che gli habitat naturali avessero la capacità di assorbire i rifiuti emessi
dal sistema produttivo in varie forme. A partire dagli anni ’80 e ’90 questa ipotesi si è ovviamente
rivelata infondata, poiché è risultato evidente che il progressivo sviluppo incide pesantemente sia
sulla collettività sia sugli habitat globali, “sotto forma di esaurimento delle risorse naturali non
rinnovabili e di peggioramento della qualità di quelle rinnovabili, di inquinamento di aria, acqua e
suolo, di spese per il ripristino e per il risarcimento, di cambiamenti climatici e geomorfologici”.
[Disegno di Legge n.188 del Senato, Giugno 2001]
La prima apparizione del termine “sviluppo sostenibile” risale al 1987, anno in cui venne redatta la
relazione della Commissione Ambiente e Sviluppo delle Nazioni Unite, ormai nota come
“Rapporto Bruntland”. La relazione definì lo sviluppo sostenibile come lo “sviluppo capace di
soddisfare i bisogni del presente senza compromettere il soddisfacimento dei bisogni delle future
generazioni”, cioè senza distruggere irrevocabilmente le risorse di cui l’uomo dispone.
Questo concetto implica quindi la garanzia delle condizioni vitali, ottenute controllando gli effetti
delle attività umane sul capitale naturale (costituito da aria, acqua, suolo e biodiversità ) in modo da
non eccedere la capacità di rigenerazione del sistema.
Non impoverire il capitale naturale significa minimizzare l’utilizzo delle risorse ambientali e questo
può essere ottenuto principalmente attraverso due importanti accorgimenti:
1. Prendere in considerazione le risorse rinnovabili: la domanda energetica e il suo rapporto
con l’inquinamento atmosferico rappresenta senza dubbio uno dei più grandi ostacoli allo
POLITECNICO DI TORINO 2. La Sostenibilità Ambientale
5
sviluppo sostenibile; infatti circa il 78% del fabbisogno energetico mondiale è coperto dai
combustibili fossili i quali oltre ad essere una risorsa non rinnovabile, sono anche i maggiori
responsabili delle emissioni di gas serra [Borlenghi, 2003]. Ecco perché sarebbe opportuno
rivolgere una maggiore attenzione all’ uso delle risorse rinnovabili, le quali permettono da
una parte di evitare lo sfruttamento di risorse che tendono ad esaurirsi e dall’altra di
diminuire le emissioni di gas serra.
2. Evitare l’accumulo di rifiuti: una corretta gestione dei rifiuti sarebbe fonte di aiuto verso lo
sviluppo sostenibile; effettuare la raccolta differenziata per consentire un maggior
riciclaggio delle diverse tipologie di rifiuti, consentirebbe il riutilizzo di materiale
considerato “inutile”, con una conseguente riduzione delle aree destinate allo smaltimento le
quali hanno un impatto negativo sull’ambiente e contribuiscono inoltre allo sfruttamento del
territorio.
In seguito alla definizione di Sviluppo Sostenibile, si svilupparono nel corso degli anni ulteriori
iniziative e conferenze con l’obiettivo di approfondire e diffondere ulteriormente l’argomento.
Nel 1992 si tenne a Rio de Janeiro la Conferenza mondiale con tema ambiente e sviluppo. I paesi
che parteciparono alla Conferenza di Rio si erano impegnati, nei confronti della protezione del
clima e nella definizione del programma da seguire e degli impegni da assumere, per ottenere la
sostenibilità ambientale dello sviluppo. Nell’ambito della Conferenza è stata redatta l’ “Agenda
21”, un documento che individua le politiche da attivare al fine di tradurre in iniziative reali i buoni
propositi per lo sviluppo sostenibile. Si fa riferimento quindi sia alla definizione degli obiettivi
ambientali sia alle condizioni necessarie per attuarli a livello pratico, tra cui il consenso, l’interesse,
le sinergie e le risorse umane e finanziarie [Battaglia, 2002].
Nello stesso anno venne approvata a New York la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui
cambiamenti climatici (UNFCCC - United Nation Convention for Climate Change) con l’obiettivo
fondamentale di stabilizzare, a livello planetario, la concentrazione dei gas a effetto serra. Nel
Dicembre del 1997 venne predisposto al termine della Conferenza di Kyoto il noto “Protocollo di
Kyoto”, ovvero lo strumento attuativo adottato dalla Convenzione sopra citata.
Il fine ultimo del protocollo era essenzialmente quello di portare le concentrazioni dei gas serra in
atmosfera ad un livello accettabile, per il quale risultasse possibile ridurre gli effetti sui
cambiamenti climatici.
In questo documento è stato sancito l’impegno globale di riduzione delle emissioni di gas serra dei
paesi in via di sviluppo e dei paesi industrializzati: in particolare si stabilì di realizzare entro il 2012
un livello di emissioni corrispondente ad una riduzione del 5,2 % delle emissioni del 1990. “Le
riduzioni sono state pianificate in modo diversificato tra paesi in via di sviluppo, i quali presentano
POLITECNICO DI TORINO 2. La Sostenibilità Ambientale
6
obiettivi minori, e paesi industrializzati (vedi tabella 2.1.1); gli impegni di ciascun paese sono poi
stati formalizzati nell’Allegato B del Protocollo” [Borlenghi, 2003].
Tabella 2.1.1: Percentuale di riduzione di gas serra entro il 2012 rispetto ai livelli del 1990
Fonte: Rapporto ENEA 2004
Paese % di riduzione
Mondo
5,2%
Unione Europea
8%
Russia 0%
Stati Uniti 7%
Giappone 6%
Italia 6,5%
Paesi in via di sviluppo nessuna limitazione
Per diminuire la concentrazione di gas serra, il Protocollo propone alcune politiche ed azioni
operative che possono essere riassunte come segue:
• migliorare l’efficienza tecnologica e ridurre i consumi energetici nel settore termoelettrico, nel
settore dei trasporti e in quello abitativo e industriale;
• promuovere azioni di riforestazione per incrementare le capacità del pianeta di assorbimento
dei gas serra;
• promuovere forme di gestione sostenibile di produzione agricola;
• incentivare la ricerca, lo sviluppo e l’uso di nuove fonti di energie rinnovabili;
• limitare e ridurre le emissioni di metano dalle discariche di rifiuti e dagli altri settori energetici;
• applicare misure fiscali appropriate per disincentivare le emissioni di gas serra. [ENEA, 2004]
“Per il raggiungimento degli obiettivi ambientali prefissati il Protocollo prevede poi l’introduzione
di tre “meccanismi flessibili” che consistono in strategie d’azione specifiche; esse sono:
1) Joint Implementation (J)
Prevede la possibilità di stipulare accordi tra paesi industrializzati e paesi dall’economia in
transizione per la riduzione delle emissioni attraverso programmi e progetti congiunti.
2) Clean Development Mechanism (CDM)
Prevede che i paesi industrializzati possano contribuire con propri investimenti alla riduzione delle
emissioni nei paesi in via di sviluppo e quindi scontare dal proprio obiettivo le quantità diminuite
negli altri paesi.
POLITECNICO DI TORINO 2. La Sostenibilità Ambientale
7
3) Emission Trading (ET)
Consente l’acquisizione di una quota del permesso di emissione di chi ha un credito disponibile, in
seguito alla riduzione delle proprie emissioni oltre quanto pianificato”.
Questi meccanismi portano a una globalizzazione della gestione ambientale delle emissioni a
effetto serra con un notevole beneficio per l’ambiente, in quanto determinano un risultato certo in
termini di tutela ambientale complessiva.
Ciò contribuisce ad avvicinare i presupposti ambientali a quelli del mercato, in perfetta sintonia
con la logica dello sviluppo sostenibile” [Borlenghi, 2003].
Nel 2001 l’Intergovernmental Panel on Climate Change (ovvero il gruppo di esperti sull’evoluzione
del clima) delle Nazioni Unite avanzò una previsione sul surriscaldamento, calcolando che le
emissioni di CO
2
e di altri gas serra dovute allo sviluppo industriale minacciavano di far aumentare
la temperatura fra i 2 e 10 gradi Fahrenheit nel corso del 21° secolo (si pensi che un aumento di 9
gradi Fahrenheit negli ultimi 15 mila anni ha posto termine all’ultima era glaciale, quando
l’emisfero settentrionale era sotto una spessa coltre di ghiaccio). Studi più recenti indicano tuttavia
che l’atmosfera terrestre può surriscaldarsi ancora più rapidamente del previsto. [Rifkin, Febbraio
2005]
A dieci anni di distanza dalla conferenza di Rio, nell’estate del 2002, si è tenuto a Johannesburg il
Summit Mondiale per lo Sviluppo Sostenibile che ha avuto lo scopo di riesaminare l’attuazione del
piano di azioni deciso in quella sede e di sviluppare un nuovo piano per l’implementazione di
politiche e programmi di valenza globale per lo sviluppo sostenibile. Il Summit si è svolto in un
momento di grande incertezza, in quanto gli Stati Uniti non hanno provveduto alla ratifica del
Protocollo di Kyoto; il Paese infatti aveva precedentemente aderito al Protocollo per poi non
ratificarlo più sostenendo che l’adesione al Trattato avrebbe gravemente minato la propria crescita
economica.
Le difficoltà di attuare i meccanismi flessibili introdotti dal Protocollo sono legate ai limiti
vincolanti di riduzione delle emissioni unitamente ai sistemi di monitoraggio e controllo. È quindi
evidente che il Summit di Johannesburg, mancando l’appoggio degli Stati Uniti all’accordo su uno
degli aspetti ambientali più significativi, non ha avuto il peso politico necessario per poter prendere
impegni concreti per la riduzione dei modelli di produzione e di consumo che stanno impoverendo i
sistemi naturali [Verdesca, 2002].
Si è trattato indubbiamente di un’occasione mancata, per dare una risposta concreta ai gravi
problemi di disuguaglianza tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo, e di un tentativo
inadeguato di affrontare la grandezza e la vastità della crisi in corso.
Bisogna tuttavia riconoscere che il Summit ha comunque avuto l’importante merito di divulgare in
POLITECNICO DI TORINO 2. La Sostenibilità Ambientale
8
tutto il mondo il concetto di sviluppo sostenibile, totalmente sconosciuto alle maggior parte delle
masse. “Inoltre il Summit, a cui hanno partecipato oltre 8000 rappresentanti della società civile, ha
enfatizzato l’importanza dell’approccio partecipativo per definire le politiche ambientali, destinare
le risorse, sviluppare e utilizzare le conoscenze, le competenze e le energie di tutti coloro che hanno
a cuore il futuro del nostro pianeta” [Borlenghi, 2003].
2.2 Attività per lo sviluppo sostenibile
Sulla base di quanto affermato precedentemente, appare evidente che gli stakeholders del rapporto
uomo-ambiente devono attivarsi in base alle proprie competenze, al fine di conseguire gli obiettivi
dello sviluppo sostenibile. Gli attori interessati sono i governi, le Pubbliche Amministrazioni, le
società civili e, non ultime, le imprese. In tutti i casi, il raggiungimento della sostenibilità può essere
ottenuto esclusivamente se le fasi inerenti questo scopo si dimostrano essere:
- pianificate
- programmate
- controllate
I contenuti di tipo ecologico, socio-culturale ed economico per lo sviluppo sostenibile devono
pertanto essere ricercati soprattutto nella fase progettuale. Si pensi ad esempio ad alcuni prodotti,
come gli edifici e le automobili, per i quali la fase di maggior impatto ambientale è quella di
utilizzo: in questo caso assume molta importanza la fase di progettazione del prodotto stesso, in cui
è necessario scegliere le alternative che consentono di minimizzare gli impatti delle fasi di utilizzo,
manutenzione e dismissione. Affinché si possa parlare di “qualità” sotto un punto di vista
ambientale-ecologico, è necessario un approccio radicale da parte dell’organizzazione dell’impresa,
con particolare attenzione alla gestione delle risorse umane e alla loro formazione. In ogni caso,
questo tipo di qualità deve essere visto come un’opportunità di sviluppo aziendale che permette di
raggiungere una maggiore competitività, grazie al miglioramento delle prestazioni del prodotto.
Le aziende, dunque, si trovano a dover introdurre temi ambientali nella propria gestione economica
in modo tale da soddisfare l’esigenza della crescita economica nel rispetto del patrimonio
ambientale complessivo. “I primi obiettivi che un’azienda deve porsi per venire incontro al
problema ambientale riguardano gli approvvigionamenti delle materie prime, i siti produttivi, i
processi di produzione e distribuzione, la risposta degli utenti e l’eliminazione dei rifiuti prodotti.
Le aziende assumono un ruolo importante nella ricerca di innovazioni che portino a sviluppare
tecnologie più pulite e prodotti più ecologici” [Borlenghi, 2003].
Per conseguire risultati significativi in termini di comportamento ambientale, l’organismo
POLITECNICO DI TORINO 2. La Sostenibilità Ambientale
9
interessato deve necessariamente operare con un forte e costante impegno di gestione degli aspetti
ambientali, in quanto l’ambiente è un sistema complesso, che coinvolge innumerevoli e svariate
discipline e problematiche. Ciascun organismo adotterà quindi gli strumenti in possesso per
promuovere lo sviluppo sostenibile: le Pubbliche Amministrazioni e i Governi si preoccuperanno di
promulgare leggi sempre più rivolte all’ambiente; le imprese, sulla base di queste leggi, si
doteranno di strumenti di gestione e strategie appropriate, determinando obiettivi, azioni da
intraprendere e budget, contestualmente alla strategia generale di business.
I vari strumenti di comunicazione d’impresa volontari possono essere di tipologie diverse, e si
basano sulla capacità di autoregolazione del mercato e sul comportamento responsabile di
produttori e consumatori.
Tra gli strumenti volontari necessari per il conseguimento di uno sviluppo sostenibile, quello che
agisce da struttura portante di tutta la gestione aziendale è senza dubbio il sistema di gestione
ambientale. Tale sistema comprende la struttura organizzativa, le responsabilità, le procedure, i
processi e le risorse per determinare e sviluppare la propria politica ambientale. Evidenzia quindi il
modo sistematico di comportarsi e di affrontare le attività al fine di ottenere un miglioramento delle
proprie prestazioni ambientali.
Nel futuro, sarà sempre più evidente la necessità di possedere un sistema di gestione ambientale in
quanto si accentueranno progressivamente principi quali:
• chi inquina paga;
• chi è a rischio di inquinamento deve pagare alte assicurazioni;
• chi inquina perde di immagine verso il contesto socio-economico;
• chi ricicla o riduce i consumi risparmia notevolmente;
• chi è in possesso di una certificazione ambientale può accedere a specifici finanziamenti
pubblici;
Nel Capitolo 3 saranno trattate dettagliatamente le fasi costituenti il sistema e gli obiettivi che si
intendono perseguire.
POLITECNICO DI TORINO 3.Strumenti di Gestione Ambientale
10
3. Strumenti di Gestione Ambientale
Nel presente capitolo si procederà ad una breve presentazione dei principali strumenti di gestione
Ambientale. Si partirà dalla descrizione delle norme ISO della serie 14000, con particolare
attenzione alla norma UNI EN ISO 14001 “Requisiti dei Sistemi di Gestione Ambientale” e alle
norme ISO della serie 14040 che riguardano la metodologia “Life Cycle Assessment” come
strumento per la Gestione Ambientale.
3.1 Le norme ISO della serie 14000
Le norme che costituiscono la famiglia ISO 14000 sono tra le oltre 11000 norme internazionali
volontarie elaborate e pubblicate dall'ISO. Queste norme coprono tutti i campi dello sviluppo
tecnologico e sono basate sul consenso internazionale tra gli esperti del settore.
Il ruolo principale dell' ISO (International Organization for Standardization), ovvero l’organismo
internazionale di normazione, è infatti quello di sviluppare norme valide a livello internazionale.
La norma UNI EN ISO 14000 è il “nome” delle norme internazionali sui sistemi di Gestione
Ambientale. Esse sono state pubblicate dall’ISO con la costituzione di uno specifico Comitato
Tecnico (il TC 207), tra il settembre e l’ottobre del 1996 sulla spinta di una sempre più diffusa
sensibilità ambientale da parte dei vari organismi interessati e in particolare del mondo industriale e
dell’opinione pubblica; tali norme sono state programmate con lo scopo di:
a) dare una guida pratica per la creazione o miglioramento di un sistema di gestione
ambientale;
b) fornire mezzi con cui sia chi sta all'esterno sia chi opera internamente all'organizzazione può
valutare gli aspetti specifici del proprio sistema di gestione;
c) fornire mezzi consistenti e attendibili per dare informazioni sugli aspetti ambientali dei
prodotti.
POLITECNICO DI TORINO 3.Strumenti di Gestione Ambientale
11
Come tutte le norme tecniche, esse hanno natura puramente volontaria: le imprese sono quindi
libere di uniformarsi o meno ad esse, tranne nei casi in cui le autorità pubbliche ne impongano il
rispetto per motivi di sicurezza pubblica o nei casi in cui esse siano richieste per contratto.
Lo standard internazionale ISO 14001, utilizzato come modello per la certificazione di un Sistema
di Gestione Ambientale, fornisce i requisiti di un sistema di gestione ambientale in modo tale da
permettere ad una organizzazione di formulare una politica e stabilire degli obiettivi, tenendo conto
delle prescrizioni legislative e delle informazioni riguardanti gli impatti ambientali significativi.
Essa si applica agli aspetti ambientali sui quali l’organizzazione può esercitare un controllo diretto e
su cui possiede influenza. La norma può essere impiegata a fini interni, per fornire garanzie alla
direzione dell’organizzazione e a scopi esterni, per fornire garanzie alle parti interessate (Pubbliche
Amministrazioni, comunità locali, etc..).
Secondo la norma UNI EN ISO 14001, il Sistema di gestione ambientale si articola in sei fasi che si
susseguono e si ripetono in ogni periodo di riferimento (generalmente l'anno solare) e
complessivamente finalizzate al miglioramento continuo delle prestazioni ambientali. Tali fasi
sono:
1. inquadramento ambientale iniziale;
2. politica ambientale;
3. pianificazione;
4. realizzazione e operatività;
5. controlli e azioni correttive;
6. riesame della direzione.
Un’organizzazione che non possiede alcun SGA deve effettuare un’analisi ambientale iniziale per
stabilire la situazione di partenza e successivamente decidere le azioni di miglioramento. Tuttavia
tale analisi è opportuna anche per un’organizzazione che ha già implementato un SGA, ma in
questo caso si parlerà di riesame preliminare. L'esame deve coprire quattro aree principali:
- le prescrizioni di legge ed eventuali norme a cui l’organizzazione aderisce;
- la valutazione dell'esperienza derivante dall'analisi di incidenti già capitati;
- l'identificazione degli aspetti ambientali significativi e la quantificazione dei dati fisici ambientali
(input e output del processo produttivo dell’azienda);
- l'analisi di tutte le procedure e le prassi esistenti in campo ambientale.
La norma UNI EN ISO 14004 suggerisce alcune tecniche per condurre l'analisi della situazione in
atto quali questionari, interviste, liste di controllo (check list), riesame delle registrazioni, confronto
con altre situazioni (benchmarking).
POLITECNICO DI TORINO 3.Strumenti di Gestione Ambientale
12
La politica ambientale è una dichiarazione di principio che sancisce l'impegno dell'azienda a
favore della tutela ambientale, del rispetto della legislazione vigente in materia, del miglioramento
continuo ed enuncia i principi generali cui tale impegno si ispira e le conseguenti decisioni
strategiche. Essa stabilisce il risultato al quale tendere, in termini di livelli di responsabilità e di
prestazioni richieste all'organizzazione, in confronto ai quali sarà giudicata ogni azione
conseguente. Le imprese possono trovare utili principi guida nella Dichiarazione di Rio
sull'ambiente e lo sviluppo [giugno 1992].
Nella fase di pianificazione si individuano gli obiettivi e i risultati ambientali desiderati tenendo
conto della situazione iniziale, della politica ambientale, delle prescrizioni legislative, delle risorse
disponibili, delle alternative tecnologiche, dei punti di vista delle parti interessate, e dell'impegno al
miglioramento continuo.
Infine si formula il programma di gestione ambientale ossia il programma operativo che definisce i
compiti, le responsabilità, i tempi ed i mezzi per il raggiungimento degli obiettivi, nonché le
modalità di controllo dell'avanzamento nell'attuazione del programma stesso.
Successivamente nella fase di realizzazione ed operatività, in accordo alla politica ambientale,
vengono attuati gli obbiettivi ed il programma di gestione ambientale prendendo in considerazione i
seguenti punti:
- struttura organizzativa e responsabilità;
- formazione, consapevolezza e competenza;
- comunicazioni;
- documentazione del sistema di gestione ambientale;
- controllo dei documenti;
- controllo delle attività;
- addestramento e reazioni alle emergenze.
La fase inerente i controlli e le azioni correttive prevede un’opera di monitoraggio per rintracciare
e gestire situazioni non conformi al sistema ed alle norme e di conseguenza per analizzare
l’efficienza e l’efficacia del sistema.
L’ultima fase, ovvero quella del riesame, descrive le modalità per effettuare il riesame del sistema
di gestione ambientale, così da garantirne l’adeguatezza.
La UNI EN ISO 14001 richiede i seguenti documenti: l’Analisi Iniziale degli aspetti ambientali, il
Manuale del SGA e infine il Manuale delle Procedure del SGA.
Un altro strumento di comunicazione volontaria a disposizione delle aziende per la divulgazione del
proprio impegno nei confronti dell’ambiente è il Regolamento CEE 761/2001, meglio noto come
EMAS II (Eco Management and Audit Scheme). Questo regolamento, non è legato direttamente
POLITECNICO DI TORINO 3.Strumenti di Gestione Ambientale
13
alle norme della serie ISO 14000, ma la procedura da effettuarsi per l’ottenimento della
registrazione EMAS presenta all’incirca le medesime fasi analizzate precedentemente per l’SGA.
La norma della serie UNI EN ISO 14001 e il regolamento EMAS II si possono definire strumenti
volontari che riguardano principalmente la fase di gestione e di organizzazione di un’azienda;
esistono poi altri strumenti volontari inerenti nello specifico i prodotti, ossia gli strumenti di
etichettatura ecologica, tra cui si fa riferimento principalmente all’Ecolabel. Esso, definito come
etichetta di tipo II (UNI EN ISO 14025), è indirizzato ai clienti, ai consumatori e ai fornitori che
hanno necessità di informazioni idonee per la scelta e l’uso dei prodotti. L’ etichettatura ecologica
permette infatti di esprimere informazioni sulle caratteristiche ambientali dei prodotti in modo tale
da garantire utilizzatori e consumatori a scanso di equivoci. Questo marchio di qualità ecologica,
definito dal Regolamento 880/92 CEE, e approvato dal Consiglio dei Ministri CEE nel febbraio del
1992, prevede un iter di analisi e di valutazione delle prestazioni ambientali del prodotto oggetto di
etichettatura; prevede inoltre un confronto delle prestazioni rispetto a valori di riferimento fissati
per la categoria di prodotto.
I criteri di assegnazione dell’etichetta ecologica europea si basano sulla Valutazione del Ciclo di
Vita dei prodotti (Life Cycle Assessment): per ogni tipo di prodotto le commissioni della Comunità
Europea stabiliranno parametri di eco-compatibilità, analizzando tutte le fasi dell’esistenza del
prodotto (estrazione, trasporto e lavorazione delle materie prime, fabbricazione del prodotto,
distribuzione ai consumatori, uso del prodotto, smaltimento), senza trascurare nessun passaggio,
secondo la logica “dalla culla alla tomba”. Per ognuna di queste fasi del ciclo di vita, poi, si
analizzeranno i potenziali impatti del prodotto sull’ambiente e quindi si stabiliranno i parametri di
eco-compatibilità che tutti i prodotti di quel tipo, candidati all’ecolabel, dovranno rispettare per
ottenere il marchio ecologico.
Al termine di questo processo, il prodotto potrà essere commercializzato e diffuso con il logo
dell’ecolabel europeo. L’etichettatura ambientale è utilizzabile esclusivamente per le classi di
prodotto per le quali sono stati fissati i valori standard di riferimento delle prestazioni ambientali. Il
marchio di qualità ecologica serve in particolare a promuovere la concezione, la produzione, la
commercializzazione e l’uso di prodotti aventi un minore impatto ambientale durante l’intero ciclo
di vita.
Un’ ulteriore tipologia di etichettatura ambientale è la Dichiarazione Ambientale di Prodotto
(dall’inglese: EPD Environmental Product Declaration ).
L’EPD rappresenta un’etichetta ambientale di tipo III ( UNI EN ISO 14025 ): per tali etichette non
sono previsti valori limite nelle performance ambientali , ma il rispetto di un formato nella
comunicazione dei dati che faciliti il confronto tra prodotti diversi.
POLITECNICO DI TORINO 3.Strumenti di Gestione Ambientale
14
L’EPD fornisce dati quantitativi sul profilo ambientale di un prodotto, calcolati secondo la
metodologia LCA (di cui si parlerà ampiamente nel paragrafo successivo) ed hanno lo scopo di
garantire all’utente interessato obiettività, credibilità e comparabilità. Affinché siano valide è
necessaria la verifica di un organismo indipendente. Le informazioni comunicate da un’azienda
attraverso l’EPD sono divise in quattro parti fondamentali:
- Sezione 1: Descrizione dell'azienda e del prodotto o servizio oggetto dell'EPD;
in questa sede l'azienda può comunicare altre eventuali iniziative (oltre la EPD), completate o in
corso, in campo ambientale, come ad esempio l'ottenimento della certificazione ISO 14001
- Sezione 2: Dichiarazione della prestazione ambientale del prodotto o servizio;
l'azienda comunica al pubblico, attraverso una serie di parametri ambientali standardizzati, il profilo
ambientale del proprio prodotto o servizio. In questa sezione sono contenute quindi tutte le
informazioni quantitative che possono essere suddivise in: fase di produzione, fase d'uso e fase di
fine vita
- Sezione 3: Informazioni aggiuntive provenienti dall'azienda; possono essere inserite altre ulteriori
informazioni come ad esempio le indicazioni per un uso ecologicamente corretto del prodotto o per
il suo appropriato smaltimento
- Sezione 4: Informazioni provenienti dall'ente di certificazione; l'ente che certifica la EPD, ed in
particolare lo studio di LCA che ne è alla base, comunica in questa parte informazioni riguardanti
l'organismo di certificazione stesso ed il periodo di validità della EPD.
Le aziende devono interpretare la variabile ambientale non come un problema, ma come
un’opportunità, decidendo d’investire risorse umane ed economiche per migliorare le prestazioni
ambientali dei propri prodotti. L'azienda interessata implementa la EPD e successivamente
Organismi di parte terza si occupano della verifica e della convalida controllando la credibilità e
veridicità di dati e informazioni. Gli Organismi in questione devono essere stati accreditati da un
Ente di Accreditamento.
Si può ritenere che tra gli strumenti di valutazione indicati dalle ISO 14000 esistano evidenti
collegamenti; molte informazioni che si ottengono grazie all’audit ambientale (EMAS) infatti
possono essere utili per fare una valutazione del ciclo di vita dei prodotti (LCA) e quindi, tramite un
report, diventare informazione commerciale del prodotto sotto forma di dichiarazione ambientale
(EPD). La messa a regime di questi strumenti infine consente all’azienda di perseguire l’obiettivo di
adeguarsi a un sistema di gestione ambientale (SGA).