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INTRODUZIONE
La guerra è comune a tutti gli esseri,
è la madre di tutte le cose. Alcuni li fa dei,
gli altri li fa schiavi o uomini liberi.
- Eraclito -
La tesi che sarà presentata si propone di analizzare, e soprattutto di
evidenziare, i punti di contatto tra due tipi di strategia che fino ad ora
sono sempre stati trattati separatamente: la strategia aziendale
(competitiva e di marketing) e la strategia militare. Ad una semplice
prima lettura, l’unica cosa in comune tra queste risulterebbe essere solo il
termine “strategia”, tuttavia questo potrebbe già essere un buon inizio.
La strategia, intesa per ora come <<piano complessivo per lo
spiegamento di risorse necessarie a stabilire una posizione di
vantaggio>> [Grant, 1991, p. 27 dell’ed. it.], non è facilmente
considerabile come nata da un’esigenza di tipo prettamente economico
esauribile solo all’interno di tale ambito; è forse più probabile sostenere
che fu la pianificazione strategica di carattere bellico, magari volta a
salvaguardare le risorse di un popolo, ad essere primogenita. L’uomo
scoprì inizialmente la guerra e solo poi la “mercanteria”. Il primo
fabbisogno strategico fu evidenziato dal voler prevalere in modo
violento su altre creature viventi, la problematica assenza di un
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linguaggio ben articolato non beneficiava certo la diplomazia o altre
forme di scambio culturale.
Nella notte dei tempi, i gruppi di primitivi dovevano sopperire alla loro
mancanza di armi naturali per difendersi dagli attacchi degli animali
feroci, incominciarono così a pensare strumenti utili allo scopo e alla
forza maggiore delle azioni coordinate di più individui. Da qui alla
scoperta della caccia con battute di gruppo il passo è breve, capirono così
l’efficacia dell’organizzarsi prefigurando lo scontro con animali di stazza
e forza maggiori, in funzione dei loro rischi e dei loro risultati. Tutto
questo per il raggiungimento dell’obiettivo di assicurarsi il cibo. Cibo che
poi andava anche difeso dalle prepotenze di altre comunità. La strategia
muoveva i primi passi.
Questo, solo per lecitamente ipotizzare che furono le azioni di guerra ad
influenzare altre attività organizzate e complesse, ogni nostro
comportamento sintetizzabile nella realizzazione di un interesse che ci
appartiene a discapito di quelli di altri soggetti, configura eufemismo di
un confronto militare. L’uomo, infatti, è un essere naturalmente
strategico, teleologico, finalistico, in quanto indirizza le sue azioni verso
un obiettivo in cui individua il suo interesse, personale o collettivo
[Corneli, 1999 in introduzione a, Sawyer, a cura di, 1996 p. 10]. Gli
scacchi da sempre considerati una rappresentazione guerriera fungono
qui ad esempio calzante.
Nell’addentrarci nello scivoloso mondo dell’analogia, ci dirigeremo
inizialmente nella ricerca di come sia possibile per un manager odierno
trarre ispirazione da principi maturati dopo millenni di scontri cruenti
sui campi di battaglia, e poi in quella relativa all’effettiva o meno
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presenza di una visione militarmente strategica delle manovre
concorrenziali, nella nostra sfera manageriale.
Partendo dall’analisi di illustri opinioni sull’inflazionato uso della
terminologia militare in azienda, ci sposteremo sullo studio della
situazione reale attuale, nell’ottica di individuare se le condizioni
applicative sono simili per dinamicità e complessità all’evoluzione tipica
di uno scontro bellico.
Sonderemo alcune teorie per individuare se gli studiosi, analizzando la
realtà precedentemente individuata, abbiano maturato approcci che, per
impostazioni o per risultati, siano affini a regole già patrimonio del
pensiero strategico militare. Questa prima parte possiamo vederla come
un reperimento di informazioni di base sulle quali costruire la seconda.
La seconda parte, infatti, analizza alcune delle potenziali armi che
potrebbero essere utilizzate nell’ottica di questa tesi. Considereremo le
due principali fonti ispirative classiche, i testi militari di Sun Tzu e
Clausewitz, come indici di un pensiero strategico rispettivamente
orientale e occidentale, e da queste procederemo su fenomeni come
quello giapponese o cinese, in parte influenzati dallo studio di questi
scritti.
Successivamente, avvalendoci di importanti contributi, passeremo in
rassegna le manovre strategiche di attacco e difesa, in base alle quali
possono essere racchiuse le principali azioni di marketing, cercando,
anche in questo modo, se sono presenti concetti di carattere militare. A
questo tipo di configurazione aggiungeremo una evidenza sul sempre
più diffuso lavoro di intelligence classico ed economico.
Dopo aver teorizzato sull’argomento, cercheremo, quindi, riscontri
pratici nell’economia italiana attraverso gli importanti incontri con
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personalità di spicco: dr. Franco Bernabè, presidente della Franco
Bernabè & C. e Kelyan, gen. Carlo Jean, docente di Studi Strategici alla
Facoltà di Scienze Politiche dell’Università LUISS di Roma e dr. Livio
Buttignol, presidente di Autogrill S.p.A. e del Consiglio Nazionale dei
Centri Commerciali.
Sempre nell’ottica empirica, condurremo un’indagine sulle banche dati
on-line Business Source Elite e ESSPER Economia, nel tentativo di
sottolineare la presenza di termini militari nella letteratura specializzata.
Concluderemo, in questo modo, riconducendoci alla tematica iniziale
dell’influsso militare sui vocaboli di gestione d’impresa.
Nel suo percorso di analisi, la ricerca è chiaramente non esaustiva di
tutta la letteratura o contributi che possano avvalorare la stessa. Dal
punto di vista aziendale, non tutte le teorie di economisti, di economisti
industriali, o di studiosi di strategia d’impresa sono state prese in analisi,
soltanto un campione da noi giudicato significativo. Anche il pensiero
strategico militare è stato racchiuso convenzionalmente nei due testi,
comunemente giudicati classici, di Sun Tzu e di Clausewitz, consci del
fatto che esiste un cospicuo filone di studi con ulteriori trattati e
contributi. Tuttavia, dalle opinioni raccolte in testi qualificati, possiamo
ritenere le opere considerate complete e rappresentative. Per quanto
riguarda le manovre di marketing, possiamo cansiderarle come una
riconfigurazione diversa dal solito delle strategie convenzionali; esistono
anche tutta una serie di strategie non ortodosse maturate dalle
circostanze, che non possono essere classificabili e il cui limite è dato solo
dalla creatività umana.
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PARTE PRIMA
Verso una nuova visione competitiva
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Capitolo I
I punti di partenza
La guerra è troppo importante per
lasciarla fare ai generali.
- G. Clemenceau -
Nessuna onda è uguale all’altra.
- vecchio surfista californiano -
1.1 Etimologia militare nella gestione d’impresa.
Da decenni è ormai innegabile la presenza, forse anche troppo
inflazionata di una certa terminologia militare per indicare o
rappresentare fenomeni aziendali, e in particolare modo problematiche
legate al marketing. Principalmente l’origine di tale tendenza viene
riconosciuta nella letteratura nord-americana, ma come sarà esposto in
seguito, potrebbe anche provenire da studi di origine cinese. L’Europa
accademica ha sempre osteggiato questo tipo di linguaggio spesso
giudicato improprio, tuttavia la martellante influenza oltreoceanica sugli
operatori del settore ha portato gli studiosi a porsi il problema
sull’opportunità della sua adozione.
Guatri, preso come autorevole rappresentante del pensiero europeo, in
un suo specifico scritto [1975 pp. 173–177] sottilmente smembra il
problema distinguendo nel semplice utilizzo di termini militari per
rappresentare concetti aziendali e nell’applicazione di principi militari in
azienda. Per quanto attiene al primo, viene riconosciuta una non comune
immediatezza e vivacità delle immagini suscitate dall’impiego, che
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contribuiscono in certi casi anche ad una buona capacità di sintesi. Già il
concetto di strategia sarebbe di per sé altrimenti laborioso da enunciare
ogni qual volta vi si fa riferimento. Proprio sul concetto di strategia ci
pare opportuno qui segnalare un interessante articolo apparso su <<Long
Range Planning>> [Evered 1983], dove dopo un attenta e accurata analisi
si dimostra come la definizione di strategia in senso aziendale è la
risultante di un mix dei significati in senso militare e in senso
futurologico (futures research).
Sempre sul tema terminologico rimandiamo alla ricerca in Appendice da
noi condotta su banche dati di periodici specializzati nazionali e
internazionali.
Diametralmente opposto è l’avviso riguardo la seconda qualificazione
del problema. Dopo una fin troppo breve analisi delle più immediate e
generiche incongruenze su obiettivi, vincoli e mezzi, l’autore elencando
alcuni principi militari tratti da Kotler (non ultimo in quanto ad
autorevolezza, come ammesso dallo stesso Guatri) liquida il tutto
definendoli <<(…) ovvii o di (una) semplice riespressione, in termini
militari, di concetti ben noti. La povertà concettuale di questa
impostazione è fin troppo evidente; ed è comunque inaccettabile per una
cultura di tipo europeo.>> [1975, p. 176]. L’opera kotleriana citata risulta
datata 1973, pur non avendo avuto modo di consultarla, dal saggio di
Guatri ci risulta effettivamente chiara una certa banalità nei principi
elencati. Ciononostante la nostra idea, forte delle basi di un posteriore
studio di Kotler [Kotler - Achrol 1984] e di testi militari più duttili, ci
porta a dissentire dalle posizioni condivise dalla letteratura europea.
In pieni anni ottanta, periodo in cui la discontinuità economica interessa
accademici e operatori, Kotler sottolinea la tendenza della strategia
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competitiva ad esaminare la teoria militare per cercare principi o
strategie che sono stati trascurati o non sufficientemente sviluppati. Una
prova è data dai numerosi seminari organizzati da importanti agenzie di
marketing nord-americane (Ries Cappiello Colwell, Inc. per tutte). Come
Guatri, si pone la questione dei frequenti termini militari nel marketing e
in azienda, se essi hanno finalità descrittive od operative. La conclusione
che possiamo leggere, però, risulta essere diversa. Una frase degna di
riflessioni filosofiche e psicologiche ci fornisce il pensiero dello studioso:
<<Il linguaggio che noi usiamo per descrivere il nostro mondo ha una
profonda influenza su come lo percepiamo, e a lungo andare va a
formare le nostre attitudini, motivazioni, e da ultimo la scelta delle
nostre azioni.>> [Kotler - Achrol 1984, p. 97 nostra trad. it. dall’ingl.].
Fortunatamente le motivazioni portate a supporto dell’applicabilità del
militare non si fermano al solo filosofare. Partendo dalla constatazione
che sia nel mondo degli affari sia in quello militare individuiamo due o
più parti con interessi opposti e che ogni parte cerca di aumentare il suo
potere, quasi sempre a spese dell’altra, Kotler ci fornisce un interessante
“manuale” di marketing con forti contaminazioni marziali [Kotler, Achrol
1984, p. 110–133). La trattazione di quest’ultimo spunto costituirà una
delle parti centrali di quest’opera (vedi § IV).
Tornando all’autore italiano e di conseguenza all’altra opera da lui citata,
riscontriamo la critica ad un influsso militare prettamente occidentale, di
tipo clausewitziano, del quale si è fatto ampiamente ricorso per fini
naturalmente più consoni durante il decorso della Seconda Guerra
Mondiale. Il concetto stesso di vittoria come completo annientamento del
nemico è proprio di questa visione, totalmente diverso da altre. Altri
pensatori si discostano notevolmente da una così cruenta definizione, la
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vittoria può essere intesa come l’aver creato nuove o migliori condizioni
di pace [Liddell Hart, 1967], oggi si parla non di operazioni di guerra, ma
di peacekeeping o peacemaking.
Ancora prima il geniale stratega dell’antichità Sun Tzu considerava una
vittoria senza combattimento, creata sottilmente acquisendo vantaggi
strategici tali da rendere superfluo una scontro materiale [Sawyer, a cura
di, 1996].
Questo ad indicare che la concezione del pensiero bellico è molto vasta e
come in economia esistono opinioni diverse non certezze, è importante
quindi analizzarle in modo dettagliato e prendere le analogie che più si
adattano ai nostri bisogni, siano essi di marketing, di finanza,
competitivi, sociali o altro. Se devo mettermi la cravatta confrontando la
mia immagine allo specchio, e ho solo uno specchio riflettente in rosso,
forse non indovinerò l’abbinamento con l’abito e la camicia, ma riuscirò
comunque a fare perfettamente il nodo. Non posso rinunciare ad un
confronto solo perché le premesse non sono identiche. Un manager può
migliorare la sua pratica, creando una relazione tra essa e altre pratiche
di ambiti diversi ma simili. L’analogia dà la possibilità di trarre
dall’esterno insegnamenti che possono poi essere applicati all’interno del
management, per funzionare però, è necessario notare l’esistenza di
esperienze diverse per problemi simili. Non dimentichiamo, inoltre, che
l’economia non è nuova nel servirsi di altre scienze per meglio
comprendere le sue dinamiche, la nuova economia industriale che ha
coniato nomi come sociobiologia o bioeconomia, riprende spesso le
teorie evoluzionistiche darwiniane proponendo <<(…) un modello di
società basato sulla selezione naturale cioè su un insieme di meccanismi
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che selezionano gli individui, le organizzazioni e le istituzioni che meglio
si “adattano”>> [Jacquemin, 1987, p. 18 della trad. it.].
Riallacciandoci al concetto di evoluzione qui sopra abbozzato, ci pare
lecito sostenere che un evoluzione comune, se non identica, delle
discipline militari ed economiche rimane paradossalmente l’unica
spiegazione ad una condivisione così ovvia di principi [Guatri, 1975,
p.176]. Ci pare, infatti, improbabile che principi quali dell’obiettivo, della
flessibilità, dell’offensiva o della sorpresa possano essere stati inventati
con il solo fine di riesprimere concetti aziendali già noti, sarebbe come
sostenere che l’economia ha codificato strategie militari prima dei grandi
strateghi. Se alla fin fine viene negata anche la possibilità che siano state
alcune branche dell’economia, invece, ad attingere (magari
inconsapevolmente) dal pensiero strategico militare, allora
effettivamente, per esclusione, dobbiamo pensare che le due discipline
abbiano avuto un percorso evolutivo molto simile arrivando agli stessi
principi.
1.2 Convergenza tra le dottrine militari e aziendali.
I mercati attuali sono il risultato di un processo evolutivo continuato, che
li ha portati ad avere le particolari e talvolta problematiche
caratteristiche strutturali alle quali le aziende oggi non possono esimersi
dall’analizzare e dare risposta. Le strutture dei molteplici mercati sono
talmente complesse e mutevoli da non essere neanche facilmente
inquadrabili nella loro definizione di “struttura”: la parziale
considerazione delle variabili in gioco differenzia i significati ipotizzati
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dai vari studiosi, rendendo così le loro teorie diverse anche
profondamente. Risulterà sempre difficile cercare di ingabbiare la realtà
in un modello matematico, l’operazione può riuscire solo sacrificando
importanti parametri che per arbitraria scelta si ritengono secondari o
ininfluenti. Questa ipotesi di base, caratterizzata già dall’incertezza, è
stata in tempi recenti maggiormente aggravata da fenomeni quali la
porosità delle frontiere tra gli Stati, l’inafferrabile e imperscrutabile
evoluzione tecnologica, la globalizzazione, la rapidità d’informazione,
Internet, solo per evidenziare alcuni aspetti della nuova realtà con cui
oggi le imprese devono fare i conti per non scomparire.
I manager, spesso paralizzati da questa estrema dinamicità del reale, sono
costretti a trovare la forza di gestire questa incertezza data dal
cambiamento che domina la vita aziendale e non di contrastarlo,
assumersi la responsabilità di ciò che non si conosce non è facile. Ecco
che comincia a connotarsi una figura nuova del manager, un uomo
d’azienda più vicino ad un generale militare il cui scopo è di decidere in
ambienti turbolenti con rapidità e risolutezza. Il pensiero aziendale da
tempo fondato sull’idea di continuità ed evoluzione lineare dove ancora
la rigida pianificazione costituiva un buon strumento strategico per le
decisioni, oggi conosce delle discontinuità che sono caratteristica delle
situazioni di conflitto.
La competizione è divenuta molto forte, fino a portare alcuni studiosi a
parlare di “ipercompetizione” [D’Aveni ,1994, Valdani, 2000, pp. 11-13].
Il marketing, come già è studiato nel Nord America, dopo essere stato
orientato al consumatore e alla distribuzione, cresce nella necessità di
considerare anche la concorrenza [Kotler – Achrol, 1984, pp. 99-100]. Le
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manovre di portafoglio sono già un indizio importante di questa
tendenza: conquista del mercato correlata alla conquista del concorrente.
Le più classiche e comuni definizioni del marketing confluiscono nel
ritenere che la sua principale funzione (per non dire l’unica) sia il
soddisfacimento dei bisogni dei consumatori; “il cliente è re”. Da questo
ragionamento si può quindi supporre che l’impresa con migliori ricerche
di mercato riesca nella vittoria, empiricamente parlando quanto
affermato è tutt’altro che vero. Se tutte le aziende odierne sono, come è
lecito supporre, orientate al consumatore, non è di grande aiuto
conoscere le sue attuali esigenze, quando un considerevole numero di
altre aziende si sta prodigando per esaudire quelle stesse necessità. <<Il
problema dell’American Motors non è il cliente, è la General Motors, La
Ford, La Chrysler e le auto d’importazione.>> [Ries – Trout, 1986, p. 19].
Qualsiasi azione provoca una trasformazione della realtà e una reazione
dell’ambiente: del nemico-concorrente, degli alleati, del terreno-mercato,
degli obittivi-consumatore [Jean, 1998, p. 1].
Non basta che i piani di marketing contengano capitoli, meglio
considerati come postille, intitolati <<Esame della concorrenza>> con
poche e lacunose informazioni. I tempi attuali fanno prevedere l’analisi
scrupolosa di ogni concorrente reale e potenziale, con i rispettivi punti di
forza e di debolezza, dossier sui vari dirigenti e i loro stili di decisione.
Tutto ciò è già innescato: l’affare Echelon, la security aziendale,
l’efficiente rete d’intelligence economica tedesca. <<Invitiamo i più scettici
a considerare i risultati dell’analogia con la guerra e non l’analogia in sé
stessa. Uno studio sulla storia del commercio americano dell’ultimo
decennio evidenzia che molti disastri finanziari subiti da aziende come la
RCA, la Xerox, la Western Union ed altre, avrebbero potuto essere evitati
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con l’applicazione dei principi della guerra.>> [Ries – Trout, 1986, p. 22].
“Se vuoi la pace, devi comprendere la guerra, perché anche se non sei
interessato alla guerra, la guerra è interessata a te”.
1.3 Nuovi concetti d’interpretazione delle dinamiche reali.
L’ambiente sempre più caratterizzato da estrema competitività e
incertezza, è stato oggetto di nuove teorie più aderenti alla sua
complessità. Gli studiosi nella loro opera di analisi della realtà e nella
conseguente elaborazione di leggi e modelli interpretativi, hanno attinto,
più o meno inconsciamente, a concetti già trattati nelle strategie di
conflitto o di guerra.
Termini come ipercompetizione o comportamento ipercompetitivo, che
esaltano lo spirito combattivo degli attori, sono affrontati con sempre
maggior interesse. Dover affrontare l’ipercompetizione significa agire in
un ambiente nel quale è richiesta come capacità critica la competitività
agguerrita e veloce, al fine di costruire i propri vantaggi competitivi e
intaccare quelli altrui. L’azienda che opera in un cotal mercato non può
esimersi dal tenere un comportamento ipercompetitivo, creando in
pratica squilibri nei vantaggi competitivi e sconvolgendo lo status quo
del mercato (market distruption), se si arroccasse nella semplice difesa di
ciò che ha acquisito sarebbe travolta dai concorrenti e dalle altre forze in
campo. E’ necessario anticipare i contrattacchi delle altre aziende,
rimettendo in moto i cicli di lancio e sfruttamento derivanti da vantaggi
competitivi sostenibili o passando in nuove aree [D’Aveni, 1994]. La
staticità è spazzata via.
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Nel competere non bisogna dimenticare elementi come il costante
mantenimento dell’iniziativa, le alleanze tattiche, il fattore sorpresa,
l’imprevedibilità e talvolta anche l’irrazionalità (l’ambiguità e
l’incoerenza possono essere fattori di successo), sono questi elementi
liberamente presi dall’ideologia militare che combinati originano
stratagemmi vincenti. D’Aveni (e anche Porter d’altronde) presenta un
ampio ricorso alle metafore della strategia militare per spiegare le
modalità d’interazione competitiva, ma non si limita a questo come da
lui stesso riconosciuto, egli attinge espressamente anche da pensatori e
strateghi dello scontro bellico: <<Sono anche debitore nei confronti di
molti brillanti ricercatori e pensatori che hanno individuato le principali
caratteristiche di questo ambiente nascente o hanno posto le fondamenta
per la conoscenza della strategia. Tra essi…Michael Porter, Peter Druker,
Tom Peters, Kenichi Ohmae, …Karl von Clausewitz, Sun Tzu, Liddel Hart e
molti altri.>> [D’Aveni, 1994, premessa p. xxiv della trad. it.].
L’evoluzione della competitività a situazioni così esasperate non è
sempre tuttavia riscontrabile empiricamente, la sua realizzazione
dipende dalla miscela esplosiva formata dalla struttura del mercato,
dall’insieme di mosse e contromosse degli operatori e dal rapido
progresso tecnologico. L’affermazione di nuove tecnologie crea quello
che viene definito un “equilibrio puntato”, rendendo il percorso
evolutivo del settore discontinuo e periodicamente sconvolto nella sua
struttura. Ed è proprio in questi intervalli, la cui distanze temporali di
successione sono sempre più ravvicinate, che si ricreano le condizioni
d’ipercompetizione che portano le aziende a sfruttare il momento per
intaccare le condizioni imposte da quelle dominanti.
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Il gen. Carlo Jean, esperto di strategia militare, sostiene che il verificarsi
di scontri bellici è dovuto al voler imporre le proprie condizioni di pace,
il ristabilire, cioè, un nuovo equilibrio più consono alla propria visione o
ai propri interessi, <<…come ogni uomo… ama la guerra, come ogni
uomo che non è contento degli altri uomini, né dei loro misfatti.>> [Fini,
1999, prefazione p. v, citando Curzio Malaparte, (1947)].
Diviene, quindi fondamentale, fotografare l’attuale situazione del
mercato e riconoscere il momento strategico dei concorrenti per capire e
congetturare sui possibili sviluppi. Quello che i cinesi, fin dell’antichità,
chiamano “cavalcare la tigre”, sfruttare a proprio vantaggio una
situazione che può anche apparire talvolta problematica, se non avversa.
L’impresa non dovrà più limitarsi ad analizzare una realtà statica interna
ed esterna, ad agire solo di riflesso alle forze esogene, bensì avrà bisogno
di indagare i processi che influenzano le variabili in campo intervenendo
attivamente dove possibile. L’impresa, anche solo per sopravvivere,
dovrà mantenere l’iniziativa sia quando si tratti di attaccare un nuovo
segmento di mercato sia quando si renda necessaria una difesa verso la
minaccia di altre imprese. Nasce l’impresa proattiva, come la definisce
Valdani [2000]: ultimo prodotto dell’evoluzione di un sistema economico
che sta mettendo in dubbio tutto ciò che è statico e rigido. Pro-attiva
assume in quest’ottica il significato di andare avanti, oltre, cercando di
prevedere o addirittura profetizzare. Qualifica un impresa che sa:
v gestire eventi e le conseguenze di eventi che non si sono ancora
manifestati;
v progettare il suo futuro mentre governa il presente;
v definire il proprio destino perché conosce il destino del suo settore;