1. Introduzione
7
cricca (VCCT) proposta da Rybicki e Kanninen [8] con il metodo degli elementi finiti.
La tecnica VCCT è basata sull’ipotesi di Irwin che quando una cricca si estende di una
certa quantità, l’energia rilasciata nel processo è uguale al lavoro richiesto per chiudere
la cricca e portarla alla sua lunghezza originale. L’energia di rilascio unitaria relativa al
modo I, modo II e modo III possono quindi essere calcolate a partire dalle forze nodali e
dagli spostamenti ottenuti dalla soluzione di un modello agli elementi finiti.
L’approccio è molto efficace dal punto di vista computazionale poiché l’energia di
rilascio può essere ottenuta da una sola analisi. Sebbene la tecnica VCCT offre ottimi
risultati riguardo all’innesco e alla stabilità di una delaminazione, il suo uso nella
simulazione della crescita della delaminazione richiede complessi meccanismi di
definizione della mesh che deve avanzare con il fronte della cricca quando l’energia di
rilascio locale unitaria raggiunge un valore critico [9]. Inoltre deve essere definita una
delaminazione iniziale e, per alcuni tipi di carico e geometria, la posizione del fronte di
delaminazione può essere difficile da determinare.
L’utilizzo degli elementi coesivi posizionati alle interfacce delle lamine possono
superare la maggior parte delle difficoltà citate. Gli elementi coesivi sono basati sul
principio di zona coesiva di Dudgale-Barenblatt [10][11], che può essere legato alla
teoria di Griffith della frattura [12]. Questi elementi usano un criterio di
danneggiamento che combina gli aspetti delle analisi basate sulla resistenza, per predire
l’inizio del processo di softening all’interfaccia, e gli aspetti della meccanica della
frattura per predire la crescita della delaminazione. Un grande vantaggio nell’uso degli
elementi coesivi è proprio la capacita di prevedere sia l’innesco che la propagazione
della delaminazione senza nessuna conoscenza, a priori, della posizione iniziale della
cricca e della direzione di propagazione.
Nella prima parte di questa tesi viene valutato l’utilizzo degli elementi coesivi per
simulare la delaminazione all’interno di un laminato composito secondo le prove
standard. Per effettuare le simulazioni viene utilizzato un codice di calcolo commerciale
di tipo esplicito (ABAQUS) in modo da evitare i problemi di convergenza che
caratterizzano il metodo di soluzione implicito sia quando i materiali presentano un
danneggiamento con softening, sia quando il problema e fortemente non lineare.
Nella seconda parte della tesi sono analizzate diverse simulazioni di impatto a bassa
velocità tridimensionali su un laminato composito e, infine, i risultati numerici sono
messi a confronto con quelli ricavati da prove sperimentali.
2. Elementi di meccanica della frattura
8
2. Elementi di meccanica della frattura
La meccanica della frattura offre una interessante metodologia per l’analisi dell’innesco
e della crescita di una delaminazione in un laminato composito. In aggiunta, gli usuali
laminati compositi sono molto rigidi nel piano del laminato e si comportano come un
materiale lineare elastico nel campo delle grosse deformazioni. Quindi è ragionevole
basare l’analisi della resistenza interlaminare sul principio della meccanica della frattura
lineare elastica [13] (MFLE).
2.1 Rilascio unitario di energia “G”
Sebbene lo studio della meccanica della frattura sia stato sviluppato prevalentemente
nella seconda metà del XX secolo, una delle equazioni fondamentali fu stabilita da
Griffith [2] già nel 1921. Il concetto base è che l’energia in qualunque processo si deve
conservare, dunque, quando una cricca si propaga, la diminuzione dell’energia
potenziale immagazzinata nel sistema U, è bilanciata dall’aumento dell’energia
superficiale S, dovuta alla creazione di nuove superfici di frattura [1].
Figura 2 Schematizzazione della crescita di una cricca
Si consideri una cricca che attraversa tutto lo spessore in un provino di spessore B (vedi
Figura 2). Man mano che la frattura si propaga l’energia si deve conservare e quindi:
0USΔ+Δ= (2.1)
La variazione dell’energia superficiale risulta:
s
SAδ γΔ =⋅, dove Aδ è la nuova
superficie creata e
s
γ è l’energia superficiale per unità di area, come illustrato in Figura
2. La variazione di area è:
2ABaδ =Δ (Il fattore 2 è dovuto al fatto che vengono create 2 nuove superfici).
Sostituendo questi valori nella (2.1) e dividendo per B aΔ si ottiene:
1
2
s
U
Ba
γ
Δ
−=
Δ
(2.2)
2. Elementi di meccanica della frattura
9
Riscrivendo la (2.2) in termini differenziali si ottiene la relazione di Griffith:
1
2
s
U
Ba
γ
∂
−=
∂
(2.3)
L’energia di rilascio unitaria viene definita come
1 U
G
B a
∂
=−
∂
(2.4)
Nella maggior parte delle situazioni accade che
U
a
∂
∂
è negativo per esempio, quando
una cricca cresce, l’energia potenziale diminuisce, dunque G è positiva. Il termine 1/B
spesso viene tralasciato, e in tal caso, per U si intende l’energia interna per unità di
spessore. G ha le dimensioni di un energia per unità di superficie ed equivale all’energia
rilasciata per unità della nuova superficie di frattura e per unità di spessore. È una
misura dell’energia fornita dal sistema per far propagare la cricca e dipende dal
materiale, dalla geometria e dal sistema di carico. L’energia superficiale
s
γ dipende
solo dal materiale e dall’ambiente circostante (pressione, temperatura, etc.) e non
dipende né dal carico né dalla geometria della cricca.
Una cricca si propagherà soltanto quando:
2
s c
GGγ≥=
Sperimentalmente fu trovato che la teoria di Griffith funziona bene soltanto per i
materiali fragili, come il vetro, e non poteva essere utilizzata per i materiali duttili.
L’energia richiesta per far propagare una cricca nei materiali duttili è molto più grande
del fattore 2
s
γ . Il risultato di Griffith, pertanto, non trovò inizialmente nessuna
applicazione pratica ma ebbe soltanto interesse accademico.
Nel 1948 Irwin e Orowan proposero un’estensione della teoria di Griffith anche ai
materiali duttili ipotizzando che l’energia richiesta per far propagare una cricca fosse
composta dai seguenti termini:
Sp
γ γγ=+
Dove
p
γ è il lavoro plastico dissipato nel materiale per unità di spessore e per unità di
superficie di frattura creata. In generale fu trovato che
ps
γ γ>> . Il criterio di frattura
quindi diventa:
()
1
2
s pc
U
GG
Ba
γγ
∂
=− ≥ + =
∂
Il criterio di Griffith e di Irwin sono matematicamente equivalenti. L’unica differenza
sta nell’interpretazione di G
c
. In generale G
c
è ottenuta direttamente dai test di frattura e
2. Elementi di meccanica della frattura
10
non da valori di
S
γ e
p
γ . L’energia critica di rilascio unitaria G
c
può essere considerata
una caratteristica del materiale come il modulo di Young che non dipende dalla natura
del carico o dalla forma della cricca ma dall’ambiente circostante (temperatura,
pressione).
2.2 Analisi della resistenza a frattura interlaminare
La maggior parte dei materiali compositi vengono costruiti in modo tale da sfruttare
l’alta resistenza a trazione nel piano delle fibre e, dunque, le caratteristiche di resistenza
in direzione dello spessore sono molto basse se confrontate con la resistenza a trazione
nel piano. Per tale motivo la presenza di sforzi in direzione dello spessore possono
portare all’innesco di delaminazioni, specialmente se vi è la presenza di particolari
geometrie (bordi liberi, fori, etc.) o la presenza di un precedente danneggiamento (crack
di matrice o micro-delaminazioni come conseguenza di un impatto o dovuto a un
problema di fabbricazione).
Se la resistenza interlaminare è espressa in termini di energia di rilascio, la
delaminazione si propagherà quando l’energia di rilascio raggiunge un valore critico G
c
.
Per un materiale con comportamento elastico, l’energia di rilascio può essere espressa
come una funzione dell’incremento del lavoro esterno U
e
, dell’energia di deformazione
U
s
e dell’incremento della cricca aΔ . Dunque per una cricca di lunghezza a e larghezza
b, l’energia di rilascio può essere espressa come:
1
es
UU
G
B aa
ΔΔ
⎛⎞
=−
⎜⎟
ΔΔ
⎝⎠
(2.5)
Figura 3 Andamento del carico con lo spostamento
2. Elementi di meccanica della frattura
11
In Figura 3 è presentato l’andamento del carico P con lo spostamento δ per una cricca
interlaminare che cresce da una lunghezza “a” alla lunghezza finale “a+δa”. Nel punto
A
1
il carico applicato è P
1
, lo spostamento e δ
1
e la lunghezza della delaminazione è “a”.
Nel punto A
2
il carico applicato e lo spostamento sono P
2
e δ
2
, rispettivamente, e la
lunghezza della cricca è “a+δa”. Dunque, le variazioni di lavoro esterno e di energia di
deformazione, per il caso lineare mostrato in Figura 3, sono rappresentati
rispettivamente dalle seguenti aree:
1122e
UAδ δΔ= (2.6)
22 11s
UOA OAδ δΔ= − (2.7)
Il cambiamento nell’energia è determinato dall’area OA
1
A
2
(area tratteggiata in Figura
3). Se si assume un comportamento lineare anche per le deformazioni, allora, per
delimitare le aree, devono essere utilizzate le linee rettilinee tratteggiate mostrate in
Figura 3 e la variazione di energia diventa:
12 21
2
es
PP
UU U
δ δ−
Δ=Δ−Δ = (2.8)
L’aumento della nuova superficie di frattura risulta: baΔ
Denotando P
1
con P, P
2
con P+ΔP, δ
1
con δ e δ
2
con δ+Δδ, l’energia critica G
c
diventa:
()()
2
c
P
G
ba
δδδ+Δ − +Δ
=
Δ
(2.9)
La cedevolezza del sistema dipende dalla lunghezza della cricca ed è definita come:
C
P
δ
= (2.10)
Prendendo in considerazione l’incremento di carico e spostamento e l’equazione (2.10),
l’incremento nello spostamento può essere scritto come:
PC CPδΔ=Δ+Δ (2.11)
E combinando le equazioni (2.9) e (2.11) si arriva all’espressione dell’energia di
rilascio:
2
2
c
PC
G
ba
Δ
=
Δ
(2.12)
In forma differenziale risulta:
2
2
c
PdC
G
bda
= (2.13)
Per gli studi sperimentali di propagazione della cricca interlaminare nei materiali
compositi, la variazione del carico applicato con lo spostamento, come mostrato in
2. Elementi di meccanica della frattura
12
Figura 3, è basilare. Questi dati sperimentali, insieme alla lunghezza della cricca, sono
alla base del calcolo di G. La determinazione sperimentale di G all’innesco della frattura
e durante la propagazione è complicato è diversi metodi possono essere utilizzati [13].
2.3 Modi di frattura
Secondo la teoria della meccanica della frattura, la crescita e la propagazione di una
cricca interlaminare, ovvero di una delaminazione, può avvenire secondo tre tipi di
sollecitazione elementare, modo I (trazione), modo II (taglio nel piano), modo III
(lacerazione, ovvero taglio al di fuori del piano), modi che possono anche essere
combinati fra di loro. Ogni modo è caratterizzato da un valore della tenacità di frattura e
da una R-curve (andamento dell’energia critica di rilascio con la dimensione della cricca
detta R-curve) che sono caratteristiche intrinseche di un materiale. Nel caso dei
materiali isotropi la tenacità a frattura è più bassa secondo il modo I, rispetto agli altri
modi e, anche se la cricca inizia a crescere sotto un modo differente, in seguito devia e
si propaga secondo il modo I (Robinson e Hodgkinson, 2000).
Figura 4 Modi di propagazione elementari: (a) modo I, (b) modo II e (c) modo III
La propagazione di una delaminazione in un laminato composito è generalmente
costretta a stare nello strato di rinforzo delle fibre. In questo modo, una delaminazione si
può propagare con una combinazione dei tre modi di propagazione.
Figura 5 Innesco della delaminazione in un composito sottoposto a trazione
2. Elementi di meccanica della frattura
13
In Figura 5 è mostrato un chiaro esempio di come varia il la direzione di propagazione
di una cricca all’interno del laminato. La cricca inizia nello strato orientato a 90°, dove
la resistenza a trazione è quella della resina, si propaga verso il basso finché non
raggiunge lo strato a 0°. A questo punto la cricca è costretta a rimanere su quel piano,
cambia direzione in modo tale da rimanere nell’interfaccia; cambia il modo di
propagazione. Per tale motivo le delaminazioni nei compositi sono principalmente
studiate con il modo I puro, modo II puro e modo misto I e II. È stato constatato che il
contributo del modo III nella crescita della delaminazione è spesso (ma non sempre)
trascurabile [13].
Nei materiali isotropi, il valore della tenacità a frattura è espresso in termini di fattore
critico di intensità dello sforzo. Per i laminati compositi è normalmente espressa in
termini di energia critica di rilascio (Pagano e Schoeppner 2000).
2.4 Aspetti microscopici
A livello microscopico, la crescita di una cricca interlaminare è preceduta dalla
formazione di una zona danneggiata di fronte all’apice della cricca. Questa zona
danneggiata è caratterizzata dalla formazione di microcricche nella resina che è ricca di
vuoti. Dal punto di vista microscopico la matrice è un materiale omogeneo e isotropo,
che in generale, come i metalli, presenta delle cricche solo quando sollecitato secondo il
modo I. Dunque le microcricche si formeranno soltanto quando viene raggiunto lo
sforzo critico a trazione. Nel caso più generale la sollecitazione di trazione che crea una
microcricca avrà una direzione diversa dall’asse del laminato. Le cricche avanzano
quindi in questa particolare direzione fino a che non incontrano l’interfaccia di un’altra
lamina. Se le fibre di questa nuova lamina sono parallele rispetto al fronte della cricca,
non interferiscono con la loro propagazione. Viceversa, se le fibre sono maggiormente
orientate in direzione perpendicolare a questa, le microcricche si arrestano e la loro
coalescenza provoca la propagazione della cricca interlaminare.
Nelle prove, inoltre, si osserva un fenomeno detto “fibre bridging”: delle fibre si
dispongono trasversalmente alla direzione di apertura della cricca e contribuiscono a
limitarne l’ampiezza, aumentando in modo errato il valore misurato della resistenza alla
frattura dell’interlamina. Ciò avviene soprattutto nelle prove di modo I; nei casi reali,
con laminati multidirezionali, è raro perché è più difficile il mescolamento delle fibre tra
2. Elementi di meccanica della frattura
14
due lamine non parallele. Comportando solo svantaggi nei test è quindi un fenomeno da
limitare il più possibile.
2.5 Test di delaminazione sui compositi
La tenacità a frattura interlaminare può essere misurata con una combinazione dei tre
modi di frattura. Come già accennato, per un laminato composito i modi più usati sono
il modo I e il modo II. Per un isotropo viene eseguito soltanto il test con modo I perché
presenta una tenacità più bassa e quindi anche se una cricca viene innescata con il modo
II, durante la propagazione, devierà il percorso e la propagazione continua per modo I.
Questo fenomeno non avviene nei laminati compositi dove la delaminazione è costretta
a rimanere fra il rinforzo degli strati. Conseguentemente il progredire di una
delaminazione può avvenire sotto una combinazione del modo I e del modo II.
Come già accennato, la resistenza alla frattura interlaminare di un laminato viene
espressa in termini di energia di rilascio e non in termini di fattore di intensità degli
sforzi. Dunque, la delaminazione interlaminare si propaga se l’energia di rilascio
applicata al sistema eguaglia l’energia critica di rilascio (G≥G
c
).
La resistenza a frattura dei polimeri rinforzati con fibre è principalmente determinata
usando metodi elementari sviluppati per laminati unidirezionali. L’uso di questi metodi
con laminati multidirezionali può comportare indesiderati effetti di bordo e a delle
difficoltà nell’esecuzione della prova.
Generalmente la resistenza a frattura è misurata usando modelli tipo trave con la
delaminazione parallela agli strati. La cricca comunque non sempre segue il percorso
prestabilito.
Durante un test il carico applicato e lo spostamento sono misurati e correlati alla
lunghezza della delaminazione. Se la propagazione della delaminazione è stabile,
possono essere correlati molti punti. Se la delaminazione è instabile possono essere
registrati soltanto il carico critico e lo spostamento relativo. Dai dati correlati può essere
valutata la resistenza a frattura usando alcuni principi teorici delle travi.
2.5.1 Test di modo I (prova DCB)
Il così detto test DCB (double cantilever beam) è stato usato dal 1960 per ottenere
sperimentalmente la tenacità a frattura interlaminare secondo il modo I nei materiali
compositi. Questo test, standardizzato dal 1997 (ASTM 5528-94), utilizza una trave in
2. Elementi di meccanica della frattura
15
composito con una cricca o delaminazione iniziale (Figura 6). La delaminazione iniziale
è poi forzata a crescere tirando le due ali del modello da ciascun lato. In questo modo, le
due ali del modello sono caricate come se fossero due travi a sbalzo la cui lunghezza
cresce man mano che la delaminazione si propaga.
Figura 6 Modello per DCB
Le due ali sono forzate nella separazione e si ottiene una propagazione solo per modo I.
Generalmente, i modelli sono dei manufatti contenenti anche un diverso numero di strati
e l’iniziale delaminazione è posizionata nel piano medio, negli strati centrali. In questo
modo vi è un piano medio e una configurazione simmetrica del modello. La
delaminazione iniziale è introdotta all’interno del laminato introducendo un film sottile,
generalmente di natura polimerica. È importante utilizzare uno spessore molto sottile
del film (minore di 13μm) per avere una zona ricca di resina all’apice della cricca, si
rischia altrimenti di ritrovare un valore iniziale non corretto della tenacità a frattura
interlaminare. La dimensione comuni del modello sono: lunghezza 150mm, larghezza
20mm, spessore 3mm e lunghezza cricca iniziale 35mm; in accordo con la normativa
ASTM.
Dalla teoria delle travi snelle inflesse, l’energia di rilascio relativa al modo I può essere
ricavata in funzione del carico applicato e della rigidezza:
22
23
11
12
I
Pa
G
bEh
= (2.14)
3
3
11
8a
C
bE h
= (2.15)
Dove E
11
è il modulo assiale del laminato e h è lo semispessore del modello.
Combinando entrambe le equazioni, l’espressione dell’energia di rilascio, come
funzione degli spostamenti, che si ottiene è:
32
11
4
3
16
I
Eh
G
a
δ
= (2.16)
2. Elementi di meccanica della frattura
16
Il risultato fondamentale di una prova DCB è il diagramma forza spostamento che ha il
tipico andamento riportato in Figura 7.
0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
3,5
24681012
Se mi-ape rtura [mm]
F
o
r
z
a
[
N
]
Figura 7 Diagramma forza-spostamento di una prova DCB
2.5.2 Test di modo II (prova ENF)[13]
Il test di modo II puro, denominato ENF (End Notched Flexure), viene eseguito su un
provino avente una cricca iniziale di lunghezza “a” come mostrato in Figura 8. Il
provino viene poi caricato a flessione su tre punti e si va a valutare in mezzeria
l’andamento della forza di reazione con lo spostamento applicato. La propagazione della
cricca secondo il modo II nei laminati compositi è accompagnata dalla formazione di
una zona di danneggiamento, nascono cioè delle microcricche nella matrice di fronte
all’apice della cricca, che in seguito coalescono.
Figura 8 Modello del test ENF
2. Elementi di meccanica della frattura
17
Per tale motivo è difficile definire la vera lunghezza della cricca come anche il valore di
G
II
. In una ENF l’apice della cricca viene sottoposto a uno sforzo puro di taglio senza
introdurre eccessivo attrito fra le superfici della cricca [16]. La prova ENF è
standardizzata in Europa (prEN6033 e prEN6034) e in Giappone (JIS7086) e sta per
essere standardizzata anche dalle ASTM. I problemi legati alla standardizzazioni sono
dovuti al fatto che, in controllo di spostamento, la propagazione della cricca non è
stabile. Assumendo che sia valida la teoria delle travi, l’energia di rilascio secondo il
modo II nel test ENF può essere definita in funzione del carico applicato e della
cedevolezza:
22
23
11
9
16
II
Pa
G
bEh
= (2.17)
33
3
11
32
8
aL
C
bE h
+
= (2.18)
Dove il termine
3
2L corrisponde alla cedevolezza del sistema senza delaminazione.
Quindi l’energia di rilascio può essere ottenuta come una funzione degli spostamenti:
()
232
11
2
33
36
32
II
Eha
G
aL
δ
=
+
(2.19)
2.5.3 Test di modo misto I/II
Una delaminazione, all’interno della struttura di un materiale composito, è portata a
crescere, generalmente, sotto una combinazione dei due modi di sollecitazione. Pertanto
i test di modo misto hanno notevole interesse per la determinazione della resistenza a
frattura interlaminare. Esistono diversi test di modo misto di frattura con varie
combinazioni del modo I e del modo II e il più promettente sembra essere quello
proposto da Crews e Reeder [16], ovvero il test MMB (Mixed Mode Bending) mostrato
in Figura 9.