PREMESSA
In questa mia dissertazione intendo analizzare il mito di Apollo e Dafne nelle
rivisitazioni di Garcilaso de la Vega, Lope de Vega e Francisco de Quevedo che, pur
avendo come fonte ispiratrice Le Metamorfosi di Ovidio, assumono nei secoli d’oro
spagnoli sfumature e connotazioni particolari, riflettendo i mutamenti storici-politici ed
ideologici del periodo in cui sono state concepite (Rinascimento o Barocco).
Suddividendo il materiale di riferimento secondo diversi argomenti, ho seguito al tempo
stesso una successione cronologica che portasse il discorso iniziato con Garcilaso de la
Vega a concludersi con Francisco de Quevedo.
La prima parte del capitolo iniziale, dedicata all’analisi della società spagnola
durante i secoli d’oro, offre una panoramica storico-politica che si sofferma soprattutto
sui regni di Carlo V, Filippo II, Filippo III e Filippo IV e approfondisce la stratificazione
sociale dell’epoca attraverso la descrizione delle tre classi di maggiore importanza: i
lavoratori, la nobiltà e il clero. La seconda parte del capitolo, invece, segna un passo in
avanti verso una visione più legata ai mutamenti letterari, che, nel passaggio dal
Rinascimento al Barocco, hanno portato l’equilibrio, l’armonia e l’eleganza tematica e
stilistica, tipicamente rinascimentali, a trasformarsi in esagerazione ed intensificazione.
Dopo questa fase introduttiva, si apre un secondo capitolo dedicato allo studio e
alle argomentazioni sul mito, ripreso e interpretato nella letteratura spagnola tra 1500 e
1600. Da un’iniziale ripresa fedele e rispettosa si passa, gradualmente, a una lettura
distorta e degradata del tema mitologico, che si altera e assume inedite connotazioni.
Con il terzo capitolo si passa a una fase ulteriore, che vede il lavoro focalizzarsi
sui suddetti tre grandi autori dei secoli d’oro. Garcilaso de la Vega, con il Soneto XIII e
l’Égloga III, non viola né tradisce il mito, bensì lo ripropone fedelmente rispettando
l’uso di un linguaggio elevato, elegante ed equilibrato, di matrice petrarchista. La sua
Dafne è una dama intangibile, una donna angelicata, appartenente a un mondo
aristocratico e immateriale, che provoca un dolore e una sofferenza eterna in Apollo,
non corrisposto nel suo sentimento.
Lope de Vega, nel sonetto A las fugas de Juana en viendo al poeta, con la fábula
de Dafne, riscrive il mito, in chiave burlesca, con chiare e concrete metafore legate al
mondo dell’esperienza quotidiana e materiale. La sua Dafne è sempre una dama
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intangibile, però, è, al tempo stesso, una donna che provoca un desiderio sessuale
concreto e rompe con i canoni della bellezza tradizionale di stampo petrarchista della
donna-angelo.
La deformazione massima, a livello letterario, infine, si ha con Francisco de
Quevedo in A Dafne huyendo de Apolo e in A Apolo persiguiendo a Dafne: qui il poeta
esce definitivamente dalle auliche sfere degli dei della mitologia classica per addentrarsi
nelle vite degli emarginati sociali della sua epoca. La Dafne di Quevedo diventa una
dama terrena e tangibile, addirittura una prostituta che istiga al desiderio sessuale.
Attraverso il ricorso a un linguaggio basso, spesso osceno e volgare, la storia di Apollo
e Dafne si riduce così a una parodia volutamente offensiva e irrispettosa del mito.
Arriverò così a concludere, nella parte finale del mio lavoro, che il valore
simbolico, ideologico ed espressivo del petrarchismo, contenuto in questo mito, si
infrangerà irrimediabilmente a causa del forte potere corrosivo della satira seicentesca,
espressione di nuovi contenuti sociali e morali.
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CAPITOLO PRIMO
I “Secoli d’Oro” spagnoli
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1.1 Breve panoramica storico-politica
Il periodo della storia spagnola compreso tra l’ultima metà del XVI e la prima
metà del XVII secolo viene definito con l’espressione “Siglos de Oro”, per sottolineare
la grande fioritura di opere di alto valore nella letteratura, nelle belle arti e nel teatro,
che portarono la Spagna all’apice della cultura europea, malgrado la sfera socio-politica
ed economica avesse ridotto la nazione ad una potenza tanto ricca ed influente nel 1500
quanto debole e in declino nel ‘600.
Dall’epoca di Carlo V , incoronato nel 1519, la grandezza dell’impero asburgico
spagnolo andò a consolidarsi su buona parte dell’Europa, mentre in territorio nazionale
la situazione economica non rispecchiava la grandezza dell’impero. La nobiltà
continuava ad arricchirsi incrementando una fascia sociale improduttiva, mentre le forze
economiche più attive del paese (ebrei ed arabi) venivano represse. L’abdicazione di
Carlo V (1556), che per combattere contro i francesi per il possesso dell’Italia e contro i
protestanti tedeschi aveva sperperato una cospicua parte dell’oro arrivato dall’America,
determinò l’incrinarsi anche della situazione internazionale. A tal proposito, Francesco
Guazzelli, in La letteratura spagnola dei secoli d’oro, osserva che:
[…] Il fallimento del rapporto economico fra la Spagna e i territori d’oltre
oceano è qualcosa che si annida nello scompenso, subito evidente, fra la
rapidità della conquista e i criteri d’improvvisazione con cui se ne sfruttano
man mano le risorse. L’oro delle Indie è una fonte di vertiginosi quanto
illusori arricchimenti e di non meno rapide dissipazioni […]
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.
Con la sconfitta inferta poi dagli inglesi ai danni dell’Invincibile Armata (1588) la
nazione subì un’accelerazione spaventosa verso il declino politico ed economico. Sul
piano interno, la burocrazia soffocante, il centralismo dello stato di Filippo II (1556-
1598) e la cacciata definitiva dei moriscos, nel 1609, affondarono le ultime speranze di
rinascita di un’economia già in profonda crisi, isolando la Spagna sempre di più rispetto
al resto dell’Europa.
1 Guazzelli, F., Samonà, C., Martinengo, A., Mancini, G., La letteratura spagnola dei secoli d'oro,
Sansoni/Accademia, Firenze, 1973, V ol. II, p. 8.
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La monarchia spagnola aveva potuto sostenere il peso della politica imperiale
nell’età di Filippo II solo grazie ai tesori americani e all’appoggio del regno di Castiglia,
divenuto centro spirituale, oltre che burocratico, del suo sconfinato dominio.
Ma agli inizi del Seicento, con Filippo III (1598-1621), il flusso dei metalli
preziosi provenienti dall’America si attenuò sempre più. Per porre rimedio a questo
problema il duca di Olivares, vero uomo di stato, dopo la morte di Filippo III, tentò di
sollevare la Castiglia dall’eccessiva pressione fiscale, chiamando a contribuire in
maggior misura alle finanze dello stato le “Spagne periferiche”, suscitando, però, tenaci
resistenze da parte delle regioni più ricche. In verità, ancor prima che si potesse porre in
atto totalmente la riforma, l’intervento francese nella guerra dei Trent’anni costrinse la
Spagna ad appoggiare la politica degli Asburgo in Germania contro la Francia e a
proseguire la guerra nei Paesi Bassi, generando così un pauroso indebitamento del fisco
regio e il conseguente accrescimento degli oneri fiscali.
Alle estreme difficoltà create dalla partecipazione alla guerra dei Trent’anni si
aggiunse, inoltre, una politica interna che causò il secolare ritardo della Spagna e lo
smembramento di quella unità che i Re Cattolici erano riusciti a stabilire nella penisola
iberica alla fine del Quattrocento. L’Inquisizione e il problema delle caste, da un lato, e
l’isolamento politico, dall’altro, contribuirono, definitivamente, ad impoverire il
panorama socio economico spagnolo, mentre solo l’arte visse un periodo di splendore
impressionante.
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1.1.1 La stratificazione sociale
Quella dei secoli XVI e XVII era una società ben stratificata, con grandi
differenze sociali in cui la nobiltà e il clero costituivano i ceti privilegiati. La prima era
un ceto chiuso, al quale si apparteneva solo per lignaggio e dove la gerarchia interna
veniva stabilita dalle differenze economiche. Tra i primi della casta spiccavano i
cosiddetti Grandi, “llamados los primos del Rey”
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, ricchi possidenti a contatto diretto
con la monarchia, ai quali venivano concessi privilegi in cambio di lealtà. C’erano poi i
Dignitari, proprietari terrieri non direttamente vincolati alla corona: ogni Grande era un
Dignitario, ma il contrario non era sempre vero. Non mancavano i Cavalieri, organizzati
in “ordini”, con proprie regole e rituali rigidissimi. Infine gli Hidalgos, nobili solo per
lignaggio e spesso sprezzanti del lavoro, amavano la ricchezza guadagnata solo con
l’avventura o per eredità. In questo ordine di idee, Carmelo Samonà, uno dei più illustri
ispanisti italiani, asseriva che:
[…] Già nella prima metà del Cinquecento l’idea della “grandezza” assume
in Spagna una dimensione abnorme. Essa non si identifica solo con il mito
della forza guerriera: si adatta a valori individuali e privati, scende a
informare di sé la concezione dei rapporti sociali e la visione stessa della
vita, suscitando il disprezzo o la crescente indifferenza per ogni attività
pratica e un diffuso formalismo, che non è solo culto dell’esteriorità ma
bisogno di celebrazione dei valori attraverso le apparenze [...]
3
.
La parte alta del clero, con incarichi ecclesiastici più importanti, era formata da
persone appartenenti alla nobiltà, mentre i parroci rurali erano discendenti di famiglie
del popolo. Il clero risaltava per il suo potere politico ed economico e il Tribunale
dell’Inquisizione, attivo dal 1478 per vigilare l’ortodossia religiosa e l’autenticità delle
conversioni al cristianesimo, rappresentava un formidabile strumento di controllo
politico ed ideologico.
Il privilegio di queste classi consisteva, fondamentalmente, nell’esenzione dal
pagare imposte e l’applicazione di una legge differente, con giudici propri; infatti come
asserisce Manuel Fernández Álvarez, in La sociedad española del renacimiento,
2 Álvarez, F. M., La sociedad española del renacimiento, Gráficas Ortega, Salamanca, 1970, p. 146.
3 Guazzelli, F., Samonà, C., Martinengo, A., Mancini, G., La letteratura spagnola dei secoli d’oro, cit.,
p. 11.
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[…] La característica más acusada de la sociedad española bajo los Austrias,
como aquella que se corresponde plenamente con la época del antiguo
régimen, es que nos hallamos ante quienes valoran el privilegio, como nota
distintiva de su vida; esto es, para quienes no hay más igualdad entre los
hombres que la igualdad ante la muerte […]
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.
Al terzo stato, infine, il più eterogeneo, appartenevano sia la borghesia mercantile
e finanziaria che i mendicanti e i contadini:
[…] Frente a la ciudad, el campo. Frente a la cultura refinada del
Renacimiento y del Barroco, un estado de vida casi primitivo. Frente a la
relativa seguridad del que vive defendido por una muralla – que a las veces
puede ser tan altiva como la de Avila -, el el desemparo más completo.
Frente a la libertad del ciudadano – por supuesto, también relativa -, la
sujeción del labriego a la tierra, y con harta frecuencia a su señor. El
contraste era tan vivo que el teatro de la época lo tomará como tema una y
cien veces […]
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Da non dimenticare, poi, che la società dei secoli XVI e XVII era costituita anche
da minoranze perseguitate, come i moriscos e i gitani, considerati vagabondi che
cercavano attraverso ogni mezzo di sistemarsi nelle città, e da stranieri, come i francesi
e i genovesi che si stabilirono nel regno di Aragona e di Castilla, in cerca di migliori
condizioni di vita.
4 Álvarez, F. M., La sociedad española del renacimiento, cit., p. 143.
5 Ibidem. p. 106.
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