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definire anche come “passioni viscerali” nate da una naturale predisposizione di
animo, influenzino e guidino il sentire (e il vedere) il mondo circostante.
Sul ponte di Avignone, definito da Contini «libro di Confessiones»,
2
è certamente il
romanzo in cui più si riflette la sua singolare esperienza autobiografica.
Storia di un “errore vitale”, di un legame illecito e di una lacerante rottura, il romanzo
autobiografico risulta essere un meraviglioso romanzo “analitico” che, attraverso una
scrittura e uno stile vicini al processo di scrittura del lavoro onirico, cerca di indagare
la Verità del Soggetto e il suo modo particolare di essere al mondo.
Lo stesso autore dà la migliore definizione di romanzo autobiografico: «una biografia
dall’interno».
3
Si riparano bambole narra la vita del personaggio autobiografico Pofi.
Vita percorsa soprattutto da linee discendenti: dalla ricchezza dei primi anni alla
povertà degli ultimi, dall’intraprendenza curiosa dell’infanzia all’immobilismo
rassegnato della vecchiaia, dalla luminosa e proficua esaltazione degli studi giovanili
ad umilianti fallimenti senili, non solo come aspirante scrittore, ma perfino come
precettore privato di studenti delle scuole medie.
Un solo desiderio appagato: quello di rivedere, ormai vecchio, la casa in cui era nato;
imprimersi nella mente quei luoghi ormai vuoti e sfatti, per poterli riempire almeno di
ricordi, in attesa della fine.
La prima parte, dunque, è dedicata all’infanzia di Pofi ed è curioso rilevare che una
distanza di più di vent’anni separa questo romanzo dall’Avignone (che faceva partire
la narrazione dalla fine del periodo della fanciullezza), come se l’autore avesse
aspettato la maturità artistica prima di occuparsi e di fissare sulla pagina il proprio
periodo infantile.
La musica, la filosofia e la sicilianità accompagnano il vissuto dell’autore e si
insinuano tra le righe delle sue pagine aumentando la polivalenza del significante e,
2
G. Contini, Nota per l'ultimo Pizzuto, nel vol. «Ultimi esercizi ed elzeviri», Torino, Einaudi, 1988, p.161.
3
Antonio Pizzuto, Sul ponte di Avignone, a cura di Antonio Pane, postfazione di Rosalba Galvagno, Firenze,
Edizioni Polistampa, 2004, p. 162.
7
sviluppandosi (o meglio consapevolizzandosi) sempre più, lo porteranno verso le alte
vette dell’ultimo periodo.
E se è vero, come ci fa notare ancora Contini, che «tutta la materia di Pizzuto è
esclusivamente autobiografica, fosse pure di autobiografia trasposta o ricavata dalla
memoria»,
4
comprenderemo come il valore dei suddetti micromondi abbia inciso
profondamente anche sulla sua vita.
In un’intervista concessami dalla figlia Maria, presidente della Fondazione Antonio
Pizzuto, le tre coordinate culturali risultano essere inseparabili dalla poetica paterna:
perché Pizzuto è siciliano (palermitano), è filosofo (aderente al fenomenismo di
Cosmo Guastella) ed è un musico (pianista amante della poliritmia e della
dodecafonia).
Analizzando la nutrita presenza e l’importanza di tecnicismi musicali, principi
fenomenisti e lirici ricordi dei cari luoghi siciliani, noteremo come Pizzuto li usi
come armi di conoscenza del mondo esterno e di se stesso.
E ne fa uso anche per trovare una briciola di senso nel gran pelago dell’insignificante
e per passare al vaglio analitico la sua vita.
Una vita fatta di note, pensieri e ricordi.
4
G. Contini, Antonio Pizzuto, in Letteratura dell’Italia unita. 1861-1968, cit., p.1091.
8
CAPITOLO I
LA CREATURA MUSICA
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Capitolo I
La creatura musica
1. Un ponte sonoro
«Esclusivamente autobiografica, fosse pure di autobiografia trasposta, o comunque
ricavata dalla memoria, è tutta la materia di Pizzuto».
5
Con queste parole Gianfranco Contini, che possiamo definire lo scopritore dello
scrittore, dava ai futuri critici letterari una chiave d’accesso alla comprensione del
sommo palermitano.
L’esatta conoscenza della biografia dello scrittore è, sovente, la sola chiave che ne
permetta una lettura corretta e che possa definitivamente distruggere l’epiteto di
“illeggibile” (il “di cosa sta parlando”) affibbiatogli da lettori e critici poco inclini ad
operazioni esegetiche di sorta.
Appurato il fatto che la materia dominante, specie ovviamente nelle opere più
autobiografiche, è il vissuto dell’autore, comprendiamo come le tre coordinate
culturali (musica, filosofia e sicilianità) che ne dominano le pagine, sono saldamente
ancorate alla biografia di Pizzuto.
È lo stesso scrittore a darci un’interessante chiave di lettura: «L’essenza delle mie
pagine è nello scorcio, nel superfluo, tra le mie pieghe, nel ritmo, nella musicalità».
6
La prima coordinata culturale, quella musicale appunto, oltre che essere una grande
passione dello scrittore siciliano, costituisce un vero e proprio sostrato del
prosapoetare pizzutiano e si aggancia perfettamente nel suo vissuto autobiografico.
Maria Pizzuto,
7
figlia dello scrittore e oggi presidente della fondazione a lui
5
Gianfranco Contini, Letteratura dell’Italia unita. 1861-1968, Firenze, Sansoni,1968, pp.1091-92.
6
Antonio Pizzuto, Lettera all’editore, premessa a Il triciclo, Milano, All’insegna del Pesce d’Oro, pp.7-11.
10
intitolata,
8
così ricorda il rapporto tra il padre e la musica:
La sua passione per la musica è frutto anche di consolidata tradizione familiare e lo
testimonia anche il fatto che avevamo molti amici musicisti. Quando ascoltava musica io
avevo paura per lui: si contorceva e godeva come catturato da una violenta crisi mistica.
9
Testimonianza analoga è quella di Contini, che racconta stupito:
L’ho visto ascoltar musica, e si dibatteva come in preda all’orgasmo, in senso tecnico!Non
so, l’ho visto ascoltare Beethoven torcendosi. La sua partecipazione era veramente
viscerale.
10
Partecipazione viscerale ma soprattutto tecnica, in quanto Pizzuto fu un profondo
conoscitore di note, pentagrammi e spartiti e, anche se autodidatta, suonava molto
bene il pianoforte, strumento presentissimo soprattutto nelle famiglie perbene della
Palermo d’allora.
Ecco un’altra testimonianza della figlia Maria, che fa luce su gusti musicali e
modalità d’ascolto delle opere:
7
Maria Pizzuto, nata a Palermo, risiede a Roma, sua città adottiva. Dirige il quadrimestrale di lettere e arti
Quaderni Pizzutiani (edito dalla Fondazione Antonio Pizzuto) che si stampa a Palermo. Nel 1955 pubblicò una raccolta
di poesie dal titolo Assólo di tromba, per i tipi dell’Editore Cappelli di Bologna, con prefazione di Marino Piazzolla. Ha
scritto
alcuni importanti saggi sull’opera paterna, tra cui Alle origini dell’itinerario di Antonio Pizzuto («Poliorama»,
n° 2, 1983) e Trattatello in laude ( «La taverna di Auerbach», numero monografico dal titolo Antonio Pizzuto. Inediti e
scritti rari, a cura di G. Alvino, II 1988). Dal 1996 è Presidente della fondazione.
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Fondazione Antonio Pizzuto, via Fregene 6, Roma.
9
Intervista concessami da Maria Pizzuto. Testimonianza importante dello stretto connubio tra musica e
tradizione familiare è l’altro romanzo giovanile Così (pubblicato postumo nel 1998), che porta il titolo di una poesia
della madre Maria Pizzuto Amico, musicata da Salvatore Minà, il cui negozio musicale è immortalato anche
nell’Avignone.
10
Gianfranco Contini – Ludovica Ripa di Meana, Diligenza e voluttà. Ludovica Ripa di Meana interroga
Gianfranco Contini, Milano, Mondadori, 1989, p. 41.
11
Adorava Beethoven, Puccini, Stravinskij, Schönberg e la musica dodecafonica e quando
ascoltava opere musicali lo faceva con la partitura davanti, quindi ascoltando e leggendo
contemporaneamente le note.
Come si evince dalle testimonianze, il sostrato musica non è scindibile dall’uomo e
dalla sua poetica e può risultare utile tracciare un paragone tra il mondo delle note e
quello delle parole.
In una lettera a Lucio Piccolo
11
del 14 Aprile 1965, è ancora Pizzuto a facilitare
l’equazione:
Converrai con me che l’atonalità di oggi non cederà più. È impossibile tornare indietro. Il
tono e l’uniformità ritmica ci hanno dato tutto quanto potevano: hanno condotto la musica
alle sue vette, come la sestina trecentesca, le rime interne, le composte e le care, alla
perfezione petrarchesca; ma basta ormai.
12
E in un’altra lettera precedente, del 6 Aprile 1965, allo stesso Piccolo, ribadiva: «il
ritmo ci conduce oggi alla poliritmicità, a Strawinski, e all’irresistibile esigenza di
opprimerlo nella dissonanza».
13
Occupandoci delle opere più autobiografiche (Sul ponte di Avignone e Si riparano
bambole), noteremo come, sin dagli esordi, il sistema tonale comincia ad essere
intaccato da note dissonanti che ne spezzano la linearità nel lettore/ascoltatore.
11
Lucio Piccolo (Palermo, 27 ottobre 1901 – Capo d'Orlando, 26 maggio 1969) è stato un poeta italiano, che
visse quasi sempre appartato, fra Palermo e la sua casa di capo d'Orlando, alieno da ogni forma di mondanità come lo fu
suo cugino Giuseppe Tomasi di Lampedusa.I suoi interessi letterari erano molto ampi: con Giuseppe Tomasi di
Lampedusa ha scoperto in anticipo di anni sul resto della cultura italiana i grandi autori europei contemporanei del
calibro di William Butler Yeats, Marcel Proust e Rainer Maria Rilke. Inoltre si è interessato di esoterismo e di musica
(ci rimane un suo Magnificat incompiuto). Presentato da Eugenio Montale, cui inviò nel 1954 una silloge di 9 liriche, al
convegno di S. Pellegrino nello stesso anno, ha esordito come poeta nel 1956 con Canti barocchi e altre liriche, cui è
seguito nel 1960 Gioco a nascondere e nel 1967 Plumelia.
12
Antonio Pizzuto – Lucio Piccolo, L’oboe e il clarino, carteggio 1965-1969, Milano, Libri Scheiwiller, 2002,
pp. 30-31.
13
Ivi, p. 25.
12
Siamo ben lontani dal Pizzuto estremista, quello delle lasse e delle pagelle dove
domina la pura dodecafonia, ma già i frequenti cambi tonali e la poliritmicità
impongono una lettura attenta e, oserei dire simultanea, della pagina musicata.
La scala musicale racchiude e rappresenta un sistema tonale e attorno alla tonica, la
prima nota, si costruisce tutto il sistema scalare maggiore.
Per far capire il concetto, è come se il primo Pizzuto prendesse una tonica e la
bersagliasse continuamente con note fuori scala, capaci quest’ultime di creare un
effetto letterariamente polisemantico e poliritmico.
Come notava Denis Ferraris nella postfazione a Signorina Rosina,
14
Pizzuto
rimpiangeva che la letteratura non avesse conosciuto, verso la fine dell’Ottocento e
come le altre arti, quelle plastiche e la musica, una rivoluzione che le consentisse di
liberarsi dalla sacra tirannia della mimesi, e cioè dell’obbligo di rimanere ancella
riproduttrice della natura.
La realtà è polisemica e non lineare.
Dato per assodato che la pagina di Pizzuto è una pagina musicale, come può, ci
chiederemo noi, un sistema tonale restituirci le molteplici sfaccettature della vita e del
vissuto umano?
Semplicemente, mi si conceda di rispondere, non può; se non a patto di banalizzare il
tutto e restituirci un prodotto letterario che non solo è lontano dal sentire pizzutiano
ma è anche molto lontano dalla stessa realtà fenomenica.Per meglio comprendere il
significato della musica in Pizzuto, può risultare utile, riportare un intervento dello
stesso scrittore che così si esprime riguardo a Strawinsky in un’intervista radiofonica:
In lui la musica si manifesta non come la proiezione di una sensibilità puramente soggettiva,
ma come una realtà assoluta raccolta in uno stato di grazia, non come creazione ma come
14
Denis Ferraris, postfazione a Antonio Pizzuto, Signorina Rosina, a cura di Antonio Pane, Firenze, Edizioni
Polistampa, 2004, p. 133.
13
creatura. Strawinsky coglie il fantasma sonoro così come gli si manifesta, di là dagli schemi
della razionalità e quindi con rischio, e la sua musica è storia.
15
La musica, dunque, come “creatura” e “realtà assoluta”.
Ecco, in ultima analisi, il significato autentico della sua poetica musicale: Pizzuto
descrive e filtra gli spunti autobiografici con orecchie attente a percepire il
movimento sonoro delle cose, spesso indugiando su particolari, apparentemente
insignificanti, ma che rivelano alla sua anima inquieta un segreto musicale.
Musicalità intrinseca delle cose, ma anche squisiti rapporti musicali con anime a lui
affini.
Dopo aver cercato di afferrare il particolarissimo sentire dello scrittore siciliano,
possiamo occuparci della trasposizione letteraria del suo musicale nelle opere
autobiografiche.
Sul ponte di Avignone,
16
composto tra il 1931 e il 1936, è il suo primo romanzo edito,
uscito per la prima volta nel 1938 a pagamento sotto lo pseudonimo Heis, per gli
evidenti risvolti autobiografici.
Già il titolo rivela lo stretto connubio tra vita dell’autore e la tematica musicale, in
quanto “Sur le pont d’Avignon” è una melodietta francese canticchiata dalla figlia
Giovanna durante una vacanza pasquale.
Nelle primissime battute dell’opera, Pizzuto così si esprime a proposito delle due
melodie cantate dalla figlia:
Curioso tale culto per due melodiette, tenerle quasi essenza della mia vita. La vita
non è stata per me di uno svolgimento lineare, a note legate, direbbe un musicista.
Non so vederla che come una successione discontinua di stati frammentari con questo
solo di comune: la direzione verso la morte.
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15
Antonio Pizzuto, Impopolarità di Strawinsky, radioconversazione, dalla rivista «Fermenti», XXVII, n. 216, 4,
1997, corsivo mio.
16
Antonio Pizzuto (con lo pseudonimo Heis), Sul ponte di Avignone, Roma, Ardita 1938. D’ora in poi
abbreviato in SPA.
17
SPA, p. 5.