6 
“stati canaglia”. Ma l’arma russa più affilata è rappresentata dalle risorse 
energetiche. La Russia è il terzo paese produttore di petrolio, dopo Arabia 
Saudita e Kuwait. I suoi rubinetti forniscono la maggior parte dei paesi europei, 
molti asiatici e alcuni tra quelli africani. L’oro nero, dunque, così come il gas, 
rappresenta la nuova vera leva di politica estera, perfettamente in grado di 
condizionare sia l’agenda internazionale che la politica estera dei singoli paesi, 
Stati Uniti in  testa. 
 
Gli elementi di frizione tra le due maggiori potenze mondiali si 
susseguono giorno dopo giorno, soprattutto negli aspetti declaratori. Taluni 
aspetti, eclatanti, hanno ispirato nel linguaggio dei media, il ritorno a 
contrapposizioni tipiche degli anni più bui della Guerra Fredda. 
 
Di fronte alla difficile comunicazione tra i vari soggetti internazionali, la 
prima soluzione riguarda la valorizzazione di un’agorà in cui potersi confrontare 
e poter discutere e trovare linee di soluzione. 
 
Indispensabile risulterà la rivalutazione del ruolo delle Nazioni Unite. 
Occorrerà creare un quadro giuridico e organizzativo più solido in grado di 
assicurare la legittimità, la coerenza e il coordinamento degli sforzi necessari al 
fine di difendere la pace internazionale. 
 
All’interno di un mercato globale come quello odierno, importante 
risulterà ancora l’azione organizzatrice del World Trade Organisation. Si tratta 
di una autorevole agorà, in cui il dialogo e l’equo confronto potrebbero garantire 
un necessario riequilibrio economico e assicurare maggiori garanzie per 
disinnescare latenti tensioni internazionali. Di fronte alla contrapposizione tra 
Russia e Stati Uniti, potrebbe acquistare maggior rilevanza anche la presenza 
dell’Unione Europea, soprattutto se riuscirà ad esprimersi con voce unitaria, 
per l’equilibrio e la composizione delle diverse tensioni internazionali. 
 
 
 
 
 7 
Capitolo 1 
 
Cosa è stata la Guerra Fredda 
 
 
1.1 Le origini della Guerra Fredda e la logica dei due blocchi 
 
Per cinquant’ anni le relazioni tra Stati Uniti e Unione Sovietica sono 
state l’elemento determinante delle relazioni internazionali. La guerra contro la 
Germania Nazista li aveva portati ad unirsi nel 1941 in un’alleanza decisiva per 
assicurarne la capitolazione, ma la vittoria aveva finito per separarle, portando 
ad uno stato di antagonismo permanente al quale è stato dato il nome di 
Guerra Fredda. La metafora fu resa celebre da un libro scritto nel 1947 dal 
giornalista americano Walter Lippman1. La sua rapida divulgazione deriva dal 
fatto che essa aiuta a comprendere chiaramente alcuni dei tratti peculiari del 
sistema internazionale nel secondo dopoguerra. Questo sistema ben si 
caratterizzava per la sua natura bipolare e per il superamento dell’ordine 
multipolare ed eurocentrico che aveva contraddistinto i decenni precedenti. 
Erano due le potenze a giocare sullo scacchiere mondiale, due sole in grado di 
dirigere un ordine mondiale: Stati Uniti e Unione Sovietica. 
 
Dopo il 1945, i rapporti tra queste due grandi potenze si configurarono 
come una forma di “guerra” (da cui il primo termine della celebre metafora). La 
loro rivalità apparve assoluta e non mediabile. All’antagonismo di carattere 
geopolitico in Europa, dove gli USA temevano una graduale diffusione 
dell’influenza sovietica, si aggiunsero la competizione ideologica tra il modello 
democratico e liberale statunitense e quello comunista sovietico, e 
l’inconciliabilità tra il sistema economico capitalistico occidentale e quello 
autarchico - dirigista dell’URSS. Sia Stati Uniti che Unione Sovietica si facevano 
quindi portatrici di valori universali e incompatibili. Tra di esse, dunque, veniva 
meno quel riconoscimento di legittimità reciproca che nel passato aveva 
permesso di contenere e limitare gli antagonismi tra gli stati. Durante il primo 
                                                 
1
 Cfr. W. Lippman, The cold war, New York [etc.], 1947. 
 8 
periodo della Guerra Fredda, non vi è stata alcuna interazione, per quanto 
conflittuale, ma una mancanza di dialogo e di confronto.  
 
Le speranze, maturate durante la Seconda guerra mondiale, di creare 
una rete di regole e istituzioni che potessero disciplinare gli assetti 
internazionali futuri, svanirono dinanzi allo scontro assoluto tra Stati Uniti e 
Unione Sovietica. Nondimeno, la guerra tra Mosca e Washington rimane 
“fredda”; in altre parole, una condizione di non pace- non guerra. Diversamente 
dai conflitti del passato, infatti, quello bipolare della guerra fredda non poteva 
essere risolto per vie militari. La nascita di armi di distruzione di massa, come le 
armi nucleari, rendeva impraticabile l’opzione militare, pena il rischio della 
distruzione dello stesso pianeta. La capacità distruttiva degli ordigni nucleari 
era dunque tale da far perdere alla politica la capacità di controllo della guerra.  
Tuttavia, le due superpotenze, pur senza mai giungere a scontrarsi 
frontalmente, si combatterono con strumenti differenti da quelli tradizionali, 
come le armi della diplomazia, della propaganda ideologica, dell’esibizione della 
potenza militare. Si trattava, inoltre, di uno scontro - confronto combattuto nella 
periferia, al di fuori dello stesso scenario europeo. Allo stallo nucleare e alla 
“lunga pace” tra Mosca e Washington, di fatto, corrispondevano i numerosi 
conflitti locali, i quali hanno caratterizzato tutto il cinquantennio successivo alla 
Seconda guerra mondiale. Si trattava di scontri a “bassa intensità” le cui 
conseguenze erano rese più drammatiche dal frequente intervento, diretto o 
indiretto, di USA e URSS. L’approccio universalista delle due superpotenze e il 
loro timore che la controparte potesse avvantaggiarsi le inducevano, infatti, a 
far rientrare le situazioni locali agli schemi della guerra fredda e 
dell’antagonismo bipolare2. 
 
Venne così a consolidarsi una contrapposizione tra due blocchi, cioè un 
sistema di alleanze politico - militari controllate dall’una o dall’altra 
superpotenza. Vediamone le fasi. Nel febbraio 1946, in uno dei suoi celebri 
discorsi, Stalin sancì la fine della “tregua ideologica” ribadendo che tra 
capitalismo e comunismo vi era un contrasto insormontabile. Il mese 
successivo fu la volta di Churchill, il quale, durante una sua visita negli Stati Uniti, 
                                                 
2
 Cfr. R. Crockatt, Cinquant anni di guerra fredda , Roma, Editrice Salerno, 1997. 
 9 
affermò che una “cortina di ferro” si era ormai stesa attraverso l’Europa, da 
Trieste a Stettino, con la parte orientale soggetta all’influenza sovietica3. Anche 
nell’amministrazione USA era mutata una certa percezione del rapporto con 
l’URSS; appariva, infatti, ormai irrealizzabile il “grande disegno”, prospettato da 
Roosvelt, ed inevitabile uno scontro, non di breve periodo, con Mosca. Fu 
Truman a dettare, nel febbraio 1947, le nuove linee di politica estera 
statunitense; egli attribuì al comunismo sovietico mire espansionistiche e 
dichiarò l’impegno degli Stati Uniti a difendere la propria sicurezza ovunque 
fosse stata minacciata e a sostenere quei popoli liberi che si fossero opposti ai 
tentativi di oppressione da parte di minoranze armate o di pressioni esterne. 
Questa strategia - implicante una estensione della sfera di sicurezza degli USA, 
precedentemente limitata, nel 1823 dalla dottrina Monroe4, al continente 
americano - fu chiamata Containment; essa, infatti, aveva lo scopo di arginare 
ogni tentativo di espansione dell’URSS e di combattere l’influenza sovietica e il 
comunismo all’interno dei paesi del “blocco” occidentale. Così accadde, per 
esempio, in Grecia, dove gli USA intervennero al fianco degli inglesi per 
sostenere l’autoritario governo monarchico di Atene nella guerriglia contro i 
partigiani comunisti5. 
 
Nel blocco occidentale, gli USA costruirono un tale sistema di alleanze 
che, per la sproporzione tra le potenzialità economico - militari statunitensi e 
quelle dei paesi europei, dava luogo, in realtà, ad una mera subordinazione di 
questi ultimi. Ciò fu ottenuto mediante l’utilizzo di strumenti economici e politici; 
in special modo, esercitando pressioni affinché dai governi locali fossero 
estromesse le forze di sinistra, come accadde in Belgio, Francia e Italia, e 
                                                 
3
 E. Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali 1918 - 1999, Firenze, Il Mulino, 2005, p. 651. 
4
 La Dottrina Monroe fu elaborata da John Quincy Adams, ma attribuita a James Monroe nel 
1823; essa esprimeva l’idea che gli Stati Uniti non avrebbero piø tollerato nessuna interferenza o 
intromissione nell’emisfero occidentale da parte delle potenze europee. Inoltre sanciva la volont  
degli Stati Uniti di non intromettersi nelle dispute fra le potenze europee, e fra una potenza 
europea e le rispettive colonie. Proclamava, inoltre, che il continente americano non sarebbe piø 
stato oggetto di future colonizzazione. Gli USA avrebbero considerato ogni tentativo di estendere 
il sistema politico continentale europeo a qualsiasi territorio dell emisfero occidentale, come 
pericoloso per la loro pace, la loro sicurezza e la stessa integrit , e che ogni tentativo di controll o 
del destino degli stati americani sarebbe stato interpretato come esplicita manifestazione di 
disaccordo con gli USA. Con un linguaggio piø moderno, la dottrina Monroe annunciava al 
mondo che gli USA erano propensi alla propria integrit  territoriale e alla indipendenza politica 
degli stati del Nuovo Mondo e che, un intervento europeo non sarebbe stato gradito. 
5
 Cfr. E. Di Nolfo, Storia delle relazioni  , cit. 
 10 
legando la ricostruzione economica dei paesi europei all’aiuto statunitense 
attraverso il piano Marshall. L’edificazione del blocco occidentale culminò il 4 
aprile 1949 con la firma del Patto Atlantico, un’alleanza politico-militare di tipo 
difensivo in cui gli Stati Uniti giocavano un ruolo visibilmente preponderante. Si 
realizzò, inoltre, per perseguire gli obiettivi del Patto, una forza militare integrata 
sotto un comando unico, la Nato6. Si trattava di una svolta importante per la 
politica estera statunitense che per la prima volta abbandonava il principio 
fissato da Gorge Washington di non stringere patti vincolanti con paesi al di 
fuori del territorio statunitense. Nel frattempo, all’interno delle democrazie 
occidentali, la minaccia di una fantomatica “cospirazione comunista 
internazionale” alimentò un pesante clima di sospetto e di intolleranza. Ed è 
proprio in questi anni che si colloca la cosiddetta “caccia alle streghe” 
scatenata contro le “spie comuniste”, nota come Maccartismo, dal nome del 
senatore Joseph McCarthy7. 
 
Per ciò che concerne il “blocco” orientale, esso fu realizzato mediante la 
sovietizzazione dei paesi liberati dall’Armata Rossa. Con l’appoggio politico e 
militare dei russi, i partiti comunisti dei diversi paesi riuscirono a concentrare il 
potere nelle loro mani, eliminando ogni tipo di opposizione e dando vita a regimi 
ispirati al modello sovietico, le cosiddette democrazie popolari. Nel corso del 
1949 nella Repubblica Democratica Tedesca, in Ungheria, in Cecoslovacchia, in 
Polonia, in Bulgaria, in Romania si erano creati regimi a partito unico, satelliti 
dell’Unione Sovietica, completamente subordinati alle direttive politiche e agli 
interessi economici di quest’ultima. Il 14 maggio 1955, venne sottoscritto il 
Patto di Varsavia, un'alleanza di impianto militare, stipulata tra i paesi del Blocco 
Sovietico, intesa a organizzarsi contro la temuta minaccia da parte dell'Alleanza 
Atlantica Nato. Intanto, nel clima della Guerra Fredda e in nome della difesa 
dell’URSS “accerchiata” dai suoi nuovi nemici, si ricreò all’interno dell’Unione 
Sovietica una situazione simile a quella degli anni più bui dello stalinismo 
d’anteguerra: ogni possibilità di dissenso venne preclusa, anche nei paesi 
                                                 
6
 Cfr. R. Crockatt, Cinquant anni  , cit.  
7
 Per ulteriori approfondimenti: A. Fried, McCarthyism, the Great American Red Scare: A 
Documentary History, Oxford University Press, USA, December 1996; H. Johnson, The Age of 
Anxiety: McCarthyism to Terrorism, Harvest Books, October 2006; M. Flores, L’et  del sospetto : 
I processi politici della guerra fredda, Bologna, Societ  editrice il Mulino, c1995. 
 
 11 
satelliti; nuove ondate di processi furono celebrate contro veri e presunti 
oppositori, concludendosi nella maggior parte dei casi con pene capitali o 
deportazione nei gulag. La ricostruzione del Paese, devastato dalla guerra, fu 
condotta attraverso un piano quinquennale (1946 - 1951) che finalizzò 
all’industria pesante tutte le risorse interne, il lavoro operaio e le ricchezze 
prelevate dai paesi dell’Europa centro-orientale. L’Unione Sovietica, oltre ai costi 
destinati alla ricostruzione, dovette sostenere oneri economici imposti dalla 
logica della Guerra Fredda e legati allo sviluppo di una politica di potenza, volti 
all’estenuante rincorsa del potenziale bellico, industriale e tecnologico 
statunitense. Alla fine degli anni ’50, mentre i tassi di crescita superavano 
effettivamente quelli degli Stati Uniti, grazie alla politica staliniana basata su 
isolazionismo e protezionismo, sia gli alleati che i nemici dell’Unione Sovietica 
ipotizzarono che l’andamento dell’economia sovietica potesse superare quello 
dell’Occidente. È ormai chiaro come queste previsioni fossero ampiamente 
errate. L’Unione Sovietica non riuscì, infatti, a mantenere i tassi di sviluppo degli 
anni ’50 e di conseguenza crollò ad un livello inferiore all’Europa occidentale e 
agli Stati Uniti in termini economici relativi. Alla fine degli anni ’60 la politica 
sovietica cominciava a pagare i costi della sua inefficienza e dell’isolamento 
dall’economia mondiale. Il riconoscimento di tali costi da parte sovietica avvenne 
proprio alla fine degli anni ’60 quando l’Unione Sovietica cercò di incrementare 
gli scambi commerciali con l’Occidente e, in particolare, il trasferimento di 
tecnologie innovative8. 
 
La logica dei blocchi, inoltre, implicava un forte condizionamento della 
vita politica di ciascuno stato e una forte ideologizzazione di essa: lo scontro 
ideologico tra il “mondo libero” dell’Occidente e il “mondo oppresso” del 
comunismo, o nella visione opposta, tra “il mondo dell’uguaglianza e della 
giustizia” e “il mondo dello sfruttamento capitalistico” divenne e rimase a lungo il 
motivo dominante della vita politica nei diversi paesi. USA e URSS si facevano 
portatori di ideologie universalistiche che diedero alla contrapposizione 
economica e politica fra i due blocchi il carattere, fortemente ideologizzato, di 
scontro di civiltà9.  
                                                 
8
 N. Werth, Storia dell unione Sovietica : dall Impero russo al la Comunit  degli Stati 
Indipendenti 1900-1991, Bologna, il Mulino, 2000; 
9
 Cfr. R. Crockatt, Cinquant anni  , cit. 
 12 
La dimensione ideologica statunitense si basava su una evidente 
convinzione della superiorità del modello americano e della necessità che un 
mondo stabile, prospero e democratico dovesse essere il più possibile 
rimodellato a immagine e somiglianza degli Stati Uniti. Tuttavia, tutto ciò era 
stemperato da un pragmatico realismo che si manifestò nelle modalità con cui 
vennero strutturate le prime organizzazioni internazionali create negli ultimi 
mesi della guerra. Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, 
istituiti per promuovere la liberalizzazione commerciale e valutaria, per 
esempio, accolsero inizialmente delle clausole, come quella relativa all’obbligo di 
non vincolare la concessione di prestiti alla natura del regime politico che ne 
faceva richiesta, e questa era finalizzate a garantire anche la partecipazione 
dell’Unione Sovietica. A sua volta, l’Organizzazione delle Nazioni Unite prevedeva 
l’istituzione di un Consiglio di Sicurezza composto da cinque stati (i quattro 
vincitori della Seconda guerra mondiale più la Francia) che avevano diritto di 
veto sulle deliberazioni dell’Assemblea Generale degli stati membri10.  
 
E sulla dimensione ideologica, gli Stati Uniti costruirono i propri progetti 
e le proprie strategie da perseguire durante il periodo successivo alla Seconda 
guerra mondiale. Innanzitutto, da un punto di vista geopolitico, veniva ribadita la 
necessità di evitare che una singola potenza potesse assumere il controllo 
dell’intera Eurasia. Questa eventualità, infatti, avrebbe garantito alla potenza 
dominante sul continente eurasiatico di disporre e controllare una quantità di 
risorse tale da minacciare la sopravvivenza degli stessi Stati Uniti o, comunque, 
da obbligarli a irreggimentare il proprio sistema politico e produttivo per far 
fronte ad una simile sfida. Pertanto, la progressiva espansione del controllo 
sovietico nell’Europa orientale, rappresentava, agli occhi degli americani una 
minaccia. Inoltre, memori dell’esperienza vissuta nel periodo tra le due guerre e 
della convinzione che vi fosse una interazione tra sfera politica e sfera 
economica, gli Stati Uniti cercarono in tutti modi di controllare e gestire la 
comunità internazionale. Obiettivo principale infatti era quello di stendere la rete 
delle democrazie di libero mercato, disciplinandone multilateralmente i rapporti 
politici ed economici attraverso appositi organismi sopranazionali. Un ulteriore 
elemento della strategia statunitense era quello relativo alla necessità di 
                                                 
10
 Cfr. R. Crockatt, Cinquant anni  , cit.