Anomalie di radon in Grotta Gigante Finalità del lavoro
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Finalità del lavoro
Studi svolti negli ultimi decenni hanno rilevato concentrazioni di radon
particolarmente elevate in svariate grotte calcaree del mondo. Questo, oltre a
rappresentare un potenziale pericolo soprattutto per i lavoratori, offre
l'opportunità di studiare le variazioni spazio-temporali della concentrazione del
gas anche in relazione agli agenti ambientali, meteorologici e climatici che si
possono supporre alla base di tali variazioni.
Nel contesto della Grotta Gigante, uno studio preliminare svolto mediante
elettreti (sistema e-perm) nel corso del 2008 ha escluso l'esistenza di un
pericolo tanto per i numerosi visitatori, quanto per le guide impiegate
stabilmente presso la grotta, mostrando valori medi annui dell’ordine dei
350Bq/m
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e quindi inferiori ai 500Bq/m
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previsti come soglia dalla normativa
italiana vigente. Questo studio ha considerato esclusivamente quelle zone della
grotta in prossimità del percorso turistico, e in particolare i punti di sosta
previsti dal percorso stesso.
Nel corso dell’anno seguente un ulteriore studio, svolto sia con un elevato
numero di elettreti posti anche a distanza dal percorso turistico, sia con
l'ausilio di uno strumento attivo a registrazione continua (Rad7) con
campionamento orario, ha evidenziato:
a. forti differenze di concentrazione da punto a punto nella grotta, con valori
più elevati (anche di più ordini di grandezza) all'interno di diramazioni e tunnel
secondari, non raggiunti dal percorso turistico, rispetto a quanto misurato nella
cavità centrale;
b. una spiccata stagionalità, soprattutto nelle zone a maggiore concentrazione
indicate al punto precedente, con valori registrati di oltre 30kBq/m
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di picco
durante l'estate e mediamente attorno a 100Bq/m
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in buona parte della
stagione fredda;
c. nelle zone e nei periodi in cui sono state misurate le concentrazioni
maggiori, la presenza di repentine forti oscillazioni dei valori forniti dal Rad7.
In particolare, sono state riscontrate diminuzioni dell'ordine di 10-15kBq/m
3
in
4-6 ore, seguite da altrettanto rapidi incrementi tali da ripristinare in un tempo
analogo le condizioni iniziali.
Il presente lavoro riguarda una terza fase dello studio, naturale continuazione
delle precedenti, per la quale si è focalizzata l'attenzione su una diramazione
laterale della grotta (Galleria Nuova), con accesso in prossimità del percorso
turistico. Si tratta di un tunnel fittamente concrezionato, la cui porzione
raggiungibile si estende per circa 40 metri, ma di cui rimane ignota sia l'esatta
estensione (a causa del progressivo restringimento della sezione) sia
l'eventuale collegamento con altri tunnel e/o con l'ambiente esterno, anche
attraverso la fratturazione della roccia. Le misure prese in considerazione nel
presente lavoro si riferiscono al periodo luglio 2009 - maggio 2011, sebbene
con alcune interruzioni per motivi tecnici e/o strumentali. Gli strumenti
utilizzati per la misura del radon sono stati ancora una volta elettreti
(posizionati anche esternamente alla Galleria Nuova, per monitorare
l'uniformità della distribuzione del gas entro la cavità) e il Rad7, mantenuto
Finalità del lavoro
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attivo entro la galleria, a una decina di metri dall'ingresso e adeguatamente
protetto dall’umidità.
Accanto alla strumentazione per la rilevazione del radon, nello sviluppo del
lavoro sono stati utilizzati i dati messi a disposizione sia da due stazioni
meteorologiche (poste una a Trieste, sul livello del mare, e una in prossimità
dell’ingresso della grotta) sia della stazione geofisica che si trova all’interno
della Grotta Gigante stessa. Attraverso questi dati è stato possibile cercare le
possibili correlazioni tra le variazioni spazio-temporali delle concentrazioni di
radon misurate e una serie di parametri ambientali e meteo-climatici quali
temperatura dell’aria, pressione atmosferica, gradienti termico e barometrico
tra l’interno e l’esterno della grotta, umidità dell’aria, precipitazioni e ventosità
in superficie, deformazioni indotte da maree terrestri e da variazioni della
portata del Timavo, livello dell’acqua nel Timavo stesso. Tutto ciò al fine di
comprendere con maggiore dettaglio quali siano i fattori che influenzano
maggiormente la presenza del gas, e poterne quindi prevedere le oscillazioni
sul breve e sul lungo periodo.
Introduzione
« Nessuna quantità di esperimenti potrà dimostrare che ho
ragione; un unico esperimento potrà dimostrare che ho sbagliato. »
[Albert Einstein, lettera a Max Born, dicembre 1926]
Introduzione
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1.1 Il decadimento radioattivo
La reale composizione della materia nei suoi costituenti primi è stata per
millenni un interrogativo ricorrente per filosofi e scienziati. Tuttora il
mistero continua, mentre nuove particelle vengono scoperte in
continuazione negli acceleratori di particelle sparsi per tutto il globo. Nel
tempo si sono susseguite svariate teorie finalizzate a spiegare la struttura
della materia, ciascuna con luci e ombre, successi e lacune: uno dei
modelli più antichi, la teoria atomistica, risale ai tempi di Democrito e
rimane tuttora un valido approccio per comprendere svariati processi fisici,
incluso quello del decadimento radioattivo. In tutto il discorso che seguirà
non potremo prescindere dal riferirci a nuclei, atomi e molecole, tenendo
però bene a mente che si tratta pur sempre di un modello, per quanto
verificato, affidabile e compatibile con i risultati sperimentali, mentre la
struttura intrinseca della materia è ancora, e sarà forse per sempre,
oggetto di discussione e ricerca.
L‟atomo è la più piccola unità di materia che possieda, almeno in linea di
principio, le proprietà fisiche e chimiche di uno dei 106 elementi conosciuti
all‟uomo. L‟atomo è costituito da un
nucleo centrale, carico positivamente,
immerso in una nube elettronica di
carica negativa, che la teoria classica
descrive come composta da una serie
di elettroni orbitanti attorno al nucleo.
Il nucleo, entro un diametro dell‟ordine
di 10
-14
m, ospita oltre il 99.99% della
massa atomica complessiva, mentre la
nube atomica determina per così dire il
volume dell‟atomo, avendo un diametro
dell‟ordine di 10
-10
m. Un atomo può
essere indicato mediante la simbologia
, dove il numero atomico A indica il
numero di nucleoni (protoni e neutroni)
presenti nel nucleo, mentre il numero di massa Z è pari alla quantità dei
soli protoni. Elementi con egual Z ma diverso A, cioè con un differente
numero di neutroni, sono detti isotopi; l‟esempio più semplice è
rappresentato dai tre isotopi dell‟idrogeno:
(idrogeno),
(deuterio),
(trizio). Analogamente possono venire definiti gli isotòni, elementi con
egual numero di neutroni, e gli isobàri, con lo stesso numero atomico. Un
Fig. 1.1.1 L’atomo.
Anomalie di radon in Grotta Gigante Introduzione
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discorso a parte vale per gli isomeri, termine con il quale sono indicati gli
atomi che si differenziano unicamente per lo stato energetico.
Le unità di misura utilizzate in fisica atomica sono:
- l‟amu (atomic mass unit) per la massa, definito pari alla dodicesima
parte della massa di un atomo di
: da ciò segue che elettroni, protoni e
neutroni hanno una massa rispettivamente di 0.00055, 1.00727 e
1.00866 amu;
- l‟eV (elettronvolt) per l‟energia, la cui unità corrisponde all‟energia
cinetica di un elettrone accelerato da una differenza di potenziale pari ad 1
volt;
- il nm (nanometro, 10
-9
m) per le distanze.
La stabilità di un atomo è garantita dalla differenza tra la sua massa
effettiva e la somma delle masse dei suoi singoli componenti: da quanto
detto, considerando la semplice equivalenza mazza-energia, si deduce che
per un atomo di
, che è composto da 6 protoni, 6 neutroni e 6 elettroni,
l‟energia di legame è pari a
[(6∙0.00055 + 6∙1.00727 + 6∙1.00866)-12]xc
2
eV=92MeV.
per una media di 7.67MeV per nucleone. Il grafico in figura 1.1.2
rappresenta l‟energia di legame media per nucleone al variare del numero
di massa: i valori più elevati si hanno per isotopi con A compreso tra 50 e
100. Come si vede, l‟energia tende a diminuire per gli elementi (o per gli
isotopi) più pesanti: questi hanno la caratteristica di liberare energia
qualora si scindano in elementi più leggeri e quindi con una maggiore
Fig. 1.1.2 Energia di legame per nucleone in funzione del numero di massa. Evidenziata la
diminuzione per raggi atomici maggiori.
Introduzione
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energia di legame per nucleone (fissione nucleare), si parla in questi casi
di decadimento radioattivo. Decadimenti di questo tipo sono spontanei,
poiché portano il sistema a una condizione di maggiore stabilità. In altri
casi (
233
U,
235
U) il decadimento ha luogo qualora un neutrone venga
aggiunto artificialmente al nucleo, destabilizzandolo. Esiste anche la
possibilità che isotopi leggeri si combinino tra loro a formare elementi
differenti, con una maggiore energia di legame: si parla in questo caso di
fusione nucleare, che tuttavia non ci interesserà nella trattazione che
segue.
I nuclei degli atomi che costituiscono la materia con la quale abbiamo
comunemente a che fare sono stabili. Per i nuclei stabili più leggeri, il
numero di neutroni tende a uguagliare quello di protoni, mentre la
stabilità dei nuclei più pesanti richiede che vi sia una predominanza di
Fig. 1.1.3 Il numero di protoni e neutroni nel nucleo. La deviazione dalla linearità a favore
di un eccesso di neutroni è alla base della stabilità nucleare.
Anomalie di radon in Grotta Gigante Introduzione
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neutroni tra i nucleoni dell‟atomo. Come si può dedurre dal grafico in
figura 1.1.3, non esistono isotopi stabili, né naturali né artificiali, con Z
maggiore di 83.
Abbiamo detto che nuclei instabili possono tendere a portarsi in una
condizione energeticamente più favorevole scindendosi in altri più leggeri.
Un esempio semplice ma rappresentativo del fenomeno sono quegli isotopi
soggetti al cosiddetto decadimento alfa. In questo processo una maggiore
stabilità nucleare viene raggiunta tramite l‟emissione di due protoni e due
neutroni sotto forma di un nucleo di elio (detto appunto “particella alfa”).
L‟elemento che decade si trasforma quindi in un isotopo con A e Z ridotti
di unità, come nel caso del radio che decade in radon:
dove si è omesso di indicare la doppia carica ionica positiva della particella
alfa. La somma delle energie di legame dei due prodotti della reazione è
inferiore a quella dell‟atomo di radio di partenza: la differenza, ovvero
l‟energia rilasciata dalla reazione, viene ritrovata come energia cinetica
della particella alfa. Ciò fa sì che tale energia cinetica sia caratteristica di
ciascun specifico decadimento, e che sia quindi possibile riconoscere gli
isotopi coinvolti nel processo radiativo mediante una analisi delle sole
particelle alfa emesse. In realtà esiste una variante al processo di
decadimento appena descritto, nella quale alla particella alfa è associata
l‟emissione anche di un fotone, anch‟esso con un‟energia caratteristica.
Questo avviene qualora l‟isotopo figlio, immediatamente dopo il
decadimento, venga a trovarsi in uno stato eccitato, cioè con un elettrone
in un livello energetico superiore a quello previsto dalla configurazione
elettronica relativa allo stato fondamentale. Nel caso del decadimento del
radio, in particolare, statisticamente si trova che il 94% dei decadimenti
prevede l‟emissione di sole particelle alfa, mentre il 6% è accompagnato
Fig. 1.1.4 Decadimento del radio in radon: per il
94% dei casi ha luogo senza l’emissione di fotoni.
Introduzione
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anche dall‟emissione di un fotone. Le due possibili vie di decadimento
vengono spesso indicate con rappresentazioni schematiche analoghe a
quella in figura 1.1.4, dove vi sono in ascissa il numero atomico, mentre in
ordinata (in genere non in scala) l‟energia.
Oltre all‟emissione alfa, esistono altre due fondamentali modalità di
decadimento radioattivo: il decadimento beta e la cattura elettronica. Nel
primo caso la reazione consiste nella trasformazione di un neutrone
nucleare in un protone, con la conseguente emissione di un elettrone (per
la conservazione della carica elettrica) e di un antineutrino (per la
conservazione dell‟energia e del momento). L‟elettrone emesso viene
detto, appunto, particella beta, ma non presenta, a differenza del caso del
nucleo di elio emesso da un decadimento alfa, un‟energia caratteristica
dello specifico decadimento considerato: l‟energia rilasciata dalla reazione
viene infatti ripartita tra elettrone e antineutrino, in proporzioni non
definite a priori. La somma delle energie delle due particelle emesse è
invece una costante del decadimento di ciascun isotopo, mentre l‟energia
media misurata per la particella beta è circa un terzo di tale valore. Nel
caso più generale un decadimento beta può essere schematizzato con:
con ovvio significato di simboli. Un esempio di decadimento di questo tipo
è quello del
60
Co che decade in
60
Ni:
In questo caso, ad esempio, l‟energia complessiva a disposizione di
elettrone e antineutrino, ovvero l‟energia totale rilasciata a seguito del
decadimento, è di 0.31MeV. Il grafico in figura 1.1.5 mostra la variabilità
dell‟energia di emissione della particella beta: come si vede, il picco è in
prossimità della terza parte dell‟energia totale.
Fig. 1.1.5 Spettro energetico della particella beta emessa nel decadimento del
60
Co: il picco è in corrispondenza della terza parte dell’energia massima.
Anomalie di radon in Grotta Gigante Introduzione
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In questo caso il decadimento è sempre associato all‟emissione di fotoni,
poiché il
60
Ni si forma sempre in uno di due possibili stati eccitati, come
indicato dalla figura 1.1.6. Nel 99% dei casi il nucleo figlio si forma in uno
stato doppiamente eccitato e quindi il decadimento è associato
all‟emissione di due fotoni a differente energia (1.17Mev e 1.33 MeV),
mentre nello 0.1% dei decadimenti avviene una singola transizione
isomerica (associata ad una maggiore energia a disposizione per la coppia
elettrone-antineutrino).
Finora è stato descritto il decadimento beta che prevede l‟emissione di un
elettrone, detto per questo “beta meno”. Analogamente esiste una
modalità di decadimento “beta più”, che differisce dalla precedente poiché
in questo caso un protone nucleare trasmuta in una coppia neutrone-
positrone, con l‟emissione di un neutrino:
Il decadimento per cattura elettronica è formalmente simile al beta. La
differenza è che ora è un protone nucleare a trasformarsi in un neutrone
assorbendo (“catturando”) uno degli elettroni dell‟atomo e liberando un
neutrino:
Anche in questi casi le reazioni possono essere associate all‟emissione di
uno o più fotoni, indispensabili per individuare i decadimenti mediante una
semplice spettrometria gamma.
Fig. 1.1.6 Decadimento del
60
Co: in oltre il 99% dei casi l’emissione della
particella beta è accompagnata a quella di due fotoni a differente energia.