metteranno di verificare in che modo l‘attività di Animazione Socio-culturale incide sul-
la vita degli anziani (che scorre scandita da tempi rigidi) : se è solo un altro tassello or-
ganizzato nel quotidiano dell‘anziano istituzionalizzato oppure se favorisce la sostitu-
zione dell‘essere organizzati con quella di auto-organizzarsi.
- 7 -
Capitolo 1
ANZIANO: UNA “COSTRUZIONE SOCIALE”
Secondo ciò che emerge da statistiche dell’ISTAT, assisteremo, nel corso degli anni, ad
un mutamento anagrafico della composizione della popolazione, con uno sbilancia-
mento verso la seconda metà della vita.
Le persone anziane, che sono oggi circa 1/5 della popolazione italiana (i 2/3 di loro
sono donne) saranno, nel 2020, circa 1/3.
1
“Cambiano e cambieranno la fisionomia della società italiana in termini numerici, ma
soprattutto nei comportamenti, nei consumi, nelle aspettative, nelle relazioni, nei valori.
Diventano diverse le famiglie, i lettori dei giornali e dei libri, i passeggeri dei treni, gli
interlocutori degli amministratori e delle istituzioni, gli elettori di un partito, gli iscritti
di un’associazione” .
2
Cambiano e cambieranno quindi anche progetti e interventi di animazione si rivolge-
ranno nel tempo con maggior attenzione a questi “utenti in crescita”.
Per questo diventa utile, a mio avviso, un percorso di conoscenza, che con l’ausilio di studi sociali, psico-
logici, gerontologici e sociologici, conduca l’EDUCATORE/ANIMATORE ad individuare quali
siano le caratteristiche e quali le peculiarità che si presentano in questo momento dell’esistenza, che cosa
significhi invecchiare in termini biologici e sociali, quali siano le necessità e i bisogni legati a questo pro-
cesso, quali le paure, quali le attese.
1
Istat, “ Anziani in Italia ”, Ed. Il Mulino, Imola, 1997, pag. 12.
2
Lidia Goldoni, “Guida alla vecchiaia”, Ed.Riuniti, Bologna, 1998, Pag. 63
- 8 -
1.1 Vecchiaia e anzianità: quale definizione?
3
“Per Platone soltanto alla fine della vita l’uomo acquistava la saggezza e la conoscenza
delle cose, mentre Aristotele vedeva i cinquant’anni come un Rubicone dell’esistenza:
chi la superava era avviato ad una inesorabile decadenza. Allo stesso modo se C.Gustav
Jung sosteneva che solo nell’ultima fase della vita l’uomo si avvicina di più alla propria
realizzazione. Sigmund Freud vedeva nella vecchiaia soprattutto l’età dell’impotenza e
della sterilità”
M.Tullio Cicerone, nel saggio Cato Maior de senectute facendo riferimento all’esperienza
del grande Catone, sostiene che la vita si arricchisce in ogni età di qualità proprie, e che
sono le qualità come la saggezza, la lungimiranza e il discernimento, proprie della vec-
chiaia, che consentono all’uomo di compiere grandi imprese.
Simon De Beauvoir nel trattato La terza età afferma che “la maggior parte degli uomini
accoglie la vecchiaia con tristezza o con ribellione; essa ispira ripugnanza più della mor-
te stessa”.
Norberto Bobbio nel suo recente De senectute scrive: “il tempo del vecchio…è quello
del passato, mentre il mondo del futuro è aperto all’immaginazione e non ti appartiene
più”.
Francesco Antonini (il quasi ottantenne fondatore della geriatria italiana) ne “L’età dei
capolavori” rileva come alla vecchiaia siano state attribuite qualità opposte: la saggezza o
l’involuzione definitiva, la crescita interiore o la decadenza inarrestabile, la maturazione
ideale o sentimentale.
3
M. Cesa Bianchi, “Giovani per sempre” ,Ed. Laterza, Dilani, 1998 , pag. 67.
- 9 -
Papa Giovanni Paolo II in un suo discorso sulla vecchiaia recita: “…l’anzianità è il co-
ronamento delle tappe della vita. Essa porta la raccolta di quanto si è operato e rag-
giunto, di quanto si è sofferto o sopportato”.
4
Queste non sono che alcune definizioni rubate a personalità e intellettuali di tutti i
tempi, uomini illustri che hanno prodotto veri e propri trattati o semplici riflessioni nel
tentativo di trovare risposte per dare un senso anche all’ultima parte dell’esistenza. Pen-
sieri frutto di diverse sensibilità culturali concepiti in momenti storici e sociali differen-
ti.
L’invecchiamento, quindi, sembra essere una condizione destinata a tutti e su cui tutti
ci interroghiamo durante il corso della vita.
Così, se da una parte la vecchiaia viene associata a termini negativi quali decadimento,
perdita, malattia, dall’altra le si contrappone una visione idealizzata che ne esalta sag-
gezza, esperienza, maturità ed altri vantaggi.
Col passare del tempo, nella necessità di riferirsi ad un sempre maggior numero di per-
sone “avanti negli anni” sono nate tante nuove terminologie come: “giovani anziani” e
“vecchi anziani”, vecchi e “grandi vecchi”, “terza” e “quarta età”, senilità, “età
d’argento”, “età d’oro”.
Questo nel tentativo di definire meglio chi sono, qual è il loro ruolo o la loro salute, ma
anche forse per sostituire termini a connotazione negativa con altri più “rispettosi”,
come nel caso del termine anziano più volentieri usato invece di vecchio.
La varietà delle terminologie non dovrebbe rappresentare una catalogazione da attribui-
re ad un gruppo piuttosto che ad un altro, ma aiutare a definire una complessità, a di-
versificare e a distinguere all’interno di una moltitudine.
4
Papa Giovanni Paolo II, “Il cammino neocatecumenale Secondo Paolo VI e Giovanni Paolo II”, San Paolo edizioni, Ro-
ma,1995, pag. 29
- 10 -
Non va, infatti, dimenticato che identificando un gruppo di persone sotto determinate
caratteristiche si rischia di ridurle a “categoria”, e che quando una società crea una se-
parazione, per qualsiasi motivo, tra i suoi componenti, innesta processi di emarginazio-
ne e discriminazione di difficile recupero.
Etichettare significa, inoltre, non tener conto delle differenze individuali, del fatto che
le persone sono diverse, ciascuna cresciuta nel proprio ambiente, con una propria sto-
ria alle spalle e una vita in corso, con diversi livelli scolastici ed esperienze professionali,
con ambizioni e progetti, e con un diverso modo di affrontare fisiologicamente ed e-
motivamente la vecchiaia.
Com’ emerge anche dal Sesto rapporto sulla condizione degli anziani in Italia (1997), nella
condizione anziana sono presenti posizioni sociali, economiche, culturali e territoriali
sempre più profondamente diverse.
“Sono diverse le dimensioni della qualità della vita nella vecchiaia, ma soprattutto il di-
verso modo di affrontare l’ingresso nella senescenza e di dare senso alla propria esi-
stenza, a contribuire alla definizione della specifica condizione sociale- poliedrica e per-
sonalizzata di una categoria tutt’altro che omogenea, a forte rilevanza socio- demogra-
fica”.
5
L’operatore deve essere attento nel differenziare, a sua volta, le proposte rivolte ad un
gruppo di persone, senza giungere alla massificazione, ma riuscendo a riconoscere so-
prattutto nelle differenze individuali la forza dei suoi interventi. Inoltre, non rivolgen-
dosi all’anziano in quanto “categoria” egli diventa promotore di una cultura
dell’invecchiamento che esclude l’emarginazione e l’impersonalità.
5
G.Lazzarini, “L’anziano oggi: opportunità e vincoli”, Ed. Laterza, Milano, 1999, Pag. 13
- 11 -
1.2 Un processo biologico?
Il Prof. Carmine Macchione, geriatra torinese, cercando di definire, in termini semplici,
il processo biologico dell’invecchiamento, fa notare che non sempre è possibile stabilire
i limiti temporali della vecchiaia: sia il momento in cui si diventa vecchi, sia la durata
della vita stessa non sono definibili. “Vivere vuol dire anche invecchiare”.
6
Ogni specie vivente ha una durata di vita caratteristica, anche se da un organismo
all’altro possono verificarsi variazioni.
L’organismo di un uomo, in normali condizioni di salute, raggiunge il massimo delle
capacità e delle possibilità intorno ai 25 anni di vita, poi inizia un lento e progressivo
declino delle diverse funzioni.
Le diverse teorie sull’invecchiamento si possono riassumere in due grandi categorie:
1) l’invecchiamento come risultato di una degenerazione programmata all’atto della
nascita e legata al trascorrere del tempo
2) l’invecchiamento come risultato di un danneggiamento casuale delle strutture
cellulari che, col tempo, scompagina i tessuti dell’organismo.
Quindi si invecchia sia perché esiste un preciso “orologio biologico” (il programma genetico della nostra
specie), sia perché si manifestano fenomeni di consumo ed usura legati al numero di anni vissuti, ma
anche al tipo di vita condotto, all’alimentazione assunta , al tipo di lavoro svolto. Ci sono poi altri
fattori (radicali liberi, radiazioni ionizzanti, etc.), che agiscono su questo processo.
A conferma del fatto che la qualità e la rapidità del processo d’invecchiamento non di-
pendano solo da elementi biologici, ma da una concomitanza di fattori, interviene la
psicologia, in alcuni contenuti ripresi da Marcello Cesa-Bianchi, esperto in psicologia
6
G. Salerno, “ Il tempo degli anziani ”, Ed. Laterza, Pomezia, 1992, Pag. 63.
- 12 -
dell’invecchiamento.
7
Egli individua, come responsabili del rallentamento o dell’accelerazione del processo di
senescenza in genere e dell’invecchiamento in particolare del sistema nervoso, diverse
cause che si potrebbero così schematizzare:
il livello d’istruzione (una formazione culturale solida spesso agisce in senso posi-
tivo sull’invecchiamento);
le condizioni economiche (si invecchia in modo diverso nelle classi sociali più e-
levate);
lo stato di salute (le malattie, in particolare quelle croniche, influenzano negati-
vamente l’invecchiamento, patologie circolatorie possono alterare le capacità intel-
lettuali, la sensibilità e i movimenti);
il profilo psicologico della persona (la struttura della personalità condiziona
l’intera esistenza della persona e i suoi rapporti col mondo, le strategie di compor-
tamento in età adulta e senile);
lo stress ambientale (le risposte fisiologiche allo stress diventano meno efficienti
con l’età);
la struttura familiare (si invecchia in modo diverso a seconda che si viva soli, in
coppia, in struttura più numerosa; il clima, la dinamica dei rapporti interpersonali,
l’atteggiamento dei giovani e della famiglia nei confronti dell’anziano lo condizio-
nano negli anni);
le esperienze di vita (lo sradicamento dal proprio ambiente, la perdita del partner,
l’interruzione del lavoro, ed altri fattori, contribuiscono ad un declino emotivo e
funzionale);
7
M. Cesa Bianchi, “Giovani per sempre” ,Ed. Laterza, Dilani, 1998 , pag. 86.
- 13 -
l’ambiente (in senso “psicologico” più che “fisico.
Questo ultimo fattore sottolinea l’importanza del contesto e di come anche
l’invecchiamento sia espressione di un’interazione tra la persona ed il suo ambiente,
com’è e come viene percepito. Quindi la senescenza del nostro sistema nervoso non
dipende solo da fattori genetici o ereditari, ma è influenzata anche da tutto ciò che ci
accade durante il corso della vita, dalle condizioni economiche, affettive, sociali in cui
viviamo, dal nostro livello d’istruzione e da tutto ciò che ci consente di crearci condi-
zioni esistenziali accettabili o intollerabili.
In questo senso anche un intervento d’animazione può assumere finalità educative e preventive in una
prospettiva di promozione e salvaguardia della salute e della qualità della vita, rivolgendosi ad una u-
tenza di tutte le età.
1.3 Una tappa della vita
La psicologia riconosce, convenzionalmente, nell’esistenza dell’uomo tre fasi fonda-
mentali
8
:
1) l’età evolutiva (o scolastica)
2) l’età adulta (o lavorativa)
3) l’età senile (o vecchiaia)
L’età evolutiva ha inizio, indubbiamente, con la nascita dell’individuo. Invece per defi-
nire l’inizio dell’età adulta e dell’età senile, è necessario riferirsi ad alcuni parametri co-
me lo sviluppo socio-economico e i progressi della ricerca scientifica, che condizionano
l’età media di una popolazione e la sua distribuzione per età cronologica.
8
A.Bagnasco, M.Barbagli, A. Cavalli, “ Corso di sociologia ”,Ed. Il Mulino, Bologna, 2001, pag. 379
- 14 -
Semplicisticamente si potrebbe ancora pensare che se le due prime fasi dell’esistenza
vengono associate alla formazione (si parla di età scolastica) e al lavoro (si parla di età
lavorativa), la terza fase non venga associata al “nulla”, rischiando di creare un certo
disorientamento.
Nei Paesi occidentali il passaggio dall’età evolutiva all’adulta viene cronologicamente
fissato tra i 18 e i 20 anni (formazione scolastica media).
Il passaggio dall’età adulta a quella senile viene invece fissato intorno ai 65 anni. Questo
non significa che a quell’età termina il processo di sviluppo dell’uomo, ma i 65 anni,
nella cultura occidentale, segnano un momento della vita dell’individuo in cui si verifi-
cano cambiamenti di rilievo, primo fra tutti: il ritiro dall’attività lavorativa. È un’età in
cui sono statisticamente più probabili un mutamento forzato delle abitudini di vita e la
creazione di condizioni che facilitano il disadattamento. Un disagio, una difficoltà a reagire,
su cui anche l’educatore/animatore può intervenire in termini preventivi, come colui che stimola e pro-
pone alternative per una partecipazione sociale che non si esprime esclusivamente attraverso il lavoro
misurato nel senso dell’alienazione e della produttività.
1.4 Una “costruzione sociale”
Il Prof. G.Lazzarini, sociologo, introduce il suo intervento in occasione del Convegno-
Seminario promosso dalla Città di Torino “L’anziano protagonista nella città e nella società”
(25/26 maggio 1999), affermando che “l’anziano è una costruzione sociale” .
L’anziano, infatti, viene definito come tale non per una condizione biologica o psicolo-
gica, ma per una risultante sociale.
Nella società attuale l’individuo tende a costruire intorno al lavoro tutta la sua vita. Nel
momento in cui esce dal ciclo produttivo, si trova a vivere in una situazione di margi-
nalità, poiché viene privato di un ruolo che egli si era creato, un’identità sociale che era
ciò che gli consentiva di “muoversi agevolmente nel sociale senza essere costretto a ne-
- 15 -
goziare costantemente la sua presenza, il suo ruolo, il suo status, il diritto a parlare e ad
essere ascoltato”.
9
Nel mondo contadino, ad esempio, la persona arrivata ad una certa età “sceglie” di riti-
rarsi dal lavoro per ragioni economiche o di salute; nella società industrializzata, invece,
“deve” lasciare il lavoro perché la legge lo stabilisce. Non si tiene conto della vita, delle
esigenze, delle aspirazioni: prima ancora di diventare non funzionale alla produzione si
viene espulsi dal mondo del lavoro e si perde il valore sociale.
Molti, quando si pensionano, entrano in uno stato di depressione credendo di essere
inutili. Altri, per fortuna, di dedicano a nuovi interessi, hobbies, amicizie; ciò aiuta
l’anziano ad eliminare quello stato di inutilità che avvertono col pensionamento.
Non tutte le persone reagiscono allo stesso modo a questa situazione,quindi, è anche su questo che
l’animazione può inserirsi con progettualità finalizzate a promuovere l’appartenenza sociale e la diffu-
sione di una cultura che non abbia a modello un’immagine dell’anziano in quanto persona inutile. Per
superare questa visione è necessario superare quei modelli ai quali si rifà la società at-
tuale, che privilegiano il lavoro, l’efficientismo, il successo. Si dovrebbe considerare il
lavoro solo come “mezzo strumentale” dell’esistenza e sopravvivenza umana e, per
creare questa cultura sarebbe forse necessario intervenire fin dalle generazioni più gio-
vani.
9
G.Lazzarini, “L’anziano oggi: opportunità e vincoli”, Ed. Laterza, Milano, 1999, Pag. 22
- 16 -
Capitolo 2
LETTURA TRASVERSALE
TRA BISOGNI, PREOCCUPAZIONI, TEMPO LIBERO
2.1 Bisogni e peculiarità
Per individuare quali possano essere le caratteristiche di alcuni progetti di animazione
indirizzati ad un’utenza anziana, ma non esclusivamente a quella, credo che sia utile in-
traprendere una lettura trasversale, che evidenzi alcuni bisogni e peculiarità sui quali
impostare l’azione. Non si fa in questo caso riferimento ad un contesto specifico, nè si
danno indicazioni su contenuti progettuali, ma si cerca di offrire qualche spunto su cui
riflettere e trarre ispirazioni utili alla progettazione dell’operatore che si rivolge agli an-
ziani.
Pur sapendo che la qualità della vita in tarda età è condizionata da fattori di tipo eco-
nomico e previdenziale, che non vengono in questo contesto approfonditi, perché
marginali rispetto agli intenti della tesi, l’attenzione sarà rivolta a un altro tipo di bisogni
ai quali anche l’animazione può fornire una risposta.
IL BISOGNO DI RELAZIONI: con l’uscita dal mondo del lavoro vengono meno
quelle relazioni sociali instaurate fino a quel momento dall’individuo. Inoltre l’anziano
che vive in coppia tende comunque a chiudersi in un microcosmo famigliare ed ad iso-
larsi verso una condizione di solitudine. La difficoltà di socializzazione può essere cau-
sata da un disagio psichico (depressione) o dalla progressiva perdita di ruoli (parentale,
procreativo, lavorativo) che crea intorno all’anziano un vuoto sociale difficile da
- 17 -
colmare, soprattutto in certi contesti cittadini che non favoriscono la comunicazione
tra le persone.
IL BISOGNO DI INTEGRAZIONE: è strettamente connesso al precedente. Le po-
tenzialità integrative dell’anziano (all’interno della famiglia, dei gruppi amicali, delle re-
lazioni sociali in genere) poggiano su risorse materiali e immateriali che spesso sono ca-
renti o diminuiscono con l’avanzare dell’età. L’isolamento degli anziani, quando non è
legato a cause di tipo economico o sanitario, può dipendere da una difficoltà a sostene-
re l’impegno di una relazione o in generale un coinvolgimento di tipo sociale. A soste-
gno di questa tesi, interviene una teoria secondo la quale la persona anziana assume-
rebbe nei confronti “dell’impegno” tre differenti atteggiamenti:
1) il disimpegno (disengagement) - l’anziano ha bisogno di sentirsi libero da impegni
che lo leghino ad obblighi o responsabilità, perché non sentendosi all’altezza della
situazione potrebbe entrare in uno stato ansioso;
2) l’impegno attivo (engagement) - l’anziano sente il bisogno di continuare ad essere
attivo per poter conservare le sue energie;
3) l’activity - la società non deve imporre all’anziano comportamenti uniformi, ma lo
deve lasciare libero di agire e comportarsi come ritiene opportuno.
IL BISOGNO DI UN RUOLO SOCIALE BEN DEFINITO: soprattutto per gli
uomini, il pensionamento è indice di esclusione sociale e quindi di perdita di un ruolo
(economico e di potere) che la società gli riconosceva in fase produttiva.
I nuovi ruoli che spesso vengono proposti agli anziani sono poco definiti, e nella nostra
cultura, non ottengono lo stesso riconoscimento sociale dei ruoli precedentemente ri-
coperti. Ciascuno di noi durante la propria esistenza si chiede “chi sono”; la perdita di
ruolo può causare una crisi d’identità. L’anziano dovrebbe individuare dei ruoli sociali
- 18 -
che gli consentano di assumere una nuova immagine di sé, un’immagine gratificante e
socialmente significativa.
IL BISOGNO DI ESSERE ASCOLTATO: non sempre, come nel bisogno di relazio-
ne, esiste una reciprocità di rapporto. Non sentirsi ascoltato può spesso significare ca-
dere nello sconforto, poiché non ci si sente corrisposti nel proprio esistere. La soddi-
sfazione di tale bisogno da parte dell’anziano è ostacolata dalle scarse occasioni di rela-
zione e incontro, dall’egocentrismo e dalla chiusura che caratterizzano l’atteggiamento
dell’anziano insoddisfatto nei confronti del mondo esterno, e talvolta dall’ipoacusia do-
vuta all’avanzare dell’età. Quando viene meno la possibilità di essere ascoltati aumenta-
no i bisogni di sicurezza, autostima e auto-realizzazione.
L’anziano, sotto questo aspetto, può essere paragonato a Palomar, protagonista del rac-
conto omonimo di Italo Calvino nella sezione: L'universo come specchio.
Il signor Palomar, infatti, soffre molto della sua difficoltà di rapporti col prossimo. In-
vidia le persone che hanno il dono di trovare sempre la cosa giusta da dire, il modo
giusto di rivolgersi a ciascuno; che sono a loro agio con chiunque si trovino e che met-
tono gli altri a loro agio; che muovendosi con leggerezza tra la gente capiscono subito
quando devono difendersene e prendere le loro distanze e quando guadagnarsi la sim-
patia e la confidenza; che danno il meglio di sé nel rapporto con gli altri e invogliano gli
altri a dare il loro meglio; che sanno subito quale conto fare d'una persona in rapporto
a sé e in assoluto.
10
IL BISOGNO DI TENERE IN ESERCIZIO LE CAPACITÀ MENTALI: a partire
dai quarant’anni, secondo alcune ricerche, si avrebbe un cedimento dell’efficienza intel-
lettiva; intorno ai sessant’anni il rallentamento delle funzioni mentali si stabilizza con
10
Italo Calvino, “ Romanzi e racconti ”, Ed. Mondatori, Verona, 1997, pag. 971
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una perdita di solito non oltre il 16%. Le funzioni psichiche interessate dalla perdita
sono quelle meno allenate, mentre le altre se tenute in esercizio durante tutto il corso
della vita, rimangono invariate. Tra le funzioni coinvolte nel declino ci sono: l’abilità
matematica, la memoria di simboli e numeri, la visualizzazione spaziale; quelle non
coinvolte: la cultura generale, il vocabolario, “l’organizzazione visiva”. Un costante
esercizio di tutte le funzioni mentali ne rallenta quindi il decadimento.
IL BISOGNO DI RITMI PROPRI: c’è un ritmo per ogni età, un’armonia, una “natu-
ralità per ogni ciclo dell’esistenza. Gli anziani dovrebbero comportarsi, vestirsi, alimen-
tarsi, viaggiare, seguendo un ritmo naturale, non necessariamente iperattivo, non gio-
vanilistico, non disarmonico. Una cultura della vecchiaia si può sviluppare solo attra-
verso un diverso modo di rapportarsi al tempo, non lineare, ma circolare, ciclico, ar-
monico.
IL BISOGNO DI AMBIENTI VIVIBILI E SICURI: la società complessa impone
condizioni di vita rapportate spesso a modelli “giovani”, le persone anziane spesso si
sentono insicure e più vulnerabili in certi ambienti poco protetti. Allo stesso modo tali
ambienti non presentano caratteristiche adatte alla popolazione anziana; si pensi ad e-
sempio alle barriere architettoniche che limita o nega la fruizione, a TUTTI i cittadini,
degli spazi, edifici e strutture, ed in particolare impedisce la mobilità a soggetti con dif-
ficoltà motoria, sensoriale, psichica, di natura permanente o temporanea o alla scarsità
di spazi verdi e d’ aree pedonali di certe città. L’insoddisfazione di questi bisogni con-
tribuisce all’isolamento.
IL BISOGNO DI PROGETTARE: la capacità di progettare accuratamente la nostra
vita è forse l’unica spinta che ci consente di superare gli ostacoli dell’esistenza, proiet-
tandoci nel futuro; anche negli anni dell’anzianità è indispensabile mantenere quest’ at-
teggiamento.
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