Angiografia coronarica non invasiva con tomografia computerizzata multidetettore a confronto con angiografia coronarica convenzionale nello screening della malattia coronarica del cuore trapiantato

INDICE GENERALE 
 
 
 INTRODUZIONE             1 
 
1.  MALATTIA CORONARICA DEL CUORE TRAPIANTATO 
1.1 Aspetti patologici       5 
1.2 Fisiopatologia          10 
1.3 Storia naturale della malattia       18 
1.4 Diagnosi      20 
1.5 Prevenzione          32 
1.6 Trattamento       37 
 
2.  TOMOGRAFIA COMPUTERIZZATA MULTIDETETTORE  
2.1  Introduzione          42 
2.2 Principi della coronarografia TC      47 
2.3 Anatomia del circolo coronarico        59 
2.4 Post-processing          63 
2.5 Coronarografia TC          66 
2.6  Stato dell’arte          75 
2.7 Prospettive future          83 
 
3. PROTOCOLLO COROSCAN 
3.1 Introduzione          84 
3.2 Obiettivi           86 
3.3 Materiali e metodi         87 
3.4 Risultati           98 
3.5 Discussione         108 
3.6 Conclusioni         113 
 
4. BIBLIOGRAFIA                                                                                114 
 
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INTRODUZIONE 
 
Il trapianto cardiaco è divenuto una scienza clinica matura negli ultimi 15 
anni, ma la sua evoluzione è preceduta da alcune decadi di lavori 
preliminari di tipo scientifico multidisciplinare.  
Risale agli anni Cinquanta il primissimo lavoro che definì le migliori 
tecniche chirurgiche per l’espianto del cuore dal donatore e l’impianto 
dello stesso in posizione ortotopica nel ricevente.  
La tecnica inerente l’utilizzo della circolazione extracorporea e 
dell’ipotermia topica per la preservazione del cuore del donatore fu 
pubblicato in un articolo di due pagine dal gruppo di Shumway nel 19601.  
Il primo trapianto fu effettuato in Sudafrica nel dicembre del 1967 per 
mano di Christiaan Neethling Barnard, presso l'ospedale “Groote Schuur” 
di Città del Capo, su Louis Washkansky, di 55 anni, che morì 18 giorni 
dopo2. La donatrice fu una ragazza di 25 anni, Denise Darvall, morta in 
seguito a un incidente stradale. Il 27 aprile 1968 fu eseguito il primo 
trapianto cardiaco in Europa nell’ospedale Pitié Salpêtrière di Parigi, ad 
eseguire l’intervento fu Christian Cabrol3.  
Il trapianto cardiaco é considerato a tutt’oggi la miglior opzione 
terapeutica per i pazienti con insufficienza cardiaca refrattaria4.  
Approssimativamente ogni anno negli Stati Uniti vengono realizzati  più di 
duemila TPO e nel mondo intero, considerando anche le stime inerenti i 
centri di trapianto non iscritti ufficialmente al Registro della “International 
Society for Heart and Lung Transplantation” (ISHLT), le cifre superano 
ampiamente la soglia annuale dei cinquemila TPO. 
I progressi delle tecniche chirurgiche e delle terapie immunosoppressive, il 
miglior controllo delle infezioni e del rigetto acuto e l’esperienza clinica 
accumulata nel corso di più di quarant’anni hanno permesso di 
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incrementare la sopravvivenza a breve e lungo termine dei pazienti 
cardiotrapiantati. 
Le sopravvivenze a 1 anno, a 3 anni e a 10 anni si attestano 
rispettivamente attorno all’ 85%, 80% e 50%, per cui, stando a queste cifre, 
solo negli Stati Uniti sono attualmente in vita più di undicimila pazienti 
cardiotrapiantati5.  
Nonostante questi dati confortanti, la malattia coronarica del cuore 
trapiantato resta frequente ed è diagnosticata angiograficamente nell’8% 
dei pazienti entro 1 anno dal TPO, nel 32% entro i primi 5 anni e nel 43% 
entro i primi 8 anni6.  
L’eziopatogenesi della CAV riconosce l’intervento dei classici fattori di 
rischio cardiovascolari (diabete mellito, ipertensione arteriosa, 
dislipidemia), spesso precipitati dalla terapia immunosoppressiva, e di 
fattori di rischio sia di tipo immunologico che non immunologico7. 
La complessa fisiopatologia di questa vasculopatia, che interessa entrambi 
i sistemi arterioso e venoso, il suo carattere frequentemente asintomatico 
dovuto alla denervazione cardiaca e la sua rapida evoluzione rendono 
ragione di un diffuso interessamento dell’albero coronarico al momento 
della diagnosi.  
Una volta che la malattia è divenuta sintomatica, la prognosi “quoad vitam” 
risulta scadente, con sopravvivenza ad un anno dall’evento clinico 
ischemico  pari al 18-20%. In questi casi l’unica possibile terapia risolutiva è  
il ritrapianto cardiaco, i cui tassi di sopravvivenza globale risultano 
leggermente inferiori rispetto al precedente trapianto. 
La frequenza della CAV, il suo carattere asintomatico e la bassa 
accuratezza diagnostica dei test provocativi non invasivi giustificano il 
ricorso sistematico all’angiografia coronarica convenzionale nel follow-up 
post-trapianto. L’angioplastica coronarica transluminale percutanea, 
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associata in maniera quasi sistematica al posizionamento di stent, seppur 
unicamente palliativa, rappresenta la metodica di rivascolarizzazione 
standard. La CCA è un esame che dispone di un’eccellente risoluzione 
spaziale (0,2 mm) e temporale (8 ms), tuttavia resta una tecnica invasiva, 
costosa e rischiosa.  
Gli eventi avversi sono legati sia all’esecuzione del cateterismo diagnostico 
(puntura arteriosa, incannulamento dell’aorta, cateterismo selettivo degli 
osti coronarici, somministrazione intracoronarica di mezzo di contrasto 
iodato, esposizione ai raggi X) che alle procedure interventistiche (PTCA, 
posizionamento di stent). 
Diverse sono le complicanze che possono verificarsi in corso di procedure 
angiografiche invasive fra cui le emorragie, gli ematomi, le fistole artero-
venose e coronaro-ventricolari, le dissezioni aortiche e coronariche,             
la trombosi intracoronarica, l’infarto acuto del miocardio, le aritmie 
cardiache, l’ictus cerebrale, gli attacchi ischemici transitori e la nefropatia 
da mezzo di contrasto. L'insorgenza di importanti complicazioni è da 
considerarsi comunque un evento infrequente. La mortalità è dello 0,2-1%, 
con un’incidenza di infarto acuto del miocardio dello 0,3-0,4%. L'incidenza 
di complicazioni locali minori è inferiore all'1%. 
La CCA è un esame puramente “luminografico” ed è incapace di fornire 
dettagli sull’estensione e sulla composizione tissutale delle placche 
ateromasiche parietali, non consentendo di apprezzarne il rischio di 
rottura e di trombosi. 
Nella gestione del paziente cardiotrapiantato si pone il problema della 
ripetizione dell’esame coronarografico come mezzo di screening della 
vasculopatia del graft, soprattutto a fronte della bassa prevalenza della 
malattia. Circa il 75% delle indagini coronarografiche risulta infatti 
negativo per stenosi emodinamicamente significative correlate a rigetto 
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cronico. Si aggiunge infine la necessità di un ricovero ospedaliero con i 
relativi costi e tempi di degenza.  
Tali problematiche giustificano ampiamente la ricerca e lo sviluppo di 
nuove metodiche non invasive. I nuovi tomografi computerizzati 
multidetettore dedicati all’imaging cardiaco non invasivo stanno 
progressivamente entrando nella pratica clinica per la diagnosi di malattia 
coronarica ostruttiva grazie all’elevato valore predittivo negativo fin qui 
riscontrato. Le correnti linee guida ed i panel internazionali raccomandano 
l’utilizzo della MDCT in popolazioni di pazienti a rischio basso-intermedio 
con test provocativi dubbi, non eseguibili o inconclusivi. 
Prima di poter estendere a queste popolazioni l’utilizzo clinico della MDCT 
serve poter validare la metodica in contesti clinici differenti da quelli che 
caratterizzano gli studi classici. Nella popolazione specifica dei pazienti 
cardiotrapiantati sono stati effettuati solo pochi studi e su campioni 
piuttosto esigui. 
  
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CAPITOLO 1 
 
LA MALATTIA CORONARICA DEL CUORE TRAPIANTATO 
 
1.1 ASPETTI PATOLOGICI 
La vasculopatia del graft è una forma diffusa e rapidamente progressiva di 
aterosclerosi coronarica, che si manifesta esclusivamente in pazienti 
cardiotrapiantati e che risulta istologicamente ben differenziata dalla 
aterosclerosi tradizionale (tab.1). 
La CAV insorge prevalentemente a distanza di un anno dal trapianto e 
risulta caratterizzata da iperplasia intimale longitudinale e concentrica dei 
vasi epicardici8, 9, con ulteriore coinvolgimento della tunica media a livello 
del microcircolo10, 11. La lamina elastica interna  è raramente danneggiata, i 
depositi di calcio sono per lo più assenti e non c’è sviluppo di circoli 
collaterali suppletivi. Diversamente, l’aterosclerosi tradizionale presenta 
lesioni focali12, non circonferenziali, eccentriche e spesso situate nei vasi 
epicardici prossimali (fig.1). E’ frequente, inoltre, lo sviluppo di circoli 
collaterali suppletivi. I pazienti trapiantati talvolta sviluppano forme di 
coronaropatie prossimali, verosimilmente compatibili con modelli di 
aterosclerosi tradizionale, che originano  da lesioni pre-esistenti nel cuore 
del donatore e la cui evoluzione risulta accelerata dalla pletora di fattori di 
rischio cardio-vascolari legati al trapianto e al trattamento 
immunosoppressivo8. Gli studi di Billingham et al.13, 14 stabiliscono la 
natura diffusa della malattia, che interessa i vasi epicardici lungo il loro 
intero decorso dalla base del cuore fino all’apice, estendendosi verso i 
rami epicardici e verso quelli intramiocardici, e coinvolgendo anche le 
strutture venose e i grandi vasi inclusi nel trapianto. Il coinvolgimento dei