3
di come dovesse essere composta una storia di misteri e delitti, fino al suo
boom degli anni Sessanta del Novecento, e al suo recentissimo sviluppo e
frammentazione in una serie di sottogeneri che vanno dalla spy story, alla
detective story, al mystery, al noir.
Di Camilleri indagheremo la vena letteraria, l’ispirazione alla sua terra e il
debito con i grandi autori siciliani, che anche si sono confrontati nella
composizione di romanzi gialli. Sarà poi il commissario Salvo Montalbano a
catturare la nostra attenzione, con la sua visione della realtà siciliana ed il suo
personale senso della giustizia.
4
I. Breve storia del giallo italiano
La produzione letteraria «gialla» si diffonde in Europa a partire da una
deformazione del romanzo gotico, sviluppatosi già alla fine del XVIII secolo
con The castle of Otranto di Horace Walpole (1764). L’incapacità della
filosofia dei “lumi” di rispondere alle più intime esigenze di carattere
passionale e sentimentale, e la riduzione dei moti dell’animo all’irrazionalità
dei secoli “bui” contribuirono al diffondersi della consapevolezza del ruolo
della fantasia nella vita dell’uomo. Il “romance” del XVII secolo non era del
tutto estraneo alle vicende del “fantastico”, anzi, al contrario, quasi ne
abusava, nel tentativo di sublimare un malessere storico - psicologico delle
masse, tramite l’uso della fantasia. Proprio dalla filosofia parte la riflessione
sul nuovo genere “gotico”, «[…] nella minuziosa e particolareggiata
osservazione delle emozioni»
1
.
Dal primo fortunato esempio di scrittura gotica hanno preso spunto
numerosi autori, in Italia e maggiormente in Europa, tra cui Mary Shelley
(Frankenstein), William Polidori (Il vampiro), Matthew Lewis (Il monaco),
solo per citare alcuni esempi rappresentativi.
Il romanzo gotico era ancora, però, troppo vicino a una concezione
soprannaturale del racconto, troppo fantastico e poco attinente alla realtà
quotidiana. È per questo motivo che, progressivamente, arrivarono le prime
storie con trama complessa e intrighi fitti e, a prima vista, irrisolvibili. Ciò che
infatti costituiva il nostro moderno romanzo giallo era, alla fine
dell’Ottocento, quello d’appendice (il feuilleton): lunghe storie che si
intrecciavano senza soluzione di continuità, un eroe senza macchia che
affrontava mille avversità, ed un lieto fine, a coronamento delle peripezie
subite dal protagonista:
1
David Punter, Storia della letteratura del terrore, Roma, Editori Riuniti 1997, p. 29.
5
«[…] la ricerca letteraria italiana si sviluppava allora su due tracciati
nettamente divergenti: da una parte prosperava la narrativa sentimental-
romanzesca, di ideologia piccolo-borghese […], dall’altra faceva il suo
apprendistato, soprattutto in riviste, una narrativa stilisticamente rigorosa, ma
memorialistico-esistenziale, proliferante tranche-de-vie ingombrate da un
fastidioso «io autobiografico»; […] l’ideologia dello scrittore-vate (con il suo
naturale sottoprodotto dello scrittore pedagogo) portava a privilegiare le
figure dei «poeti» e dei «prosatori» rispetto a quelle dei “romanzieri”».
2
Sulla scia di Victor Hugo, Alexandre Dumas, Eugène Sue e Ponson du
Terrail si svilupperà nei primi anni del Novecento un “pastiche” letterario che
riunirà i generi del noir, del giallo, del gotico e dell’horror, all’inizio con una
grande confusione dei ruoli. Ciò che però ci interessa analizzare in questa
sede è la conquista del genere poliziesco sul suolo italiano, attraverso una
serie di metamorfosi, un lento sviluppo aiutato ancor più dalla preferenza
delle masse per una lettura disimpegnata, che va dal gotico, appunto, fino al
“giallo” vero e proprio. Nonostante la contaminazione tra i generi, quello che
fu subito chiaro agli autori era che «…“sangue, sesso e soldi” erano (visti i
risultati dei precedenti francesi) tre addendi fondamentali che non potevano
mancare nelle loro opere»
3
. La voglia di accontentare il pubblico si mischiava
all’esigenza degli autori di denunciare il dramma sociale delle classi più
povere ed emarginate. La volontà di raccontare prevalse, in alcuni casi, sul
presupposto letterario; il risultato fu una serie di romanzi a metà tra la
ricostruzione storico-sociale (come dettava in quegli anni la corrente verista) e
un’aura di mistero.
Ne sono degli esempi Matilde Serao, Francesco Mastriani, Carolina
Invernizio, Franco Mistrali, Giustino Ferri, Alessandro Sauli e Carlo Collodi.
2
Raffaele Crovi, Le maschere del mistero, Firenze, Passigli Editori 2000, p. 29.
3
Luca Crovi, Tutti i colori del giallo, Venezia, Marsilio 2002, p. 24.
6
Il problema sociale è stato sicuramente un grande motore nello sviluppo del
genere giallo vero e proprio: le condizioni di miseria - che ancora
attanagliavano l’Italia del primo dopoguerra - erano una fonte continua di
notizie ed informazioni, per lo più di cronaca nera, che finivano direttamente
nei taccuini degli scrittori. Raccontare la società diventava così, oltre che
un’adesione al Verismo più puro, anche un nuovo genere letterario,
determinato proprio dagli eventi che ogni giorno segnavano i quartieri poveri
delle metropoli. A denunciare le condizioni dei diseredati e degli operai
furono in molti; tra questi è importante ricordare l’intervento di Edoardo
Scarfoglio ne Il processo di Frine del 1884, e la creazione del primo
poliziotto letterario da parte di Jarro, alias Giulio Piccini. Il commissario
Lucertolo diventò infatti protagonista di due romanzi poco conosciuti, Ladri
di cadaveri (1884) e L’assassinio nel vicolo della Luna (1883).
Pionieri della nuova moda dilagante furono Cletto Arrighi ed Emilio De
Marchi, con i rispettivi La Mano Nera del 1883 e Il cappello del prete del
1887. I due romanzi, pur essendo tra loro molto diversi, denotano un tentativo
di distaccarsi dai modelli esteri, e di proporre una valida alternativa, di stampo
nazionale, all’intrattenimento popolare.
Arrighi, legato alle intenzioni letterarie della Scapigliatura milanese, non si
discostava molto dal genere nero, dell’horror, puntando su una storia macabra
con protagonisti gli affiliati all’organizzazione della Mano Nera; «ad Arrighi
interessa il “lato oscuro” dell’esistenza, non quello chiaro, preferisce esaltare
il male piuttosto che esplorare i territori del bene o della giustizia»
4
. Notiamo,
infatti, come la sua prova sia ancora legata a un genere che presenta soltanto i
germi del poliziesco, ma che ha i suoi antenati nel racconto di matrice gotica
di Edgar Allan Poe.
4
Ibidem, p. 33.
7
Maggiore fortuna ebbe invece Il cappello del prete di De Marchi, lanciato
come una vera e propria iniziativa editoriale:
«[…] è innegabile che “Il cappello del prete” vada considerato a tutti gli
effetti il romanzo capostipite di quella che poi sarebbe divenuta la scuola
gialla tricolore. Per lanciare quell’opera di De Marchi, i […] giornali italiani
fecero nelle loro rispettive città una campagna di lancio sostenuta mandando
per strada decine di strilloni che con cartelloni al collo promuovessero fra il
pubblico quella che era stata progettata come la risposta italiana al romanzo
d’appendice francese, che tanta diffusione e tanto successo popolare stava
riscuotendo in quel periodo in Italia»
5
.
Su questo primo esempio di romanzo giallo italiano c’è da fare qualche
osservazione. De Marchi, nell’edizione pubblicata da Treves nel 1888, scrisse
un’introduzione che motivava la sua creazione letteraria:
«Questo non è un romanzo sperimentale, tutt’altro, ma un romanzo
d’esperimento, e come tale vuol essere preso. Due ragioni mossero l’autore a
scriverlo. La prima per provare se sia proprio necessario andare in Francia a
prendere il romanzo detto d’appendice, con quel beneficio del senso morale e
del senso comune che ognuno sa; o se invece, con un poco di buona volontà,
non si possa provvedere da noi largamente e con più giudizio ai semplici
desideri del gran pubblico. La seconda ragione, fu per esperimentare quanto
di vitale e di onesto e di logico esista in questo gran pubblico così spesso
calunniato e proclamato come una bestia vorace che si pasce solo di
incongruenze, di sozzure, di carni ignude, e alla quale i giornali a centomila
copie credono necessario di servire troguolo. L’esperimento ha dimostrato già
a quest’ora le due cose, cioè che anche da noi si saprebbe fare come gli altri, e
5
Ibid., p. 33.
8
col tempo forse molto meglio per noi; e poi che il signor pubblico è meno
volgo di quel che l’interesse e l’ignoranza nostra s’ingegnano di fare. […]
L’arte è cosa divina; ma non è male di tanto in tanto scrivere per i lettori»
6
.
Un vero e proprio manifesto che, oltre a ricercare le ragioni di uno «stallo»
d’idee nella creatività degli autori italiani, difendeva la categoria di un
pubblico consapevole, in grado di scegliere e valutare i romanzi non solo in
base alla quantità di fatti scabrosi e morbosi che raccontava, ma soprattutto
per la qualità del prodotto letterario finito. Anche se ancora lontano dai
modelli del feuilleton di stampo francese, De Marchi riuscì nell’intento di
attirare l’attenzione sulla nuova letteratura di genere italiana:
«[…] il romanzo di De Marchi più che la storia di un delitto è la storia di
un’espiazione […] in De Marchi, come negli altri autori di romanzi
d’avventura o di thriller, c’era la coscienza di sperimentare una letteratura
popolare, una nuova letteratura destinata al “grande pubblico” che indagasse
vizi e virtù, peccati d’azione e d’omissione delle nuove classi: la borghesia
agiata, la piccola borghesia con i suoi arrampicatori sociali e il proletariato
con tentazioni imitative, nelle aspirazioni economiche e nei modelli di
comportamento, delle altre due classi»
7
.
Dopo questo exploit De Marchi tornò a dedicarsi a un modello di romanzo
molto più vicino al genere classico, ma il varco era stato aperto, e i pregiudizi
sulla liceità o meno di raccontare il mistero, scomparvero per sempre.
Un’ondata di romanzi di genere si diffuse in Italia a partire dagli anni
Dieci del Novecento, con gli interventi dei già citati Invernizio, De Marchi e
Serao, che diedero vita, tra il 1910 e il 1930, alle più importanti collane di
6
Ibid., p. 34.
7
Raffaele Crovi, op. cit., p. 11.
9
letteratura di genere. Finora il romanzo d’appendice era apparso sulle colonne
dei giornali, che ospitavano le puntate fino alla pubblicazione di tutta la serie.
La prima casa editrice che pensò di puntare sulla nuova tendenza fu la
Sonzogno che nel ’19 creò «I romanzi polizieschi»; seguirono a ruota, visto
l’enorme successo di pubblico,
«[…] “Collezione di avventure poliziesche” (che Bemporad inaugura nel
1921 con l’intero ciclo dei romanzi di Gaston Leroux), “Racconti d’azione e
di mistero” (1926), “Collezione gialla” (1926), i “Libri Gialli” della
Mondadori (la serie decolla il 15 settembre del 1929 ed è proprio grazie a
questa collana […] che la narrativa thrilling comincia a imporsi
definitivamente in Italia e ad assumere nel tempo il titolo tutto nostrano di
«letteratura gialla», proprio grazie alla sua sorprendente forma grafica di
copertina), “Gialli a puntate” (1929)»
8
.
A dar man forte alla nuova letteratura venne la casa editrice Mondadori
che, con la scelta di dedicare un’intera collana al genere più in voga, battezzò
con il nome «I Libri gialli» anche un intero filone letterario, pubblicato
appunto in quella collana con una copertina color canarino.
Il racconto giallo lasciava spazio agli autori per sfogare un malessere
altrimenti inespresso, un «disagio della modernità», con le sue violenze, i
soprusi e la follia all’ordine del giorno. Autori come Dino Buzzati, Leonardo
Sciascia (su cui torneremo più avanti), Mario Soldati, Giovanni Comisso,
Umberto Eco, Carlo Emilio Gadda, Dacia Maraini, per citare solo i più noti, si
sono cimentati nella narrazione di storie fosche, dai risvolti cupi ed
inquietanti, incontrando sempre un grande successo di critica e di pubblico.
La figura più appassionante del romanzo giallo è di sicuro quella del
commissario, o ispettore, a seconda dello scrittore che ne ideò le avventure.
8
Luca Crovi, op. cit., p. 37.
10
Personaggi che convogliarono le simpatie popolari nella direzione dell’uomo
normale, creando un fenomeno di specularità - o di proiezione - tra gli
uomini della giustizia ed i loro appassionati lettori. Il genere giallo divenne
presto molto amato in Italia, tanto da meritarsi l’appellativo di genere
“popolare”. Un buon contributo alla diffusione dei racconti gialli fu dato dalla
pubblicazione dei fascicoli a puntate della Casa Editrice Americana, che
importava da oltreoceano le avventure del commissario Joe Petrosino, ispirato
al poliziotto italo - americano realmente vissuto, e assassinato in servizio. Che
fosse un omaggio alla memoria, o solo speculazione editoriale, fatto sta che il
commissario Petrosino, di origine palermitana,
«sfodera fin dal primo momento le sue innegabili origini tricolori e colpisce
particolarmente l’immaginario popolare: lui che da spazzino era divenuto con
grinta capo della Polizia di New York, acerrimo nemico della terribile Mano
Nera che lo uccise barbaramente a Palermo nel 1909 mentre cercava di
sgominarla definitivamente proprio nella sua terra d’origine»
9
.
Finora la definizione di «romanzo giallo» non è ancora entrata nel lessico
comune che serve a definire un genere letterario; per dar nome alla serie di
storie e racconti misteriosi che nei primi anni del Novecento avevano
colonizzato l’editoria italiana, erano state proposte varie soluzioni, il più delle
volte dal sapore artificiale, quando non artificioso. Giuseppe Antonio Borgese
aveva suggerito la definizione «romanzo detettivo» (nell’evidente tentativo di
destare nel lettore la consapevolezza che quella che si stava per leggere era
una storia con un «detective» per protagonista); dall’America si era cercato di
importare il termine «thriller», nella traduzione di «mozzafiato» proposta dal
linguista Bruno Migliorini; altra cosa era ancora «romanzo del brivido»,
comparso in un articolo di Alberto Rossi nel 1931. Ciò che oggi possiamo
9
Ibid., p. 40.
11
definire «romanzo giallo» senza tema di smentita alcuna era in quegli anni un
guazzabuglio di impressioni, sensazioni, idee pensate per dar nome al nuovo
genere letterario che stava prepotentemente affermandosi.
All’attualità dei fatti, il genere di romanzo con delitto ha oggi tre
definizioni:
«[…] detection, suspense, thriller. Detection sta per indagine, inchiesta,
smascheramento; suspense indica la “tecnica sospensiva” di ogni storia
strutturata su un intrigo; thriller definisce una rappresentazione verbale o
visiva con soprassalti, sussulti, imprevisti»
10
.
La soluzione arrivò con la scelta della casa editrice Mondadori, che nel
1929 - come s’è detto - decise di creare la serie de «I Libri Gialli». La grafica
adottata per la nuova collana apparve subito rivoluzionaria: un esagono rosso
su sfondo giallo acceso. Ma il formato non era ancora definitivo:
«[…] dal numero sei in avanti avverrà un cambio stilistico […] fondamentale
per la storia dell’editoria italiana: il pittore inglese Abbey infatti, facendo un
restyling definitivo della serie, decide di trasformare l’esagono in un cerchio
rosso, rifacendosi alla celebre firma di Edgar Wallace»
11
.
Un ulteriore stimolo alla diffusione del romanzo giallo fu dato, a partire
dagli anni Trenta, dalla politica nazionalista fascista che, nell’intento di
esaltare l’italianità e l’originalità dei nostri scrittori, operò un vero e proprio
reclutamento di autori da impiegare nella stesura di romanzi e racconti
mystery.
10
Raffaele Crovi, op. cit., p. 9.
11
Luca Crovi, op. cit., p. 43.
12
Questo «rilancio di regime»
12
, adottato dal 1931, venne accolto anche da
una rivista specialistica del genere, «Il Cerchio Verde», diretta
progressivamente da Mario Buzzichini, Gino Marchiori, Giorgio Monicelli e
Cesare Zavattini. Il periodico, nato nel 1935 per iniziativa della Mondadori,
accoglieva l’invito di dare spazio agli scrittori nostrani, ospitando sulle sue
pagine autori emergenti, che fecero del romanzo giallo la loro esclusiva forma
di espressione. L’intento nazional-popolare del settimanale mondadoriano era
evidente fin dal formato, un tabloid pensato appositamente per una fruizione
immediata e disimpegnata, da portare con sé ovunque, e da leggere in
qualsiasi momento. La Mondadori, sensibile alle istanze del mercato, aveva
già iniziato la sua piccola rivoluzione culturale inserendo nel catalogo delle
sue pubblicazioni i classici del romanzo giallo straniero; con «Il Cerchio
Verde» la visuale si allargava a comprendere autori come Varaldo e Gastone
Tanzi. Un certo gusto dell’orrido non mancava sulle pagine della rivista: a
partire dalle immagini di copertina, raffiguranti scene macabre d’immediato
impatto emotivo, fin nelle avventure stesse, che si avvicinavano sempre più al
lato “nero” del racconto, all’elemento soprannaturale:
«Al crime novel, alla spy story si intrecciano sempre più spesso la fantasia
macabra, la vicenda nera, l’elemento gotico e soprannaturale. La componente
magico-misterica che dai folk-tales, affinandosi nelle opere del maledettismo
scapigliato ottocentesco […] era straripata nell’appendicistica, da qui si
riversa nella contigua zona gialla […] L’armamento dell’horror, licantropi,
vampiri, scimmioni alla moda di Poe, e gli espedienti granguignoleschi (mani
tagliate, teste mozze, scheletri) costellano le pagine del “Cerchio” […], che in
tal modo recupera la «linea d’ombra» rifiutata e rimossa dai “Libri Gialli” e
12
Ibid., p. 44.
13
rifluita nell’editoria economica: nei «Gialli Economici» e soprattutto nei
volumi di Nerbini e di Sonzogno»
13
.
Il «Cerchio Verde» chiuse i battenti nel 1937, non senza però aver lasciato
una traccia nella coscienza dei letterati italiani dell’epoca. Nonostante gli
evidenti limiti del giallo all’italiana, i racconti del settimanale avevano aperto
un varco di possibilità per un genere che, in Italia, risentiva troppo degli
influssi stranieri dei grandi maestri.
Il fulcro di questi racconti sembrava essere, più che il delitto, la passione; e
qui comprendiamo le riserve di grandi autori a considerare il romanzo giallo
un genere letterario, quando gli elementi del feuilleton si erano trasferiti in
massa nelle storie di amore e morte narrate dagli scrittori della rivista.
I topoi dell’epoca ci mostravano, infatti, un’eroina «… diafana, fragile ma
dotata di notevole sex appeal, una versione ossimoricamente fatale; o
viceversa, ambigua, insidiosa, funesta frigida maliarda, meglio se ballerina,
modella, attrice, e quindi doppia e sdoppiata in un gioco perverso di
innocenza e seduzione».
14
Dall’altro lato, invece, c’era un «… giovanotto
dell’alta borghesia o […] un diplomatico, un rampante yuppie ante litteram,
un affermato professionista quarantenne con il canonico fascino delle tempie
grigie, o un viveur galante, fatuo, narcisista».
15
L’esigenza innata del thriller, la sua rapidità d’azione e parole, si perdeva
negli scrittori degli anni Trenta in una serie di citazioni colte, spesso alludenti
ai predecessori del genere. Il giallo non era mai solo giallo, ma assumeva le
tinte miste di romanzo d’appendice, horror e poliziesco:
13
Gisella Padovani, Breve storia di un rotocalco poliziesco, in L’almanacco del delitto, Palermo, Sellerio
1996, p. 19.
14
Rita Verdirame, Ogni pagina un’emozione, ivi, p. 259.
15
Ibid., p. 259.
14
«Si spiegano così la mescolanza cromatica giallo-nero-rosa che è il tratto
qualificante e dominante dei racconti […], e la necessità di un’estrema
stilizzazione tipologica: i personaggi appaiono in veste di tipi, i tipi sfumano
nel profilo della macchietta, la macchietta si irrigidisce nella stereotipia del
cliché»
16
.
Le regole del buon thriller erano per lo più trascurate a favore di un
racconto qualitativamente scadente, prevedibile, quando non banale.
Le norme per scrivere un buon romanzo possono essere infatti riassunte in
dodici punti:
1. All’origine ci deve essere un enigma complesso, uno stato d’allerta
inquietante, un mistero inspiegabile, un evento imprevisto che provochi
l’immaginazione dello scrittore e l’emozione del lettore.
2. Il mistero iniziale deve inserirsi in una trama studiata e impostata (come
un teorema, o come una caccia al tesoro, o come un rebus, ecc.) in tutti i
dettagli.
3. Ci deve poi essere una progressione di eventi tutti credibili che, anziché
chiarire il mistero, lo infittiscano fino all’imprevista soluzione finale.
4. La soluzione finale, scioccante, deve, però, risultare inevitabile, plausibile,
logica.
5. L’indagine sul mistero deve essere (preferibilmente) condotta da un solo
detective che analizzi fatti, indizi, tracce, dimostrando attitudine e
intelligenza per individuare e decifrare gli elementi del mistero…
6. La narrazione deve procedere capitolo per capitolo per imprevisti e
sorprese e pagina dopo pagina con una continua suspense (tensione) che
provochi interrogazione.
16
Ibid., p. 260.