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INTRODUZIONE
Il presente lavoro nasce con l’obiettivo di porre l’attenzione sull’importanza
che la formazione professionale ha nel contesto lavorativo e sociale. Essa mira, per
definizione, alla creazione di competenze direttamente spendibili sul mercato del
lavoro. Di conseguenza, la globalizzazione e la crescente concorrenza internazionale,
hanno indotto le imprese a sfruttare le loro risorse disponibili al fine di emergere e di
mantenere la loro posizione sul mercato. La finalità di questo studio è quello di
analizzare l’effettività di tale situazione, al fine di comprendere il ruolo che le risorse
umane ricoprono in azienda e quanto la programmazione di interventi formativi
mirati possa fare la differenza.
Il motivo che ha spinto la mia indagine ad approfondire questo argomento
nasce dall’attenzione per la formazione professionale che, negli ultimi anni, è uno dei
temi più ricorrenti in un larghissimo ambito di riflessioni, che vanno dal campo degli
studi a quello delle politiche del lavoro e dell’istruzione. Il sistema educativo è visto
come uno dei principali elementi strategici per il raggiungimento di obiettivi di primo
piano: promuovere lo sviluppo di regioni arretrate, far fronte a problemi connessi
con la ristrutturazione produttiva, combattere la disoccupazione di lunga durata,
preparare i giovani alla vita attiva, sostenere la cooperazione concentrata nel campo
delle tecnologie avanzate.
Il contributo della formazione per il raggiungimento di questi obiettivi è
considerato centrale poiché lo sviluppo sociale ed economico tendenzialmente
richiede livelli elevati di qualificazione professionale, non solo specialistica, ma ad
alti standard di preparazione di base. Queste propensioni comportano la necessità di
affrontare e portare a soluzione alcuni problemi tuttora non superati nel nostro Paese,
problemi che non sono tanto di insufficienze e rigidità generalizzate, quanto di
persistenza di divari sempre più accentuati.
Il presupposto di partenza è dato dall’evidenza di un aumento della domanda
di formazione sul mercato del lavoro dovuto ad una crescente consapevolezza
dell’importanza dell’investimento in sviluppo di capitale umano.
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Di fronte alle esigenze di un mondo che percepisce la necessità di un sistema
formativo adeguato ai mutamenti, si sta proponendo un nuovo “paradigma
formativo” entro il quale reinterpretare la funzione di un sistema che sembra aver
perso una capacità di legittimazione.
Ormai la tesi che la formazione possa essere un “parcheggio” di risorse umane
ha quasi del tutto ceduto il posto alla concezione della formazione come investimento
di risorse umane e questo sia da parte delle imprese, sia da parte dei soggetti stessi
beneficiari della formazione. La vera competitività aziendale, o meglio, il
raggiungimento di un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo, discende
esclusivamente dal possedere delle risorse rare, uniche e difficilmente imitabili dalla
concorrenza. La risorsa che più di ogni altra riesce a soddisfare queste caratteristiche
è la risorsa umana. Da ciò consegue che una gestione efficace del personale diviene
sempre più per l’impresa un obiettivo primario. L’emergere dell’incertezza come
condizione non soltanto operativa ma fondante della vitalità dei sistemi organizzativi
nel tempo è stata accompagnata proprio da una sempre maggiore chiarezza
dell’importanza predominante da riconoscere alla risorsa umana.
Con questa espressione si vuole evidenziare l’aspetto di valore o capitale
insito nel personale, nella sua professionalità e nelle sue competenze e, quindi, il fatto
che le spese per lo sviluppo di tali risorse devono essere considerate investimenti.
La formazione, di conseguenza, costituisce un anello di congiungimento tra
l’azienda e la forza lavoro in quanto è tesa a valorizzare il personale, vera risorsa
strategica per lo sviluppo dell’impresa.
Pertanto, l’analisi della formazione come fattore di vantaggio competitivo
attraverso le persone, viene affrontata nel presente studio attraverso un excursus
dapprima dottrinale, sulla base delle più diffuse teorie economiche con le principali
implicazioni utilitaristiche. Dopodiché si ripercorre la “questione formazione”
giungendo al punto della situazione attraverso una dettagliata analisi empirica. I temi
affrontati in questo lavoro vengono discussi seguendo il seguente itinerario.
Nel primo capitolo si introduce il concetto di capitale umano, l’importanza che
questa preziosa risorsa rappresenta non soltanto per il singolo individuo detentore di
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essa, ma anche e, soprattutto, per la crescita e l’efficienza di un Paese. Simboleggia il
fulcro per la capacità di guadagno degli individui, per le prospettive di occupazione
nonché per la determinazione della distribuzione del reddito nella società. Si
prosegue specificando le modalità di acquisizione del capitale umano, soffermandosi
prevalentemente sulla formazione di tipo professionale con tutte le sue implicazioni,
cogliendo l’idea che il vantaggio competitivo di ogni organizzazione è rappresentato
dalla qualità della risorsa umana, si arriva a riconoscere inevitabilmente che il ruolo
decisivo per la costituzione di questa qualità è rappresentato proprio dalle
competenze possedute e acquisite lungo tutto l’arco della vita lavorativa in cui
l’impresa può assumere una posizione impegnativa e di non poco conto.
Nel secondo capitolo si fa luce sull’avvertita e crescente importanza che il
personale maggiormente qualificato riveste per lo sviluppo delle imprese. Evento
confermato e studiato da alcuni modelli principali, che, nell’esaminare il fenomeno
formativo, considerano anche il mercato di riferimento unitamente alla tipologia di
formazione. Ad essi si affiancano pareri che ritengono come la crescente enfasi posta
sulla valorizzazione delle risorse umane sia un puro esercizio di retorica, piuttosto
che una pratica emergente e attuata dalle organizzazioni, senza trascurare i rischi che
esse possono comportare.
Infine, il terzo capitolo completa il quadro del lavoro con l’esame della
formazione professionale sulla base di dati statistici elaborati dai principali Istituti
nazionali ed internazionali di ricerca. Ho cercato, qui, di focalizzare l’attenzione
sull’andamento del fenomeno nel nostro Paese, attraverso un’analisi temporale e
spaziale riguardo ai principali fattori in grado di influenzare sia il comportamento
delle imprese sia la partecipazione dei soggetti coinvolti nelle attività formative.
Vengono, poi, passati in rassegna i principali interventi legislativi comunitari,
nazionali e locali che hanno introdotto numerose innovazioni di non scarso rilievo
per la promozione e lo sviluppo della formazione.
Prendendo atto delle politiche attive per la promozione e lo sviluppo della
formazione, lo studio empirico, ha dato modo di constatare come effettivamente la
formazione sia considerata uno strumento strategico indispensabile sia per le imprese
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che per gli utenti, anche se nel nostro territorio si registra ancora una scarsa
consapevolezza riguardo ad esso e nella valorizzazione del personale.
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CAPITOLO 1
IL CAPITALE UMANO ACQUISITO CON LA
FORMAZIONE
1.1 Premessa
Il mercato del lavoro è il più importante e particolare del sistema economico.
È il mercato sul quale gli individui trascorrono, anche indirettamente, la maggior
parte del loro tempo: quando non lavorano, spesso occupano il loro tempo ad
acquisire qualificazioni che utilizzeranno sul mercato del lavoro. La rilevanza delle
decisioni che interessano l’attività lavorativa, dunque, non è circoscritta al tempo
dedicato al lavoro retribuito, ma coinvolge l’intero ciclo di vita di un individuo: dalle
scelte di istruzione e formazione professionale alle decisioni di pensionamento,
all’utilizzo del tempo libero. Si tratta di scelte che hanno come obiettivo la
performance degli individui sul mercato del lavoro, ed è da questa performance che
la maggior parte di essi deduce e determina i parametri della vita sociale. La scelta di
un lavoro non dipende più solo dal salario corrente, che deve corrispondere alle
aspirazioni, ma anche da un certo investimento iniziale nel cosiddetto “capitale
umano”.
Il termine capitale umano racchiude il bagaglio di conoscenze, abilità,
esperienze e competenze che ciascun individuo acquisisce durante la vita (lavorativa
e non) al fine di raggiungere obiettivi sociali ed economici. Si tratta di un capitale che
presenta una forte analogia con il capitale fisico, come quest’ultimo, esso: è una
risorsa prodotta e può essere accumulato ricorrendo ad un processo di investimento
che porta a rinunciare ai redditi presenti e al consumo immediato in cambio di
benefici futuri; è considerato un vero e proprio fattore produttivo impiegato dalle
imprese per ottenere maggiori capacità di reddito; inoltre, se non costantemente
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esercitato, potrebbe andare incontro a fenomeni di obsolescenza e deprezzamento,
dovuti sia al progresso delle conoscenze sia alla possibilità di perdere informazioni
nel tempo. Ciononostante, gli investimenti in capitale umano, a differenza di quelli in
capitale fisico, sono incorporati nella persona stessa che è l’unico titolare, pertanto
risulta impossibile la commercializzazione di questo capitale. Per sua natura, infine,
non può essere dato in garanzia come collaterale e ciò ne rende più problematico il
finanziamento. È facile intuire, dunque, che le spese dedicate all’istruzione, alla
qualificazione professionale, alla salute, ecc, sono veri e propri investimenti in
capitale, perfettamente in linea con l’idea generale di capitale. Tuttavia questi
investimenti producono capitale umano, non fisico o finanziario, nel senso che non è
possibile separare una persona dalla sua conoscenza, dalla sua competenza tecnica,
dalle proprie condizioni di salute o dai suoi valori allo stesso modo in cui è possibile,
invece, dislocare il capitale fisico o finanziario detenuto senza venirne direttamente
coinvolti (Becker, 2008).
La formazione e crescita del capitale umano avviene tramite i processi
educativi di un individuo che hanno origine nell’ambiente familiare, sociale,
scolastico e lavorativo. Le principali componenti che determinano il capitale umano
sono, oggi, individuate nell’istruzione, nella formazione professionale e
nell’informazione. L’istruzione e la formazione professionale sono prerequisiti
fondamentali affinché gli individui siano in grado di esprimere una quantità e qualità
adeguata di capacità lavorativa. Nei paragrafi successivi saranno approfonditi proprio
queste due tipologie di investimenti in capitale umano che non solo promuovono la
crescita e l’efficienza di un Paese, attraverso una migliore e maggiore produttività,
ma possono ridurre la disuguaglianza e le conseguenze negative di un ambiente di
provenienza svantaggiato. Inoltre, nella divisione internazionale del lavoro, con
l’apertura del commercio di beni e servizi, con la libertà di movimento dei flussi di
capitali e delle stesse persone fisiche, è assai probabile che la sfida relativa ai livelli
di reddito, individuali e delle comunità nazionali passi per l’istruzione nella scuola,
per l’università, per la formazione lungo tutto l’arco della vita lavorativa. Ed è
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difficile affrontare questi cambiamenti in corso senza intervenire sul livello di
capitale umano.
L’accumulazione di capitale umano è, perciò, il fulcro per la capacità di
guadagno degli individui, per le prospettive di occupazione e svolge un ruolo
importante anche nel determinare il livello e la distribuzione del reddito nella società.
In qualsiasi Paese, infatti, la crescita risulta possibile solo se c’è una solida base di
capitale umano e il successo è strettamente collegato alla capacità di saper utilizzare
tale capitale.
1.2 Investimenti in istruzione
Quando si parla di istruzione si fa generalmente riferimento a tutte le possibili
forme di apprendimento, nonché all’insieme di nozioni e competenze che ciascun
individuo ha avuto modo di perseguire durante il suo percorso scolastico. Si desume
che la “fonte” dove si attinge istruzione è principalmente la scuola, e la concezione
che si ha è che un individuo quanto più anni trascorre tra i banchi di scuola tanto più
è istruito. Le decisioni in materia d’istruzione sono formulate in termini dell’utilità
che si ricava durante il processo di apprendimento, dai costi per effettuarlo e dai
prezzi. L’istruzione, infatti, veniva tradizionalmente considerata dagli economisti
come un bene di consumo, legato alle preferenze degli agenti, al reddito delle
famiglie e ai costi ad esso associati. Seguendo tale teoria, ciascun individuo tende a
spendere ulteriore tempo a scuola per il piacere insito nell’acquisire nuova
conoscenza, e massimizza la propria utilità fino al punto in cui l’utilità marginale di
un ulteriore anno di scuola uguaglia il suo costo marginale (ed è proprio in questo
punto che smette di domandare il bene istruzione). Tuttavia, la teoria economica della
scelta ottima per un consumatore (in questo caso lo studente) può essere valida solo
per spiegare la scelta di continuare gli studi immediatamente dopo la scuola
dell’obbligo, ma non è sufficiente a spiegare la scelta di istruzione universitaria, in
quanto l’utilità addizionale è piccola ma il costo marginale si innalza
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significativamente. Si è così assistito, grazie al contributo di Becker
1
, al graduale
superamento di questo orientamento, con il passaggio dal concetto di istruzione come
bene di consumo a quello di bene di investimento. Al cuore di questa concezione c’è
l’idea che l’istruzione è un investimento di tempo e denaro in vista di un beneficio
futuro che sarà proporzionale al capitale investito. Lo studente, di conseguenza,
“domanda” istruzione non solo per ottenere oggi una gratificazione istantanea (bene
di consumo) ma, in un’ottica di lungo periodo, per acquisire le conoscenze necessarie
ad aumentare la propria produttività sul lavoro e le remunerazioni future attese (bene
di investimento). Da numerosi fonti statistiche, infatti, si deduce un miglioramento
delle prospettive occupazionali e di reddito connesso all’acquisizione di istruzione.
Bensì, se tale investimento consentirebbe di ottenere solo questi effetti ciascun
individuo sarebbe propenso ad accumulare una quantità infinita di questo prezioso
capitale, ma la realtà è che acquisire istruzione comporta dei costi per chi decide di
investire in essa. Si tratta di costi che, a seconda della loro natura, possono essere
definiti come:
costi monetari diretti, ossia quelli immediatamente percepibili
economicamente, rappresentati dalle tasse di iscrizione, acquisto dei libri
di testo, costi di trasporto per raggiungere le sedi scolastiche, costi del
sostegno scolastico e così via;
costi monetari indiretti (detti anche costi opportunità) rappresentati dai
mancati guadagni che si sarebbero potuti ottenere se invece di continuare
gli studi si fosse entrati direttamente sul mercato del lavoro;
costi non monetari (o psicologici), rappresentati dall’impegno richiesto al
singolo per proseguire nella carriera scolastica.
In presenza di benefici e costi, quindi, l’individuo investe in capitale umano
fino a quando il beneficio marginale (che deriva dal piacere della conoscenza e dai
guadagni più elevati che si prospettano nell’arco della vita) è superiore o uguale al
costo marginale (rappresentato dal tempo dedicato allo studio e dai costi diretti,
indiretti e psicologici sostenuti per proseguire gli studi). E per fare ciò considera
1
Gary S. Becker è il più noto economista, statunitense, per aver intrapreso numerosi studi sul capitale
umano e le sue relazioni con la crescita economica.
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l’intero flusso di redditi attesi in futuro valutando la scelta di investire tempo e risorse
nell’accumulazione di capitale umano se e solo se il valore attuale scontato
2
del
flusso dei benefici eccede quello dei costi (Blundell, Dearden, Meghir, Sianes, 1999).
Si tratta di confrontare il denaro oggi con quello di domani, tenendo conto
dell’inflazione e degli investimenti alternativi.
Pertanto chi deve decidere se fare questo investimento ha la scelta tra due
flussi possibili: uno che comincia subito ma non cresce di molto, e un altro che,
invece, comincia dopo un po’ di tempo e ha una parte negativa all’inizio a causa dei
costi, ma è seguito da un periodo dove il reddito è più alto rispetto al primo caso.
Questo ci permette anche di spiegare perché gli individui scelgono di studiare
all’inizio della loro vita e non alla fine. Generalmente sono i giovani ad intraprendere
questi investimenti perché altrimenti le spese non sarebbero ricompensate dai
guadagni. Gli incentivi ad investire in istruzione, infatti, diminuiscono ad un tasso
sempre più rapido in funzione dell’età, riflettendo un periodo più breve di
ammortamento dei costi d’istruzione e costi più elevati in termini di guadagni
scontati.
Oltretutto, gli individui più istruiti sono molto più appetibili dalle imprese
rispetto ad altri che, pur avendo le medesime capacità, hanno un istruzione inferiore.
Ciò viene spiegato dagli economisti dal fatto che una maggiore capacità di reddito si
ottiene in quanto il capitale umano, che può essere considerato come un fattore
produttivo, viene impiegato dall’impresa. Di conseguenza, se quest’ultima assume il
capitale umano incorporato in un individuo e persegue la massimizzazione dei suoi
profitti, essa lo remunererà in misura corrispondente al contributo marginale che egli
ha apportato alla produzione
3
. Ne discende che la maggiore istruzione di cui sono
2
I rendimenti futuri vengono scontati ad un tasso perché gli individui non sono indifferenti tra ricevere un
reddito oggi o nel futuro. Tale tasso dipende dalle preferenze, ma una misura standard può essere il tasso
che si potrebbe guadagnare con investimenti alternativi.
3
In realtà quando gli economisti del lavoro studiano le retribuzioni fanno riferimento alle variabili misurabili
(anni di studio, anni di esperienza, età, caratteristiche del lavoro) che da sole però non sono responsabili
che per metà delle variazioni delle retribuzioni della nostra economia, l’altra parte rilevante delle variazioni
è dovuta ad altre variabili omesse perché non direttamente misurabili (tra le quali talento, impegno e
casualità) e che hanno una funzione importantissima.
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portatori tali individui accresce la produttività del lavoro umano e di conseguenza le
loro retribuzioni
4
.
È chiaro che il livello di istruzione scolastica è un determinante fondamentale
del reddito e della situazione sul mercato del lavoro dei singoli individui. Nell’ambito
della correlazione positiva tra istruzione e reddito, l’istruzione rappresenta una soglia
al di là della quale ogni forma di istruzione ulteriore viene premiata in modo
particolarmente elevato. Questo spiega perché le imprese sono disposte a pagare di
più i lavoratori con elevata istruzione (che hanno una produttività marginale più alta);
mentre i lavoratori, dal loro lato, invece, sono disposti a sostenere costi di una
istruzione superiore (se riescono a trarne un beneficio).
In sostanza, la differenza tra i salari dei lavoratori più istruiti e di quelli meno
istruiti può essere considerata un differenziale compensativo (ossia la differenza di
salario che rende due lavori ugualmente attraenti per un lavoratore) per i costi
dell’istruzione (Lieberman, Hall, 2001).
È importante classificare la spesa per l’istruzione quale investimento reale con
un effetto positivo duraturo piuttosto che alla stregua di una spesa di consumo
ricorrente. Poiché l’aumento di capitale umano determina una produzione più
efficiente; all’aumentare della produttività, aumenta il Pil pro capite e, di
conseguenza, l’economia riprende a crescere. Puntare sul capitale umano significa,
dunque, migliorare la qualità dell’istruzione ed avviare un meccanismo virtuoso
benefico per l’intero Paese.
Al di là delle motivazioni economiche che spingono un individuo a proseguire
gli studi, incrementando così il proprio capitale umano, bisogna considerare anche
ulteriori moventi che sono strettamente connessi ad aspetti e situazioni personali in
grado di influenzare le scelte di istruzione. In realtà gli elementi che le determinano
sono numerosi, ma volendo cercare di semplificare un percorso, altrimenti complesso
e tortuoso, è possibile ridurre questo insieme di elementi a:
4
Si tratta della teoria del capitale umano: il grado di istruzione fa aumentare la retribuzione del lavoratore
perché lo rende più produttivo. Contraria ad essa è la teoria dell’indice secondo la quale le imprese usano il
livello di istruzione per selezionare i lavoratori meglio dotati da quelli peggio dotati, e il fatto che un
individuo ottenga una laurea non lo rende di per sé più produttivo rispetto ad un diplomato ma è solo
indice di maggiore talento; pertanto l’istruzione è correlata ai talenti naturali dell’individuo e non ad una
maggiore produttività.