2
attirando l’attenzione di professionisti provenienti dalle più disparate
discipline: storici, sociologi, giudici, giornalisti analizzano eventi di tal portata
ognuno dalla prospettiva che è propria alla categoria professionale alla quale
appartengono. Per questo motivo, la prima parte del lavoro, di impianto
strettamente metodologico, è mirata a mettere in evidenza quali sono gli
strumenti di indagine di cui gli studiosi possono avvalersi per andare a
trattare i “life events”. Si ripercorreranno brevemente i metodi utilizzati dalle
scienze storico-sociali a tal scopo e si passeranno in rassegna le fonti più
idonee da cui trarre le informazioni rilevanti al fine di condurre l’indagine,
specificando altresì le possibili difficoltà, nel reperimento delle fonti, a cui i
ricercatori possono andare incontro lungo la conduzione del proprio studio.
Viene, inoltre, evidenziato che ogni studioso, a prescindere dalla disciplina a
cui appartiene, deve condurre la propria analisi con distacco ed avalutatività
rispetto all’oggetto studiato. Ogni studioso dovrà condurre l’indagine non per
trovare la conferma ai propri giudizi personali a riguardo della tematica che
va a trattare: oltre ad accantonarli, deve anche tener conto che questi
possono essere messi in discussione dai risultati che otterrà, i quali dovranno
essere, pertanto, il più possibile oggettivi.
Nel secondo capitolo, di matrice sociologica, si chiarificherà innanzitutto la
differenza concettuale tra le concezioni di strage e di disastro. Spesso infatti,
come si avrà modo di approfondire, i due termini vengono utilizzati in
maniera interscambiabile quando, invece, alla base vi sono delle differenze
sostanziali dalle quali non si può prescindere. Lo stesso concetto di disastro si
dirama, come si vedrà, in diverse direzioni dalla quale emerge la distinzione
tra disastro naturale (calamità derivante da una “ribellione” incontrastabile
della natura) e disastro tecnologico (evento causato involontariamente da un
errore umano). Si ripercorrerà la letteratura sociologica a riguardo degli studi
effettuati in tali ambiti sia sul piano internazionale che su quello nazionale (in
particolare verranno riproposte le ricerche del sociologo Alessandro Cavalli) e
si metteranno in rilievo i risultati generali che da questi studi sono emersi. In
particolare, i risultati ottenuti intendono evidenziare quelli che sono gli effetti
3
di impatti così devastanti sul comportamento individuale, sul comportamento
delle organizzazioni e sul comportamento collettivo. Si cercherà quindi, su
questa base, di rispondere a dei fondamentali quesiti: qual’ è la risposta che
emerge dagli individui singoli e collettivi e dalle organizzazioni prima, durante
e dopo il verificarsi di un disastro? Le risposte che scaturiscono da questi
sono le medesime o si differenziano da quelle che vengono date dalla società
al verificarsi di una strage? Dai “life events” in questione scaturiscono solo
aspetti negativi generatori di disordine o è possibile riscontrare in essi anche
delle forme positive di sviluppo? A questi quesiti si tenterà di fornire una
risposta anche attraverso il confronto dei risultati ottenuti dagli studi presenti
in letteratura con i tre eventi oggetto del lavoro. Chiaramente, le risposte a
questi interrogativi non hanno pretese di validità universale ma verranno
poste sotto forma di riflessioni su quanto risultato dai precedenti studi,
riflessioni che possono fungere da spunto anche per future considerazioni
sugli argomenti.
Si entrerà, poi, nella terza parte della tesi: si tratta di una sezione di impianto
specificamente storico, dove l’intenzione primaria è quella di evidenziare il
quadro storico all’interno del quale i tre eventi oggetto si collocano. Si
passeranno in rassegna, a questo proposito, i dieci anni antecedenti al 1980
per evidenziare quali cambiamenti sta affrontando la società italiana del
periodo: si discuterà circa la strategia della tensione, degli attentati
terroristici posti in essere dalle organizzazioni estremistiche di sinistra e di
destra e si effettuerà, a questo proposito, una distinzione tra terrorismo
rosso e terrorismo nero elencando le varie organizzazioni che rientrano
nell’uno o nell’altro schieramento. Successivamente si transiterà a tracciare
un quadro dell’anno in questione: il 1980 verrà analizzato sia sul piano
nazionale che quello internazionale evidenziando i maggiori sconvolgimenti
politici, economici, civili e sociali del periodo. Nel caso delle due stragi,
inoltre, si metteranno in rilievo anche quelle ipotesi che vedono i due eventi
come frutto di un unico disegno di morte di terrore e, per questo motivo, tra
loro strettamente collegati. Si passerà, poi, alla quarta parte del lavoro in cui
4
si darà spazio alla ricostruzione storica dei tre eventi oggetto: per ognuno di
essi si cercherà di effettuare un’analisi tendente ad includere tutti gli aspetti
fondamentali che li hanno caratterizzati: come e quando sono avvenuti, le
cause o le ipotetiche cause del perché sono accaduti e le indagini che si
susseguiranno dal verificarsi dell’evento sino ai giorni nostri, unitamente alle
reazioni e alle opinioni della popolazione civile.
L’ultima sezione sperimentale del lavoro, che si dispiegherà lungo la
cosiddetta journalistic way, ripercorrerà nuovamente le tre sciagure oggetto
dell’intero progetto, rivisitandole, tramite una ricerca condotta in ermecoteca,
alla luce degli articoli del “Corriere della Sera”, il più diffuso quotidiano
d’opinione italiano. Si discuterà di come questo importante mezzo di
comunicazione le ha affrontate immediatamente dopo il loro essersi verificate
e si evidenzieranno, in tal modo, tutti gli aspetti a cui i servizi giornalistici
hanno dato maggior rilievo.
Per quanto riguarda la Strage di Ustica, gli articoli del giornale verranno
descritti tramite una suddivisione in micro aree dalla quale emergeranno,
man mano che si susseguiranno i mesi, tutti i “colpi di scena” confluiti nel
caso. Per quanto riguarda la Strage di Bologna ed il Terremoto in Irpinia, si
adotterà una suddivisione degli articoli in macro aree. Per quanto concerne la
Strage di Bologna, verrà prima effettuata una recensione degli articoli redatti
nei due giorni successivi allo scoppio della bomba che illustreranno il quadro
generale degli inizi della vicenda e, successivamente, gli articoli riguardanti il
caso, verranno ripartiti in tre fondamentali sezioni in cui verranno contenuti:
gli articoli riguardanti le vittime e la popolazione; gli articoli attraverso cui si
illustreranno le reazioni del mondo politico; gli articoli concernenti il campo
delle indagini sulla strage. Il Terremoto in Irpinia, l’unico disastro del lavoro,
verrà scannerizzato anch’esso in quattro diverse sezioni: la prima sezione
verterà sulle opinioni, sui progetti e sulle polemiche che, al tempo, hanno
preso piede nell’ambito della politica; si passerà poi a tracciare un profilo
delle comunità colpite, evidenziando al contempo le reazioni da queste
emerse; si discuterà, in una sezione distaccata, della solidarietà emersa dalla
5
situazione di disastro e dei relativi aiuti provenienti da ambienti italiani ed
esteri; in un’ultima analisi si volgerà lo sguardo a quelli che sono i danni (in
quel momento parziali) del Terremoto che il “Corriere della Sera” ha messo
in evidenza.
La scelta di queste trattare queste tragedie, piuttosto che altre, è data dalla
constatazione che, oltre ad essere avvenute a pochi mesi di distanza, sono
dotate di caratteristiche tra loro diverse e quindi si prestano ad un’analisi
variegata da cui possono scaturire delle interessanti riflessioni. Ci si trova,
infatti, di fronte a tre differenti situazioni che possono essere così
semplificate:
a) la Strage di Ustica: caratterizzata da un background complesso di
cause, moventi e colpevoli che risultano essere ancor oggi confuse e
spesso deviate;
b) la Strage di Bologna: caratterizzata da cause e colpevoli individuati
seppur dopo molti anni, ma dove non sono mai mancate piste
parallele e dubbi sulla colpevolezza dei puniti.
c) il Terremoto in Irpinia: caratterizzato dall’inevitabilità, essendo
appunto causato da fattori naturali impossibili da contrastare.
Pur essendo diverse, queste tre vicende, sono accomunate dall’aver avuto
rilevanti risvolti sia a livello storico sia sul tessuto sociale e, pertanto, si
prestano ad un’analisi integrata che dimostra, tra l’altro, la forte vicinanza
disciplinare tra scienze distinte quali la storia, la sociologia e le scienze della
comunicazione. Seppur il lavoro dello storico è orientato preminentemente a
“ricostruire”, quello del sociologo a “verificare gli effetti” e quello del
giornalista a “trasmettere”, le attività di questi professionisti possono
confluire in un unico progetto di ricerca che, se condotto con oggettività e
con ponderato ingegno, porta ad una comprensione di tutti gli aspetti che
compongono un determinato evento. L’evento completo, accessoriato di tutti
i suoi contorni, verrà trascritto in documenti e sarà trasmesso, in questo
6
modo, negli anni, a tutti coloro i quali vorranno interessarsene. Come
afferma March Bloch, il passato è per definizione un dato non modificabile, la
conoscenza del passato, invece, è una cosa che si trasforma e si perfeziona
incessantemente. Questo lavoro vuole, per lo meno si spera, anche
rappresentare un minimo contributo attraverso il quale queste vicende
possano restare nella memoria storica, rendendo onore, con modestia, a chi
ha perso la vita in esse e a chi in esse ha perso una parte della propria vita.
« Solo un interesse della vita presente
ci può muovere ad indagare un fatto passato »
B. Croce
7
CAP. I° STORICI E SOCIOLOGI:
METODOLOGIE PER L’ ANALISI
DELLE STRAGI E DEI DISASTRI
1. PREMESSA
Le stragi ed i disastri possono essere considerati come eventi di notevole
entità in quanto non si esauriscono immediatamente dopo il loro essersi
verificati bensì coinvolgono un lasso temporale molto più lungo, talvolta
illimitato, a causa degli sconvolgimenti e dei risvolti che provocano in vari
ambiti. Hanno caratterizzato la storia mondiale di tutti i tempi: a volte si sono
presentati come singoli eventi isolati, altre volte si sono sovrapposti, in altri
casi, invece, sono stati tra loro concatenati tanto da poter evidenziare un
rapporto di causa-effetto tra i vari avvenimenti. Certo è che, in qualsiasi
forma questi episodi si siano verificati, hanno lasciato dei segni indelebili i
quali hanno inciso sul corso della storia ripercuotendosi,
contemporaneamente, sulla società e sulle istituzioni in essa presenti. Proprio
per la loro caratteristica di produrre notevoli conseguenze sia sul piano
storico che su quello sociale, le stragi ed i disastri sono divenuti oggetto di
numerose ricerche da parte di storici e sociologi, i quali possono studiare un
medesimo evento ponendosi due obiettivi diversi ma, al contempo, contigui.
L’obiettivo dello storico è quello di attuare una ricostruzione accurata di un
determinato avvenimento e sarà proprio grazie a questa ricostruzione,
trascritta in documenti, che quell’evento lascerà una traccia di sé nella storia
divenendo, in tal modo, oggetto di ulteriori studi. Il sociologo, dal canto suo,
sarà maggiormente orientato a rilevare quelle che sono le conseguenze che
quel determinato evento ha prodotto sul tessuto sociale, sia a livello del
comportamento individuale e collettivo, sia al livello del comportamento delle
8
organizzazioni. Appare quindi opportuno, a questo proposito, passare in
rassegna quelle che sono le tecniche e gli strumenti di cui gli scienziati storici
e sociali possono servirsi per effettuare le significative rilevazioni che
consentono loro di poter raggiungere i propri obiettivi conoscitivi. Partendo
da una panoramica generale delle metodologie che vengono impiegate, si
passerà, poi, a valutare la loro applicazione specifica nel campo delle stragi e
dei disastri.
2. LE TECNICHE D’ INDAGINE STORICO-
SOCIOLOGICA E LA LORO APPLICAZIONE
NELLO STUDIO DELLE STRAGI E DEI
DISASTRI
Ogni ricercatore, che sia esso uno storico, un sociologo o un antropologo,
deve scegliere, una volta fissate le sue ipotesi e preminentemente all’avvio
dell’indagine, quelle che sono le tecniche più appropriate per la ricerca che si
appresta a compiere. Queste tecniche, che i metodologi della ricerca sociale
hanno portato a livelli molto raffinati, si suddividono convenzionalmente in
qualitative e quantitative. Nel primo caso, il ricercatore si cala nella realtà
studiata, ne osserva dall’interno tutti gli aspetti anche minuscoli, vivendoli
assieme ai protagonisti, e ne fornisce un’interpretazione, una descrizione e
una spiegazione senza ricorrere a formulazioni numeriche. Nel secondo caso,
il ricercatore si colloca in una posizione più distaccata, affronta la realtà
studiata sulla base di un numero predefinito di categorie, osserva e
quantifica i fatti più significativi, collega fra loro le diverse osservazioni e
fornisce le proprie interpretazioni, descrizioni e spiegazioni attraverso
formulazioni numeriche: ricorrenze statistiche, rapporti tra variabili, indici
della consistenza di variabili o di complessi di variabili. La divisione tra
tecniche qualitative e quantitative è puramente convenzionale perché ogni
ricerca impone anzitutto la soluzione di problemi qualitativi, e la stessa
9
quantificazione consiste nella traduzione in entità misurabili di concetti e
osservazioni di natura qualitativa1.
La scelta di tecniche qualitative o quantitative dipende dall’impostazione
culturale del ricercatore, ma anche, e primariamente, dall’oggetto di ricerca.
Entrambe queste tecniche si basano sull’osservazione da cui si traggono le
in-formazioni, cioè quei dati che permettono al ricercatore di soddisfare la
sua curiosità scientifica, di arricchire il suo panorama di conoscenze e di
formarsi un’opinione. L’osservazione, dunque, si rivolge a delle fonti di
informazioni che possono essere di varia natura. Una fonte primaria è la
testimonianza dei soggetti con cui si entra in contatto e la prima e più ovvia
operazione di un sociologo, a cui interessa studiare una determinata realtà, è
quella di raccogliere tali testimonianze, conducendo delle interviste. Questo
metodo, il più ricorrente in sociologia, va commisurato alle caratteristiche
sociali degli intervistati e ai rapporti che sussistono tra questi e gli
intervistatori. Se fra questi esiste una comunanza di linguaggio e di concetti
culturali, apparirà più semplice utilizzare strumenti artificiali come i
questionari, appositamente predisposti e formati da una serie di domande
chiuse cioè risposte predefinite fra cui l’intervistato dovrà semplicemente
scegliere, oppure di domande aperte, cui si risponde liberamente, senza
vincoli. Se mancano tali requisiti, l’intervistatore dovrà accostare gli
intervistati attraverso particolari filtri culturali, magari con l’ausilio di un
mediatore che funga da interprete e, in questo caso, si raccomanda il
riscorso ad interviste totalmente libere. I dati saranno raccolti
dall’intervistatore con un registratore, o con appunti, eventualmente scritti ex
post per non turbare gli intervistati2.
Un’ulteriore importantissima fonte di informazioni è costituita dai documenti,
cioè dai materiali attraverso cui gli esseri umani forniscono rappresentazioni,
narrazioni, indicazioni, opinioni etc. L’umanità produce una quantità
1
V.Ferrari, Diritto e Società, Editori Laterza, 2005, pag. 32
2
Idem, pag. 33
10
formidabile di documenti, da cui le scienze storiche e sociali non possono
prescindere3. Tali documenti possono presentarsi sotto varie forme: nel caso
degli studi su stragi e disastri sono fondamentali, per le ricerche, fonti
documentarie quali atti parlamentari e giudiziari, giornali scritti o
teletrasmessi, documentari, cronache, verbali di sentenze etc.
Rispetto alla testimonianza, lo studio dei documenti presenta il vantaggio di
una almeno apparente oggettività. Mentre l’intervistato reagisce al contatto
con il ricercatore, il documento è, in questo senso, inerte. Anche al
documento il ricercatore rivolge, per così dire, delle domande, non
diversamente che ad un intervistato: ma le risposte sono già contenute nel
documento stesso, anticipate e non posticipate. Bisogna tener conto, però,
che il documento può ingannare non meno di un intervistato: può essere
materialmente falso, oggetto di contraffazione o ancora può essere autentico
ma fornire false indicazioni. Può altresì essere frutto di fraintendimento,
ignoranza o confusione nella mente del suo redattore. Infine può essere
autentico e veridico, ma non rappresentare la realtà sociale circostante e non
prestarsi, quindi, alle generalizzazioni. Come le informazioni ricavabili da
testimonianze, anche i documenti possono essere interpretati in modo
puramente qualitativo a anche quantitativo4. L’ “analisi del contenuto”, è un
raffinato strumento che viene utilizzato quando ci si appresta a trarre
informazioni dai documenti. Spesso l’autentica volontà di chi redige un
documento si nasconde dietro la cortina delle parole: il compito
dell’interprete, e quindi del ricercatore, è scostare quella cortina per
penetrare fino al nocciolo del contenuto.
Ho ritenuto opportuno includere in questo capitolo una breve rassegna dei
metodi (quantitativi e qualitativi) utilizzati dalle scienze storiche e sociali per
evidenziare che, nello studio delle stragi e dei disastri, vengono utilizzate
entrambe le tecniche: l’osservazione partecipante e le interviste sono
primariamente utilizzate per cogliere stati d’animo di quelle parti della
3
Idem, pag. 34
4
Idem, pag. 35
11
popolazione colpite dall’evento e per ricavare risultati che mostrino eventuali
cambiamenti nei comportamenti dei soggetti. Nel caso delle stragi,
particolarmente, dove le cause dell’evento sono generalmente latenti, la
raccolta delle testimonianze è importante per redigere i primi documenti a
riguardo del caso, successivamente si passerà all’analisi di tali documenti al
fine di trovare in essi qualche traccia che permetta di giungere alla verità. I
risultati ottenuti dall’analisi dei documenti verranno, a loro volta, riversati in
altri documenti che potranno prestarsi ad analisi successive, innescando così
un processo continuo che permette di valutare le evoluzioni ed i risvolti di un
determinato evento nel tempo. Questa redazione/analisi dei documenti viene
effettuata da una vasta gamma di professionisti (giornalisti, inquirenti,
sociologi, giudici etc.). Le tecniche quantitative, invece, possono essere
utilizzate al fine di quantificare gli effetti provocati dalla strage o dal disastro
come, ad esempio, il numero delle vittime e dei feriti, l’ammontare dei danni
economici o, ancora, per calcolare l’ammontare delle risorse impiegate per la
ripresa e per la ricostruzione. I risultati numerici, una volta rilevati, possono
permettere la comparazione tra fenomeni diversi, al fine di valutarne
eventuali somiglianze o differenze, oppure permettono di effettuare
comparazioni di uno stesso fenomeno in tempi o contesi diversi.
3. LA SITUAZIONE ATTUALE DELLE FONTI
La scelta delle fonti da utilizzare per compiere opportune riflessioni a
riguardo di tali avvenimenti è fondamentale. In un’interessante relazione
presentata da Paola Carucci, durante l’incontro “Come studiare il terrorismo e
le stragi: fonti e metodi”, organizzato nel 1999 dal Cedost (Centro di
documentazione storico-politica sullo stragismo), l’autrice passa in rassegna
le varie fonti da cui si possono trarre informazioni rilevanti a riguardo dello
stragismo e le eventuali difficoltà che si può riscontrare nel reperirle.
12
L’autrice, in particolare, cerca di mettere a fuoco tre punti:
1. le fonti immediatamente disponibili;
2. le fonti che si possono prevedere di acquisire in futuro;
3. in che modo la normativa impedisce o aiuta i ricercatori
nell’accesso agli archivi.
3.1 FONTI IMMEDIATAMENTE DISPONIBILI
Tra le fonti immediatamente disponibili vengono considerate, in primo luogo,
le fonti a stampa. In relazione a questo tipo di fonte, l’autrice sottolinea un
importante aspetto ed evidenzia che la stampa è stata spesso utilizzata dai
Servizi segreti come strumento per orientare l’opinione pubblica e afferma
che, più specificamente, si può rilevare che certe notizie sono giunte alla
stampa perché qualcuno voleva che arrivassero. Non bisogna neanche
dimenticare che la gestione dei ritagli di stampa è sempre stata una funzione
degli Uffici politici, della Polizia e dei Servizi segreti: le notizie che compaiono
sulla stampa sono una quantità sterminata, difficile da gestire e, di
conseguenza, difficile da studiare ed analizzare. Un’altra fonte importante è
rappresentata dalle inchieste parlamentari. Leggendole con attenzione si
avverte che chi le ha scritte non necessariamente ha una sensibilità storica e
che, talora, è stato necessario mediare tra posizioni diverse, anche se
esistono relazioni di minoranza; a volte, il confronto tra i documenti allegati,
la ricostruzione dei fatti e l’interpretazione finale suscita delle perplessità5.
Altre fonti disponibili per la ricerca storica, anche se non sempre di agevole
consultazione, sono le sentenze dei processi, che recano una lunga
narrazione dei fatti. È importante, in questo caso, una forte attenzione alle
date. L’autrice afferma di non sapere fino a che epoca i magistrati ponevano
5
P.Carucci, Fonti documentarie sulle stragi, in Come studiare il terrorismo e le stragi a cura di
C.Venturoli, Marsilio Editore, 2006, pag. 48
13
quesiti e ottenevano le relative risposte dai Servizi segreti, dai Carabinieri o
dal Ministero dell’Interno e quando, invece, hanno potuto consultare
direttamente i documenti di questi organismi. Questa circostanza può aver
indotto una diversa reazione: fino a quando questi organismi erano sicuri
dell’inviolabilità dei loro archivi conservavano maggiori quantità di documenti;
dal momento in cui il magistrato può vedere direttamente le loro carte,
possono essere intervenute nuove e frettolose distruzioni6.
Un altro tipo di fonte è rappresentata dalle memorie. Se da un lato si può
constatare nei testimoni una forte reticenza a riferire quanto è
fondamentalmente presumibile che essi sappiano, dall’altro si può notare che
molti hanno, invece, un grande bisogno di scrivere e comunicare la loro
“verità” sia che si tratti di terroristi, sia che si tratti di esponenti dei Servizi
segreti. Ovviamente le memorie in genere, e queste in particolare, sono una
fonte difficilissima da trattare per le omissioni intenzionali o involontarie, per
la manipolazione dei fatti e la deformazione dei ricordi7. La Carucci, in
relazione a questo tipo di fonte, tende a sottolineare che, nonostante tutte le
fonti presentino specifici problemi di analisi per una corretta interpretazione,
le memorie sono oggettivamente più complesse delle altre. In ogni caso, se
considerate in stretta relazione con l’ordine cronologico dei fatti, con la
situazione politica in atto e con gli eventuali sviluppi, contribuiscono a
comprendere il quadro in cui gli eventi si sono svolti.
Ultime tra le fonti immediatamente disponibili che Paola Carucci cita sono le
fonti archivistiche in senso proprio, già versate negli Archivi di Stato, ed è qui
che l’autrice evidenzia quello che è il panorama più sconfortante in campo di
fonti, affermando che quest’ultime sono pochissime e poco rilevanti. È forse
inevitabile che sia così dal momento che, anche quando sia trascorso qualche
decennio dagli attentati, le vicende giudiziarie sono ancora in atto.
All’archivio centrale dello Stato sono conservate per gli anni compresi tra il
6
Idem, pag. 50
7
Ibidem.
14
1965 e il 1980 carte del Gabinetto della Presidenza del Consiglio dei Ministri e
del Gabinetto del Ministero dell’Interno: sono fonti sicuramente importanti
per la storia politica e contengono riferimenti diretti o indiretti agli eventi
criminosi che hanno segnato duramente la storia del nostro Paese, ma non
sono fonti specifiche per la ricostruzione di quegli eventi, né si può garantire
che tutti i fascicoli siano stati versati o siano ancora conservati presso la sede
di provenienza8.
3.2 FONTI CHE CI SI AUSPICA DI POTER ACQUISIRE
IN FUTURO
Tra le fonti, invece, che ci si augura di poter consultare in tempi non
lontanissimi nelle sedi istituzionali per la ricerca storica, l’autrice menziona, in
primo luogo, le serie documentarie di quella che oggi si chiama Direzione
centrale polizia di prevenzione e che è l’ufficio che ha ereditato le
competenze della vecchia Divisione affari riservati. Tale archivio è di
imponenti dimensioni ed è una fonte di importantissima rilevanza, anche se
può aver subito delle distruzioni. A questo bisogna aggiungere, inoltre, gli
archivi del Sisde (Servizio segreto civile) e gli archivi del Sismi (Servizio
segreto militare). Di notevole rilievo, ancora, sono le fonti prodotte dalle
prefetture e dalle questure, in quanto il confronto fra queste sarebbe di
grande interesse per la ricerca storica e pertanto è auspicabile che anche
questi archivi vengano al più presto versati negli Archivi di Stato. In ultimo,
vengono menzionate le fonti provenienti dagli organi giudiziari, qui s’intende
non solo le sentenze ma tutto il materiale processuale, le testimonianze e la
quantità sterminata di documentazione sequestrata. Secondo la Carucci, non
è possibile ricostruire la storia senza il materiale originale che si trova presso
la Polizia, le Procure e i Tribunali. I magistrati lavorano in genere in situazioni
disastrose e pertanto, anche se gli allegati al processo sono stati
rigorosamente registrati, i rischi di dispersione e di danneggiamento non per
8
Idem, pag. 51
15
azioni indebite ma per motivi logistici e contingenti, sono oggettivi. Ragion
per cui, si dovrebbe agire in questo ambito per poter garantire la
salvaguardia di questo materiale9.
3.3 NORMATIVE NELL’ ACCESSO DEGLI ARCHIVI
Al termine della sua relazione in materia di fonti, la Carucci accenna alla
normativa in vigore. In tutti i paesi, la normativa stabilisce un lasso di tempo
per il trasferimento dei documenti dagli uffici dell’amministrazione attiva ai
competenti Archivi di Stato: questo termine è in genere di trent’anni, nel
nostro Paese è, invece, di quarant’anni. Quando l’Onorevole Veltroni era
Ministro dei Beni Culturali è stato fatto un tentativo per portare anche in
Italia questo termine a trent’anni: purtroppo il testo unico, che ha reso
oscure anche le disposizioni che risultavano chiare nei testi legislativi di
provenienza, non poteva probabilmente introdurre innovazioni di questo tipo.
Il fatto di non essere riusciti ad abbassare il termine per il versamento ha
avuto indirettamente una conseguenza negativa nel provvedimento di tutela
dei dati personali nella ricerca storica. Era stato chiesto al Garante di stabilire
in trent’anni il limite per l’accesso ai dati sensibili, mentre, attenendosi al
termine per il versamento delle carte negli Archivi di Stato, il Garante ha
fatto riferimento ai quarant’anni. Resta il termine di settant’anni per i dati
particolarmente sensibili, attinenti cioè alla salute, alla vita sessuale e a
situazioni familiari particolarmente riservate. È caduto invece, e questo è un
fatto sicuramente positivo per la ricerca storica, il limite di settant’anni dalla
loro conclusione per i processi penali. Rimane il termine di cinquant’anni per i
documenti riservati per motivi di politica interna ed estera. I limiti al libero
accesso ai documenti, quando si tratta di tutelare la sicurezza dello Stato e la
riservatezza delle persone, sono presenti nella legislazione archivistica di tutti
i Paesi. La lunghezza dei procedimenti giudiziari costituisce un ulteriore
9
Idem, pag. 53