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CAPITOLO 1
LA MARCA
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Etimologia del termine
Marca è un lessema di origine germanica markian <segno di confine> indica cioè un segno di
appartenenza [Volli 2004: p.83]. Il dizionario Devoto-Oli definisce marca come ‹‹segno
variamente impresso o applicato su un oggetto per indicarne la proprietà o la provenienza››,
più interessante e articolata è la definizione di marchio ‹‹segno indelebile di riconoscimento;
specialmente quello che si stampa con un ferro rovente sui capi di bestiame o che, in
passato, veniva impresso sulla pelle di chi fosse macchiato di delitti infamanti››; da cui per
metonimia il significato di ‹‹impronta infamante destinata ad accompagnare l’individuo per
tutta la vita››, di ‹‹segno inconfondibile, carattere peculiare ed emblematico›› e infine di
‹‹contrassegno di cui sono muniti i prodotti di imprese industriali o agrarie (rispettivamente
marchio di fabbrica o marchio di origine)››.
Caratteristiche e funzioni del segno
Oggi le marche appaiono prevalentemente su prodotti, servizi e aziende anche se possiamo
ritrovare nella moda dei tattoo un fenomeno di marchiatura del corpo. Questi tatuaggi
sono, presso molte tribù primitive, dei veri e propri rituali di iniziazione, segnano
indelebilmente un cambiamento importante dell’individuo all’interno della stessa come può
essere ad esempio il passaggio dalla puertà all’età adulta. Anche un’associazione molto più
complessa come la mafia giapponese, la Yakuza (Figura 1), fa uso del tatuaggio come
marchio distintivo, infatti tutti gli appartenenti sfoggiano tatuaggi su quasi la totalità del
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Figura 1 La Yakuza
proprio corpo. Ma perché la semiotica si occupa delle marche? Le marche sono oggi giorno
soprattutto dispositivi semiotici, spesso ne parliamo riferendoci ad esse come a delle
persone dotate di una propria personalità, esse hanno una morfologia e un lettering che le
contraddistingue. Dal punto di vista della comunicazione esse creano un mondo possibile
con valori ben precisi sostenuti da un’isotopia intertestuale che costituisce sempre
l’ossatura dei testi e mira a rafforzare la propria coerenza interna. Pensiamo ad esempio a
certi spot della Mulino Bianco che fanno perno sull’affettività domestica e la vita semplice e
genuina di una casa fuori città. In questi spot ogni elemento, dalla pubblicità al packaging
del prodotto, dal marchio al prezzo dei prodotti, contribuisce a creare un’ immagine del
prodotto. La marca, inoltre, fornisce un naming al prodotto industriale di massa che nasce
per definizione impersonale e dà al consumatore delle garanzie che l’azienda è tenuta a
rispettare, pena il declassamento della marca stessa agli occhi dei consumatori. Seguendo lo
studio più autorevole sull’argomento [Kapferer, Thoenig, 1991, cit. da Volli U. 2004: p.86] si
possono individuare alcune funzioni principali della marca:
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- Funzione di identificazione: consiste nel fatto che la marca denota le caratteristiche
principali del prodotto
- Funzione di orientamento: la marca aiuta il cliente a orientarsi tra le varie offerte
- Funzione di garanzia: la marca è un impegno pubblico di qualità e prestazione
- Funzione di personalizzazione: riguarda il rapporto fra la scelta di certe marche e
l’ambiente sociale del consumatore
- Funzione ludica: è in sostanza il piacere che prova il consumatore a fare uso di una
certa marca
Prendendo come punto di riferimento l’analisi socio-semiotica effettuata da Floch sulla
pubblicità e sul consumo [cfr. Bianchi 2005: p.81], sono state individuate quattro tipologie di
valori, utilizzate a seconda di quale aspetto di un determinato prodotto si vuole evidenziare.
Questi diversi tipi di valorizzazione si basano sull’uso di differenti strategie comunicative,
poiché mentre le valorizzazioni di tipo pratico e critico pongono al centro dei loro discorsi
l’oggetto, ovvero il prodotto, le valorizzazioni di tipo utopico e ludico pongono l’accento sul
soggetto, vale a dire sul consumatore.
Identità di marca e immagine del prodotto
L’ultima funzione ovvero quella ludica o mitica è forse quella più interessante e determina il
successo di certe marche che hanno oggi ormai una storia consolidata. Pensiamo a certe
frasi che si sono ormai radicate nel pensiero comune: guidare “una Mercedes” è sinonimo di
prestigio ed eleganza, come indossare “un Armani” o “un Tiffany”. Kapferer distingue tra
marche deboli e marche forti [cfr. Volli 2004 pag.88] , le prime sono quelle in cui l’emittente
delegato ha una debole identità comunicativa diversamente da quelle forti, affermando che
“la marca è la memoria della merce”. La natura della marca è in ultima analisi narrativa, essa
aggiunge al prodotto un racconto e fa parlare di sé la merce. Pensiamo ad esempio alla fiabe
ed in particolare alla funzione di marchiatura studiata da Propp: è grazie al segno (marchio)
che l’Eroe potrà essere distinto dai Falsi Eroi e premiato per la sua condotta eroica. E’
proprio il caso di certe pubblicità di detersivi che giocano sulla funzione di marchiatura per
indurre il consumatore all’acquisto, affermando che solo per mezzo del detersivo
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pubblicizzato si potrà ottenere un bianco perfetto, non ottenibile con prodotti di altre
marche con cui si potrà ottenere un bianco opaco o, come analizzato da Floch, un semplice
non-sporco. (Figura 2).
Bianco (Pulito) Nero (Sporco)
Non nero (Opaco, apparente pulito) Non-bianco (apparente sporco)
Figura 2 Quadrato di Floch applicato al caso dei detersivi
Oggi è quasi impossibile distinguere i prodotti dalle marche, persino canali distributivi che
sono di solito considerati incompatibili con la marca come gli hard discounts danno un nome
proprio ai loro prodotti.
Mauro Ferraresi ha approfondito il binomio tra l’identità di marca e l’immagine del prodotto
[Ferraresi M., 2003 cit. da Bianchi C. 2005: p.99] sostenendo che la marca oltre a svolgere il
compito di differenziare e di valorizzare, nel momento in cui crea una differenza tra se
stessa e ciò che le sta intorno, costruisce una propria identità e sostiene certi valori
piuttosto che altri. Conclude affermando che per la marca ‹‹il primo passo, esplicito o non
esplicito che essa compie consiste nella costruzione di, o l’inserimento in, un sistema
valoriale›› [cit. da Bianchi C. 2005: p.100]; a cui deve corrispondere allo stesso tempo una
strutturazione paradigmatica in immagini.
L’immagine collegata ad una marca è eterogenea: la pubblicità può coprire diversi canali, si
compone di pubbliche relazioni, di luoghi, di promozioni, packaging, jingle ecc. Questa
eterogeneità ha efficacia se il consumatore riesce a riconoscerne i tasselli di un’immagine
complessiva. Le marche dunque costituiscono racconti e come ogni narrazione
rappresentano delle argomentazioni mascherate, esse non sono segni fine a se stessi ma
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costituiscono come già detto un testo, inteso anche etimologicamente come tessuto ovvero
come un insieme di elementi intrecciati tra di loro.
Secondo Gianfranco Marrone, docente straordinario di semiotica all’Università di Palermo,
le marche all’interno della società dei consumi hanno molto in comune con la religione:
infatti la funzione della marca riecheggia un po’ quella religiosa poichè consiste nel
garantire fiducia al consumatore/fedele; si noti la comune radice etimologica tra fiducia e
fede [cfr. Marrone 2007: pp.164-165]. L’idea di persuasione all’acquisto non è sempre
esplicita ed è oggi fortemente riduttiva, le marche spesso non esaltano il prodotto da un
punto di vista oggettivo ma costruiscono intorno ad esso un universo di valori che
“significano” a priori e costruiscono su se stesse il senso.
Figura 3 Meglio Pepsi o Coca?
Un caso eclatante che esemplifica quanto appena detto è rappresentato dal celeberrimo
caso Pepsi-Coca Cola (Figura 3) in cui mi sono imbattuto quasi per caso sulla rete, basta
infatti digitare su Google “Coke vs Pepsi” per visualizzare un vasto elenco di siti che trattano
l’argomento. Esso dimostra come le scelte dell’una o dell’altra bibita non siano condizionate
solo da questioni di gusto “oggettive” . Tutto nacque da un esperimento fatto nell’estate del
2003 dal Baylor College of Medicine of Houston, allo scopo di capire quale fosse la ragione
del vantaggio della Coca-Cola sulla Pepsi. L’esperimento venne condotto dal neuroscienziato
Read Montague che, facendo assaggiare ad un gruppo di volontari una Coca e una Pepsi
(due bevande dal contenuto chimico identico) senza che i soggetti sapessero se si trattasse
dell'una o dell'altra, verificò che nessuno di essi era in grado di percepire alcuna differenza.
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Nella sessione sperimentale successiva invece, quando ai soggetti veniva rivelato il marchio,
la propensione per la Coca-Cola aumentava a dismisura. A livello neurale era stato possibile
osservare l'attivazione di aree ulteriori rispetto a quella della corteccia prefrontale ventro
mediale (VMPFC) che è coinvolta nell'elaborazione sensoriale: nel caso della Coca Cola si
attivavano anche l'ippocampo e la corteccia prefrontale dorso-laterale (DLPFC), aree note
per essere implicate nell'elaborazione emotiva, la seconda in particolare nel controllo
cognitivo e nella memoria di lavoro. In altre parole il cervello non si limita a gustare la
bevanda ma elabora cognitivamente il marchio, richiamando tutte le informazioni culturali e
quindi anche quelle pubblicitarie che possiede su di esso e si farebbe influenzare dalle
emozioni positive sapientemente associate all'informazione culturale. Sarebbe questo a
spingerlo verso una, altrimenti inspiegabile, preferenza per una bevanda del tutto identica
all'altra.
Inoltre è il caso degli spot da me analizzati della nuova campagna Nike “Make the
difference” nei capitoli successivi. La Nike, diversamente da altre marche sportive come
Champion ed Arena ad esempio, opta per una pubblicità non referenziale in cui non c’è
quasi azione ma puro movimento.
Figura 4 Forme plastiche perfette