IV
V
INDICE
INTRODUZIONE 1
CAPITOLO I 7
LA SCUOLA DI ARPIOLA
1.1 – La frazione di Arpiola
1.2 – Classificazione sismica della Toscana
1.3 – Misure di intervento della Regione Toscana sul rischio
sismico
1.4 – Contributi pubblici per gli interventi di adeguamento
sismico degli edifici scolastici
1.5 – Il progetto
CAPITOLO II 17
CENNI SUI SISTEMI DI ISOLAMENTO SISMICO
2.1 – Bilancio energetico
2.2 – Teoria lineare approssimata dell’isolamento alla base
2.3 – Dispositivi di isolamento
2.4 – Dispositivi supplementari di dissipazione
2.5 – Applicazioni nel mondo
CAPITOLO III 45
PROGETTO DELL’EDIFICIO A BASE FISSA
3.1 – Descrizione generale dell’edificio
3.2 – Caratterizzazione strutturale
3.3 – Progettazione degli elementi strutturali
3.4 – Stato limite di danno
CAPITOLO IV 83
DESCRIZIONE E MODELLAZIONE DEI DISPOSITIVI DI
ISOLAMENTO SISMICO
4.1 – Isolatori elastomerici LRB
4.2 – Isolatori a scorrimento
4.3 – Dispositivi a fluido viscoso
CAPITOLO V 101
PROGETTO DELL’EDIFICIO ISOLATO ALLA BASE TRAMITE
ISOLATORI ELASTOMERICI E APPOGGI SCORREVOLI
5.1 – Progetto del sistema di isolamento
VI
5.2 – Caratterizzazione strutturale
5.3 – Progettazione degli elementi strutturali
5.4 – Stato limite di danno
5.5 – Particolari esecutivi degli impianti
5.6 – Controlli periodici dei dispositivi di isolamento
CAPITOLO VI 125
PROGETTO DELL’EDIFICIO ISOLATO ALLA BASE CON E APPOGGI
SCORREVOLI E DISPOSITIVI VISCO-ELASTICI
6.1 – Progetto del sistema di isolamento
6.2 – Caratterizzazione strutturale
6.3 – Progettazione degli elementi strutturali
6.4 – Stato limite di danno
6.5 – Particolari esecutivi degli impianti
6.6 – Controlli periodici dei dispositivi di isolamento
CAPITOLO VII 145
EFFETTI DELL’ISOLAMENTO SISMICO SULLA STRUTTURA IN
ESAME
7.1 – Edificio a base isolata
7.2 – Edificio isolato mediante isolatori elastomerici e appoggi
scorrevoli
7.3 – Edificio isolato mediante dispositivi a fluido viscoso e
appoggi scorrevoli
7.4 – Valutazione degli effetti dell’isolamento alla base
applicato alla struttura in esame
CAPITOLO VIII 231
CONFRONTO SUI COSTI DI COSTRUZIONE DELL’OPERA PER LE
DIVERSE IPOTESI DI PROGETTAZIONE
8.1 – Valutazioni economiche
8.2 – Calcolo del preventivo di spesa
8.3 – Edificio a base fissa
8.4 – Edificio isolato mediante isolatori elastomerici e appoggi
scorrevoli
8.5 – Edificio isolato mediante appoggi scorrevoli e dissipatori
a fluido viscoso
8.6 – Confronto tra i preventivi di spesa
CONCLUSIONI 245
BIBLIOGRAFIA 247
Introduzione
1
INTRODUZIONE
Gli edifici e tutte le opere di ingegneria civile devono essere progettate in
modo tale da soddisfare tre obiettivi fondamentali in caso di evento sismico:
1. la salvaguardia delle vite umane;
2. il contenimento dei danni alle strutture;
3. il mantenimento della funzionalità delle strutture di importanza strategica.
Per ottenere questi obiettivi è necessario conseguire un livello di protezione
adeguata nei confronti di due condizioni limite: lo Stato Limite Ultimo e lo Stato
Limite di Danno (Figura 1). Lo scopo è di soddisfare il requisito di non collasso
strutturale (condizione di SLU) e di conseguenza quello di preservare la vita umana,
e il requisito di limitazione del danno (condizione di SLD).
Figura 1 - Comportamento non lineare di una struttura soggetta a forse laterali e livelli
prestazionale corrispondenti.
Per conseguire questi risultati la progettazione sismica delle costruzioni, può
essere affrontata seguendo due metodologie che implicano percorsi progettuali
diversi:
− il livello di protezione sismica della costruzione è ottenuto aumentando
adeguatamente la duttilità strutturale, in modo tale che parti della struttura
entrino in campo plastico;
− il livello di protezione sismica della costruzione è ottenuto diminuendo
adeguatamente l’intensità dell’azione tellurica;
Queste procedure rappresentano le due grandi metodologie progettuali che
stanno alla base della progettazione in zona sismica. L’obiettivo della duttilità
Analisi progettuale di un edificio scolastico dotato di diverse tipologie di isolamento sismico
2
strutturale è ottenuto con la strategia della dissipazione interna di energia, mentre
quello della riduzione dell’intensità delle forze sismiche è ottenuto mediante la
strategia dell’isolamento e della dissipazione supplementare di energia.
L’approccio progettuale offerto dalla prima metodologia è quello
normalmente utilizzato nella progettazione sismica delle costruzioni ordinarie, può
essere ormai denominato “tradizionale”. L’obiettivo, verso il quale si indirizzano
anche le prescrizioni normative, è quello di concentrare l’attenzione non tanto sulla
definizione delle proprietà di resistenza dei singoli elementi strutturali ma sulla
filosofia del Capacity Design, vale a dire sullo studio della gerarchia delle resistenze
e delle caratteristiche di duttilità. Secondo tale procedimento si perviene
all’individuazione di zone a “danneggiabilità controllata” nelle quali concentrare la
dissipazione garantendo il raggiungimento di sufficienti livelli di capacità di
deformazione plastica, in modo tale da salvaguardare gli elementi strutturali
principali. L'uscita dal comportamento elastico lineare provoca fenomeni di
plasticizzazione e danneggiamento locale che, in primo luogo, dissipano parte
dell'energia cinetica e in secondo, spostano le frequenze proprie verso un campo
delle accelerazioni sismiche avente un minor contenuto energetico.
La capacità dei sistemi strutturali di sopportare le azioni sismiche in campo
non lineare permette, in generale, di progettarli per forze sollecitanti minori di quelle
che si dovrebbero considerare nel caso si ipotizzasse una risposta puramente elastica.
Per evitare di dover compiere analisi non lineari in fase di progetto, la capacità di
dissipazione di energia di una struttura, essenzialmente realizzata mediante il
comportamento duttile dei suoi elementi, è tenuta in conto svolgendo un’analisi
lineare basata su uno spettro di risposta ridotto, detto spettro di progetto. Questa
riduzione è ottenuta introducendo il fattore di struttura q: esso rappresenta
un’approssimazione del rapporto tra le forze sismiche che la struttura dovrebbe
sopportare se la sua risposta fosse puramente elastica (con uno smorzamento viscoso
del 5%) e le forze sismiche che alla quale la struttura dovrebbe resistere assumendo
un comportamento elasto-plastico dei propri elementi. Questa assunzione permette di
utilizzare in sede di progetto un modello lineare convenzionale che, se gli elementi
vengono realizzati con gli adeguati particolari costruttivi atti a garantire appropriati
livelli di deformazione oltre il limite elastico, ancora garantisce una risposta
soddisfacente da parte della struttura.
Questa filosofia progettuale prevede la possibilità di accettare danni
strutturali anche gravi, ma non il crollo, e ovviamente anche ingenti danni alle
finiture architettoniche, agli impianti e in generale a tutto ciò che è contenuto
nell’edificio. Solo nel caso di eventi sismici moderati la struttura permane in campo
elastico e i danni risultano modesti.
Il progetto di recupero di un edificio fortemente danneggiato da un sisma,
soprattutto nelle parti strutturali, implica molto spesso dei costi paragonabili, se non
più elevati, a quelli necessari per la sua ricostruzione. Sembrerebbe pertanto più
logico nella valutazione dei costi delle costruzioni non limitarsi a tenere conto dei
soli oneri realizzativi ma considerare un intervallo maggiore che comprenda anche le
eventuali spese di recupero conseguenti un evento sismico violento.
Per ovviare a tale inconveniente negli ultimi decenni, in alternativa ai metodi
di protezione sismica basati sulla resistenza e sulla duttilità delle strutture, la ricerca
scientifica e parallelamente le applicazioni tecnologiche si sono orientate verso la
mitigazione degli effetti dei terremoti, nel tentativo di limitare, anche nel caso di
Introduzione
3
sismi severi, quei danni, strutturali e non, altrimenti imprescindibili. La drastica
riduzione o la assenza di danno così ottenuta può, nel caso di strutture ordinarie,
giustificare i maggiori costi iniziali delle tecnologie innovative, e riveste grandissima
importanza per alcune opere, quali edifici pubblici e in particolare quelli di
importanza strategica per la protezione civile, che devono restare pienamente
funzionali anche nelle fasi di emergenza conseguenti il sisma, strutture contenenti
componenti o materiali ad alto rischio, ponti e viadotti, musei, edifici storici e
artistici.
Da un punto di vista applicativo, tra le tecniche di protezione sismica
alternative, si distinguono due categorie, entrambe aventi lo scopo di ridurre la
vulnerabilità delle costruzioni nelle aree a rischio sismico:
− Tecniche di protezione attiva: basate sul controllo attivo della dinamica della
struttura attuato mediante applicazione di forze contrarie a quelle inerziali,
oppure con modifica di grandezze specifiche, quali ad esempio la rigidezza e
lo smorzamento, richiedono strumentazione e servomeccanismi attivi che
devono essere soggetti a controllo permanente;
− Tecniche di protezione passiva: basate sul controllo passivo della dinamica
della struttura, dove l’aggettivo “passivo” indica che le tecniche in questione
riducono la risposta sismica attraverso un comportamento costante e
predeterminato, sono dunque incapaci di correzioni contestuali al verificarsi
del terremoto, non si adattano interattivamente a esso bensì lo subiscono
passivamente. Queste tecniche risultano efficaci, economiche e collaudate
positivamente da prove effettuate sia in laboratorio sia su edifici costruiti,
nonché da terremoti reali.
L’isolamento sismico rientra nelle tecniche di protezione passiva, prevedendo
l'inserimento, lungo lo sviluppo verticale della struttura, di una o più discontinuità
che separano la struttura in due o più parti e cioè la “sottostruttura”, collegata alle
fondazioni, e le “sovrastrutture”. Tali discontinuità vengono realizzate mediante
speciali dispositivi che determinano un comportamento dinamico del sistema isolato
caratterizzato da due principali fattori:
− l’aumento del periodo proprio della struttura isolata;
− l’aumento delle capacità smorzanti del sistema.
Le conseguenze dell’isolamento sismico possono essere lette chiaramente
osservando gli effetti in termini di frequenza e spostamenti su di un tipico spettro di
risposta (Figura 2):
− in termini di accelerazioni si evince che aumentare lo smorzamento e il
periodo proprio della struttura, riduce le sollecitazioni indotte dal sisma;
− in termini di spostamenti, al crescere del periodo fondamentale gli
spostamenti della struttura crescono e ciò costituisce un limite alla scelta di
un periodo troppo elevato; al contrario al crescere dello smorzamento gli
spostamenti diminuiscono.
Analisi progettuale di un edificio scolastico dotato di diverse tipologie di isolamento sismico
4
Da queste assunzioni si comprende la necessità di realizzare delle fondazioni
più complesse rispetto a quelle degli edifici tradizionali, perché si rende necessario
permettere notevoli spostamenti relativi fra l’edificio e il terreno (nell’ordine dei
decimetri) e l’adozione di speciali giunti flessibili per gli impianti. In altri termini, le
deformazioni e la dissipazione si concentrano quasi totalmente nei dispositivi di
isolamento, i quali dissipano l’energia sismica trasmessa loro dalle fondazioni a
spese di grandi deformazioni plastiche, mediante ampi cicli di isteresi, mentre la
sovrastruttura si muove quasi rigidamente.
Figura 2 – Effetti tipici dell’isolamento sismico in termini di accelerazioni e spostamenti
spettrali.
Ovviamente, oltre ad essere caratterizzato dalle funzioni principali
summenzionate, un sistema d’isolamento adeguato deve possedere una buona
capacità rincentrante (cioè di riportare la struttura alla posizione iniziale una volta
terminato il terremoto), una vita utile sufficientemente lunga (almeno pari a quella
della struttura, sebbene debba essere anche garantita la sostituibilità degli isolatori),
una rigidezza crescente al diminuire del livello di sollecitazione dinamica (elevata
per quelle di modesta entità, così da impedire continue vibrazioni, ad esempio, sotto
l’azione del vento), rigidezza e smorzamento poco sensibili a effetti quali le
variazioni di temperatura, l’invecchiamento, ecc.
È da sottolineare che l’isolamento sismico è usualmente applicato solo nel
piano orizzontale perché la componente verticale dei terremoti è normalmente meno
violenta di quelle orizzontali, e perché le strutture, per le loro caratteristiche
costruttive, resistono assai meglio alle vibrazioni verticali che non a quelle
orizzontali; inoltre, con l’isolamento tridirezionale è spesso arduo controllare i moti
di beccheggio.
L’isolamento è una tecnica di agevole applicazione nel caso di strutture di
nuova costruzione, ma può essere utilizzato anche per l’adeguamento o il
miglioramento sismico di strutture esistenti (retrofit): in questo caso, esso è attuato
negli edifici mediante taglio delle fondazioni o delle strutture portanti (pilastri e
pareti) del piano più basso.
L’applicazione della tecnica suddetta è particolarmente vantaggiosa per
edifici che presentano notevoli asimmetrie in pianta e/o in alzato. Tali asimmetrie,
infatti, risultano assai problematiche per gli edifici non isolati: in particolare, quelle
in pianta generano pericolosi effetti torsionali. Ecco che allora, per evitare forti
Introduzione
5
asimmetrie geometriche in pianta o in alzato, occorre spesso separare tali edifici in
più corpi di fabbrica sufficientemente simmetrici: ciò, invece, non è usualmente
necessario per costruzioni isolate, perché il movimento quasi rigido della
sovrastruttura (Figura 3) minimizza gli effetti negativi delle asimmetrie in alzato e
un’opportuna disposizione degli isolatori consente di portare il centro di rigidezza del
sistema di isolamento a coincidere, o quasi, con la proiezione del centro di massa
della costruzione sul piano dell’isolamento (condizione necessaria per evitare
deformazioni torsionali).
Figura 3 – Effetto dell’isolamento alla base sulla risposta sismica di un edificio multipiano.
Un passo importante in Italia per la diffusione degli edifici isolati alla base è
stato compiuto, da un punto di vista normativo, con l’emanazione dell’Ordinanza
3274 del 2003, nella quale per la prima volta vengono date disposizioni specifiche su
questo tipo di tecnica (Capitolo 10). Tali indicazioni, se pur non modificando
sostanzialmente quelle presenti nelle linee guida, emanate attraverso la circolare
256/96 dal Ministero dei LL.PP., rappresentano un passaggio importante verso la
regolamentazione, con relativo snellimento delle procedure di controllo e
approvazione, delle tecniche di protezione sismica.
I progetti predisposti basandosi sulla nuova normativa, mostrano che i
vantaggi in termini di riduzione delle forze sismiche annullano spesso i costi
aggiuntivi dovuti al sistema d’isolamento, anche per le nuove costruzioni, poiché
questi ultimi sono compensati dai risparmi dovuti all’alleggerimento della
sovrastruttura e delle fondazioni. Comunque, anche nel caso in cui i suddetti costi
aggiuntivi di costruzione non siano totalmente compensati, resta sempre a favore
dell’isolamento, oltre alla sicurezza nettamente maggiore, il bilancio economico
complessivo, che tiene correttamente conto anche dei costi da affrontare dopo un
terremoto (riparazione, demolizione, ricostruzione, ecc.).
Da ultimo è molto importante sottolineare che, nell’applicazione
dell’isolamento sismico, merita particolare attenzione la corretta realizzazione:
− dei giunti strutturali, o gap, fra sovrastruttura isolata e la sottostruttura o il
terreno circostante, cioè di quegli “spazi” necessari a garantire il libero
movimento della sovrastruttura almeno fino allo spostamento corrispondente
allo SLU;
− dei cosiddetti “elementi di interfaccia”, cioè di quei componenti e di quelle
strutture che attraversano, orizzontalmente o verticalmente il gap (passerelle
di accesso, coperture dei gap stessi, scale, tubazioni, cavi, ecc.) che non
devono impedire il libero movimento della sovrastruttura.
Analisi progettuale di un edificio scolastico dotato di diverse tipologie di isolamento sismico
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Analisi progettuale di un edificio scolastico dotato di diverse tipologie di isolamento sismico
8
1.2 – Classificazione sismica della Toscana
L'individuazione delle zone sismiche in Italia è iniziata nei primi anni del
1900 attraverso lo strumento del Regio Decreto (Legge 13 marzo 1927 n. 431),
emanato a seguito di terremoti distruttivi. Dal 1927 le località colpite erano distinte
in due categorie, in relazione “al loro grado di sismicità e alla loro costituzione
geologica”.
La mappa sismica d’Italia non era altro, quindi, che la mappa dei territori
colpiti dai forti terremoti avvenuti dopo il 1908 a meno di improvvide successive
decisioni di declassificazione.
Tutti i territori colpiti dai terremoti distruttivi avvenuti prima del 1908 (la
maggior parte delle zone sismiche d’Italia) non vennero classificati come sismici e,
pertanto, senza alcun obbligo di costruire nel rispetto della normativa antisismica,
causando un enorme deficit di protezione.
Per quanto riguarda la Toscana, il Regio Decreto dichiarava in zona sismica
poco più di settanta Comuni delle aree della Lunigiana, Garfagnana, Mugello, Alta
Val Tiberina e Amiata. In seguito la Legge 25 marzo 1935 n.640 e 22 novembre
1937 n.2105 declassarono una ventina circa di comuni. L'elenco venne nuovamente
modificato con Legge 25 novembre 1962 n. 1684, che apportava modeste modifiche.
Fino a tale data, in Toscana, così come per il resto del territorio nazionale, la
classificazione delle diverse aree avveniva solo dopo il verificarsi di un evento
sismico con la finalità di applicare i provvedimenti amministrativi e finanziari
necessari per la ricostruzione.
La Legge 2 febbraio 1974 n.64 stabiliva il quadro di riferimento per le
modalità di classificazione sismica del territorio nazionale, oltre che di redazione
delle normative tecniche. Tale legge, in particolare, prevedeva che “con decreti del
Ministro per i lavori pubblici, emanati di concerto con il Ministro dell'interno, sentiti
il Consiglio superiore dei lavori pubblici e le regioni interessate, sulla base di
comprovate motivazioni tecniche, si provvede: a) all'aggiornamento degli elenchi
delle zone dichiarate sismiche (…); b) ad attribuire alle zone sismiche valori
differenziati del grado di sismicità da prendere a base per la determinazione delle
zone sismiche e di quant'altro specificato dalle norme tecniche; c) all'eventuale
necessario aggiornamento successivo degli elenchi delle zone sismiche e dei valori
attribuiti ai gradi di sismicità.”
A seguito dell'evento sismico dell'Irpinia (novembre 1980) si assiste a una
decisa accelerazione a della procedura di adozione dei decreti, tanto che dal 1981 al
1984 verranno adottati in tutto il territorio nazionale i Decreti Ministeriali di
classificazione delle zone sismiche, tra cui quello riguardante la regione Toscana del
19 marzo 1982. Il sistema adottato prevedeva di suddividere il territorio in comuni di
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categoria: questi non rappresentavano la totalità del territorio, quindi
rimanevano dei comuni non classificati per i quali non c’era obbligo del rispetto delle
norme sismiche. Alle zone di 1
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categoria venivano associati rispettivamente i
valori del “coefficiente di sismicità” S 12, 9 e 6, cui corrispondevano azioni di
progetto riferibili ad accelerazioni pari a 0,1 g, 0,07 g e 0,04 g, da correggere tenendo
conto delle capacità dissipative delle strutture e del fattore di sicurezza.
Il D.M. del 19 marzo 1982, entrato in vigore il successivo 19 giugno, ha
classificato soggetti a rischio sismico 182 Comuni della Toscana su un totale di 287,
Capitolo I – La scuola di Arpiola
9
di cui circa 130 inseriti per la prima volta in tale elenco. I comuni della Toscana sono
stati tutti classificati di 2a categoria (S=9) per circa l'80% del territorio (Figura 1.2)
pari al 75% della popolazione e al 70% delle abitazioni. La mappa delle zone
sismiche è elaborata sulla base della proposta di classificazione del "Progetto
Geodinamica" del Consiglio Nazionale delle Ricerche (C.N.R.) che risale al 1980 e
che per la prima volta in Italia, si fonda su parametri quantitativi definiti in modo
omogeneo per tutto il territorio nazionale (scuotibilità e massima intensità risentita).
Figura 1.2 – Classificazione sismica dei comuni della Toscana secondo il D.M. 19 marzo 1982.
Nell'aprile 1997 veniva istituita presso il Dipartimento della Protezione Civile
della Presidenza del Consiglio dei Ministri un'apposita Commissione composta da
esperti del Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti, dell'Istituto Nazionale di
Geofisica e Vulcanologia e del Servizio Sismico Nazionale per la definizione dei
criteri per l'individuazione delle zone sismiche riclassificazione del territorio
nazionale sulla base degli studi del rischio sismico aggiornati fino a tale data,
denominata “Proposta 1998”. Nel frattempo la Commissione Grandi Rischi, istituita
Analisi progettuale di un edificio scolastico dotato di diverse tipologie di isolamento sismico
10
presso il Dipartimento della Protezione Civile (Gruppo di Lavoro 1999) elaborava
un’ulteriore bozza denominata "Proposta 2001" non dissimile da quella del 1998.
Con il trasferimento di alcune competenze dallo Stato alle Regioni ed Enti
Locali in applicazione al Decreto Legislativo n. 112 del 31 marzo 1998,
l'individuazione delle zone sismiche, la formazione e l'aggiornamento degli elenchi
nelle medesime zone sono passati sotto la competenza delle Regioni. Restano a
carico dello Stato e in particolare al Dipartimento della Protezione Civile, la
definizione dei criteri generali per l'individuazione delle zone sismiche e delle norme
tecniche per le costruzioni.
Di fatto soltanto nel dicembre 2002, dopo i tragici eventi del Molise, il
Governo decise di accelerare i tempi, attraverso il lavoro del Dipartimento della
Protezione Civile che elaborava una proposta di riclassificazione da presentare alle
Regioni, con i criteri per l'individuazione delle zone sismiche e la bozza delle norme
tecniche per le costruzioni, che si componeva di cinque documenti.
Tra le novità più importanti si informava che lo Stato avrebbe adottato una
nuova normativa tecnica per le costruzioni in zona sismica che doveva sostituire
diciotto mesi più tardi quella in vigore.
I documenti nella versione ufficiale saranno aggiornati al momento
dell'emanazione dell'Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n.3274 del
20 marzo 2003 di approvazione della riclassificazione e della normativa tecnica.
Nell'Ordinanza si prevedeva altresì l'avvio e il completamento entro cinque
anni delle verifiche sismiche su tutti gli edifici pubblici “strategici” da parte degli
enti proprietari con priorità per le zone 1 e 2. Entro sei mesi dovevano essere definite
dal Dipartimento della Protezione Civile, d'intesa con le Regioni interessate, le
verifiche sismiche sulla base delle nuove normative. Il Dipartimento della Protezione
Civile prevedeva inoltre la realizzazione di corsi di formazione e seminari di
informazione prima dell'entrata in vigore della normativa tecnica.
Uno degli elementi più innovativi della nuova classificazione consisteva
nell’eliminazione della dicotomia tra “zone classificate” e “zone non classificate”,
che, di fatto, veniva interpretata come “zone sismiche” e “zone non sismiche”. Si
consentiva però l’uso di norme semplificate, .per le strutture collocate nella zona a
pericolosità sismica più bassa e che non rivestivano importanza fondamentale.
L’Ordinanza suddivide a tal fine l’intero territorio nazionale in quattro zone
di sismicità, individuate in base a valori decrescenti di accelerazioni massime al
suolo. Per queste zone le norme indicano quattro valori di accelerazioni orizzontali
(a
g
/g) di ancoraggio dello spettro di risposta elastico. In particolare ciascuna zona è
individuata secondo valori di accelerazione di picco orizzontale del suolo a
g
, con
probabilità di superamento del 10% in 50 anni (Tabella 1.1).
Tabella 1.1 – Accelerazioni massime al suolo per le diverse zone sismiche secondo l’OPCM 3274.
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