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Introduzione
Breve descrizione della metodologia : “Analisi Organizzativa
Multidimensionale”
Questa tesi tratta di un esperienza, nel mondo delle organizzazioni no profit, relativa
all’applicazione dell’Analisi Organizzativa Multidimensionale
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: una delle principali metodologie
utilizzate dagli Psicologi di Comunità, assieme ai Profili di Comunità, l’Educazione Socio
Affettiva e la Formazione Empowering.
La metodologia dell’A.O.M. nasce verso la fine degli anni ’80 ad opera di Francescato e
Ghirelli, che apportano una sferzata di modernizzazione ai consueti metodi di studio delle
organizzazioni, ampliandone e innovandone la prospettiva, specie attraverso l’introduzione di
uno studio congiunto tra variabili soft e hard.
Nello specifico le variabili hard, investono aspetti attinenti ai modi di gestione dei servizi,
all’organizzazione delle attività da compiere per raggiungere gli obiettivi, ma anche degli aspetti
giuridici e patrimoniali ecc…; mentre le variabili soft attengono al clima organizzativo, alla
percezione della propria organizzazione da parte dei lavoratori, ad aspetti poco consapevoli o del
tutto inconsci ma in genere attinenti alle relazioni tra i membri e tra questi e il vissuto nei
confronti dell’organizzazione “madre”.
Gli aspetti innovativi introdotti dagli autori nello studio delle organizzazioni costituiscono un
importante punto di rottura con una modalità divisionistica che tendeva a separare lo studio degli
aspetti hard da quelli soft; la metodologia dell’A.O.M. si propone, così, di studiare ed intervenire
congiuntamente sugli aspetti tradizionalmente appartenenti alla sfera meramente economica
(entrate ed uscite) dell’organizzazione, architettonici, logistici, normativi, funzionali e aspetti
attinenti alla soddisfazione dei lavoratori, alla motivazione al lavoro, alla congruenza tra i
desiderata dell’organizzazione e i desideri dei singoli, ai vissuti di appartenenza.
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D’ora in avanti A.O.M.
“Se vuoi costruire una nave,
non radunare gli uomini solo
per procurare il legno
e preparare gli attrezzi,
e non assegnare solo i compiti,
ma insegna agli uomini
la nostalgia dell’oceano infinito”
(Antoine De Sant-Exupery).
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Gli studi dell’ organizzazione che usano metodologie di intervento che offrono una visione
parcellizzata della realtà organizzativa si concludono in una diagnosi e proposta di intervento
che spesso prende in considerazione i soli aspetti hard, che troppo spesso in maniera riduzionista
vengono collegati direttamente agli obiettivi di profitto voluti dalle organizzazioni, senza
considerare tutti quegli aspetti motivazionali che guidano le scelte e la partecipazione dei
lavoratori all’utile dell’organizzazione. Il rischio di questi interventi che non considerano tutte le
variabili in gioco è di proporre interventi collusivi con gli obiettivi dei committenti spesso
finalizzati ad ottenere un maggiore introito economico; senza la possibilità di creare spazi di
pensiero che coinvolgano vari livelli gerarchici e quindi organizzativi.
Non stiamo svalutando la possibilità di interventi volti ad un maggior profitto ma piuttosto
riflettendo sulla possibilità di avviare un percorso trasformativo che abbia davvero un beneficio e
che secondo noi non può prescindere da quelle che sono la soddisfazione dei lavoratori, che
sempre e comunque rappresenta la cartina tornasole del benessere organizzativo totale in stretta
correlazione con la produttività.
C’è anche chi nello studio delle organizzazioni ha preferito approfondire gli aspetti legati alle
dinamiche inconsce che sottendono le dimensioni istituzionali; ci riferiamo al modello della
Scuola delle relazioni oggettuali: Klein, Bion, e alla socioanalisi di Elliot Jaques, al modello
della Scuola francese di psicoanalisi di Kaes (Kaës R., ed altri 1996). Questi modelli, che
abbiamo citato in via del tutto approssimativa, hanno prediletto metodi di studio e intervento
organizzativo che escludendo l’analisi delle variabili hard si sono posti come obiettivo di
ristrutturare e intervenire rispetto la sfera circoscritta della motivazione dei lavoratori e più in
generale su quelle che abbiamo definito variabili soft. La metodologia degli psicologi di
comunità, rispetto le precedenti descritte, adotta una prospettiva di studio non solo integrativa ma
anche sistemica; difatti l’A.O.M. si propone di studiare il Sistema in cui si lavora con modalità
(prima fra tutte l’uso del lavoro di gruppo) che rendono possibile la partecipazione dei membri
stessi dell’organizzazione, e quindi definiamo l’A.O.M come uno strumento di “ Ricerca-Azione
Partecipata” poiché permette di conoscere, studiare e intervenire nel contesto organizzativo
ponendo enfasi sul legame tra la crescita dell’individuo e il contesto in cui è inserito. Inoltre, la
modalità con cui si lavora nella Ricerca-Intervento nasce per potenziare gruppi che all’interno di
un organizzazione hanno poco potere e non hanno la possibilità di esplicitare il proprio pensiero
attraverso metodi di inclusione che prevedano appunto una partecipazione pluralista. La
creazione del gruppo di lavoro (rappresentativo a più livelli gerarchici) e le sue prime produzioni
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attraverso l’analisi preliminare costituiscono quindi i primi passi per la realizzazione di
un’adeguata A.O.M.; di quest’ultima il lavoro di gruppo sarà base e fondamento e sarà
finalizzato sia alla definizione del problema che alla pianificazione ed esecuzione di un
intervento volto all’attivazione dei membri a trovare possibili proposte sulla base di quanto
diagnosticato.
Il metodo prevede, quindi, la creazione di un apposito gruppo di lavoro, rappresentativo
dell’organizzazione che si intende studiare; ed è proprio attraverso l’impiego di questo gruppo
che diventa possibile ricercare e intervenire nello stesso tempo entro l’organizzazione. Difatti
ogni tecnica che nello specifico viene utilizzata per indagare le diverse dimensioni e far
emergere ora una variabile in particolare, ora un'altra, prevede sempre la partecipazione del
gruppo; quindi l’ empowered work group diventa fine e mezzo indispensabile per ottenere una
crescita di senso di appartenenza e potere personale in una organizzazione, favorendo una
maggiore soddisfazione personale che produrrà a sua volta una prestazione lavorativa migliore;
questo vale sia per le aziende produttrici di prodotti, che di beni e servizi.
Oggi il panorama italiano su cui si articolano gli interventi rivolti alle organizzazioni è
piuttosto vasto; troviamo approcci circoscritti ad alcune variabili organizzative che ad esempio
vengono indagate attraverso l’uso di questionari, cosi come troviamo approcci che integrano lo
studio di variabili soft e hard, ma anche metodi che si dedicano completamente ad un solo tipo di
variabile. Noi crediamo che la scelta di intervenire in un modo o in un altro entro un contesto sia
di competenza dello Psicologo che pianificherà il congruo intervento dopo una’attenta analisi
della domanda, tenendo conto dei limiti istituzionali imposti, della disponibilità di risorse
economiche, nonché delle scadenze temporali contrattate con i committenti.
Abbiamo parlato in modo piuttosto approssimativo di come l’A.O.M. integri nello studio
dell’organizzazione l’analisi di aspetti meramente economici con quelli relativi alla motivazione
e soddisfazione dei lavoratori; specificatamente, lo studio che questo strumento fa
dell’organizzazione viene a caratterizzarsi come Multidimensionale, in quanto l’indagine
procede seguendo uno schema guida composto da quattro dimensioni: quella Strategico-
Strutturale, quella Funzionale, quella Psicoambientale e quella Psicodinamica.
Costituisce quindi uno studio piuttosto puntuale e preciso di tutte quelle che sono le
dimensioni organizzative; difatti, le quattro dimensioni possiamo considerarle come
macrocategorie di analisi a loro volta costituite da specifiche sottovariabili organizzative che
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incontrandosi e integrandosi tra loro danno poi vita a quella che viene chiamata per l’appunto
un’organizzazione; un sistema, quindi, piuttosto complesso. Nello specifico troviamo che:
La Dimensione Strategico-Strutturale indaga le variabili architettoniche, economiche,
politiche e normative; un’organizzazione è difatti formata da individui che vi lavorano per
raggiungere degli obiettivi comuni; quindi è necessario uno spazio fisico, in cui gli individui
possono incontrarsi per lavorare; un apparato politico e normativo, che ne regoli le attività degli
stessi e infine occorrono risorse economiche per poter mantenere in vita il servizio e provvedere
alle retribuzioni.
La Dimensione Funzionale, incentra l’attenzione sulle sole attività svolte al fine di
raggiungere gli obiettivi aziendali; vengono così analizzate le funzioni che compongono il
sistema di controllo e gestione, il sistema operativo e quello informativo al fine di avere una
visione complessiva del processo che porta alla realizzazione del prodotto
La Dimensione Psicoambientale, invece, concentra l’interesse sugli aspetti consci dei
membri che fanno parte dell’organizzazione, riusciamo quindi ad ottenere informazioni relative
alle modalità di amministrazione del personale (stile di leadership), ai modi in cui i responsabili
motivano i membri a raggiungere gli obiettivi organizzativi, alle modalità di comunicazione e
interazione che si istaurano tra i lavoratori, alle caratteristiche con cui vengono stabiliti gli
obiettivi da raggiungere; infine alle informazioni relative al come vengono controllate e
rimpiegate le informazioni relative ai risultati raggiunti.
Al contrario di quest’ultima, la Dimensione Psicodinamica, ci completa l’esame
dell’organizzazione, concentrandosi, sugli aspetti inconsci degli operatori; riusciamo attraverso
l’uso di tecniche appropriate a facilitare l’emergere di aspetti e vissuti spesso contrastanti nei
confronti dell’organizzazione, che vissuta inconsciamente come una “madre” si divine in
“buona” per premiare e “cattiva” per punire.
Assieme le dimensioni ci danno una siffatta visione totale dell’organizzazione, risultante
dall’integrazione degli aspetti “hard” che emergono dalle dimensioni strategico-strutturale e
funzionale, con quelli invece “soft” delle dimensioni psicoambientale e psicodinamica.
In conclusione i caratteri distintivi della Ricerca-Azione Partecipata accolti dalla Psicologia
di Comunità e proposti nel metodo di intervento organizzativo qui presentato sono:
essere intenzionalmente progettata per modificare il campo di indagine nel momento in cui
lo si studia;
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essere progettata e condotta in modo collettivo, con la partecipazione dei tecnici e di
persone appartenenti all’organizzazione. Non è lo psicologo o il ricercatore o l’operatore che
prima “ricerca” e poi comunica i risultati;
l’organizzazione è sia soggetto che oggetto della conoscenza e del cambiamento sociale;
il tecnico non è il detentore del sapere ma una risorsa a disposizione dell’organizzazione.
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CAPITOLO PRIMO
Nascita e finalità della Ricerca-Intervento attuata
1.1 .Quale proposta e con quali obiettivi
Un’A.O.M. può essere applicata sia ad aziende produttrici di prodotti di pubblico consumo che
al terzo settore produttore di servizi. In questo caso specifico l’applicazione dello strumento è
avvenuta nel territorio Romano del Primo Municipio nell’ambito dei servizi no profit in
particolare in due dei servizi gestiti dalla Cooperativa Sociale Cotrad. Generalmente i servizi
appartenenti al mondo del no profit si caratterizzano per fornire beni e servizi ai cittadini
gratuitamente, senza scopi di lucro. In questo paragrafo spiegheremo come è nata la proposta di
intervento e quali gli obiettivi che ci siamo posti.
Riteniamo utile sottolineare che l’A.O.M. non è uno strumento da proporsi con una finalità
precostituita; inoltre è suscettibile di essere adattato a diverse esigenze in base agli obiettivi
conoscitivi che ci si pone; ad esempio un’A.O.M. può essere condotta sull’intera Struttura
Organizzativa ma allo stesso tempo può essere circoscritta a servizi specifici o possono essere
utilizzate versioni ridotte dello strumento qualora i tempi siano ristretti. Addirittura se si vuole
avere un analisi dettagliata di un’organizzazione piuttosto complessa si può scegliere di applicare
in maniera congiunta più A.O.M. strutturando per ogni area e/o servizio da indagare un apposito
gruppo di lavoro, raccordando poi alla fine quanto emerso in modo da avere una visione
esaustiva. Le finalità con cui viene utilizzata l’ A.O.M. possono essere riassunte sostanzialmente
in tre filoni (Francescato, Tomai, Ghirelli 2002):
finalità di formazione –intervento nell’ambito di corsi di formazione e aggiornamento sugli
aspetti organizzativi;
finalità di consulenza organizzativa in particolari momenti di crisi e cambiamento;
finalità di autodiagnosi dell’organizzazione.
Rispetto quest’ultima solitamente chi conosce, propone e gestisce il metodo non è un
consulente esterno ma un membro interno; nello specifico questa A.O.M. rientra in quest’ultimo
filone; poiché nasce in seguito alla nostra esperienza di Servizio Civile realizzata nell’anno
2008-2009, presso il Centro Informativo Penelope1, uno dei servizi della Cooperativa Sociale
Cotrad.
Le finalità sopra descritte possono intrecciarsi tra loro, anche se nella maggior parte dei casi
possiamo evidenziarne una che diventa manifesta e saliente rispetto le altre. Procederemo ad una
breve descrizione dei servizi su citati prima di entrare nel dettaglio della proposta:
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La Scuola di Didattica Teatro
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offre un corso, rivolto a studenti migranti, che unisce in classe
le lezioni di lingua italiana alle pratiche teatrali. Gli alunni hanno l'opportunità di studiare la
lingua italiana, attraverso un percorso coerente ed attento alle esigenze d'apprendimento; le
lezioni di lingua italiana vengono seguite da piccoli laboratori teatrali, in cui insegnanti ed alunni
mettono in scena i contenuti appresi durante la lezione. L’intento è quello di utilizzare la lingua
italiana unita alla libertà d'azione del contesto teatrale per accrescere le risorse dello studente
straniero. La S.D-T si trova spesso ad interagire con il Centro Informativo Penelope1
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sia per
l’invio di studenti immigrati sia per la condivisione di alcuni spazi e strumenti ( Pc, telefono…).
Il C.I.P.1 fa parte della Rete dei Centri Penelope che forniscono informazione e orientamento
ai cittadini per l'accesso e la fruizione dei servizi sociali, sanitari e culturali nel territorio romano.
In seguito a svariate discussioni e riunioni organizzate da parte dei membri di entrambi i
servizi, sono emerse le seguenti problematiche:
La S.D-T esprime nei riguardi del C.I.P.1 sia delle lamentele che delle richieste; poiché, a
seguito di alcuni episodi, constata che lo Sportello non sembra soddisfare i bisogni dell’utente
migrante; infatti, le insegnanti riterrebbero utile che “Penelope” offrisse ai propri studenti,
specie se Minori, un servizio non limitato all’informazione, bensì un accompagnamento verso
la risoluzione pratica dei problemi.
Il C.I.P.1 in riferimento agli obiettivi concordati con tutti i Centri della Rete Penelope,
prevede l’erogazione di informazioni, orientamento e consulenza a tutte le persone, italiane e
straniere, sui servizi sociali, sanitari, formativi, di lavoro, cultura e tempo libero presenti sul
territorio. Per le operatrici del C.I.P.1 è importante offrire aiuto agli utenti, facendo prima
un’attenta analisi della domanda, per individuare i bisogni espressi e quelli impliciti, poi, a
seconda del caso, offrire informazioni, orientamento e/o consulenza, promuovendo
l’autonomia degli utenti. L’accompagnamento alle persone migranti sarebbe pertanto un
servizio aggiuntivo.
Il Responsabile di entrambi i servizi ha ipotizzato di costruire un gruppo di lavoro sul
tema: “utenza straniera”, questo gruppo dovrebbe comprendere sia le insegnanti della Scuola
che le operatrici dello Sportello.
Durante la riunione sono stati espressi i concetti riguardo alle modalità di lavoro e agli
obiettivi dei singoli servizi, non è stato possibile delineare un obiettivo comune da perseguire e
le fasi operative da mettere in atto per raggiungerlo.
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D’ora in avanti S.D-T
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Dopo un acceso dibattito su come gestire l’immigrato da cui sono scaturite diverse opinioni
probabilmente legate a competenze professionali differenti; non si è, quindi, riusciti a trovare un
obiettivo comune da perseguire, le operatrici esasperate dalla continua divisione di spazi e da un
diverso approccio nei confronti dell’ utenza si sono arroccate sulle posizioni di partenza con una
sfiducia reciproca.
La nostra lettura non pretende certo di essere esaustiva, piuttosto di essere utilizzata come
“pretesto” da cui iniziare un percorso partecipativo attraverso l’utilizzo della Ricerca-Intervento
in quanto crediamo che possa permettere ai due Servizi di dialogare, cercare obiettivi comuni e
soluzioni possibili rispondendo a bisogni non solo individuali ma anche produttivi
(empowerment organizzativo).
Interessante, rispetto gli obiettivi del nostro lavoro, quanto viene espresso da Francescato,
Tomai, Solimeno, 2008; dove attraverso una sintesi delle diverse applicazione dell’A.O.M. nei
contesti del no profit riescono ad evidenziare come nel futuro le strategie e le azioni di
cambiamento che potrebbero garantire una maggiore efficienza organizzativa da un lato e una
maggiore soddisfazione del personale dall’altro posso essere rintracciate in:
reperire ulteriori risorse economiche da partner diversi;
ampliare obiettivi ideologici e sociali;
incrementare esperienze di formazione per dipendenti,soci,volontari;
pianificare in modo più efficace alcune attività;
essere maggiormente visibili sul territorio;
migliorare i processi comunicativi.
Crediamo che questi possano essere obiettivi trasversali da tenere presenti nel corso della
nostra A.O.M.; gli autori, inoltre, sottolineano come nelle Cooperative Sociali in cui hanno
operato, generalmente la condivisione avviene soprattutto a livello ideale; persone che si
impegnano perché condividono alcuni valori; si parla appunto di cultura familistica e
sottolineano come spesso proprio questa sia di ostacolo al raggiungimento di determinati
obiettivi perché troppo impregnata di rapporti amicali che confondono ruoli e non permettono di
definire funzioni e mansioni diverse. Rispetto quest’ultimo aspetto ci poniamo in una posizione
riflessiva; l’intenzione è quella di usare l’A.O.M. a scopo diagnostico: conoscere
congiuntamente i servizi con l’obiettivo di capire se questi due servizi hanno ragione di unirsi,
strutturandosi come un unico gruppo di lavoro; oppure di separarsi trovando le risorse necessarie
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D’ora in avanti C.I.P.1
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ad ognuno per il proseguo delle proprie attività. Alla luce di quanto espresso da Rappaport
(1990, p. 54) “quando le persone collaborano intraprendono un processo di reciproca influenza
rivedendo i propri punti di vista alla luce dei punti di vista altrui”, per questo crediamo che sia
possibile attraverso la Ricerca-Intervento e quindi la strutturazione pratica ed operativa delle fasi
proprie dell’A.O.M. la costruzione di un setting fatto di spazi, tempi e momenti di riflessione in
cui mantenere una relazione tra i membri portatori di culture diverse permettendo uno scambio di
conoscenza tra i componenti e di conseguenza l’accrescimento dell’empowerment degli stessi,
in seguito al quale sarà possibile attuare nuove proposte condivise dal gruppo. La nostra
posizione all’interno degli incontri è stata quella di conduttori e facilitatori del processo di
comunicazione e di analisi, assumendo quindi una posizione neutrale rispetto ai membri; nel
procedere ci siamo impegnati di descrivere accuratamente i passaggi e le scelte operative della
Ricerca- Intervento in modo da promuovere la comprensione e la piena partecipazione al
processo.
1.1.1. Il Gruppo di lavoro-sperimentale, il gruppo di controllo e i risultati
attesi
Il gruppo di lavoro di un’A.O.M. viene costituito dai membri appartenenti all’organizzazione
e/o servizio che si vuole studiare. Questo gruppo deve essere rappresentativo a più livelli
gerarchici; difatti, uno dei principi guida per una teoria della tecnica in Psicologia di Comunità è
quello di dar voce alle narrative minoritarie presenti, che rompano il tacito consenso in cui gli
attori sociali sono immersi. Abbiamo costituito il nostro gruppo seguendo i principi guida ed è
risultato cosi formato: Responsabile dei servizi, Insegnante della Scuola, Operatrice di Sportello
del C.I.P.1 e due Volontarie; l’inserimento delle volontarie è stato importante nella logica di
promuovere non solo una partecipazione pluralistica a più livelli, ma la creazione di nuove
metafore e/o nuove narrative che rendano pensabili nuovi copioni, nuovi ruoli per gli individui e
i gruppi sociali e che creino nuove basi di legittimazione del cambiamento (Francescato, Tomai,
Ghirelli 2002).
La novità rispetto alla consuetudine è che nella creazione di questo specifico gruppo di lavoro
abbiamo unito membri appartenenti a due servizi diversi per uno studio parallelo dei servizi di
appartenenza. Abbiamo pensato che era possibile un’analisi congiunta dei servizi anche grazie
alle piccole dimensioni degli stessi; la Scuola generalmente conta un personale di sole due
insegnanti e all’occorrenza l’aiuto di una terza persona; allo stesso modo, lo Sportello
Informativo è costituito da due persone che vengono aiutate da volontari scelti annualmente.
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Inoltre, i servizi si dividono l’uso dei locali e degli strumenti tecnologici e spesso avviano
rapporti collaborativi nella gestione di richieste complesse da parte di immigrati che seguono i
corsi di italiano. Unendo gli operatori in un comune e parallelo percorso conoscitivo dei servizi
di cui fanno parte, ci attendiamo un miglioramento della comunicazione tra questi e di
conseguenza entro i rispettivi servizi.
La nostra ipotesi è quindi che l’A.O.M possa essere un valido strumento di miglioramento e
circolazione della comunicazione sia tra persone appartenenti a servizi diversi sia tra coloro che
appartengono al medesimo servizio; per sostanziare questa ipotesi abbiamo pensato di utilizzare
dei questionari per misurare la qualità della comunicazione interna ad inizio e fine processo
(A.O.M.) e di confrontare questi risultati con quelli di un gruppo di controllo. Rispetto a
quest’ultimo ci siamo impegnati a ricercare all’interno della Cooperativa un servizio il più
possibile simile al C.I.P. 1 e alla S.D-T , abbiamo cosi optato per gli operatori e la Responsabile
del servizio per l'Integrazione e il Sostegno a Minori in Famiglia
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, caratterizzato per essere un
piccolo gruppo di lavoro composto da 8 persone perlopiù donne italiane, di un età compresa tra i
25 e i 40 anni; questi soggetti costituiranno il nostro gruppo di controllo.
Il S.I.S.M.I.F. è simile ai servizi che stiamo indagando per il fatto di svolgere le proprie
attività nel medesimo contesto territoriale e quindi istituzionale quale il Primo Municipio. Nello
specifico al S.I.S.MI.F gli utenti accedono dopo un colloquio presso il Municipio in questo
colloquio l’assistente sociale verifica la reale esistenza di una situazione problematica ed elabora
uno specifico piano di intervento. Il Servizio Sociale ha poi il compito di avviare progetti
individuali, che verranno attuati da educatori professionali, e che spesso hanno come finalità
quella di garantire al minore la permanenza presso la propria famiglia evitandone il collocamento
in altri nuclei familiari o in altre strutture.
Considerando quest’ultima descrizione possiamo evidenziare una divergenza con i servizi
indagati che invece solo in alcuni casi elaborano piani altamente individuali e centrati sulla
persona e qualora questo avvenga il progetto coinvolge momentaneamente o per un breve
periodo i membri. Un ulteriore divergenza consiste nella specificità dell’utenza che prevede per
il S.I.S.M.F. minori in casi di disgregazione del nucleo familiare, emarginazione del nucleo
rispetto al contesto sociale, assenza di risorse a livello di famiglia allargata, minori con adulti di
riferimento incapaci a svolgere la funzione genitoriale.
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D’ora in avanti S.I.S.M.F.