CAPITOLO II Laterizio
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CAPITOLO II
“LATERIZIO”
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2. Introduzione
I molti prodotti che si ottengono per cottura ad alte temperature delle argille vengono
comunemente definiti “prodotti ceramici” e possono essere classificati in base alla
porosità o alla compattezza della pasta oppure in base alla sua colorazione.
I laterizi appartengono al tipo di prodotto ceramico a pasta porosa, di forma prestabilita
ed usati in prevalenza nell’edilizia.
La forma e le possibilità d’uso dei prodotti in laterizio sono state oggetto nel corso dei
secoli di un continuo processo evolutivo, accelerato negli ultimi cinquanta anni in
funzione delle nuove possibilità di produzione e delle nuove richieste da parte degli
operatori, in relazione alla evoluzione delle tecniche costruttive.
L’uso del laterizio è infatti antichissimo, basti pensare che molte costruzioni egiziane ed
i grandi palazzi mesopotamici hanno alcune loro parti costituite da mattoni cotti in
fornace.
L’impiego del laterizio a fini strutturali si affermò, come logica conseguenza, per
soddisfare le necessità costruttive in quelle regioni poste lungo le aree fluviali o lacustri
che, prive o povere di altri materiali da costruzione primordiali, quali pietra e legno,
avevano invece grande disponibilità di argille.
L’elemento laterizio di gran lunga più noto ed universalmente usato è il “mattone”; non
bisogna tuttavia sottovalutare l’importanza del “tegolo”, della “pignatta”, il laterizio di
forma complessa per la costruzione del solaio, ed infine del “tavellone”, l’unico
elemento che, al contrario degli altri, è fatto per resistere a “flessione” diventando così
un utile complemento strutturale.
Dietro questi semplici quattro termini c’è tutto un processo evolutivo del materiale e del
suo metodo di produzione ed una notevole cultura del modo di costruire che ha lasciato
molti segni positivi sul prodotto architettonico nei vari periodi storici, tali da costituire
uno specifico linguaggio strutturale.
Il processo che permetteva, e che permette tuttora, la trasformazione dell’argilla in
mattoni utilizzava le proprietà plastiche del materiale proprie del suo stato colloidale. La
preparazione avveniva compattando la materia prima con l’aggiunta di acqua ed
additivi, affidando all’aria il compito di essiccarla e stabilizzarla.
Alle mani dell’uomo, che inizialmente avevano fornito modello e misura dell’elemento
in laterizio, si sostituì la formatura in stampi di legno di elementi regolari, che
permisero una prima, seppur minima, produzione in serie. Questo tipo di produzione
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caratterizzò la muratura in laterizio differenziandola da quella precedente in conci di
pietra, essendo caratteristica della prima l’indifferenza tipologica dei conci. Infatti
all’interno di una muratura, per elementi tutti uguali, ciascuna posizione è simile ad
un’altra, contrariamente a quanto avveniva nelle antiche costruzioni in pietra.
Ulteriore passo in avanti fu garantito dalla possibilità di cuocere i laterizi in appositi
forni; si andò così ad affiancare al mattone crudo il mattone cotto, il quale venne molto
spesso usato in maniera complementare e non sostitutiva, forse semplicemente per un
risparmio di combustibile.
L’impiego degli elementi in laterizio è stato, da sempre, indirizzato a rispondere a
sollecitazioni di compressione: pilastri, muri, ed anche strutture voltate, dove, attraverso
la forma, i carichi verticali vanno a sollecitare, sempre a compressione, i vari elementi
in laterizio.
Non che questo materiale non sia in grado di sostenere sollecitazioni flessionali, solo
che i valori caratteristici delle tensioni di rottura a flessione del laterizio, unitamente alla
sua fragilità, ed ai limiti di lunghezza degli elementi (legati ai problemi tecnologici del
processo produttivo) non ne hanno sin qui consentito l’impiego per elementi strutturali
così sollecitati (architravi, travi, piastre).
I blocchi pieni in laterizio si sono evoluti dopo l’invenzione della “mattoniera” che ha
consentito di ottenere per estrusione (cioè facendo passare, a mezzo di un’elica rotante,
l’impasto di argilla attraverso una piastra metallica detta “filiera”) elementi a sezione
forata (Figura 1) ottenendo una organizzazione più razionale del materiale e di
dimensioni maggiori.
Figura 1: Esempi di tipici elementi in laterizio forato
I laterizi, come detto, sono materiali ceramici tradizionali, famiglia della quale fanno
parte anche le piastrelle ceramiche per pavimento e rivestimento, i sanitari, i refrattari e
la porcellane. In questo lavoro ci occuperemo essenzialmente del laterizio, della sua
fabbricazione, utilizzazione, caratterizzazione e proprietà.
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2.1. I laterizi
Si va quindi a descrivere il processo evolutivo del laterizio, con una più particolare
descrizione del processo produttivo che permette di ottenere questo tipo di materiale,
partendo dalle materie prime fino ad arrivare all’ultima fase che è la cottura, per poi
classificare i laterizi in base alle normative vigenti.
Queste verranno poi analizzate anche per quanto riguarda la definizione dei requisiti dei
laterizi e delle prove che permettono di definirli.
2.2. Fabbricazione
In figura 2 si riportano le fasi attraverso le quali si perviene alla produzione di elementi
in laterizio.
Figura 2: Schema esplicativo del ciclo di produzione di elementi in laterizio
Materie prime. Sono essenzialmente marne sabbiose, contenenti una frazione
argilloso-micacea, una frazione sabbiosa (quarzosa) ed una frazione calcarea, oltre ad
altri componenti accessori, quali sostanze organiche, ossidi ed idrossidi di ferro, oltre ad
impurezze di solfuri e solfati.
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L’impasto è formato, nella generalità dei casi, da una materia prima unica così come
estratta dalla cava (nelle vicinanze della quale è ubicato lo stabilimento); talora questo
“impasto naturale” viene corretto mediante additivazione o miscelazione con altre
materie prime o chamotte. I costituenti mineralogici principali sono, per la fase
argillosa, illite e caolinite, le quali possono indifferentemente prevalere; segue la clorite
e, sempre scarsa, la montmonillorite.
La frazione sabbiosa è costituita da quarzo; la sua incidenza è assai variabile,
mediamente dell’ordine del 15-30%. Nella frazione sabbiosa sono spesso identificabili
anche muscovite, biotite, ortoclasio, plagioclasio sodico. Variabili sono pure i carbonati,
solitamente calcite, che può superare anche il 20%.
Per quanto riguarda la composizione chimica, va sottolineata la presenza generalmente
apprezzabile di ferro (spesso oltre il 5%, come Fe
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O
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) e di componenti dello zolfo.
All’ossido ferrico è imputabile la colorazione rosa-rosso dei prodotti cotti, mentre alla
presenza di solfati è riconducibile il rischio di efflorescenze.
Preparazione dell’impasto. Viene generalmente effettuata mediante macinazione a
secco ed umidificazione. Si possono utilizzare molazze, laminatoi, ecc.
Per i laterizi a massa alveolata l’impasto viene additivato con materiali combustibili,
quali sferette di polistirolo espanso, sansa di olive, frammenti di legno, pula di riso, ecc.
Mediante miscelazione di argille di qualità diversa o mediante aggiunta di opportuni
smagranti si porta il prodotto alla plasticità voluta. Questa non deve essere troppo
elevata, perché ad un’alta plasticità si accompagna un eccessivo ritiro all’essiccamento
ed alla cottura.
Formatura. La maggior parte dei laterizi viene formata per estrusione. La pasta viene
pressata contro un orifizio dal quale esce sotto forma di un nastro continuo; un filo di
acciaio provvede a tagliare il nastro in pezzi della lunghezza desiderata.
Nel caso delle tegole, il pezzo estruso viene successivamente sagomato mediante
pressatura allo stato plastico. Per i mattoni pieni vi sono esperienze significative di
formatura per pressatura di polveri, che permette di assicurare una migliore regolarità ed
uniformità dimensionale dei prodotti, oltre che un più accurato controllo dell’uniforme
qualità di questi. L’adozione di questa tecnologia consente anche interessanti risparmi
energetici, soprattutto in essiccamento.
Essiccamento. Viene effettuata in essiccatoi a tunnel, spesso funzionanti con aria di
recupero dai forni.
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Deve essere condotto gradualmente per evitare deformazioni e screpolature.
Negli impianti moderni si fa uso di essiccatoi continui a galleria, dove i mattoni,
disposti su carrelli, si muovono in direzione opposta ad un flusso di gas caldi
provenienti dai forni di cottura. In questo modo essi incontrano in un primo tempo gas
praticamente saturi di vapore acqueo. L’acqua contenuta nei mattoni si riscalda senza
evaporare e diminuisce così la sua viscosità, il che ne favorisce la diffusione verso la
superficie nella susseguente fase di evaporazione che ha luogo a mano a mano che i
pezzi da essiccare incontrano gas sempre più caldi e più secchi.
Cottura. La temperatura di cottura dei comuni laterizi è intorno ai 950÷1000 °C. La
durata del ciclo termico è dell’ordine delle decine di ore (è tanto minore quanto
maggiore è la percentuale di foratura).
Si impiegano forni continui classificabili secondo due tipi fondamentali: forni a fuoco
fisso e materiale mobile, forni a fuoco mobile e materiale fisso. Nell’uno e nell’altro
caso i fumi caldi della combustione servono a preriscaldare il materiale da cuocere,
mentre il materiale cotto preriscalda l’aria di combustione.
Esempio tipico di forno a fuoco mobile e materiale fisso è dato dalla fornace Hoffman,
più o meno modificata. Essa (Figura 3) è costituita da una galleria anulare a pianta
ellittica o a pianta rettangolare con raccordi semicircolari.
Figura 3: Fornace Hoffmann
La galleria, di 2÷4 metri di lunghezza e di 2÷3 metri di altezza, è divisa in una serie di
camere, il cui numero va da 12 a 24; ogni camera è munita di tre porte, due delle quali
la mettono in comunicazione con le camere adiacenti, la terza con l’esterno. Nella volta
delle camere sono praticate delle aperture per l’introduzione del combustibile solido o
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per l’inserzione di bruciatori spostabili ad olio combustibile. Ogni camera può essere
collegata ad un collettore generale dei fumi che fa capo al camino posto al centro della
fornace.
I mattoni da cuocere, previamente essiccati, vengono caricati nelle camere attraverso le
porte esterne, formando dei mucchi in cui essi sono disposti a gambetta, cioè i
sottostanti sfalsati rispetto a quelli posti superiormente, in modo da consentire negli
interstizi la circolazione di gas; nella zona centrale viene lasciato un pozzetto per la
combustione.
Il funzionamento è il seguente. Si supponga che la combustione abbia luogo nella
camera n. 1, il collegamento al camino sarà aperto nella 6. Tutti i tramezzi che dividono
una camera dall’altra sono aperti, meno quello fra la camera 7 e la camera 8. Tutte le
porte delle camere verso l’esterno sono chiuse, salvo quelle delle camere 8 e 9, dove
hanno luogo rispettivamente il carico del materiale crudo e lo scarico del materiale
cotto. Da queste due porte entra l’aria di combustione, che percorre nel senso dei
numeri crescenti le camere 10-14 piene di mattoni già cotti in via di progressivo
raffreddamento, a spese dei quali essa si preriscalda. I prodotti di combustione, lasciata
la camera n. 1, attraversano, per portarsi al camino, le camere 2-6 piene di materiale
crudo, cui cedono una parte del loro calore sensibile. Terminata la cottura in 1 il fuoco
viene portato in 2, si collega al camino la camera n. 7, si sposta la chiusura fra 8 e 9 e si
inizia il carico della camera 9 e lo scarico della 10.
Nelle fornaci Hoffman più moderne si tende ad eliminare i raccordi terminali (fornaci a
teste tagliate), riducendo così l’insieme a due gallerie parallele, dove è più facile il
carico e lo scarico meccanizzato del materiale.
La cottura a fuoco fisso e materiale mobile si realizza nei forni a canale o forni a tunnel
(Figura 4)
Figura 4: Sezione di un forno a canale
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Questi, come dice il nome, sono costituiti da una galleria rettilinea lunga 60-80 metri, di
2,5-3 metri di altezza e di 1,5-2 metri di larghezza. La galleria è percorsa da rotaie sulle
quali si muovono dei carrelli carichi del materiale da cuocere. I carrelli sono costituiti
da piattaforme metalliche montate su ruote e ricoperte superiormente da uno strato di
materiale refrattario; i bordi laterali sono ripiegati in basso e pescano in due canaletti
pieni di sabbia che percorrono il forno in tutta la sua lunghezza. Le piattaforme dei
carrelli sono accostate e parzialmente sovrapposte le une alle altre, così da dividere il
forno in due parti nettamente distinte: la superiore, dove avviene la combustione e
circolano i gas ed il materiale caldo; l’inferiore, relativamente fredda, dove sono situate
le rotaie e la parte metallica dei carrelli.
Il focolare si trova a circa 2/3 della lunghezza del tunnel. I gas combusti si dirigono
verso il camino posto vicino alla porta dalla quale entrano i carrelli e passano così a
contatto del materiale crudo preriscaldandolo. L’aria entra dall’estremità opposta e si
preriscalda passando sui prodotti cotti.
Il movimento dei carrelli è assicurato da un dispositivo a spinta. Ad ogni carrello carico
di materiale cotto che esce da una estremità del forno, ne corrisponde un altro carico di
materiale crudo che viene introdotto dall’altro capo.
Il forno è completato da un raccordo esterno a forma di anello che riporta i carrelli
all’entrata.
Oggi la cottura viene effettuata prevalentemente in forni a tunnel, ovvero in forni a
fuoco mobile e materiale fisso.
2.3. I fattori di qualità in produzione
Durante il processo di produzione i fattori connessi alla qualità del prodotto sono molti;
un diagramma causa-effetto (Figura 5) permette di evidenziarne i principali in funzione
delle diverse fasi.