8
Nonostante si debbano sopportare costi aggiuntivi
(movimentazioni del carico supplementari, allungamento dei
percorsi e dei tempi), i minori oneri connessi alla fase meramente
trasportistica possono generare vantaggi di costo che compensano
abbondantemente i costi derivanti dal trasporto a ciclo complesso.
Appare chiaro come la funzione dei “nodi” in cui si dà luogo
al ciclo complesso sia di fondamentale importanza. Occorre infatti
che l’organizzazione di un trasporto, così come oggi viene inteso,
non venga compromessa. Ciò si traduce nel rispetto dei tempi di
consegna previsti, e nella possibilità di sfruttare in modo
economicamente vantaggioso i “tempi morti” che fisiologicamente
caratterizzano un luogo destinato al ruolo di “scambiatore” di flussi
trasportistici.
I “nodi” pertanto devono permettere un rapido inoltro della
merce a destinazione, eliminando quelle perdite di tempo che mai
come ora sono inconciliabili con la filosofia del just in time; inoltre
essi possono (e talvolta devono) assurgere al ruolo di “basi
logistiche” destinate all’effettuazione di alcune lavorazioni che le
imprese manifatturiere richiedono sempre più. Si tratta di servizi
detti “ad alto valore aggiunto” che riguardano i carichi che
transitano per i nodi, e che possono rappresentare una risorsa
importante per aumentare ricchezza ed occupazione della zona in
cui è insediata la base logistica.
I nodi pertanto si identificano particolarmente (ma non
esclusivamente) con i punti di trasbordo obbligato, quali porti,
aeroporti, terminali ferroviari, ed altri ancora. La loro funzione
9
nodale è in relazione al volume di traffico che sono in grado di
attirare. E fra di essi ha una rilevanza assolutamente non
trascurabile, anche a livello mondiale, il porto di Genova.
Il porto di Genova è il primo porto italiano ed anche, a livello
di merce containerizzata, fra i primi porti del Mediterraneo. Proprio
i flussi di traffico che viaggiano condizionati in contenitori sono
quelli che ci interessano maggiormente. Difatti la maggioranza
delle merci “ricche” utilizza questo tipo di unità di carico per il
trasporto, e le merci ricche sono quelle che più delle altre sono
interessate da quei servizi ad alto valore aggiunto cui si accennava
in precedenza. I traffici di questo tipo stanno aumentando
costantemente nello scalo ligure, seppur con tassi di crescita annui
differenti. La tendenza pare però indicare uno sviluppo interessante
in questo settore per gli anni a venire, per cui occorre attrezzarsi per
esaltare appieno la vocazione nodale che deve caratterizzare
Genova, al pari di altri scali presenti nel panorama mondiale.
Queste istanze sono ovviamente recepite da chi si occupa, a
vario titolo, del mondo trasportistico (in particolare dello shipping)
legato alle banchine genovesi. Il sogno è quello di poter realizzare
tutti quei progetti che potrebbero fare di Genova uno dei fulcri del
trasporto non solo nazionale, ma anche continentale. Purtroppo in
alcuni casi si tratta proprio di sogni, visto che molti sono i vincoli
che si frappongono tra idee o progetti e la loro fattiva realizzazione:
si tratta della risorsa-spazio, assai carente a Genova; delle risorse
economico-finanziarie; delle difficoltà di programmazione e di
condivisione di progetti comuni; degli interessi contrapposti facenti
capo a soggetti diversi…
10
Date queste difficoltà, si può ipotizzare una soluzione diversa
da quella vista poc’anzi. Ad esempio, alcune attività possono essere
spostate altrove, e tenendo conto delle zone che hanno i maggiori
rapporti commerciali con Genova, oltre che di fattori di prossimità,
esse potrebbero essere localizzate oltre Appennino, principalmente
in Piemonte e Lombardia.
Infatti queste regioni, oltre a rappresentare due fra i mercati
di sbocco più importanti per il porto di Genova, godono di efficienti
collegamenti viari con l’Europa Centro – Settentrionale e con la
Francia. Una struttura come una “base logistica interna”
1
potrebbe
quindi avere un’importante funzione nodale tra diversi flussi di
traffico in entrata ed in uscita, oltre a fungere da “collettore” per
quelle merci in import o in export dalla zona in cui è insediata la
base stessa. Ricordiamo che il Piemonte e la Lombardia sono due
tra le regioni più industrializzate d’Italia, e presentano un “tessuto”
caratterizzato da numerose imprese, differenti per attività e
dimensione.
Occorre però tener ben presente che una base logistica
interna, così come una base insediata vicino alle banchine portuali,
deve comunque essere funzionale ad un certo tipo di trasporto, e
permettere di realizzare un servizio caratterizzato da tempi e costi in
linea con le aspettative di operatori e clienti. Sono loro infatti che
utilizzeranno, direttamente o indirettamente, la struttura, e le
1
Le basi logistiche interne hanno avuto successo, specialmente in Italia, a causa della
mancanza di spazio nelle zone prossime ai terminali obbligati (in particolare i porti) o ai
mercati di sbocco principali (come le grandi città). Pertanto esse sono state collocate in zone
intermedie, laddove la risorsa-spazio era disponibile a costi contenuti ma comunque vicina ad
importanti vie di comunicazione, così da raggiungere facilmente i luoghi di origine/
destinazione dei traffici mercantili.
11
indicazioni che essi forniscono permettono di comprendere se un
progetto riguardante la costruzione o la riqualificazione di una base
logistica può essere vincente oppure non esserlo.
Tutte queste problematiche sono state esaminate nelle pagine
seguenti. Si è cercato di analizzare i tratti salienti del trasporto e
della logistica moderni, partendo dalle esigenze delle imprese che
operano in un contesto “globale”, per poi comprendere come viene
organizzato un trasporto a ciclo complesso, quali sono le sue fasi,
quali le peculiarità di ogni singolo modo di trasporto…fino ad
esaminare i “nodi” del trasporto, il ruolo che essi rivestono nel
trasporto a ciclo complesso e le differenze che li distinguono. Le
tematiche vengono poi riferite al caso italiano.
Successivamente si è considerato il porto di Genova, prima in
relazione allo scenario macroeconomico attuale ed ai traffici che lo
caratterizzano, poi ai progetti futuri di espansione/riqualificazione
previsti dal Piano Regolatore Portuale, in particolare quelli che
riguardano la realizzazione di distriparks in area endoportuale.
Si affronta poi il tema della possibile utilizzazione di una
base logistica interna a supporto dei traffici di origine
marittimistica, tenendo conto delle attenzioni rivolte in questo senso
a Genova da parte di enti pubblici ed imprenditori.
Si valutano quindi, nello specifico, le opzioni di
localizzazione tra quelle prospettate in Piemonte (principalmente
nell’Alessandrino) ed in Lombardia, tenendo sempre in debita
12
considerazione la funzionalità di alcuni progetti alle esigenze degli
operatori del trasporto.
Il parere su queste iniziative è infine espresso, tramite alcune
interviste appositamente realizzate, da alcuni soggetti che, a vario
titolo, sono interessati alle attività logistiche legate al porto di
Genova.
13
CAPITOLO 1
Logistica ed intermodalità: processi evolutivi
1.1. Le aziende ed i nuovi scenari competitivi
L'andamento dell’economia mondiale è stato caratterizzato,
negli ultimi due decenni del XX secolo, da un aumento della
complessità e della competitività
1
. Ciò ha creato nuove sfide per le
imprese che hanno voluto giocare le proprie carte nei processi di
internazionalizzazione e in quelli della vera e propria
globalizzazione. Se prima le imprese che decidevano di competere
in un contesto internazionale potevano perseguire strategie molto
focalizzate su alcune, se non addirittura una, delle leve competitive
tra costo, qualità, innovazione, servizio e così via, ormai esse
devono invece misurarsi sulla base di una pluralità di fattori prima
impensabili. Si sono infatti distinte quelle aziende che hanno
puntato su processi atti a generare e trasferire valore al cliente,
divenuto il vero fulcro dell'attività d'impresa, che ne guida le
strategie ed i comportamenti evoluti.
Le multinazionali (ma non solo queste) si orientano quindi
verso una riprogettazione della propria struttura in ottica customer
oriented, operando in un contesto caratterizzato appunto da clienti
che specificano sempre più i propri bisogni ed esigenze, rispondenti
a modelli di consumo sempre più sofisticati, frammentati ed
individualizzati, che richiedono soluzioni innovative e
personalizzate; tecnologie, specie quelle informatiche, che possono
1
L. FADDA "Cambiamento e valore nell'economia delle imprese di shipping" , G.
Giappichelli editore, Torino, 2000, pag. 43
14
essere sfruttate per aumentare l'efficienza e l'efficacia delle attività e
dei processi aziendali; un clima competitivo sempre più acceso, in
cui una maggiore efficienza ed una maggiore qualità diventano
imperativi imprescindibili per ogni impresa, anche solo per evitare
di sparire dal panorama internazionale
2
. Tutto ciò è dettato anche
dalla complicazione di molti aspetti del management strategico che,
puntando molto sui processi di globalizzazione, obbliga le imprese
stesse a sviluppare nuove capacità per poter affrontare nuovi
fenomeni, nei quali però la “novità” si fonda su elementi spesso
difficile da cogliere in quanto legati a situazioni molto particolari se
non addirittura uniche.
L'esasperazione dell’elemento-novità come variabile
competitiva ha inoltre prodotto un'incredibile accelerazione del time
to market, e l'accorciamento generalizzato del ciclo di vita dei
prodotti, nonostante appaia ormai evidente come al giorno d'oggi
sia difficile realizzare prodotti caratterizzati da innovazioni radicali
e pertanto si cerchi di conquistare i clienti con altri mezzi, come si
vedrà in seguito. Inoltre, se da un lato c'è un tentativo di
standardizzare la produzione per ottenere determinanti vantaggi di
costo
3
, dall'altro non si può non tener conto dell'importanza della
differenziazione del bene realizzato, che se dotato di quelle
caratteristiche di esclusività che il cliente ricerca, genera un
maggior valore per il cliente stesso.
2
M. PAOLI, "Marketing d'area per l’attrazione degli investimenti esogeni ", Guerini ed
associati ed., Milano, 2000 ( prima ed. 1999), pag. 59 e ss.
3
Vedi P. GENCO, "Le opzioni strategiche", pag. 8 e ss., in “Corso di Economia e Gestione
delle Imprese - Il comportamento strategico dell’impresa (appunti dalle lezioni)” anno 2001-
2002, DITEA, Genova, 2001
15
Le imprese tentano quindi di mediare queste diverse esigenze
in modo da poter garantire al cliente un prodotto a basso costo, ma
caratterizzato da un'elevata “customizzazione” e da un servizio di
qualità elevata. Per ottenere il raggiungimento di questi impegnativi
obiettivi, le imprese multinazionali hanno adottato soluzioni
particolari come ad esempio realizzare un'organizzazione a rete di
unità operative che tendono a comportarsi come piccole imprese
anche quando sono grandi; creare una forte integrazione
informatico – telematica sia al proprio interno che con soggetti
esterni, quali fornitori e clienti, per assicurare un rapido flusso
informativo che permetta di intervenire nel minor tempo possibile
su ogni aspetto del business; una maggiore importanza alle risorse
immateriali e alle risorse umane.
Assumono rilevanza crescente anche le joint ventures con
soggetti diversi per il conseguimento di risultati di comune
interesse, e varie forme di collaborazione che comportano diversi
livelli di cooperazione, da accordi utili per realizzare business nel
breve periodo a forme più stringenti che possono rappresentate il
preludio di fusioni o acquisizioni da parte di uno dei soggetti
implicati. Oltre a questi cambiamenti nella struttura organizzativa,
si può anche notare come si siano evolute le tecniche di produzione,
sempre più orientate alla riduzione dei costi fissi, in particolar modo
su una componente di questi, cioè le scorte, tra le quali distinguono:
- scorte di transito, causate dalla lunghezza del ciclo
produttivo;
16
- scorte di ciclo di partita, quando si produce più di quanto sia
necessario, da una certa caratteristica del ciclo (ad esempio
impostato per lotti);
- scorte di sicurezza (cui si possono avvicinare le scorte di tipo
stagionale)
- scorte di disaccoppiamento, per consentire maggiore
autonomia alle singole fasi della produzione (così da avere
lavorazioni almeno parzialmente in parallelo o predisporre
un'interfaccia – cuscinetto tra impianti sbilanciati)
4
.
Si sono utilizzati sistemi di organizzazione della produzione,
detti “a flusso continuo” e “fabbrica corta”, abitualmente definiti
just in time. In questo modo, si cerca di ridurre il più possibile
l'entità delle scorte, con l'obiettivo ideale di arrivare a “zero scorte”
o al “magazzino viaggiante”
5
.
Le tematiche sin qui affrontate mostrano quali siano alcuni
dei principali mutamenti avvenuti nelle aziende che operano a
livello planetario o quantomeno in contesti di una certa dimensione,
le quali hanno ridisegnato (e che non hanno ancora smesso di farlo)
lo scenario in cui esse agiscono ed interagiscono. In particolare, è
ridefinito il rapporto con i fornitori ed i clienti, attribuendo così una
nuova e sicuramente maggiore importanza alla logistica a servizio
delle imprese.
4
M. PAOLI ,op cit., pag. 64
5
A. GOZZI , "Corso di Economia e Gestione delle Imprese Logistiche", dispense a cura di A.
GOZZI, R. SCARSI e L. GHIO, DITEA, Genova, 2000, pag. 28
17
1.2. LA LOGISTICA AZIENDALE
1.2.1. Definizione e prime considerazioni
Di definizioni di logistica ne sono state date parecchie, anche
se tutte hanno ad ogni modo un denominatore comune: essa è “un
insieme di attività aziendali – fisiche, gestionali, organizzative –
che governano i flussi fisici di beni e di informazioni, dalla fase di
acquisizione delle materie prime e dei materiali industriali, fino
alle consegne dei prodotti finiti ai clienti. Si tratta dunque di un
processo con il quale si gestisce in maniera strategica il
trasferimento e lo stoccaggio di materie prime, componenti e
prodotti finiti in modo che raggiungano i rispettivi produttori e
consumatori…la logistica non è una semplice sommatoria di
attività tradizionali (trasporti, gestione degli ordini e dei
magazzini) ma una vera propria funzione organizzativa basata
sulla gestione integrata delle attività, finalizzata all’ottimizzazione
del sistema logistico globale, e non dei singoli sottoinsiemi (lo
stoccaggio, i trasporti, ecc.)”
6
. Tralasciando momentaneamente
alcune considerazioni più analitiche, si può notare invece quale
impatto ha avuto la funzione logistica su alcuni elementi – cardine
dell'attività aziendale.
Il ciclo di produzione impostato sul modello just in time ha
fatto sì che la funzione logistica assumesse importanza strategica
crescente, in modo da raggiungere l'obiettivo di ottenere la funzione
6
Questa definizione è stata tratta da un interessante studio del CENSIS (op.cit.) riguardo lo
sviluppo della logistica in Italia della necessità delle imprese e del Paese esso di dotarsi di un
sistema logistico efficiente e moderno. Altre definizioni parimenti valide si possono trovare in
A.GOZZI,op. cit.,pag. 7;L.FADDA,op.cit.,pag 45; R.MIDORO, "Le strategie degli operatori
trasportistici globali”, ECIG ed, Genova, 1997, pag. 97
18
a costi unitari relativamente bassi ma caratterizzata
contemporaneamente da un'elevata qualità, soprattutto quando le
imprese produttrici sono di grandi dimensioni e con stabilimenti
specializzati per fase che si trovano in luoghi talvolta anche molto
distanti (p.e. in continenti diversi). Per quello che riguarda le nuove
scelte localizzative (di impianti, stabilimenti, magazzini...) inoltre la
logistica assume una rilevanza sempre maggiore, sia per ciò che
concerne l’impianto di fase che quelli di assemblaggio finale. Si fa
riferimento alla “prossimità logistica”, cioè alla facilità di
raggiungimento (che non necessariamente coincide la distanza
fisica) delle differenti locations, che consente la migliore
configurazione possibile della logistica sia interna che esterna (cioè
quella che fa riferimento sia al rapporto fornitore – impresa sia a
quello impresa – cliente). Quando il sito è caratterizzato da
un'elevata “prossimità logistica”, tendenzialmente la vicinanza ad
efficienti reti di trasporto multimodali è un elemento determinante.
Quanto al J. I. T., per realizzarlo nel migliore dei modi, cioè
limitando più possibile le scorte senza però dà luogo a rallentamenti
o ancor peggio a blocchi della produzione, occorre instaurare un
rapporto molto più stringente con fornitori dell'azienda, il che
significa razionalizzare il numero ed il ruolo degli stessi, chiamati
sempre più ad offrire determinate famiglie di input e a fornire un
“servizio magazzino” che l'impresa non intende più effettuare.
Pertanto la funzione logistica interessa sia le aziende
industriali che i loro fornitori: le prime perché devono ottimizzare il
flusso di beni (ma anche di informazioni) che passa attraverso i suoi
“nodi”, cioè i vari impianti dislocati in ambiti geografici più o meno
estesi; i secondi perché sono chiamati a svolgere quelle funzioni di
19
magazzino che le imprese produttrici demandano loro per
perseguire strategie di tipo J. I. T.: si ha quindi l'esternalizzazione di
un'attività aziendale a terzi, e come vedremo non sarà un caso
isolato.
1.2.2. Scelte di make or buy della logistica per la creazione del
valore nell’impresa manifatturiera
Facciamo un piccolo passo indietro. Come si evince da
numerosi contributi
7
, l'obiettivo principale che guida le scelte
strategiche dell'azienda è la creazione del valore. Ciò significa
impegnarsi in attività che permettano di dar luogo a beni e servizi
che soddisfino meglio le esigenze dei clienti: più questi beni e
servizi rispondono esattamente ai desiderata del cliente, più essi
assumono valore agli occhi di questo, che pertanto sarà disposto a
riconoscere un “premium price” all'azienda che li realizza. Per far
ciò, occorre che l'impresa sia in grado di sviluppare quelle
competenze distintive che permettano il raggiungimento di quei
vantaggi competitivi sui quali si fonda la creazione del valore
8
.
È proprio nell'ottica di sviluppare al meglio le proprie
competenze distintive che molte imprese hanno deciso di puntare su
queste, e solo su queste, avendo quindi un range limitato di attività
sulle quali intervenire
9
. In questo modo, ci si può concentrare su ciò
che l’impresa sa fare meglio, mentre il resto è demandato ad altri, se
7
Ad esempio, vedi P. GENCO, op. cit.,pag. 1 e ss.; L. FADDA, op. cit., pag. 48; P. M.
FERRANDO, "L'impresa ed il processo di creazione del valore", pag. 10 e ss., in
"Complementi di Economia Aziendale”, a cura di L .FADDA , P.M. FERRANDO, F.
FONTANA e M. ZUCCARDI MERLI, G. Giappichelli ed. , Torino, 1995
8
P.M. FERRANDO , op cit. , pag. 22-23
9
A. GOZZI , op. cit. ,pag. 163
20
si ritiene che possa essere la soluzione migliore. Si hanno così
processi di esternalizzazione che mediante l’uso di tecniche diverse
(outsourcing vero e proprio, spin off e così via)
10
.
Abbiamo da poco visto che le multinazionali da noi
considerate cercano in effetti di creare il massimo valore per il
cliente, unica strategia per poter sopravvivere nel medio – lungo
periodo. Per far ciò, si soddisfano i bisogni del cliente stesso, che
sempre più s’indirizzano verso beni/servizi a basso costo ma di
buona qualità, accompagnati da un servizio “ad hoc”.
Ecco quindi che l’elemento – novità si identifica sempre più
con il servizio reso la merce, più che a profonde innovazioni
intrinseche all’output. Si delineano così le nuove dimensioni che
permettono di creare valore per il cliente: qualità, servizio, prezzo,
rapidità
11
.
A questo punto, occorre che l’impresa comprenda il rapporto
intercorrente tra queste dimensioni e le sue competenze: capisca
cioè quali attività debba realizzare direttamente e quali invece
debba/voglia esternalizzare, in modo da poter soddisfare le quattro
condizioni di cui si è detto poc’anzi. Ovviamente, a seconda delle
competenze e delle strategie che verranno definite, un’impresa farà
le proprie scelte di make or buy, ma si può notare come molte
imprese manifatturiere operanti su scala mondiale decidano di
puntare sulle attività core (a volte addirittura su alcune di esse,
10
A. GOZZI , op. cit. , pag. 155 e ss.
11
L. FADDA , op. cit. , pag. 41
21
come nel caso di Benetton o Nike
12
), e di lasciare a soggetti
maggiormente competenti la gestione della logistica. Quest’ultima,
come abbiamo visto, ha assunto un’importanza crescente per le
aziende perché consente di razionalizzare ed ottimizzare le fasi di
produzione e trasferimento dei beni. Il maggior valore è generato da
un servizio efficiente e di qualità, rapido certo.
1.2.3. Le strategie di delocalizzazione (accenni)
Le imprese produttrici hanno attuato una delocalizzazione
delle proprie attività su scala globale, in modo da ottenere notevoli
vantaggi di costo: il fatto di avere centri di produzione, almeno per
le fasi iniziali del ciclo di lavorazione, nei Paesi da cui si importano
le materie prime (o comunque Paesi in via di sviluppo), fa sì che si
possa sfruttare la manodopera locale, che oltre a costare poco
comporta molti meno vincoli in materia previdenziale, sanitaria,
fiscale…
Il fatto che questo tipo di forza lavoro sia tendenzialmente
despecializzata non costituisce un grosso problema nelle prime fasi
di lavorazione; altre fasi del ciclo produttivo vengono invece
eseguite in altri luoghi, in cui per esempio è necessario che la forza
lavoro abbia maggiori competenze, pur comportando oneri
superiori; le fase di progettazione e di marketing del prodotto
vengono invece realizzate in altri luoghi ancora, e così via.
12
Queste due aziende hanno infatti deciso di concentrarsi sulla progettazione e sul marketing ,
demandando a terzi la realizzazione fisica del prodotto. Nike ha inoltre deciso di non occuparsi
neanche della progettazione degli articoli che non siano scarpe (cioè l’attività – core),
selezionando un numero limitato di fornitori che realizzano il vestiario che poi sarà
commercializzato col marchio Nike.