9
(dialetto che più di ogni altro si avvicina alla lingua italiana a causa
delle varie influenze subite dagli altri dialetti) significa rendere
accessibile l‟opera ai lettori di tutta la penisola e nello stesso tempo
evidenziarne la peculiarità rispetto sia alla lingua letteraria che agli
altri dialetti. Quello che ci interessa è dunque scoprire come la scelta
di questo stile sia in qualche modo trasferibile nella cultura di arrivo
cioè quella francese.
Sappiamo inoltre che la scelta di una determinata forma si basa non
solo sul target di pubblico che si desidera avere, ma anche e
soprattutto, sulle reazioni che si intende suscitare in tale pubblico.
Come si avrà l‟opportunità di ribadire più volte nel corso di
quest‟opera, la scelta di una lingua è lo spettro di una determinata
visione della vita e del bisogno di comunicare determinati elementi
piuttosto che altri in relazione al proprio percorso ideologico; ecco
perché, al fine di operare un‟analisi completa e soddisfacente,
abbiamo ritenuto opportuno fornire un quadro se non completo,
almeno sufficiente, dell‟ideologia dell‟autore: è quello che andremo a
fare nel primo capitolo. Al fine di corredare il suddetto quadro
procederemo, nel secondo capitolo, con un‟incursione nelle teorie
della traduzione, così da possedere tutti gli strumenti validi per
operare un esauriente analisi del testo. Giungeremo poi all‟argomento
topico della tesi attraverso un‟introduzione al mondo delle borgate
10
romane e alla “lingua della realtà” di Pasolini. Fatto ciò, effettueremo,
tramite un confronto diretto delle due versioni (quella italiana e quella
francese), un esame dei procedimenti traduttivi. A questo scopo
illustreremo dapprima il modo in cui l‟autore veniva percepito in
Francia, e in seguito, facendo riferimento alle teorie della traduzione
riportate nel secondo capitolo, argomenteremo l‟operato del traduttore
Monsieur Michel Breitman osservando come, se e quanto l‟ideologia
di Pasolini sia riuscita, attraverso il suo linguaggio prima e attraverso
quello del traduttore poi, a permeare nella cultura francese.
Buona lettura.
11
CAPITOLO PRIMO
L’IDEOLOGIA DI PASOLINI
Prima di entrare nel vivo dell‟argomento oggetto di questa tesi, ci è
sembrato rigoroso, seguendo il consiglio di uno dei suoi colleghi e
amici,1 fare un “viaggio” nell‟intera opera pasoliniana non fosse altro
che per assaporare alcuni dei contrasti che hanno contraddistinto i suoi
capolavori così come la sua vita. A questo proposito teniamo a
precisare che le incursioni nella sua biografia non vogliono essere
fuorvianti. Non andremo perciò a occuparci dei numerosi, quasi
interminabili, processi dei quali è stato “vittima” nel corso degli anni,
come pure eviteremo di citare tutti gli scandali ai quali, in modo
consapevole o inconsapevole, ha dato luogo durante il suo percorso.
Quello che ci preme evidenziare è l‟incidenza di alcuni avvenimenti
che hanno forgiato la sua ideologia senza cadere nella malsana e
controproducente trappola del “gossip”.
Partiamo perciò da una breve descrizione di tutti quegli elementi che
hanno formato l‟uomo e la sua ideologia: una formazione letteraria di
stampo umanistico tradizionale orientata allo studio delle letterature
1
«A chi, negli scorsi due decenni, mi ha chiesto un giudizio su Pasolini ho risposto quasi sempre che la prima cosa da
dire e da fare era di smetterla con la confusione tra biografia e opera ossia col mito e che la seconda e più importante era
quello di rileggerlo tutto con tutta la forza intellettuale e critica possibile per cercare di introdurre livelli diversi di
qualità e, in definitiva, per stabilire un canone di eminenza ossia una antologia.» Franco FORTINI, Attraverso Pasolini,
Torino, Einaudi, 1993, pp. 232-234.
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romanze e dei dialetti; un precocissimo interesse per la poesia che,
dall‟ambito degli ermetici guarda subito ai simbolisti francesi e ai
decadenti europei di fine Ottocento; poi, a vent‟anni, la scoperta della
dimensione storico-politica attraverso la tragedia della guerra; poco
dopo una rivelazione ancor più agghiacciante: quella della guerra
civile che vedrà la morte del fratello Guido in un empio episodio di
lotta intestina tra formazioni partigiane. Questo episodio,
commemorato apertamente in alcuni versi, verrà anche rievocato nei
due romanzi romani e in Alì dagli occhi Azzurri, attraverso la
ricorrente figura del “morto giovanetto”. La morte del fratello lo
legherà ancor più alla propria madre per la quale nutre un amore
illimitato e con la quale, dal 1942, si è trasferito a Casarsa, mentre il
padre, figura odiata e disprezzata, si trova in missione in Kenya. Alla
fine della guerra, il ritorno del padre e l‟inevitabile acuirsi dei
contrasti tra i due; poi, alla laurea in lettere, ottenuta all‟università di
Bologna con una tesi sul Pascoli, segue l‟esperienza dell‟Academiuta
de lenga furlana, un centro di studi filologici sulla lingua e la cultura
friulane. Proprio in questa cornice prende corpo una consapevolezza
che più di ogni altro elemento influenzerà la formazione e le scelte
etiche di Pasolini: stiamo parlando della concezione mitica che, nel
ricordo di quegli anni accompagnerà l‟intera ricerca etico - morale e
filologica nella sua opera. Concezione mitica di un mondo contadino
13
che, attraverso la sua vicinanza alla terra (non a caso l‟elemento
materno) diviene custode di una dimensione arcaica, religiosa,
innocente e autentica. Questa rivelazione, questo lamento per una
civiltà contadina che rappresenta per lui, nel contempo e senza
contraddizione alcuna, la medievalità cristiana e la felicità erotica
senza colpa né peccato, continuerà ad accompagnarlo, in modo quasi
ossessivo, in tutte le sue opere; l‟osservazione del sottoproletariato
delle borgate romane così come l‟interesse per Napoli che, in seguito
al processo di corruzione subito dalla città eterna definisce come
«l‟unica città italiana rimasta identica a se stessa»2 e quello per
l‟Africa nei primi anni 60, non sono altro che i tasselli di un puzzle la
cui ispirazione è la stessa: la ricerca di una primordiale integrità
morale e fisica con la natura.
Altro elemento fondamentale della ricerca pasoliniana è la sua
sessualità che lo induce a vivere, nella sua condizione di escluso, in un
perpetuo atteggiamento di esibizione sacrificale e che, non di meno, è
il motivo che lo costringerà ad abbandonare il suo eden friulano per
tuffarsi nella sensuale “città di Dite”. È proprio attraverso la
sessualità, unitamente alla povertà, che Pasolini scoprirà le borgate
romane e, con esse, se stesso: «Mi accorgo da intermittences che
2
Quant’eri Bella Roma, intervista a Pier Paolo Pasolini di Luigi SOMMARUGA in “il Messaggero”, Roma, 9 giugno
1973.
14
sanno di ferri vecchi e stracci riscaldati, che c‟è qualcosa “di antico”
come dice la poesia che piace tanto ai miei scolari, nel sole che batte a
Rebibbia come nella provincia di Lecce o in un accampamento
Tuareg». 3
Questa scoperta trasformerà profondamente il suo comunismo fino a
quel momento probabilmente ortodosso (probabilmente perché non
vanno dimenticati gli attriti verificatesi all‟indomani della morte del
3
da una lettera a Spagnoletti del 1952.
15
fratello come pure l‟esclusione dal partito comunista in conseguenza
ai fatti di Ramuscello). D‟altro canto è lo stesso Pasolini a dichiarare:
«Se sono marxista, questo marxismo è stato sempre estremamente
critico nei confronti dei comunisti ufficiali, e specie nei confronti del
Pci; ho sempre fatto parte di una minoranza situata al di fuori del
partito, sin dalla mia prima opera polemica, Le Ceneri di Gramsci.
[…] Eppure, fino a quel momento ero sempre stato un compagno di
strada relativamente ortodosso». 4
A partire da quel momento il suo sarà un comunismo populista e
sentimentale, indirizzato verso la protezione di un mondo che egli
individua come la possibile fonte di quella rivoluzione che, come per
quei sottoproletari che nel Vangelo secondo Matteo accosta ai cristiani
delle origini, deve necessariamente trovare le sue fondamenta tra gli
umili. Nell‟intervista già citata dichiara ancora: «Io difendo il sacro
perché è la parte dell‟uomo che offre meno resistenza alla
profanazione del potere ed è la più minacciata dalle istituzioni delle
Chiese. […] Mircea Eliade nella Storia delle religioni esprime
esattamente lo stesso mio concetto: la caratteristica delle civiltà
contadine e quindi delle civiltà sacre, è di “non trovare la natura
“naturale”. Mi rendo conto che d‟altronde in questa mia nostalgia di
un sacro idealizzato e forse non esistito – perché sempre
4
Il sogno del centauro, a cura di J. DUFLOT, Roma, Editori Riuniti, 1983.
16
istituzionalizzato prima dagli sciamani e poi dai preti – c‟è qualcosa di
sbagliato, di irrazionale, di tradizionalista».5
Questa intuizione rivoluzionaria fa si che la poesia in forma privata
dei versi friulani diventi la poesia civile delle Ceneri di Gramsci e de
La religione del mio tempo. Una poesia civile che possiede però tutta
la carica intimistica dei suoi primi scritti friulani Amado mio e Atti
impuri e, nel contempo, lo slancio ideale dell‟utopia socialista. Il
boom economico smentirà la sua aspirazione utopistica, allorché i
diseredati, potenziali artefici dell‟agognata rivoluzione, inizieranno ad
avere velleità borghesi. Anche questa seconda rivelazione, proprio
come la prima, avverrà attraverso la mediazione omosessuale, motivo
per cui la disillusione sarà totale, scioccante e intima. Attraverso la
resa di questa forza rivoluzionaria, aggravata peraltro dalle rivelazioni
del XX Congresso del Partito comunista sovietico, cadranno anche i
presupposti per credere a qualsiasi altro tipo di palingenesi
proveniente dal basso: «la nostra storia è finita».6 Da quel momento
perciò Pasolini non parlerà più a nome dei sottoproletari contro i
borghesi, ma a nome di se stesso contro l‟imborghesimento generale.
È questo forse che spinge Fortini a esprimere un parere così duro sul
suo collega: «Quello che copre di un enorme dubbio il discorso etico -
politico di Pasolini, quello che ci impedisce di considerarlo fraterno, è
5
Il sogno del centauro, a cura di J. DUFLOT, Roma, Editori Riuniti, 1983.
6
P.P. PASOLINI, Le Ceneri di Gramsci, in I Miti Poesia, Milano, Mondadori, 1997, p.30.
17
proprio questo cerchio atroce che tutto gli fa iniziare dal sé; Pasolini, è
terribile doverlo dire, non è stato mai né cristiano né comunista; è
stato un rousseauiano del 1770 e un decadente del 1870 in lotta con
una realtà del 1970».7
La crisi della sua ideologia condurrà Pasolini verso la fine del primo
filone che si concluderà definitivamente con Uccellacci e Uccellini.
Egli dichiarerà in proposito: «Facevo queste opere avendo come
destinatario ideale o l‟intellettuale intelligente o il proletario, l‟operaio
che fosse in grado di accogliere con innocenza, ma in maniera diretta,
immediata quanto gli davo. Ed è proprio la crisi di questo tipo di
destinatario che mi ha portato al secondo filone. Una crisi storica,
oggettiva, di cui mi sono reso conto dentro di me, vale a dire la
trasformazione di questo che per Gramsci e per me giovane, era il
popolo, attraverso l‟evoluzione neo-capitalistica italiana in massa. E la
massa è sempre alienante, come consumatrice, rende cioè il prodotto
diverso da quello che è. Da ciò la trasformazione di prodotti che io
pensavo andassero direttamente da me al popolo. Mi sono ribellato,
facendo dei film più difficili, più intellettuali, più incomunicabili». 8
Il cambio di rotta corrisponde dunque a un nuovo tipo di chiusura che
può, in qualche modo, essere interpretato come un ritorno verso quel
7
F.FORTINI, Attraverso Pasolini, Torino, Einaudi, 1993, p.205.
8
Pasolini: adesso vi parlo di Pasolini di Letizia PAOLOZZI, “Vie Nuove”, 23 dicembre 1970.
18
linguaggio oscuro e simbolico che aveva caratterizzato la sua
formazione di tipo ermetico. Questa volta però lo strumento non sarà
più la poesia bensì il linguaggio cinematografico. Va però ricordato
che, nonostante la propria disillusione personale e la conseguente
crisi, Pasolini non abbandonerà ancora la speranza di un rinnovamento
che deriva dalla sua concezione mitologica del popolo. Ne sono prova
film come Accattone e Il Vangelo secondo Matteo che vedono
l‟opposizione tra religione dei “cristi” sottoproletari e “irreligiosità”
della nuova società edonista, tra il peccaminoso ma religioso amore e
la chiesa degenere e spietata, tra peccatori innocenti e immorali e
sedicenti alunni di Gesù, tra l‟aristocratica desolazione dei
sottoproletari e la volgare moltitudine dei devoti possessori di lotti. E
ne è prova ancora più evidente Teorema ove la serva pazza,
personificazione del sacro, del mito, delle civiltà arcaiche, dei popoli
della terra e della natura, viene seppellita sotto la civiltà industriale,
senza però mai scomparire del tutto. Con l‟esperienza cinematografica
non è solo il linguaggio a cambiare, ma, come dichiara lui stesso è la
lingua. Se la società che lo circonda è incapace di “vedere” la
direzione verso la quale sta viaggiando, non è più in grado di recepire
e nel contempo comunicare la crisi che la sta attraversando, allora è
necessario fornirgli altri “occhi” e un‟altra “lingua”9 che sia ancora e
9
A questo proposito si vedano i saggi La lingua scritta della realtà e Essere è naturale? contenuti in Empirismo
19
più di prima la “lingua della realtà” questa volta però non intesa come
descrizione dei fatti, ma come ben più profonda descrizione della
“verità”, una verità assoluta che non muta in relazione al luogo; la
denuncia si fa totale e pressante: «io scendo all‟inferno e so cose che
non disturbano la pace di altri. Ma state attenti. L‟inferno sta salendo
da voi»10 fino a esplodere completamente nella sua ultima opera
cinematografica Salò o le centoventi giornate di Sodoma ove non c‟è
più spazio per la speranza, ove la lontananza da quel mito primordiale
si fa talmente ampia da non lasciar più adito ad alcun tipo di illusione,
presente o futura.
La sua opera, tutta, è una struggente dichiarazione d‟amore nei
confronti della vita, è una drammaticamente lucida lettura del mondo
nella sua globalità, in tutti i suoi meccanismi, è un accorato richiamo
alla coscienza che egli rivolge all‟intero genere umano che si
accompagna alla drammatica consapevolezza di non possedere
interlocutori in grado di percepire. Ciò che dichiara Fortini infondo è
vero: tutto parte da se stesso e termina in e con se stesso. Pasolini non
era semplicemente «un rousseauiano del 1770 e un decadente del 1870
in lotta con una realtà del 1970»11, bensì un “profeta” (non ci sembra
Eretico, AA.VV., Pier Paolo Pasolini, Saggi sulla letteratura e l’arte, Voll. I, Milano, Mondadori, 1999, pp. 1503-
1540, 1562-1569.
10
P.P.PASOLINI, Siamo tutti in pericolo, intervista rilasciata a F.COLOMBO, “Tuttolibri”inserto de “La Stampa”, 8
novembre 1975.
11
F.FORTINI, Attraverso Pasolini, Torino, Einaudi, 1993, p.205.
20
così casuale il fatto che a interpretare il ruolo della Vergine Maria in Il
Vangelo secondo Matteo sia proprio sua madre), e senz‟altro un uomo
dall‟acuta capacità critica e intellettuale che ha dovuto scontrarsi con
un mondo, ahimè, più interessato alla sua sessualità (ambigua o meno
che fosse), ai suoi scandali personali, piuttosto che ai messaggi
lanciati attraverso la sua opera. Non c‟è dunque da stupirsi del fatto
che abbia condotto la sua vita auto eleggendosi vittima sacrificale e
che, come tale, sia morto.