INTRODUZIONE
Nel mio elaborato finale ho scelto di affrontare la tematica dei consumi delle famiglie in Italia a
cavallo tra '800 e '900. Partendo dall'assunto che «non si può conoscere il presente senza essere al
corrente del passato», che ritengo essere una frase estremamente vera e motivo per cui ho voluto
redigere una tesi di storia del commercio, ho cercato di approfondire quanto piø possibile le
questioni che hanno portato l'Italia a cambiare sØ stessa negli anni a partire da dopo l'Unità,
prendendo come parametro da esaminare i consumi delle famiglie italiane dell'epoca. Cercando di
tracciare idealmente una linea che unisse i tre capitoli da me affrontati e seguendo quanto piø
fedelmente possibile «la regola delle cinque W» giornalistiche, ho voluto dimostrare come la
cultura materiale legata ai consumi non sia una questione nuova, nata in questi anni, ma di come
invece le merci abbiano avuto un ruolo fondamentale nei cambiamenti della società italiana da me
presa in esame. Come primo punto ho deciso di soffermarmi sulla situazione politica dell'Italia del
post Unità, focalizzando la mia attenzione su coloro i quali hanno preso dei provvedimenti destinati
a cambiare per sempre il volto della Penisola. Personaggi storici, come Depretis, Crispi o Giovanni
Giolitti, le cui decisioni sono ricadute su una nazione che stava entrando in ritardo nel periodo che
gli storici definiscono come «Belle Époque». Un periodo certamente di grandi scoperte e
innovazioni, ma anche anni che vedevano l'Italia di fatto spaccata a metà, con un Nord piø
progredito e un Sud che basava la propria economia ancora su attività agricole. Da questa prima
discrepanza, e dai differenti provvedimenti presi nel corso degli anni dai vari governi, passerò ad
esaminare i diversi settori produttivi che vedevano coinvolte le famiglie italiane. Per fare maggiore
chiarezza mi servirò anche di schemi e tabelle che mostrino piø chiaramente differenti tipi di dati,
come il volume di produzione di alcuni settori o il consumo medio annuo di alcuni generi
alimentari. Proprio partendo dai consumi alimentari si svilupperà il secondo capitolo, in cui
saranno prese in esame le famiglie italiane secondo un altro termine di raffronto: la classe sociale di
appartenenza. Come cercherò di dimostrare nel mio elaborato, il concetto di «consumo», inteso
come l'uso di beni e servizi da parte di uno o piø individui, era strettamente legato allo status
sociale: ciò che si consumava, dove e in che quantità, era sintomo di una società formata da soggetti
che volevano affermare la propria appartenenza, in alcuni casi perchØ non poteva essere altrimenti,
ad una determinata classe sociale. In questo modo si può verificare come il mais e i cibi da esso
derivati fossero il «portabandiera» della classe contadina, o di come, al contrario, cibi
d'importazione e spesso volutamente rappresentati con nomi stranieri, fossero di uso quotidiano per
l'aristocrazia italiana d' inizio '900. A seguire, una parte del lavoro riguarderà l’analisi dei luoghi del
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consumo legati ai prodotti posseduti dalle diverse famiglie italiane; impossibile non parlare
innanzitutto delle dinamiche che si sviluppavano tra le mura domestiche. Altrettanto fondamentale
sarà verificare come la sfera privata regolasse le nuove pratiche di consumo e di come da esse
venisse influenzata. I consumi cambiavano, e con essi le famiglie, ma al tempo stesso le famiglie
cambiavano i consumi, portando quindi ad una reciproca influenza. Pertanto, nel terzo ed ultimo
capitolo mi soffermerò sui luoghi che hanno generato tali mutamenti, i luoghi dove la merce ha
assunto sempre piø un ruolo da «protagonista assoluta», richiedendo uno sforzo imprenditoriale che
fosse in grado di far fronte alle richieste del mercato: i grandi magazzini. Il mio intento è di
sottolineare come in questi spazi i consumatori si siano evoluti e come le merci abbiano dovuto
adattarsi ai mutamenti sociali che hanno riguardato la società italiana tra il XIX e XX secolo, in un
contesto in cui tutte le vicende del Paese erano legate ai consumi e come essi siano, oggi come
allora, una sorta di linguaggio comune a tutti gli italiani.
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Cap. 1 Contesto storico
«Belle Époque», epoca bella. Un'espressione nata per definire gli anni a cavallo tra il XIX e il XX
secolo. Un periodo caratterizzato da grandiose scoperte scientifiche, da grandi trasformazioni
tecnologiche, da uno sviluppo eccezionale delle industrie. Sono gli anni delle Esposizioni, che si
amava definire universali, nelle quali ogni nazione faceva a gara nell'esibire le proprie conquiste
tecnologiche, i propri prodotti industriali, in un momento storico che si pensava potesse durare per
sempre. Un generale senso di spensieratezza pervadeva le strade delle metropoli, dove si ostentava
il lusso piø sfrenato e dove si cercava di offrire al pubblico le ultime novità della scienza e della
tecnica. Un periodo che non è compreso tra termini cronologici precisi, ma che terminerà
inesorabilmente con lo scoppio del Primo conflitto mondiale. Belle Époque, uno dei momenti piø
alti nella storia dell'umanità. L'economia europea andava rafforzandosi, sostenuta dall'incremento
demografico e dall'accresciuta produzione industriale
1
. Anche l'Italia cercava di ricavarsi un posto
all'interno del panorama mondiale. Furono anni di intense modificazioni politiche, che videro la
nascita di alcune tra le piø importanti ed ancora oggi conosciute imprese italiane. Anni di novità,
prosperità, fiducia nel futuro. Fu un periodo però anche di forti tensioni sociali, violenze,
sfruttamenti. Marcate erano le disparità tra il Nord ed il Sud del paese, in un contesto dove le masse
erano sempre piø impoverite a favore del benessere di una ristretta cerchia di arricchiti. Il nuovo
Stato italiano presentava numerosi limiti: con un sistema elettorale che dava il diritto di voto a
coloro i quali avessero compiuto 25 anni, pagassero un'imposta diretta annua di almeno 40 lire e
sapessero leggere e scrivere, la già scarsa affluenza alle urne si riduceva a meno del 2%, non
contribuendo certamente alla creazione di un'identità nazionale
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. Esisteva un'enorme divario tra il
nord, interessato da un movimento di evoluzione progressiva, e il sud, piø arretrato. Mentre al
Settentrione si concentravano il 46% del patrimonio bovino, l'88% della produzione serica e il 62%
di quella laniera, al sud si registravano percentuali rispettivamente del 19, 3 e 25 per cento. Il sud si
trovò escluso dal processo di industrializzazione che si stava avviando al nord: la scarsa
propensione agli investimenti di capitali, l'alto tasso di analfabetismo, le ridotte vie di
comunicazione, che certamente non favorirono gli scambi commerciali, e una mancata funzione
economicamente progressiva, che limitava i proprietari terrieri a consumare nei centri urbani la
rendita ricavata dal lavoro nei campi, contribuirono ad inasprire la «questione meridionale».
A seguito dell'intenso incremento demografico e delle scarse condizioni sanitarie, si diffusero
inoltre numerose malattie infettive come il colera, che ebbe effetti catastrofici in particolare e
1
F. CHICCO, Belle Epoque. Le contraddizioni di un secolo al tramonto, Torino, Paravia, 1977
2
F. DELLA PERUTA, L'Ottocento. Dalla Restaurazione alla “belle Øpoque”, Firenze, Le Monnier, 2000, pp. 363-364
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Napoli e in Sicilia, e la malaria, soprattutto nelle isole. Anche il nord, prevalentemente in Veneto e
Lombardia, venne colpito da un fenomeno relativamente nuovo: la pellagra, una malattia
degenerativa causata da un'alimentazione povera di proteine e vitamine
3
. Il malcontento del sud
sfociò anche nel fenomeno del brigantaggio, tramite il quale vere e proprie bande armate
occupavano per giorni interi villaggi e paesi, arrivando spesso a mortali scontri a fuoco con le forze
dell'ordine. L' Italia venne colpita dalla «grande depressione» negli anni compresi tra il 1873 ed il
1895: l'impetuoso aumento dell'offerta di beni, dovuto alle nuove tecnologie e a nuovi Stati che
stavano facendo il loro ingresso tra le potenze industrializzate, come gli Stati Uniti, la Russia ed il
Giappone, non era almeno pari all'effettiva domanda di beni da parte del mercato. Si assistette
quindi ad una crisi della produzione, con una conseguente caduta dei prezzi. La crisi colpì in
particolare il settore agricolo, gravato dalla concorrenza dei cereali americani, la cui esportazione
era facilitata da una piø sviluppata rete di trasporti. Lo stato italiano impose allora la protezione
doganale, cioè l'imposizione di alti dazi sull'importazione dei grani stranieri a spese dei
consumatori. I contadini piø poveri furono costretti ad emigrare, in quanto tagliati fuori dal
mercato
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. Sino al 1876 l'Italia fu governata dai moderati della Destra storica, formata da esponenti
della nobiltà e dell'alta borghesia agraria e finanziaria
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. L'autonomia dei Comuni e delle Province
era scarsa, a favore della localizzazione in tutto il territorio della figura dei prefetti, i quali facevano
direttamente capo al governo. Come si è visto, la scelta liberista compiuta dalla Destra, con
l'abbattimento delle barriere doganali, portò alla crisi di alcuni settori dell'economia italiana,
incapaci di reggere il confronto con la concorrenza straniera. La politica finanziaria dei primi
decenni unitari si caratterizzò per l'aspirazione della Destra storica al pareggio di bilancio, ossia il
raggiungimento dell'equilibrio tra entrate ed uscite pubbliche. Le spese coprivano quelle derivate
dall'emissione di prestiti pubblici e per la difesa per un ammontare pari al 24%, seguite dalle spese
per l'amministrazione generale. Ai lavori pubblici fu dedicata una quota che solo nel 1877 raggiunse
il 15% del totale. Per quanto concerne le entrate, esse derivavano per il 51% dai sali e dai tabacchi,
per il 36% da imposte dirette e per il 13% dagli scambi. Per colmare il disavanzo vennero ridotte le
spese ordinarie e furono aumentate le imposizioni fiscali, anche tramite l'introduzione di nuove
imposte, come la «tassa sul macinato», la quale prevedeva il versamento di una quota
corrispondente ai giri delle macine. Venne inoltre introdotto il «corso forzoso», abolito poi nel
1883, che sanciva la sospensione della convertibilità dei biglietti di banca in moneta metallica, il
quale portò ad una svalutazione della lira e ad un aumento del costo della vita. Questo contribuì ad
abbassare i consumi e a ridurre le attività produttive. L'unico settore che vide ingenti investimenti
3
Ivi, pp. 93-95
4
Ivi, pp. 243-244
5
Ivi, p. 384
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