Prefazione
di Salvatore Garbellano
VI
A Torino è di qualche giorno fa la notizia dell’inaugurazione della CU di Unicre-
dit, a Trieste Illy Caffé sta sviluppando la propria CU con percorsi originari e innovati-
vi, Enel sta ridisegnando la sua CU, un’importante azienda leader del Mezzogiorno nel
settore dei salotti sta creando la propria scuola, altre aziende sono in fase avanzata di
progettazione della propria CU. Infine, non bisogna dimenticare che Assicurazioni
Generali e Seat non possono essere più considerate “new comers” sia per la quantità sia
per la qualità dell’offerta formativa erogata in termini di innovazione e progettualità.
Sono CU che sono nate e sviluppate anche apprendendo dall’esperienze passate,
dai casi di successo e di insuccesso, ma di certo più attente ad ottenere risultati “tan-
gibili” (nella misura in cui è possibile parlare di tangibilità dei ritorni della formazio-
ne), ad un uso più efficiente delle risorse gestite, a una maggiore apertura verso i “le-
arning partners” (Università, business school, società di formazione, esperti, ecc). In
molte di queste esperienze è comune l’attenzione verso il supporto ai processi di
cambiamento e di innovazione
Per tutti questi motivi è rilevante segnalare l’interesse di una Università prestigiosa,
quale il Politecnico di Milano su questa tematica, di certo dinamica, fluida e a volte
sfuggente – proprio perché ricca di fattori, aspetti, variabili – in quanto al cuore delle
CU vi è il tema delle dinamiche e delle interconnessioni tra apprendimento individua-
le, dei team e dell’organizzazione.
Il lavoro di Luca Gastaldi rappresenta un contributo significativo per fare luce sul
fenomeno delle CU indagando, in modo efficace, su modelli interpretativi e gestionali
presenti in letteratura e presentando casi di successo e di insuccesso. È un’analisi che
oltre a fornire lo stato dell’arte sulle CU presenta spunti di innovazione e modelli di
interpretazione di rado applicati alle CU, quali, ad esempio, il DNA del valore, il mo-
dello delle 6C e lo scenario relativo alla Corporate Universities Telematiche. Infine, è
interessante il caso della Luxottica che presenta stimoli di riflessione operativa per
tutti coloro i quali sono interessati al fenomeno CU.
In complesso, la tesi presenta indicazioni che saranno di certo utili sia per chi in-
tende studiare l’evoluzione delle CU sia per chi è chiamato a promuovere e gestire i
processi di apprendimento nelle organizzazioni complesse.
Salvatore Garbellano
» Sommario
a prima sensazione che si prova, affrontando la tematica dell’apprendimento in
ambito lavorativo, è di entrare in un terreno ricco di possibilità, potenzialmente
molto fertile ma estremamente difficile da “coltivare” in termini di profittabilità.
La materia è infatti così articolata e multidisciplinare che si fa fatica solo a intuirne
i confini, e se tutto ciò stimola la curiosità del principiante, una delle prime cose che
questi imparerà è che le questioni da affrontare sono così tante che sarà semplicissimo
smarrirsi al loro interno. Cercando una bussola nella letteratura si trova poco più che
aghi smagnetizzati mentre per il mondo del management l’argomento rimane un tabù
che pochi hanno il coraggio di affrontare di petto. Passando all’analisi delle realtà
pratiche emerge poi una situazione eterogenea: da un lato ci sono organizzazioni in
cui l’apprendimento è un’arma strategica usata intensamente, dall’altro si trovano im-
prese che percepiscono i suoi benefici semplicemente come qualcosa di irraggiungibi-
le. Ci sono insomma differenze così enormi che l’unica cosa chiara è che i frutti
dell’apprendimento sul lavoro siano lì, a portata di mano, che aspettano di essere colti,
ma per farlo ci vorranno fatica, lavoro, disciplina, pazienza. E gli strumenti adeguati.
Vale davvero la pena allora fermarsi un attimo per non farsi prendere dal panico. Fa-
re un passo indietro, socchiudere gli occhi e considerare la problematica di studio da
un livello più generale – prendendo per poche righe la questione “alla larga”.
Ormai sono più di due decenni che l’intera umanità sta cavalcando l’ondata del
paradigma dell’informazione e della comunicazione e i beni più preziosi delle imprese
moderne – le vere risorse scarse da salvaguardare come se fossero oro – non sono né
i loro immensi impianti produttivi né la giungla tecnologica che cercano di dominare.
È inutile continuare a nasconderlo: oggi nelle aziende «i principali mezzi di produ-
zione sono molto piccoli, grigi e pesano circa 1,3 kg. Sono i cervelli delle persone»
1
.
Le organizzazioni hanno bisogno delle menti dei loro dipendenti, non (solo) del-
le loro braccia. Servono disperatamente conoscenza e talento. Serve attirarli, pro-
muoverli, svilupparli e cercare di trattenerli il più possibile. Non stupisce che in que-
sto scenario l’apprendimento continuo si sia fatto strada come il candidato ideale per
ottenere vantaggi competitivi – nel tempo e nei confronti della concorrenza.
1
L’affermazione è di K. A. Nordstrom e J. Ridderstrale ed è stata fatta in “Funky business”, nel
2000. Assieme al suo seguito, “Karaoke capitalism”, il libro è stato un successo editoriale plane-
tario e ha consacrato gli autori – entrambi docenti alla Stockholm School of Economics – fra i
principali esponenti della nuova generazione di “guru” di management alternativo.
L
Sommario
Executive summary
VIII
Guardando a rallentatore il film degli ultimi anni riemerge infatti con forza una solida
convergenza tra sviluppo tecnologico, crescita economica ed euforia attorno a questo
tema – in particolare nella sua declinazione a distanza e in via elettronica (apprendi-
mento telematico). Mondo scientifico, grosse imprese, operatori di borsa, addirittura
istituzioni internazionali: tutti sembrano vedervi «la» chiave per il successo in futuro.
Tira aria simile a quella di alcuni anni fa: prima dello scoppio della bolla econo-
mica di internet, prima che il Nasdaq cominciasse a cadere in picchiata a colpi di mi-
lioni di dollari, prima della tempesta nella quale tutti si sono gettati alla ricerca di facili
guadagni ma che ha lasciato sul terreno moltissime vittime. Tira aria molto pericolosa.
I mercati hanno sempre bisogno di idee di cui invaghirsi, e se in passato è stata la
cosiddetta New Economy a calcare le scene, oggi si sta ripetendo lo stesso copione
con il soggetto dell’apprendimento, soprattutto di quello continuo nel tempo. Questo
lavoro vuole allora essere prima di tutto un contributo verso un pensiero lucido
nell’affrontare la materia. Come dire: «vediamo di non fare gli stessi errori del passato».
La tematica si presta infatti all’evanescenza ed è facile farsi prendere la mano e pro-
porre – magari anche in buona fede – soluzioni che servano poco alle aziende o che
concretamente portino valore solo a chi le eroga. Ci saranno uno strato di confusione
crescente con cui fare i conti e bollenti predicatori di dottrine «infallibili» da evitare.
Non esistono dottrine «infallibili» e l’apprendimento sul lavoro non andrà bene
per ogni impresa. Bisogna scolpirselo bene in testa. Non si possono vendere facili ri-
cette di apprendimento organizzativo perché solo la sperimentazione concreta per-
metterà di attestare l’effettiva bontà delle idee e la validità dei progetti implementativi.
Forse può essere utile fare una distinzione che in ambito psicologico si fa ormai
da anni. Con apprendimento si denota l’appropriarsi di ciò che è più appariscente di
un oggetto. Questo concetto viene differenziato da quello di comprensione: un pro-
cesso continuo, rafforzato dalla ripetizione e dall’esercizio, di cui l’apprendimento co-
stituisce solo una prima fase – l’avviamento
2
. Molte imprese si fermano a questa fase,
senza capire che il vero apprendimento per essere concreto non può viaggiare da solo.
Gestire strategicamente l’apprendimento vuol dire fare questo passo in più.
Nasce così la sfida raccolta da questo lavoro che analizzerà l’evoluzione di uno stru-
mento innovativo per gestire strategicamente l’apprendimento all’interno delle orga-
nizzazioni. In queste pagine si parlerà del fenomeno delle Corporate Universities.
Una Corporate University è un organismo educativo concepito come stru-
mento strategicamente utile a far si che un’organizzazione raggiunga la
propria missione conducendo attività che coltivino l’apprendimento, la co-
noscenza e la comunicazione di tutti coloro che – interni o meno all’impre-
sa – contribuiscono direttamente al successo aziendale.
In parole povere, si tratta di vere e proprie università adibite al coordinamento, al-
lo sviluppo e alla condivisione di sapere all’interno delle imprese, anche se – per dire
le cose come stanno realmente – prima di essere «universities» queste strutture sono
«corporate» e si devono preoccupare di finalizzare l’apprendimento al raggiungimento
di solidi risultati economici. E lo dovranno fare coerentemente alla strategia aziendale,
pena un rapido ridimensionamento all’interno dello spazio organizzativo concesso.
A complicare le cose, anche il concetto di Corporate University – come l’appren-
dimento sul lavoro – è estremamente multiforme e complesso, per certi versi apparen-
temente “imprendibile”. Uno degli aspetti che più colpisce è la frequenza e la sostanza
con cui i ricercatori di questa materia mettono in discussione le fondamenta del loro
sapere. Il discorso cade inevitabilmente su ciò che si intenda per Corporate University.
2
Le definizioni di apprendimento e comprensione sono state prese dall’Enciclopedia Treccani.
Sommario
Executive summary
IX
«L’acceso dibattito sulle fondamenta e sui principi di base sembra testimoniare
come questa disciplina si trovi in una fase pre-paradigmatica (il termine disciplina si
presenta già scivoloso di per sé), da cui peraltro sembra non voler uscire per non in-
gabbiare la dinamicità tipica richiesta dalle attività progettuali all’interno dei rigidi
schemi che necessariamente conseguirebbero dall’emergere di un paradigma»
3
.
Se questo da un lato assicura i pochi che ancora non lo fossero sulla novità – ma so-
prattutto sulla vitalità – di questo argomento di studio, dall’altro fa rassegnare chi lo ap-
proccia a smetterla di cercare verità uniche e definitive. È molto più probabile che si
debba rimettere in discussione le proprie riflessioni prima ancora che l’inchiostro con
cui le si è fissate sulla carta si sia asciugato del tutto. Concentrarsi maniacalmente sui
dettagli non sarà solo estremamente poco proficuo ma addirittura controproducente.
Per allontanare un poco questa sensazione di star costruendo un edificio teorico
su fondamenta liquide e per chiarire a grandi linee le coordinate dell’indagine il primo
capitolo di questo lavoro comincia con un’approfondita analisi dei principali contri-
buti bibliografici sulla materia, cercando di colmarne i limiti, estenderne l’ambito ap-
plicativo, sintetizzarne le particolarità e coglierne i principali aspetti caratteristici
4
.
Si è scelto allora di usare un’ottica evolutiva e di descrivere un ipotetico percorso
di crescita della Corporate University man mano che essa acquisirà fiducia come arma
competitiva e dimostrerà di essere utile all’azienda che l’avrà avviata. Si è cercato di
traguardare le diverse definizioni fornite dalla letteratura all’interno di questo percorso
e il risultato ottenuto è l’espressione omnicomprensiva data nella pagina a fianco.
Ovviamente non basta dare una definizione per comprendere un fenomeno. Il passo
successivo è stato allora di proporre un affresco della diffusione delle Corporate Uni-
versities nel mondo, concentrandosi su America – la loro patria natale –, Europa –
in modo particolare in Francia e in Germania – e Italia – dove queste strutture co-
minciano a muovere i loro primi passi, anche se ci sono casi eccellenti di rilevanza in-
ternazionale da anni (ENEL Sfera, ISVOR Fiat e ENI Corporate University).
Per strutturare un poco l’analisi si sono seguite le principali linee evolutive della
materia, emerse incrociando la produzione letteraria teorica con i molti casi pratici di
Corporate Universities analizzati nel lavoro
5
. In Figura 0.1 si possono trovare riassun-
ti i risultati. La scala di valori da 1 a 4 è puramente convenzionale (si possono fare i
seguenti abbinamenti: 1 = livello sufficiente, 2 = livello discreto, 3 = livello buono, 4
= livello ottimo). Quello che conta non sono infatti i numeri specifici, quanto il con-
fronto relativo tra i profili dei vari paesi studiati. Nel testo si è cercato di approfondi-
re le ragioni dei diversi tassi di penetrazione delle Corporate Universities nel mondo,
oltre a possibili soluzioni per i “ritardatari”.
3
La considerazione è stata mutuata da un’opera di T. S. Kuhn: “La struttura delle rivoluzioni
scientifiche”, del lontano 1969. Per maggiori informazioni si faccia riferimento alla bibliografia.
4
A questo proposito è necessario sottolineare che all’interno del testo si sia fatto un riferimento
diretto a più della metà (circa 300) delle oltre 500 fonti elencate a pagina 197. La natura di
quest’ultime spazia dalla monografia all’articolo scientifico, dalla relazione di convegno alla pre-
sentazione di un caso specifico. Si vuole far notare che più di un quarto dei riferimenti indirizzino
verso pagine web e che questo dato non renda ancora bene l’idea dell’uso massiccio che sia stato
fatto della rete durante l’analisi. Uno dei capisaldi di questo lavoro è che – con la giusta dose di
senso critico – internet si possa rivelare un potentissimo strumento per il reperimento e lo svilup-
po di conoscenza. Ecco perché gli si è attribuita una dignità comparabile a quella della bibliogra-
fia cartacea. Ed ecco perché si è mantenuta traccia delle specifiche pagine web (e non delle ho-
mepage di riferimento) prima che venissero sepolte da una coltre di “polvere digitale”.
5
Nella trattazione sono state analizzate circa 70 Corporate Universities – sia del settore pubblico
che di quello privato e sia di successo che di insuccesso. Di queste, oltre 30 si sono “meritate” di
essere trattate a parte (ad esempio si consideri il Quadro 2.1 a pagina 61) per la loro significabi-
lità e perché consentivano di portare a galla diversi aspetti su cui focalizzare l’attenzione volta
per volta. Per un elenco di tutte le Corporate Universities esaminate si faccia riferimento
all’indice analitico di pagina 215 (sono le voci scritte in verde) mentre per quelle approfondite si
vedano la Tabella 2.1 a pagina 60 e la Tabella 2.12 a pagina 144.
Sommario
Executive summary
X
Figura 0.1 Profili evolutivi delle CU americane, europee e italiane rispetto ai trend di sviluppo di Busana.
La prima cosa che si nota nel grafico è infatti un ritardo generale – accentuato in
modo particolare in Italia – delle Corporate Universities europee rispetto a quelle sta-
tunitensi. È normale: il concetto stesso di Corporate University è nato in America e
ha avuto più tempo per maturare verso soluzioni organiche e avanzate in quel paese.
Gli statunitensi sono quelli che in gergo tecnico vengono definiti first movers, men-
tre in Europa e Italia per il momento ci si accontenta di “inseguire a ruota”
6
.
Le ragioni sono di quattro ordini e sono così intrecciate tra loro – in un impasto
dove non si capisce chiaramente chi sia la causa e chi la conseguenza – che elencan-
dole e tracciandone i confini può portare a inevitabili semplificazioni. Nel testo si è
tuttavia adottato un criterio che ha permesso di vedere gli effetti di ognuna di esse
presa singolarmente e in modo combinato con le altre. Le ragioni sono:
1) Socio-culturali. Avendo le Corporate Universities a che fare con individui, si è
voluta sottolineare l’importanza di un loro successo prima di tutto sociale come
base irrinunciabile per ottenere profittabilità. Questa è terra perlopiù sconosciuta
in ambito manageriale, più adatta ai sociologi e agli psicologi perché analizza co-
me la cultura – soprattutto quella che si possiede perché nati in un determinato
paese – influenzi le organizzazioni. Grazie alle personalità modali sviluppare da
Hofstede
7
si è riuscito tuttavia a capire perché l’America parta “avvantaggiata”.
6
Per quanto riguarda l’Italia, è triste ammetterlo, ma per il momento è impossibile parlare di un
modello italiano delle Corporate Universities. È evidente che queste strutture non siano qual-
cosa che tutti si possano permettere (si avrà modo di vederlo più chiaramente successivamente)
e le imprese italiane – piccole e generalmente poco votate al pensiero strategico – sono “miopi”
nei confronti dell’apprendimento come arma competitiva. In questo scenario, i pochi che hanno
deciso di impiegare ugualmente delle Corporate Universities dovrebbero essere considerati una
specie da proteggere con un adeguato supporto teorico. Purtroppo però, in Italia chi cerchi di in-
novare la gestione di queste strutture deve volgere lo sguardo praticamente sempre fuori i confi-
ni nazionali: i dibattiti e gli articoli italiani sul tema si contano sulle dita di una mano. È impor-
tante che il sistema di formazione manageriale e il mondo universitario del nostro paese registri-
no questo “scacco” e reagiscano tempestivamente a questa mancanza.
7
La personalità modale rappresenta il grado di omogeneità degli orientamenti di personalità do-
minante nella società. È il risultato della socializzazione, un processo mediante il quale quest’ulti-
America
Europa
Italia
1
A.
2 3 4
B.
C.
D.
E.
F.
G.
H.
I.
J.
Spostamento da centro di
costo a centro di profitto
Connessione diretta alla
profittabilità (ROI)
Connessione alle
strategie aziendali
Orientamento al servizio e a
una pluralità di clienti
Partnership con
altri attori
Enfasi sulla management
education
Coinvolgimento del
management aziendale
Action ed experimental
learning
Impiego di tecnologie
informatiche
Snellezza della struttura
organizzativa
Sommario
Executive summary
XI
2) Politiche. Da questo punto di vista il discorso verrà impostato secondo due as-
si: la natura del tessuto industriale del paese in cui le Corporate Universities ver-
ranno avviate (leggasi: la dimensione media delle imprese che lo formano) e il
focus internazionale delle organizzazioni al suo interno. Serve una certa dimen-
sione critica perché queste strutture comincino a risultare convenienti e la polve-
rizzazione delle aziende europee e italiane ha influito negativamente sulla diffu-
sione di Corporate Universities in questi paesi.
3) Economiche. In questo caso si fa riferimento alla spesa media in formazione
permanente e ai budget assegnati alle Corporate Universities. Non è oggettiva-
mente possibile stimare tutti i vantaggi e le criticità a cui si andrà incontro avvian-
done una. Spesso questa è una “decisione di pancia” che la disponibilità all’in-
vestimento americana premia mentre la diffidenza europea e italiana penalizza.
4) Strategiche. Se le prime tre ragioni permettono di spiegare la diffusione nume-
rica del fenomeno, questa sposta maggiormente l’attenzione sui diversi tassi di
maturità delle Corporate Universities. È possibile misurare tale caratteristica nel-
la qualità e nell’impatto delle alleanze strategiche che vengono da lei avviate con
altri attori che potrebbero contribuire alla generazione di valore tramite la ge-
stione (esternalizzata, in partnership, ecc) dell’apprendimento.
Questo lavoro vuole studiare l’evoluzione delle Corporate Universities e un ottimo
modo per farlo è vedere come stia cambiando la modalità con cui questi strumenti
generano valore nelle imprese. Il secondo capitolo parte proprio da tale quesito.
Prima di tutto bisogna capirsi su cosa si intenda per valore. I tempi discontinui in
cui ci si trova a vivere hanno reso infatti obsoleto il più importante contributo alla sua
modellizzazione – la catena di Porter – e se è lo studioso stesso a denunciare l’incapa-
cità del suo famosissimo modello di penetrare nella scatola nera delle imprese moder-
ne
8
, è chiaro che usare tale cornice per cercare il potenziale contributo di apprendi-
mento e Corporate Universities alle organizzazioni non porterebbe a grandi risultati.
Bisogna riconoscere che la diffusione della comunicazione multimediale e lo svi-
luppo delle tecnologie di rete abbiano determinato le condizioni affinché la creazione
di profittabilità esuberasse la catena del valore fisica per coinvolgere quella virtuale del-
le attività immateriali. Queste affiancano e supportano i vari processi dell’impresa – in-
tegrando, allineando e coordinando i suoi obiettivi a quelli di partner e clienti. Si crea
così un intreccio di attività virtuali e fisiche che è stato chiamato DNA del valore
9
e
che – tra i suoi pregi – permettere di «vedere» il ruolo centrale dell’individuo (o meglio
del suo fattore produttivo da 1,3 kg) all’interno delle logiche aziendali, oltre che il con-
tributo che l’apprendimento possa fornire alle imprese di oggi e domani.
Si è ulteriormente investigato tale aspetto considerando il nuovo contratto psi-
cologico tra quest’ultime e la persona
10
. Molti sostengono infatti che l’offerta a-
ziendale di esperienza che aumenti il potere contrattuale/competitivo dell’individuo
rimpiazzerà le richieste di tutela assistenziale e di garanzie occupazionali stabili. Se
tutto ciò da un lato rischia di “dipingere” di opportunismo tutti i rapporti intra-
organizzativi, dall’altro valorizza l’apprendimento erogato dalla Corporate Universi-
ties come strumento per tenersi strette (sviluppandole) le migliori professionalità.
ma istilla nei propri membri valori di base e credenze. G. Hofstede studia approfonditamente le
dinamiche tra tali questioni e il successo delle imprese. Per i suoi lavori si rimanda alla bibliografia.
8
La prima formulazione della catena del valore è stata fatta da M. Porter nel 1987 in “Il vantag-
gio competitivo”, mentre egli stesso ha analizzato criticamente le sue teorie in “Strategy and
the Internet”, del 2001. Si faccia riferimento alla bibliografia per i riferimenti alle fonti.
9
Il DNA del valore è stato introdotto da V. Di Bari in “Strategie per la neXt economy”.
10
Il contratto psicologico è l’insieme di idee, aspettative e convincimenti circa lo scambio atteso
nel rapporto di lavoro. Esso costituisce – oltre ai diritti e ai doveri di fonte normativa – il legame
(spesso implicito) fra individuo e organizzazione a cui si ispirano comportamenti, aspettative e mo-
di di operare. Questa definizione è stata data da E. Auteri in “Management delle risorse umane”.
Sommario
Executive summary
XII
Si è però ancora al punto di prima. Si è capito che le Corporate Universities potrebbe-
ro rivelarsi utili e che hanno realmente grandissimi potenziali. Interessante, ma come
si fa poi a valorizzarle concretamente? Il problema è veramente complesso perché
per fare in modo che queste strutture siano profittevoli bisogna riuscire a governarle
e per governarle è necessario ricorrere a modelli teorici che trasformino in un oggetto
mentale visibile questa risorsa – aziendale e personale – esistente ma spesso invisibile
perché “nascosta” in tutte le variegate manifestazioni in cui si può presentare.
Un modello che aspira a governare qualcosa di così complesso trova il suo prin-
cipale limite nella semplificazione e per tale ragione non andrà assolutizzato (niente
verità uniche e definitive) ma usato intelligentemente per orientare le azioni – proprio
come una cartina geografica orienta il cammino in un territorio. Serve allora una
mappa per sapere come muoversi all’interno delle Corporate Universities e il segreto
per costruirla è di conoscere le necessità dei due attori in gioco – impresa e individuo
– e cercare di farle incontrare e finalizzarle al raggiungimento di risultati.
E lì che si troverà il valore di queste strutture e i driver per la loro evoluzione.
Per prima cosa bisogna allora sapere cosa possa sviluppare una Corporate University
a livello d’impresa. Riconsiderando un attimo la definizione data si capisce subito che
le sue attività cerchino di coltivare (i) l’apprendimento, (ii) la conoscenza e (iii) la
comunicazione. Oggi ma sempre di più in futuro ci sarà bisogno di uno sviluppo
delle organizzazioni lungo queste dimensioni e la Corporate University è nella miglio-
re posizione possibile per poter garantire a questa crescita omogeneità nel tempo.
Le cose si complicano quando si passa a considerare le esigenze delle persone. Per
fare in modo che l’apprendimento arrivi allo stadio della comprensione ci sarà la ne-
cessità di agire a livelli profondi, cercando di modellare – senza mai essere invasivi – le
attitudini di fondo, non solo i comportamenti attesi dagli individui
11
. Bisognerà allora
agire a un livello più “intimo” e stimolare la più importante attitudine da possedere in
azienda che sia “allenabile” da una Corporate University: l’attitudine alla decisione.
Essa assicurerà una crescita – se non altro professionale – e fornirà al dipendente la
possibilità di contribuire direttamente all’operato aziendale. Da protagonista.
Per sapere prendere decisioni corrette l’individuo dovrà imparare (i) ad ascolta-
re, (ii) a elaborare e (iii) a decidere e la Corporate University cercherà di sviluppare
proprio questi tre ambiti con le proprie attività. Ovviamente essi saranno da mettere
in costante dialettica evolutiva tra loro perché la specializzazione lungo una sola dire-
zione può spingere il sistema individuale alla patologia.
Integrando i due fronti di necessità come mostrato in Figura 0.2a si ottiene un dia-
gramma a sei assi con gli interessi combinati di impresa e persona. Si identificano così
sei aree tematiche tramite cui una Corporate University possa svolgere il proprio
compito e portare valore all’impresa che l’ha avviata. Esse sono esplicitate in Figura
0.2b e costituiscono quello che è stato chiamato il modello delle 6C.
Prima di tutto esso ribadisce che l’apprendimento strategicamente utile non venga
mai fornito da solo. C’è poi da considerare che ogni area del modello appartenga sia
al dominio organizzativo che a quello individuale e questo è un buon segno perché
significa che la Corporate University si troverà realmente a metà strada tra i loro inte-
ressi e riuscirà a ridimensionarne la propensione alla divergenza. Infine non si lascia
per strada nessuna delle fasi chiave per prendere una decisione in ambito organizzati-
vo. Anzi: uno dei pregi del modello è che si riconduca proprio al processo decisiona-
le, riuscendo a “incastrarlo” tra la gestione d’impresa e la soddisfazione personale.
11
Uno psicologo spiegherebbe che – per la teoria della dissonanza cognitiva, elaborata da L. Fe-
stinger nel 1957 – le persone hanno infatti bisogno di sentire corrispondenza tra le prime e i se-
condi. Quando questo legame viene a mancare insorge infatti una «dissonanza cognitiva» che la
persona cerca di ridurre perché genera un conflitto interiore. L’ultima cosa che vuole la Corpora-
te University è gettare benzina su questo potenziale incendio.
Sommario
Executive summary
XIII
Figura 0.2 (a) Il processo d’integrazione tra bisogni di impresa e persona e (b) il modello delle 6C.
Questi non sono però gli unici vantaggi da prender in esame. Ad esempio una
visione integrata, com’è quella delle 6C, permette di focalizzarsi sul bisogno di bilan-
ciamento continuo tra le aree, consentendo di capire su quali aspetti lavorare caso per
caso. Il risultato è duplice perché si potrà sia correggere le situazioni anormali che
fornire indicazioni a chi non sappia cosa migliorare. Senza accorgersene, si è appena
trovata la mappa per sapere come muoversi all’interno delle Corporate Universities.
È interessante infine notare che le sei aree del modello si riconducano a due delle
tassonomie più citate dalla letteratura – riuscendo a garantire sia contatto con la realtà
che concretezza nel raggiungimento di risultati – e siano coerenti con le altre princi-
pali modellizzazioni proposte
12
. Inoltre le 6C riescono a distinguere tra impresa e di-
pendente anche quando le loro competenze sembrano mescolarsi, superando dina-
micamente l’annoso conflitto tra il filone teorico che vede quest’ultime come attributo
organizzativo e quello che da loro esclusivamente una dimensione individuale.
12
I lavori sono quelli di J. Meister, A. Fresina, L. Kiely, R. Deiser e N. Tichy che – come si può
vedere nel paragrafo 2.3.2 a pagina 88, 89 e 90 – sono tutti autori di primissimo piano
nell’ambito delle Corporate Universities. Per maggiori informazioni si consulti la bibliografia.
Elaborazione
Decisione Ascolto
Comunicazione
Apprendimento
Conoscenza
Comunicazione
Apprendimento Conoscenza
Elaborazione
Decisione Ascolto
Comunicazione
Decisione
Ascolto
Apprendimento Conoscenza
Elaborazione
1) Comunità
2) Contestualità
3) Capacità
6) Conduzione
5) Cambiamento
4) Correzione
Concretezza Contatto
Fresina Meister