Capitolo 1 : Limiti del Principio di Massimizzazione del Profitto.
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1. LIMITI DEL PRINCIPIO DI MASSIMIZZAZIONE DEL PROFITTO
1.1. Lo stato dell’economia come sapere chiuso.
1.1.1. Limiti e meriti dell’approccio classico.
Grande merito degli economisti classici dell’equilibrio economico generale è stato il
visualizzare l’ideale e trasporlo nella realtà cercando di adattarlo alla sua imperfezione.
Come tutti i sistemi chiusi in sé e quindi perfetti questo strumento prediligeva una realtà
tendente per sua natura a giusti fini e in armonia con le sue risorse e ritmi vitali
biologico-culturali e quelli più profondamente inconscio-spirituali; cioè perfetta
anch’essa, etica di per sé.
La società moderna sotto diversi aspetti sta ripensando le proprie finalità etiche e
rimodellando i principi ispiratori della vita collettiva sul concetto di interdipendenza, che
fornisce la chiave per la spiegazione della totalità delle disarmonie in cui il modello
classico ha fallito.
Il modello più che coerente con la realtà, portava con sé i germi del cambiamento di
quest’ultima :”laissez faire” era insieme un’incitazione al prodotto casuale della libertà
individuale e allo stesso tempo il presupposto della teoria liberista che estendeva a tutti
gli aspetti della società le potenzialità perfettive della teoria.
Come conseguenza consapevole o inconsapevole dell’ottica liberistica seppure
indipendentemente dal suo potere esplicativo, la società ha beneficiato di un notevole
sviluppo in tutti i campi della vita umana: l’introduzione del concetto di efficienza come
valore ha consentito l’aumento della ricchezza e il progresso e il sistema economico
forzato ad operare e pensare in termini di concorrenza perfetta forniva il traino per il
perfezionamento della società.1
1
In fondo questo è quello che Smith nella “Ricchezza delle Nazioni” si propone, appunto,
consapevolmente di raggiungere quando afferma che la creazione di una società giusta e di benessere
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D’altra parte la forzatura d’uso di uno strumento innaturale ha chiesto il prezzo di uno
sviluppo che non rendeva conto degli equilibri preesistenti ed invariabili degli altri
macrosistemi non-economici e dei microsistemi individuali. In definitiva il costo è il
risultato dell’interazione di sottosistemi sociali che, non cooperativi per natura, non
potevano scegliere lo sviluppo potendolo solo subire.
L’effetto è quello del trapianto di un organo perfetto in un organismo imperfetto con
l’aspettativa che le virtù dell’uno, cioè del sistema economico, funzionino da
catalizzatore per l’intero sistema sociale.
Pur se potrebbero essere avanzate a questo punto interrogativi sulla presunta
volontarietà o casualità storica del complesso fenomeno liberistico, che però non
rientrano negli scopi di questa analisi parziale, ciò che rimane sotto i nostri occhi come
evidenza è l’insoddisfacente capacità rappresentativa degli strumenti a disposizione
dell’economia che o trascendono la realtà in un universo concettuale astratto, o
perdono di vista la generalizzabilità e utilizzabilità delle conclusioni.
1.1.2. Gli sviluppi successivi e recenti.
Gli sviluppi recenti della scienza economica sono rivolti principalmente alla
governabilità delle variabili economiche e si fondano sostanzialmente su di un’ottica
macroeconomica pur essendo metodologicamente il risultato ibrido della
formalizzazione neoclassica e della visione storicistica: la Nuova Macroeconomia 2 ha
universale può passare solo attraverso, e non in opposizione, ad un sistema economico auto-referente,
dunque chiuso in se, e in opposizione al primato della politica.
Pur se questo è un obbiettivo condiviso, la funzione svolta storicamente dalla società di mercato è più
dubbia. Hirschman in “Interpretazioni Rivali della Società di Mercato: Civilizzatrice, Distruttiva, Debole?” in
“L’Economia Politica come Scienza Morale e Sociale” (Liguori, Napoli, 1987) analizza posizioni radicalmente
contrastanti rispetto al ruolo del mercato identificando anche la possibilità che i limiti o/e meriti di esso siano
da attribuirsi a residui feudali (teoria dei ceppi feudali) nei paesi in cui questo si è affermato.
Schumpeter ed Hayek sono più propensi a spiegare lo svolgersi del capitalismo come un fenomeno pieno
d’imprevisti, di cose trovate mentre se ne cercavano altre (“serendipity”) che sono il risultato di uno sforzo
innovativo costante del quale non si possono prevedere tutte le conseguenze.
2
Huw David Dixon, Neil Rankin: “The New Macroeconomics : Imperfect Market and Policy Effectiveness”,
Cambridge University Press, 1995
Capitolo 1 : Limiti del Principio di Massimizzazione del Profitto.
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per obbiettivo l’integrazione della microeconomia nella macroeconomia e rappresenta il
tentativo di spiegare con gli strumenti di cui dispone la realtà in un ambiente strategico.
A questo fine si rivolgono la teoria dei giochi applicata alla nuova teoria del commercio
internazionale, la macroeconomia basata su microfondamenti con imperfezioni di
mercato e generalmente in competizione imperfetta, la menu costs analysis e lo studio
delle esternalità, i principi di razionalità limitata e di rigidità nominali nella teoria
contrattualistica, l’efficiency wage analysis e la teoria delle imperfezioni del mercato del
credito.
Il territorio ancora da esplorare è comunque quello indicato dall’introduzione della
competizione imperfetta e dalla necessità dell’integrazione di nuovi sviluppi
microeconomici al servizio dell’analisi macroeconomica.
A fronte di questo induttivismo insoddisfacente e deduttivismo presunto si pone la
realtà con le sue contraddizioni nella sua intrinseca perfezione, unico giudice obbiettivo
di qualsiasi metodo di analisi e comprensione di se stessa.
Nota comune di tutti questi tentativi esplicativi è comunque la conseguenza che la
società pensando se stessa ha innescato un processo causa-effetto di trasformazione
di sé, che include sia effetti con valenza positiva (efficienza come promotrice degli
avanzamenti tecnologici e indirettamente del miglioramento delle comunicazioni e del
trasferimento di qualsiasi tipo di informazioni), sia di natura negativa.
Che il sapere in sé possa aver avuto un ruolo nello sviluppo dell’aspetto sociale ed
umano della realtà è indubbio, ma altrettanto si può dire del suo ruolo corruttore, tanto
più che se ciò è vero in generale, sarà vero anche per quella parte di sapere che attiene
alla disciplina economica.
1.1.3. L’economia e la finalizzazione dei comportamenti.
Ciò che emerge chiaramente dallo stato attuale del rapporto economia-società è
l’effetto circolare di un autodeterminismo interno e tautologico che mostra da più parti
segni di crisi. In altri termini l’economia va sempre più configurandosi come fine dei
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comportamenti individuali e collettivi invece che essere semplice specchio riflesso della
realtà, il che non sarebbe grave peccato se fosse realmente in grado di tale compito e
non assurgesse solo al ruolo di scienza chiusa alle influenze di saperi collaterali che
avrebbero il potere di arricchirla in questa missione là dove è carente.
L’economia nasce scienza descrittiva e obbiettiva ma nel corso della sua storia ha
creato interazioni di causa ed effetto con il suo oggetto osservato talmente complessi
da abbandonare legami con qualsiasi altra scienza confidando di potere
indipendentemente spiegare e condurre la realtà verso il suo destino col manifesto
risultato di essere fine di se stessa.
In pratica la finalizzazione dei comportamenti è evidente dalla relazione tra obbiettivi
di governo e obbiettivi dell’economia di quel governo come prassi consolidata di politica
economica di medio-breve termine. Prendere come obbiettivo il PIL di un paese, così
come le variabili macroeconomiche classiche, non può essere un criterio perseguibile 3
a maggior ragione perché 1) le grandezze economiche statistiche contengono rilevanti
3Dagli anni ottanta sono stati sviluppati ed applicati indicatori ”sociali” alternativi e più complessi di quelli
neoclassici di contabilità nazionale con particolare sensibilità soprattutto dai paesi scandinavi dove questi
hanno assunto il compito di misuratori della qualità della vita. Nel suo lavoro S. Longva (“Gli Indicatori Sociali
e la Misurazione delle Condizioni di Vita: Basi Concettuali ed Alcune Esperienze Norvegesi Recenti” in
“Lavoro e Benessere: la Costruzione di Indicatori Sociali”, a cura di L. Frey, Franco Angeli, Milano, 1994)
spiega come le condizioni di vita possano essere misurate attraverso i due parametri dell’”accesso alle
risorse” (reddito, proprietà, salute, istruzione che gli individui possono impiegare per gestire la propria
esistenza) e dell“accesso alle arene” in cui le risorse vengono impiegate (grado di affollamento del sistema
educativo, mercato del lavoro, mercato delle risorse), tenendo presente che il benessere ha tre dimensioni
collegate alla soddisfazione dei bisogni umani fondamentali: Avere o gratificazioni materiali, Amare o
bisogno di appartenenza sociale, Essere o bisogno di autorealizzazione. Le condizioni di vita sono importanti
sia per influenzare la soddisfazione immediata dei bisogni, sia per essere lo strumento per migliorare le
condizioni di vita future secondo uno schema che integra il flusso circolare del reddito tradizionalmente
inteso.
Nell’esperienza italiana analizzata da A. Zuliani (“L’indagine Multiscopo”, nella stessa opera citata
precedentemente in questa nota) alla fine degli anni ottanta si data la prima indagine multiscopo, rinnovata
metodologicamente nel 1993 con l’obbiettivo di essere alla base di un “Osservatorio Sociale” di monitoraggio
della domanda più che dell’offerta con particolare attenzione alle tematiche della salute, cultura, tempo
libero, famiglia, soggetti sociali e vittimizzazione e per tutti i fenomeni sociali sommersi.
A livello internazionale l’Indice di Sviluppo Umano sviluppato dalle Nazioni Unite rappresenta uno
strumento di comparazione internazionale avanzato rispetto alle statistiche tradizionali per la presenza oltre
che del PIL procapite, dell’aspettativa di vi ta alla nascita e della percentuale di alfabetizzazione adulta.
Quest’indice, meno complesso rispetto a quelli utilizzati in ambito europeo o di quelli sviluppati da
organizzazioni internazionali per le nazioni più avanzate permette un primo allargamento dell’indagine
quantitativa anche per paesi di cui è di difficile reperimento qualsiasi altra variabile qualitativa più dettagliata.
La rilevanza del dibattito attorno a queste tematiche può essere facilmente dedotto dall’ingente
incremento della quantità di riferimenti letterari relativi a quest’argomento a partire dagli anni settanta fino ad
oggi, compiutamente analizzati in “Statistical Indicators for the Economic and Social Sciences” di R. Horn,
Cambridge University Press, Cambridge, 1993.
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errori di stima rispetto alle corrispondenti reali; 2) le grandezze economiche statistiche
non sono esplicative di tutte le variabili reali.4
A livello microeconomico tale finalizzazione è in conflitto con l’esistenza di qualsiasi
forma di libertà individuale, ossia è indice della determinatezza delle scelte individuali
come dato di partenza dell’analisi economica: se la teoria è predittiva e fornisce una
qualche misura di controllo sulla realtà allora non lasciamo spazio alla creatività
individuale e riduciamo l’uomo a puro essere vissuto.
Si direbbe che vi sia un fallimento degli scopi e delle leggi dell’economia, in realtà c’è
solo l’esigenza di ripensare il suo ruolo nella società; o adeguandola alla crescente
complessità a cui la si applica seguendo il principio dell’unitarietà-complementarietà-
interdisciplinarietà delle conoscenze, o facendola tornare scientifico strumento
autonomo di analisi della realtà sociale.
Una realtà multiforme richiede però uno studio dello stesso genere e ciò significa che
l’economia sarà ancora strumento di studio plausibile se perderà delle caratteristiche
acquistandone delle altre più ap-”paganti” in termini di efficacia rappresentativa, se
rinuncerà alla sua presunta indipendenza concedendosi alla competizione del sapere,
se scambierà difetti contro pregi conquistando un rilievo laddove il suo ruolo risulta
allocato ottimalmente nello schema di produzione e scambio delle conoscenze tra le
diverse scienze.
4Basti pensare a tutte le funzioni classiche utilizzate in macroeconomia che sono riflesso del PIL in
termini reali. Per gli esperti dell’economia della crescita Y=A+ 0,7N+ 0,3K in cui A genericamente include la
produttività e N rappresenta la sola quantità di lavoro. Secondo Solow Yt=At [ Ltá Kt (1-á) ] in cui At è una
forza propulsiva esogena del sistema economico, ingloba la tecnologia ma in quanto esogena non
controllabile e definibile con certezza ex-ante, dunque At risulta una scatola nera alla cui imprevedibilità Yt
sembra legata.
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1.2. L’artificio del dualismo attore economico-individuo.
1.2.1. Le scuole “Neoclassica” ed “Istituzionalistica”.
Il concetto di efficienza, quello di profitto, i principi di economia del benessere si
fondano sull’analisi dettagliata del momento della produzione e sull’assunzione che tale
produzione sia il risultato di presunti e non ben definiti bisogni del consumatore.
Metodologicamente il consumatore e la sua scala di bisogni è sempre stato
l’elemento residuale di analisi economica e pertanto considerato come dato
inintelligibile per sua natura o non analizzabile ex-ante ma solo ex-post per avvalorare e
giustificare i risultati della teoria.5
Da un altro punto di vista si pone chi dà rilievo alla libertà individuale e al concetto di
incertezza che ne deriva in quanto identificativi di una condizione significativamente e
distintamente umana intendendo l’individuo come essere vivente in diversi universi di
realtà.6
Un approfondimento della dinamica dei comportamenti individuali risulta utile per il
superamento dei limiti della teoria economica in generale, sia di quella branca che si
riconosce sotto il nome di teoria neoclassica, sia di quella austriaca.
I due approcci sono equivalenti in termini del potere esplicativo e dei limiti
rappresentativi della realtà, tuttavia una comparazione delle rispettive posizioni può
rivelarsi utile per capirne i punti deboli e cercare una soluzione soddisfacente per
entrambi su di un piano logico diverso.7
5
Stigler e Becker in un articolo (“De Gustibus non est Disputandum”, American Economic Review, marzo
1977) dichiarano il loro interesse per la predittività della scienza economica e pongono il consumatore
all’interno di una teoria deterministica del comportamento individuale escludendo, così, qualsiasi logica di
scelta. Anche Robbins nella sua definizione assiomatica della scienza economica non fa menzione alcuna
dei legami causali tra scelte e individuo pur identificando nel principio di scarsità una chiave logica delle sue
scelte.
6Frank Knight, “Risk, Uncertainty and Profit” (1951).
7L’analisi delle differenze tra approccio neoclassico ed austriaco alla scienza economica è stata effettuata
da R. Mc Kenzie in “The Limits of Economic Science”, Kluwer Nijhoff Publishing, 1982, pp.41-56.
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Nell’economia neoclassica l’individuo è un problem solver dal comportamento
massimizzante rispetto ai suoi desideri (presunti noti) e ai vincoli esterni presenti. Il
mondo è oggettivo e riconoscibile dagli osservatori anche se non è conoscibile dal
punto di vista del valore attribuito ad esso dai soggetti osservati. I risultati sociali sono
pertanto quantificabili come i processi fisici anche se pragmaticamente le relazioni tra
attori ed individui si presumono basate su di una realtà dotata di senso comune, su cui
tutti sono d’accordo e di natura esogena. L’economia è basata su studi empirici, è una
scienza predittiva ed è uno strumento della politica. La teoria è un prodotto della mente
umana, non può essere una replica della realtà poiché ha per obbiettivo di per sé
l’astrazione, la categorizzazione e l’indicizzazione della realtà. E’ una tecnica di
pensiero presunto, addirittura gli assunti della teoria quindi possono essere irrealistici
ed ipotizzare che la realtà si comporti “come se” il modello propone. Una teoria
predittiva è una teoria esplicativa in primo luogo e va dalla causa all’effetto perché
prima è partita dall’effetto per arrivare alla causa. Inoltre le predizioni rilevanti sono
quelle esplicative e la loro ricerca è il fine della scienza.
Nella scuola austriaca si parte pur sempre dalla ipotesi di base che gli individui
percepiscono, ordinano ed agiscono in conseguenza delle loro preferenze ma il mondo
non esiste se non in quanto visto attraverso il singolo attore e nell’ottica temporale.
L’economia è il risultato della logica delle inintelligibili scelte individuali ed è il modo di
rappresentare ex-post il processo evolutivo degli attori coinvolti. La teoria riguarda più
ciò che non è atteso che ciò che è da attendersi e tratta di modelli di sviluppo di risultati
o di mappe di possibilità più che di predizioni dettagliate, le quali sono persino da
evitare. Il focus è la società e la cornice costituzionale che permette a questa e agli
individui di essere liberi di perseguire i propri interessi in presenza dell’immanente velo
di ignoranza concernente eventi specifici all’interno dei modelli di comportamento
intellegibili. La teoria è una spiegazione e non una predizione.
Da un particolare punto di vista la teoria neoclassica riguarda ciò che accadrà,
l’austriaca il processo attraverso cui i risultati avvengono. Comunque particolari aree
della vita economica possono richiedere o essere più adatte alle tecniche di una
scienza predittiva mentre altre non lo sono per la particolare complessità della loro
natura: il costo dell’analisi empirica non può essere estraneo alle valutazioni degli
economisti e la complessità della stessa valutazione può risultare di ostacolo all’utilizzo
Capitolo 1 : Limiti del Principio di Massimizzazione del Profitto.
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della stessa metodologia neoclassica e può essere il presupposto dell’uso di quella
austriaca che privilegia la sola analisi teoretica. Ad esempio le regole costituzionali
possono cambiare nel tempo e modi operativi di risolvere dispute politiche contingenti si
adatterebbero all’analisi costi-benefici neoclassica anche se qui torna il problema
circolare della valutazione costo-beneficio della stessa analisi costi-benefici.
Nonostante le dettagliate conseguenze, però, a meglio intendere, il problema
dell’inconciliabilità tra le due anime dell’economia rileva nel comune limite di aver
analizzato della vita economica dell’individuo solo l’aspetto “organizzazione” più che
quello delle “risorse” o dei “bisogni” 8 e ciò indipendentemente dal fatto di voler
riconoscere realistica una suddivisione delle aree della vita umana in scompartimenti
isolati ed indipendenti.
A questo proposito la distinzione di Knight tra analisi di breve e di lungo periodo può
essere utile: nel contingente l’economia può utilizzare i suoi strumenti e le sue
generalizzazioni basandosi su dati empirici e prendendo come dati esogeni la scala di
valori degli individui, le risorse, la tecnologia. Nel lungo periodo anche questi variano
ma come variano è un problema lasciato aperto all’indagine multidisciplinare dato che i
risultati delle interazioni individuali non seguono gli stessi modelli di comportamento
della fisica.9
8Knight in “The Ethics of Competition and Other Essays” (1935) parla di una necessità della scienza
economica di essere analisi e sintesi, predizione e osservazione del reale in un processo ciclico che ha
come fine la conoscenza quali-quantitativa dell’osservato. Per essere scientifico l’approccio dell’economia ai
dati umani si basa sull’analisi dell’attitudine consapevole dell’individuo che incorpora i sentimenti e le
reazioni che l’hanno mosso all’azione. Questa posizione va oltre lo stesso comportamentismo che dà rilievo
solo al rapporto tra situazioni e azioni senza esplorare i moventi delle stesse.
9
Knight riconosce autonomia e scientificità all’economia in quanto pura elaboratrice di dati provenienti da
altre scienze nel generale ambito di comportamento massimizzante dell’individuo rispetto a mezzi scarsi e
fini molteplici. Solo per quella branca dell’economia che lui chiama istituzionalistica Knight intravede la
necessità di utilizzare le leggi della biologia per spiegare la cultura umana pur se anche questa non è
soddisfacente. Ma anche allora riafferma puramente la difficoltà a capire e controllare il comportamento
umano che non sia economico e ad estendere gli strumenti di analisi del lato economico al comportamento
completo dell’individuo.
Capitolo 1 : Limiti del Principio di Massimizzazione del Profitto.
10
1.2.2. L’”Economia Sociale”.
Ciò che in questo studio si vuole tentare di delineare è una visione dell’economia più
profondamente fondata nel cuore delle scienze sociali. A Mc Kee 10 parla di una
economia sociale, in opposizione all’economia positiva, fondata sul riconoscimento
della centrale rilevanza del valore morale del comportamento individuale. In primo luogo
i valori economici da considerare sono alla base del comportamento dell’individuo in
quanto tale e del gruppo sociale cui appartiene con identica enfasi poiché la
realizzazione dell’individuo come entità autonoma può aversi solo con la
contemporanea realizzazione degli altri, superando così il problema del moto egoistico
alternativo a quello altruistico. I valori economici sono radicati inoltre in una completa
filosofia della vita e della persona umana e questo rende la scienza economica soggetta
ad uno sviluppo non solo laterale nella sociologia e psicologia ma anche verticale nei
valori umani e nella loro originaria spiegazione filosofica.
Questi valori vengono definiti sulla base di credenze che in ultima istanza non
possono essere spiegate razionalmente più oltre e da queste si razionalizzano le
proposizioni successive. L’introduzione dei valori chiede il conto dell’esattezza delle
predizioni economiche e della loro scientificità, ma di contro può avere maggiore
prossimità operativa dei risultati. L’economia sociale più che una scienza economica
orientata ai valori è una economia rivisitata nei suoi fondamenti. L’evidente crisi dei
valori tradizionali (famiglia, lavoro, governo) nel nostro secolo testimonia della necessità
di un ri-orientamento dell’economia convenzionale senza però permettere all’etica di
prevalere sull’economia o viceversa. I valori economici derivati dai fini individuali della
vita e sociali sono fini di una scienza economica votata al miglioramento umano dando
direzione agli interrogativi umani e fornendo criteri di giudizio. La ricerca positiva diviene
il mezzo e non il fine dell’economia e l’analisi quantitativa verrà ricondotta a qualitativa.
La teoria del consumatore tipico diviene la descrizione socio-psicologica del singolo
consumatore in una condizione di interdipendenza consapevole. In aggiunta il ruolo
10
A. F. Mc Kee, “Social Economics and Values” in “Selected Topics in Social Economics”, MCB
Publications Limited Bradford, 1982, 41-56.
Capitolo 1 : Limiti del Principio di Massimizzazione del Profitto.
11
pubblico non è quello di correttore dei fallimenti del mercato ma un normale organo
complementare della realtà che opera per l’interesse dei singoli e della società basando
la sua analisi e le sue prescrizioni solo su ciò che la gente “vuole”. L’economia sociale
ha per obbiettivo il rifondare l’economia positivista su valori sociali che permettano il
miglioramento umano nella sua duplice dimensione individuale e collettiva.
Ideatore di un vero e proprio paradigma socio-economico, Amitai Etzioni in “The
Moral Dimension” (1988) riconosce che il comportamento umano è spesso spiegabile
dal “self-interest” ma in altri casi dell’esistenza da un’obbligazione o da un atto indotto
da principi morali anche a scapito del proprio personale interesse: c’è dunque una
spinta negli esseri umani ad obbedire a regole esterne (con o senza rispetto del fatto
che altri esseri umani obbediscano ad esse invariabilmente) attraverso il calcolo
razionale delle conseguenze negative e positive della violazione di tali regole; pur se è
parte della natura umana il considerare queste regole e l’effettiva inclusione di esse
nelle proprie decisioni avviene solo nel momento in cui rilevano a livello soggettivo.
A parte questa particolare impostazione, la storia dell’economia testimonia di
numerosi tentativi di superamento della distinzione tra individuo e attore economico.11
1.2.3. Superamento della frattura tra individuo ed attore economico.
Smith nella “Ricchezza delle Nazioni” parla di una naturale umana propensione al
traffico, al baratto, allo scambio di una cosa per un’altra e vede il fine della società come
la concretizzazione ultima di una società commerciale in cui ogni individuo diviene un
mercante ma solo quando la divisione del lavoro si sia totalmente instaurata alla
perfezione: quando la nazione diviene ricca, la società sarà allo stesso tempo matura e
civile.
11
T. O. Nitsch, “Economic Man, Socio-Economic Man and Homo Socio-Economicus” in “Selected Topics
in Social Economics”, MCB Publication Limited, Bradford, 1982, pp.20-49, per l’analisi storica del concetto di
economia sociale.
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12
Menger tratta di individuo economizzante ponendo l’accento sul comportamento
egoistico rispetto alla soddisfazione dei suoi bisogni, mentre Edgeworth e Marshall
introducono l’idea di un uomo semieconomico, per il quale conta l’interesse dell’altro
uomo. Il discorso qui si apre all’altro implicando che la funzione obbiettivo individuale è
aperta rispetto a quella altrui e incorpora anche motivazioni altruistiche e sociali.
Qui il salto logico è evidente: si cambia il sistema di valori di riferimento, che da
chiuso sulla singola realtà individuale si apre ad una visione interpersonale e
interdipendente della vita così come delle scelte economiche, pur se questa apertura da
principio non si fonda su alti ideali ma corrisponde alla forma più alta di egoismo,
essendo l’altruismo il mezzo per raggiungere il proprio egoistico interesse, e non è
ancora fine in sé.12
La tradizione positivista di homo socio-economicus passa attraverso tutto questo
secolo con diverse definizioni. Ne trattano Say e i teorici del laissez faire, Mannequin,
Guyot, Fallon; in Germania Rau, Menger, Von Weiser, Dietzel; In Usa Levy, Ellis e in
Italia Scialoja, Cossa. Questa arriva alla conclusione che l’uomo non può essere
considerato indipendentemente dalla società anche se il suo essere sociale è solo parte
della sua natura. L’uomo può solo essere studiato nella sua socio-sfera e il carattere e
le leggi dell’economia umana sono per natura quelle della società.
Da un altro punto di vista morale-scientifico l’economia sociale così definita può
considerarsi parte dell’economia politica classica poiché concerne la riduzione
dell’ingiustizia sociale, le condizioni dei lavoratori, le relazioni volontarie che gli uomini
stabiliscono tra loro, in contrasto con la pura economia politica di Walras: un’economia
della società basata sulla giustizia e sui diritti dell’individuo, una rifondazione delle radici
dell’economia piuttosto che l’applicazione della metodologia economica ad altri
fenomeni sociali. Bowen parla di soluzioni per il problema di ingegneria sociale che
devono tenere in considerazione le sottigliezze della natura umana e le tradizioni e i
12
F. Hirsch in “Social Limits to Growth” perviene alla conclusione che le conseguenze negative dell’agire
umano puramente egoistico possono essere evitate a condizione che l’individuo si comporti almeno “come
se” fosse altruistico. Questa teoria del “come se” è stata approfondita soprattutto da A. Sen che in “Choice,
Welfare and Measurement” utilizza lo strumento esplicativo del dilemma del prigioniero ed individua due
possibili soluzioni alternative a quella dell’individualismo che offrono soluzioni migliori: il gioco della fiducia e
la soluzione delle preferenze altruistiche. In questa seconda possibilità l’altruismo come mezzo viene
superato appellandosi all’esistenza di una razionalità collettiva che va oltre la fiducia, l’unica a poter
Capitolo 1 : Limiti del Principio di Massimizzazione del Profitto.
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valori etici della nostra società, un’economia sociale teoretica dovrebbe cementare la
teoria istituzionale con la teoria della produzione, del valore e della distribuzione, la
teoria monetaria e l’economia del benessere. Sono qui importanti l’efficienza e l’equità,
l’ottimalità e la massimizzazione; benessere sociale e contemporanea equità nella
distribuzione del reddito.
“Sociale” per Nitsch comporta un rapporto tra individuo ed individuo e comprende sia
l’aspetto efficienza della cooperazione umana, sia l’aspetto della sociabilità. Marshall
stesso parla dei falliti tentativi della costruzione di una scienza economica senza
influenze etiche e della ristrettezza dell’ipotesi di un uomo che persegue il puro
interesse monetario in modo energetico, meccanico ed egoistico: per quest’ultimo la
teoria non ha mai considerato l’uomo perfettamente egoistico, tra le motivazioni del suo
comportamento si è sempre inclusa tacitamente la componente degli affetti della
famiglia e non si vede per tale motivo perché non includere altre motivazioni altruistiche
che possono facilmente essere sottoposte a generalizzazioni. Marshall quindi include
l’altruismo come motivo per l’azione.
Musgrave conclude che l’essere sociale degli individui comporta che motivazioni
sociali o altruistiche possono essere inserite nei modelli di preferenze individuali. De
Graaf parla di effetti esterni nel consumo o interdipendenza di consumo quando la
funzione di utilità di una persona è sensibile a quella di un’altra. Marx parlava di sinergie
di cooperazione nella produzione a causa della data natura sociale degli individui. Qui
l’altruismo si incarna nella più grande soddisfazione che perviene all’individuo dal dare
e dal fare non egoistico.
Il superamento del dualismo individuo-attore economico è la base per fondare una
scienza su basi più solide e permanenti.
Dal punto di vista soggettivo questo dualismo non rileva a livello consapevole in
quanto le decisioni che attengono alla sfera economica della vita di un individuo sono
influenzate da variabili comportamentali non necessariamente razionalizzabili
assicurare identità tra benessere individuale ricercato con quello individuale effettivo, che a sua volta
coincide con quello sociale.
Capitolo 1 : Limiti del Principio di Massimizzazione del Profitto.
14
nell’ambito economico ed inoltre la percezione di questa scissione netta e dei suoi limiti
è più un’invenzione tecnica che il riflesso della realtà.13
L’atteggiamento massimizzante può essere ripreso e utilizzato estendendolo a tutti
gli universi di realtà in cui l’individuo in quanto essere umano vive 14. In tal caso tutta la
vita nella sua interezza sarebbe rivolta alla allocazione ottimale delle risorse personali e
fisiche per fini diversi e a loro volta consoni agli obbiettivi dei singoli e della collettività. A
questo punto l’individuo include in sé in modo inscindibile anche l’attore economico e a
13
J. Wieland in “Economics and Ethics in Functionally Differentiated Societies: History and Present
Problems” (in “Ethics and Economic Affairs”, a cura di A. Lewis e K-E. Warneryd, Routledge, London, 1994,
pp.264-285) ripercorre la storia dell’indipendenza funzionale dei sistemi economico-politico-morali della
società nati dal collasso della dominazione degli influssi religiosi che prevedevano una struttura gerarchica
della realtà.
L’economia si ritaglia un ruolo e delle finalità autonome dall’etica o dalla politica divenendo obbiettiva e
spersonalizzata, ma perdendo progressivamente la sua dimensione umana e riducendosi a relazioni tra cose
e cose e annullando anche quelle tra uomini e cose (Walras, Pareto). Con Becker e Buchanan l’economia si
riconcilia con l’etica facendo la prima prevalere sulla seconda.
La teoria della differenza funzionale dei sistemi (Durkheim, Simmel, Weber, Parsons) riconduce alla
necessità della interconnessione delle diverse sfere dell’esistenza degli individui, sostituisce la
massimizzazione con l’analisi costi-benefici e perviene all’introduzione del comportamento strategico, del
concetto di diversi ordini di preferenze (Sen, Harsanyi) e all’accettare che il comportamento individuale di
attori economici e il sistema economico nel suo complesso percepiscano le loro azioni dalla prospettiva di
altri presupposti di razionalità indispensabili per la loro esistenza: questi permettono di integrare i sistemi
etici ed economici in modo paritetico e, a parere di Wieland, sono esplicitati in modo dettagliato in particolar
modo nelle “meso-organizzazioni”, le organizzazioni che estendono i confini delle loro azioni al di là dei
singoli individui e che per questa ragione sono molto più indicative dell’analisi dei singoli attori individuali.
14Un tale discorso ingloba necessariamente come conseguenza il portare in campo la problematica etica
del rapporto con gli altri. In “Ethics, Ideological Committment and Change” (facente parte del volume citato
nella nota 13, pp.233-250) Peter Soderbaum mette a confronto nella scienza un approccio mentale
riduzionista-meccanicista, di cui fa parte l’analisi economica classica, e quello olistico-evolutivo. L’individuo
massimizzante, che appartiene al primo gruppo, è quello che utilizza la cost-benefit analysis e vede il mondo
in un’ottica bipolare io-o-l’altro. L’individuo altruista è quello che si preoccupa della massimizzazione del suo
e dell’altro profitto e allarga la prospettiva di massimizzazione a variabili ulteriori rispetto a quelle personali.
In fondo qui non si parla più di individuo “razionale” ma di individuo “consapevole” la cui consapevolezza si
colloca ad uno stadio superiore di quello relativo alla pura razionalità. Le soluzioni personali del secondo
individuo sono multiple e non sono facilmente riducibili a semplici equazioni costi-benefici. L’individuo
consapevole sa che il semplice perseguimento dell’interesse collettivo è migliore del perseguimento
individuale e sceglierà un pattern in questa direzione tra i tanti pattern possibili per sé. L’universo non è più
monodimensionale e la semplificazione “ceteris paribus” non è più soddisfacente, è solo il risultato della
visione statica neoclassica. Gli evoluzionisti vanno oltre e percepiscono il ruolo della dinamicità e della
crescita. Appunto quest’ultima chiave di lettura, insieme la condivisione dei presupposti esplicitati nelle note
precedenti, possono essere considerate le lenti che illuminano il senso della trattazione seguente della teoria
dei flussi.
Capitolo 1 : Limiti del Principio di Massimizzazione del Profitto.
15
sua volta la metodologia economica risulta arricchita dalla conoscenza delle inesplorate
dinamiche comportamentali personali e interpersonali.15
1.2.4. La dimensione sociale dell’impresa.
Le interazioni impresa-ambiente sono state studiate nel corso degli ultimi
quarant’anni dando inizio a diverse indagini che vennero convogliate nei filoni della
Corporate Social Responsibility prima e della Corporate Social Responsiveness poi.
La prima forma di attenzione alla dimensione sociale attorno agli anni ‘50 comportò
l’interesse dell’impresa verso obbiettivi non unicamente economico-finanziari e verso
attività non sempre connesse a quella tipica dell’impresa. Oggetto di analisi erano i soli
atti concreti, compiuti in attuazione di presunti principi ed obbiettivi gestionali di natura
extra-economica, che tuttavia non venivano esplicitati, il focus dell’indagine era il
prodotto, vale a dire gli effetti esterni determinabili dalle scelte aziendali.
L’attenzione negli anni ‘60 viene rivolta ai processi i quali divengono capaci di
accogliere aspetti una volta ritenuti esogeni, di natura sociale, politica, ambientale e
culturale. Questa visione conduce il focus dall’indagine sui prodotti, dai risultati e dagli
effetti esterni dell’attività verso l’istituzionalizzazione di processi all’interno dell’impresa.
Si delineava la necessità del cambiamento interno all’impresa, si ideavano procedure
amministrative che ponessero l’impresa in sintonia con gli interessi collettivi.
Anche questo approccio presentava il limite che i principi su cui il complesso dei
meccanismi pragmatici era ancorato fossero ancora eticamente neutrali, nel senso di
essere puri strumenti senza poter accedere al rango di fini, essendo carenti nella
riflessione sulle cause e merito delle azioni da intraprendere.
Dalla metà degli anni ‘80 inizia la ricerca intorno alle norme comportamentali che
orientano i comportamenti d’impresa, si apre un’indagine etica sui fini che porta l’analisi
15A complemento della nota 4, il problema dei teorici della crescita quindi potrebbe essere superato se si
considerasse una funzione in cui At è scissa in componente tecnologica e componente di crescita della
conoscenza e spiegando quest’ultima in funzione di Yt, tecnologia, L e K.