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anche dei generi – da lui coperti, un minimo comune denominatore dei
suoi personaggi, quel qualcosa che, al di là del lavoro di nascondimento
nel personaggio, rimane dell’attore. Ma è una sfida che esula da questa
sede.
La critica è passata da un approccio al film onnicomprensivo, con
grandi analisi e descrizioni d’insieme, alla tendenza a ritagliare piccoli
spazi, concentrandosi sempre più su singoli elementi: il volto dell’attore
piuttosto che il particolare movimento di macchina. Coerentemente con
questo orientamento la mia tesi non prende in considerazione l’intera
filmografia di De Niro, ma ritaglia in essa solo un momento, quello
dell’esordio.
Vero è che l’esordio, pur sembrando apparentemente una circoscrizione
un po’ troppo limitativa, è al contrario una delle fasi più significative
della carriera di un attore ed è fondamentale per leggerne l’identità,
consentendo di lavorare molto in profondità più che in estensione.
Se non serve spendere molte parole sul perché della scelta di “De Niro”,
è invece utile soffermarsi sul perché della scelta dell’“esordio”.
Gli esordi sono interessanti per almeno due ragioni fondamentali:
anzitutto per l’entrata nella scena cinematografica di un corpo “nuovo”,
in sintonia con i tempi; in secondo luogo perché spesso l’esordio segnala
anche un cambiamento di paradigma, una risemantizzazione del
linguaggio stesso del cinema. Un attore può essere quindi anche una
valida occasione per parlare di un rinnovamento cinematografico.
Questo è esattamente il caso di De Niro, il quale inizia la sua carriera
sul grande schermo in un momento particolarmente significativo del
cinema americano – e in verità dell’intera nazione –, quella manciata di
anni etichettati sotto il nome di “New Hollywood”.
Delimitare con esattezza i confini di un esordio è sempre un’operazione
difficile. L’esordio, l’entrata sulla scena – in questo caso cinematografica
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– di un attore sconosciuto, si può dire concluso quando questo volto e
questo corpo iniziano a divenire per lo spettatore familiari, ovvero
quando l’attore diviene un’icona di piena riconoscibilità.
Gli esordi di De Niro sembrano quindi dislocarsi tra i primi
lungometraggi di Brian De Palma, Oggi sposi (The Wedding Party, 1969),
Ciao America (Greetings, 1968) e Hi, mom! (id., 1970) – escludendo in
realtà la primissima comparsata in Tre camere a Manhattan (Trois
chambres à Manhattan, Marcel Carné, 1965) – e i primi ruoli importanti
degli anni Settanta che, passando per il Johnny Boy di Mean Streets
(id., Martin Scorsese, 1973) e il Bruce Pearson di Batte il tamburo
lentamente (Bang The Drum Slowly, John Hancock, 1973), giungono fino
al Vito Corleone de Il Padrino – Parte II (The Goodfather, Part II, Francis
Ford Coppola, 1974) e al Travis Bickle di Taxi Driver (id., Martin
Scorsese, 1976), ruolo che lo consacrerà a divo di fama internazionale e
dopo il quale De Niro approderà a Hollywood.
Si può notare come la carriera di De Niro non sia stata fulminea, ma
come egli abbia al contrario raggiunto la fama lentamente, in circa un
decennio, dopo aver recitato – e spesso in ruoli secondari – in film per lo
più ignorati dal grande pubblico e riscoperti solo in seguito – per
sfruttare commercialmente l’immagine del divo ormai affermato –.
Nella mia tesi non affronto l’esordio prendendo in considerazione tutti i
film dell’attore ad esso inscrivibili, ma la materia d’analisi riguarda solo
i primi film con De Palma (Oggi Sposi, Ciao America e Hi, Mom!) e i
primissimi prodotti del trentennale sodalizio con Scorsese (Mean Streets
e Taxi Driver). Questa ulteriore circoscrizione è stata dettata da due
importanti ragioni: anzitutto, dalla volontà di sottolineare come i primi
passi di De Niro sul grande schermo siano stati accompagnati da due
tra i registi più creativi della generazione della New Hollywood –
all’epoca anch’essi giovani esordienti dietro la macchina da presa –
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Brian De Palma e Martin Scorsese, con i quali De Niro stringerà
un’amicizia non solo professionale; in secondo luogo, dall’importanza di
mettere in evidenza il curioso strabismo dei suoi esordi, giocati su due
stili di recitazione molto diversi e che rendono De Niro la perfetta
incarnazione dell’ambiguità del moderno, anch’essa giocata su un
analogo doppio registro.
A un livello d’analisi più approfondito, gli esordi di De Niro risultano
quindi sorprendentemente significativi: con De Niro si assiste infatti non
solo alla chiamata sulla scena di un corpo “nuovo”, ma anche a un
nuovo modo di concepire e fare cinema e alla prima volta di due registi
destinati a comparire tra i grandi autori del cinema contemporaneo.
Forse per l’unione quasi miracolosa degli elementi sopra citati, gli esordi
di De Niro sembrano già contenere in nuce tutto ciò che De Niro farà e
sarà in seguito ed è possibile riconoscervi già pienamente tutto il tipico
De Niro’s touch, il suo stile, la sua magia.
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PREMESSA
L’ATTORE NELLA NEW HOLLYWOOD: NUOVI
CORPI PER NUOVI PERSONAGGI
Robert De Niro compare per la prima volta sul grande schermo in un
momento molto particolare della storia del cinema. I suoi esordi, che
partendo da Ciao America possono spingersi fino a Taxi Driver, sono
tutti giocati all’interno di quel periodo del cinema hollywoodiano che La
Polla ha definito “quantitativamente […] il massimo tentativo di
rinnovamento del cinema americano dai tempi dell’avvento del sonoro”
1
,
ovvero quella decina di anni – dalla seconda metà degli anni Sessanta
fino alla seconda metà degli anni Settanta – etichettati sotto il nome di
New Hollywood.
Cercare di definire cosa sia stata la New Hollywood è impresa ardua: “il
nuovo cinema americano […] sfugge a qualsiasi univoca definizione,
classificazione, categorizzazione”
2
. Infatti non si tratta di una “scuola” –
data “la mancanza di un qualsiasi intento teoricamente unificatore da
parte dei diretti protagonisti”
3
– e sotto questa “etichetta” sono stati
ricondotti gli apporti più diversi. Resta il fatto che, dalla metà degli anni
Sessanta, complici vasti cambiamenti, di produzione e di consumo, in
America si assiste alla nascita di un nuovo tipo di cinema e di una
nuova idea del fare cinema. King
4
descrive molto bene il terreno sul
quale ha potuto nascere e svilupparsi il nuovo corso del cinema
americano, analizzando la sua portata di novità da tre punti di vista:
stilistico, industriale e storico-sociale.
1
F. LA POLLA, Il nuovo cinema americano 1967-1975, Lindau, Torino 2002, p. 11.
2
Ivi, p. 201.
3
A. PICCARDI (a cura di), Quaderni, n. 2: New Hollywood, edito dal Laboratorio 80,
Bergamo 1978/79, p. 3.
4
G. KING, La nuova Hollywood, Einaudi, Torino 2004, pp. 18-60; ed. or. New
Hollywood Cinema. An Introduction, I.B.Tauris & Co., London 2002.
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Molti fattori intervengono in modi mediati e complessi. Innanzitutto,
l’importanza culturale del cinema nella società è drammaticamente
diminuita, non solo per l’arrivo della televisione, ma a causa di un più
vasto processo di trasformazione sociale: l’accresciuta prosperità degli
anni del dopoguerra permette alla gente di coltivare hobbies più
dispendiosi, in termini di tempo e denaro, che non l’andare al cinema;
inoltre, si assiste al fenomeno della deurbanizzazione, per cui molti
americani migrano dalle città in periferia, dove le sale cinematografiche
sono poche; infine, il “baby-boom” costringe le famiglie a una vita
casalinga. Ciò comporta una catastrofica emorragia del numero di
spettatori, ma la vera miccia esplosiva che fa entrare in crisi Hollywood
è il decreto antitrust del 1948, che sancisce la fine dell’integrazione
verticale: i maggiori studios possono continuare a occuparsi della
produzione e della distribuzione, ma sono costretti a vendere le catene
di sale cinematografiche di loro proprietà. L’industria hollywoodiana,
per cercare di risollevarsi dalla crisi in atto, si trova così obbligata a una
serie di cambiamenti a diversi livelli. Anzitutto cambia il sistema di
produzione, che abbandona il vecchio modello della “fabbrica” per
abbracciare un tipo di produzione più “indipendente”: un produttore
viene incaricato di mettere insieme regista, attori e altri collaboratori per
dare vita a un “pacchetto” confezionato su misura che, una volta
ottenuti i finanziamenti, diventa un film. Questo sistema di produzione
rende il fare film un processo meno costoso e ciò, unitamente al fatto
che i talenti creativi di registi e attori non sono più necessariamente
vincolati a singoli studios da contratti pluriennali, crea lo spazio per
una potenziale libertà creativa.
Il sistema di produzione più “frammentato” non si indirizza più a un
vasto pubblico indifferenziato, ma tende a rivolgersi soprattutto al
crescente pubblico di “giovani”, per diversi motivi: nel 1968, dopo vari
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cedimenti, il Codice Hays – meccanismo censorio di autoregolazione
dell’industria – è stato messo definitivamente da parte, a favore di un
sistema di censura che classifica i film a seconda del gruppo di
spettatori e delle fasce di età a cui è concessa la fruizione. Questo
spinge Hollywood ad aggiornare i propri contenuti, sia per la scelta
strategica di ricerca di pubblico e certo anche a causa degli
sconvolgimenti sociali che colpiscono gli Usa alla fine degli anni
Sessanta che, essendosi ampliata la sfera del visibile e del mostrabile,
possono trovare facilmente espressione sullo schermo.
Per reagire al crollo finanziario l’industria hollywoodiana compie un
passo ulteriore: concede maggiore libertà creativa alle nuove leve
registiche, dei giovani che, per la prima volta, escono dalle università di
cinema, portando con loro la promessa – mantenuta – di risollevare
l’industria dalla crisi economica e culturale
5
.
In realtà il cinema americano partecipa tardivamente alla forte cesura
avvenuta nel cinema europeo già negli anni Cinquanta, che, a partire
dalla Nouvelle Vague francese, produce un nuovo tipo di cinema e ne
aggiorna i modelli attoriali.
Sulla scena cinematografica hollywoodiana entra anche un nuovo tipo
fisico, a cui corrisponde un diverso stile recitativo. Le tipologie attoriali
vengono aggiornate in sintonia con i modelli sociali in circolazione. Gli
anni Sessanta sono testimoni dei primi movimenti giovanili di reazione
critica al potere politico e al costume sociale. Questi fermenti e tensioni
di rinnovamento sociale vengono accolti e resi visibili sui volti e nei
corpi degli attori. Ai nuovi attori viene quindi chiesta in prima battuta
una giovinezza anagrafica, capace di rappresentare la gioventù
5
Non è questa la sede per tentare una sintesi del troppo vasto e polimorfo insieme dei
prodotti, delle idee, delle tematiche e delle tecniche, dei nuovi apporti che maturarono
in questi anni di fermenti del cinema americano e di maggiore libertà creativa
concessa ai suoi protagonisti. Per approfondimenti cfr. G. KING, La nuova Hollywood,
op. cit. e F. LA POLLA, Il nuovo cinema americano 1967-1975, op. cit.
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americana di quel periodo. La parola d’ordine delle nuove leve registiche
della New Hollywood è uscire dal falso della rappresentazione. Quale
modo più efficace e convincente per “offrire visioni mai viste” che
rinnovare la geografia umana e dei volti che si presentava sullo
schermo. Di contro ai volti/corpi “memoria” – ovvero già pieni di
significati e di pre-letture da parte dello spettatore, già portatori in se
stessi di un senso ipercodificato e concluso – irrompono sulla scena
volti e corpi nuovissimi e spesso anonimi, che non possono essere
ricondotti ad alcun significato direttamente leggibile. Il nuovo tipo fisico,
che sostituisce il sistema divistico tradizionale, non si limita ad essere
“giovane”, ma è caratterizzato dalla capacità di incarnare l’uomo
“qualunque”. Agli attori non viene richiesta una particolare bellezza da
rivista patinata, quanto una qualità di verità, di credibilità e di
spontaneità. Del resto se il cinema classico ci aveva abituati
all’accrescimento dell’individuo “normale” a livelli di eccezionalità, il
cinema newhollywoodiano compie l’operazione inversa, ovvero “la
riduzione dell’individuo eccezionale a termini di normalità e
anonimità”
6
. I registi cercano volti più comuni, lontani dall’ideale
perfezione astratta delle star del cinema classico: al volto e al corpo
ipereccezionale viene sostituito il volto e il corpo anonimo. Vero è che,
nel giro di pochi anni, Hollywood reintegrerà la geografia di quei volti e
di quei corpi in un nuovo sistema divistico, dimostrando per l’ennesima
volta la propria capacità di costruire significati universalmente
riconoscibili, pur partendo da basi apparentemente neutre.
L’entrata sulla scena cinematografica di un nuovo tipo attoriale
corrisponde anche a un diverso stile recitativo. Il cinema moderno
chiede all’attore naturalezza e spontaneità nella recitazione, ma in modo
molto diverso da come avviene in Europa. Mentre nell’Italia del post-
6
F. LA POLLA, Il nuovo cinema americano 1967-1975, op. cit., p. 43.
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neorealismo e nella Francia della Nouvelle Vague, l'identificazione tra
volto e maschera si fonda sull'identificazione tra personaggio e realtà
dell'attore, a Hollywood la naturalezza richiesta dal moderno, per
rendere la complessa verità della vita e del personaggio, è sempre
raggiunta attraverso lo studio e la tecnica. All’attore viene chiesto
sempre e comunque di recitare un ruolo; il suo talento non sta nella
sua sostanza umana, ma nella capacità di immersione in personaggi
anche lontanissimi da lui, nella sua versatilità. Certo è che il corpo
elastico e flessibile dell’attore newhollywoodiano non è più chiamato ad
assumere identità artificiali, ma, al contrario, molto vicine alla
concretezza del reale.
Il rinnovamento che la New Hollywood attua sotto la spinta delle
Nouvelle Vagues europee non investe solo la geografia dei corpi attoriali,
e lo stile recitativo, ma anche le tipologie di maschere, di personaggi a
cui questo cinema dà corpo. L’attore newhollywoodiano non è più
chiamato a interpretare “l’eroe”, ma il “born loser”: “l’immagine tipica
dell’uomo anonimo prodotto dalla società dell’industria e del capitale”
7
. I
nuovi personaggi sono insicuri, disorientati, impotenti, incapaci di
comprendere le istituzioni e la società, condannati alla sconfitta e alla
solitudine. Quindi, l’aggiornamento fisiognomico è immediatamente
anche psicologico: il personaggio pienamente concluso del cinema
classico scopre ora la mutevolezza e l’ambiguità dell’esistere; i corpi si
“sporcano”, diventano più comuni e quanto più esternano fragilità,
tanto più si arricchiscono interiormente di una verità che inserisce a
pieno titolo questo tipo di cinema nella corrente europea del
“moderno”
8
.
7
Ibidem.
8
È però giusto ricordare che siamo pur sempre in America e se è vero che il
personaggio si problematizza, mostrando un volto “qualunque” e una personalità non
compiuta, è altresì vero che esso rimane – e rimarrà – sempre il perno attorno al quale
costruire l’ordine narrativo di un cinema insaziabilmente antropocentrico.
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