INTRODUZIONE Roberto Cambri
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Tesi di Laurea Magistrale in Ingegneria delle Costruzioni Civili
INTRODUZIONE
La definizione di “edificio industriale” è apparentemente semplice, ma alla luce di
un’analisi più attenta, questa non appare scontata.
In primo luogo, invece di “edifici industriali” è più opportuno parlare di “edifici a
destinazione d’uso industriale”: a questa tipologia di fabbricati appartiene qualsiasi stabile
che risponde a particolari definizioni di destinazione metrica (deposito a piano singolo,
capannone su più piani, industria pesante, industria leggera, laboratorio, officina) e di
reddito (laboratorio, officina, deposito, magazzino, stabilimento di produzione, capannone
multiuso). Da questo punto di vista si possono quindi considerare edifici a destinazione
d’uso industriale una vasta gamma di stabili: laboratori, officine legate al processo di
produzione, depositi, stabilimenti di produzione, edifici nei quali si svolge l’attività di
gestione del personale e di amministrazione.
Riguardo a questa tipologia di fabbricati, circa l’80% degli edifici esistenti nel panorama
italiano risulta realizzato con struttura prefabbricata in calcestruzzo armato, cioè è ottenuto
mediante l’assemblaggio di elementi (pilastri, travi, tegoli) prodotti in appositi stabilimenti,
trasportati e assemblati in cantiere.
Tale tipologia ha trovato grande diffusione nell’ambito industriale a partire dalla seconda
metà del secolo scorso, grazie ai vantaggi dettati dalla riduzione dei tempi di costruzione,
dal maggior controllo sulla produzione dei manufatti durante e dopo la loro realizzazione,
dall’incremento delle prestazioni statiche e al fuoco e dalla facilità di realizzazione di
elementi in calcestruzzo armato precompresso.
Agli indubbi vantaggi della soluzione prefabbricata però si associano le problematiche
inerenti la resistenza alle azioni sismiche: rispetto agli edifici ad uso civile realizzati in
opera, infatti, le strutture prefabbricate presentano risorse duttili molto limitate (peraltro di
non immediata valutazione), con conseguente riduzione della capacità dissipativa, ed un
comportamento strutturale d’insieme fortemente influenzato dall’efficienza dei collegamenti
tra gli elementi prefabbricati.
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A tali aspetti generali si aggiungono quelli relativi alle condizioni di conservazione delle
principali parti strutturali.
Per determinare lo stato di fatto di un edificio è importante procedere in primis
all’identificazione delle tecniche costruttive e dei materiali utilizzati, per poi passare alla
fase di rilievo geometrico della struttura nello stato attuale ed alla descrizione dei fenomeni
fessurativi e deformativi.
Il monitoraggio e la diagnosi dei fenomeni di degrado delle strutture in cemento armato,
ordinario e precompresso, finalizzati alla valutazione della vulnerabilità ed alla
determinazione della residua capacità di prestazione dei manufatti è oggi un argomento di
grande attualità: tale aspetto però risulta di difficile valutazione, in quanto, sebbene in
letteratura esistano molteplici esempi di tecniche diagnostiche utilizzate a tale scopo, non
esiste un metodo che fornisca risultati di validità generale.
Nella presente tesi è stato quindi ricercato un metodo di indagine diagnostica che
consentisse di ottenere informazioni significative sul livello di danneggiamento degli
elementi in calcestruzzo, facendo riferimento al caso reale di un edificio industriale sito nel
comune di Gallicano (Lu) colpito da incendio.
Tra i diversi possibili metodi di indagine è stato valutato quello tramite prove condotte con
gli ultrasuoni: tale metodo è stato scelto,oltre che per la sua natura non distruttiva che lo
rende particolarmente applicabile nel caso degli edifici esistenti e per la sua facilità di
esecuzione in situ, per la potenzialità di rilevare irregolarità interne alla compagine del
calcestruzzo.
Le analisi effettuate hanno previsto dapprima una fase di prove in laboratorio, finalizzate
alla determinazione di una procedura di indagine che permettesse di valutare il livello di
danneggiamento tramite la variazione dei principali parametri del segnale trasmesso;
successivamente sono state condotte delle prove in situ sull’edificio per studiare
l’applicabilità dei risultati ottenuti in laboratorio.
Infine, sono stati proposti degli interventi sull’edificio in esame finalizzati alla riparazione
degli elementi strutturali danneggiati dall’incendio, e all’adeguamento sismico dell’intera
struttura.
CAPITOLO 1: Gli edifici ad uso industriale Roberto Cambri
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CAPITOLO 1: Gli edifici ad uso industriale
1.1 Aspetti generali e tipologie costruttive
Gli edifici industriali prefabbricati sono realizzati, in genere, con schemi ad ossatura
portante di tipologie standard che sono state suddivise e catalogate da numerosi autori: in
questo paragrafo, l’illustrazione delle tipologie costruttive degli edifici ad uso industriale
farà riferimento, nello specifico, agli studi di V.Capozzi [1] e di C.Bonfanti A.Carabellese e
G.Toniolo [2]. Gli edifici industriali prefabbricati possono essere classificati, dal punto di
vista della soluzione strutturale, in tre tipologie ben definite, in virtù della luce da coprire:
• capannoni o edifici monopiano o pluripiano;
• strutture reticolari;
• strutture portanti ad arco;
La prima tipologia è preferita per luci fino a circa 30 m, la travatura reticolare è impiegata
per luci da 15 a 40 m e più, mentre gli archi sono adatti a luci di circa 60 m.
Una volta stabilita la maglia in base ad esigenze di natura funzionale, la scelta del sistema
costruttivo dipende da diversi parametri, quali la luce richiesta, l’interasse delle capriate,
l’altezza interna necessaria, il tipo d’illuminazione diurna, le caratteristiche geotecniche in
sito, i tempi di realizzazione, gli eventuali problemi di montaggio e di trasporto.
Le problematiche relative alle operazioni di montaggio hanno solitamente sconsigliato
l’utilizzo di una struttura composta da più ordini perpendicolari tra loro: in particolare, una
volta posate le travi principali e secondarie, diventa difficile posare gli elementi di
copertura, a meno che non si ricorra alla posa alternata di travi secondarie e elementi di
copertura, con conseguente complicazione della programmazione delle fasi di montaggio.
Per tali ragioni si preferisce quasi sempre realizzare la struttura con soli due ordini di
elementi, e cioè le travi principali e gli elementi di copertura a pannelli, piani o curvi,
appoggiati sulle travi. A questo tipo di soluzione si affidano la maggior parte dei capannoni
industriali nonché le recenti strutture commerciali (sono molti diffusi i casi in cui l’orditura
secondaria è realizzata con dei pannelli prefabbricati precompressi o non in laterizio armato
(ad esempio i solai predalles)), in grado di coprire luci dai 6 ai 9 metri circa.
CAPITOLO 1: Gli edifici ad uso industriale Roberto Cambri
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1.1.1 Capannoni con travi a doppia pendenza
Questa tipologia di strutture prefabbricate risulta molto diffusa per edifici industriali
monopiano in pressoché tutte le epoche e regioni d’Italia.
La trave è l’elemento caratterizzante della struttura (figura 1.1) ed è utilizzata per luci
indicativamente da 10 m a 40 m e con interassi indicativamente da 6 m a 12 m; talvolta essa
può essere utilizzata in doppia orditura.
La copertura è completata con lastre impermeabilizzanti di vario tipo (per esempio ondulate
in fibrocemento o lamiere grecate). La pendenza della falda varia dal 10-15% per consentire
qualsiasi tipo di impermeabilizzazione favorendo lo smaltimento delle acque meteoriche.
La stessa tipologia può prevedere come variante l’inserimento di arcarecci in c.a. o c.a.p.
(figura 1.2) con sezione a T o I posati sull’estradosso delle travi o su appositi alloggiamenti
laterali; tale soluzione risulta impiegata prevalentemente in tettoie, edifici ad uso industriale
e zootecnico che non richiedono caratteristiche termo-isolanti.
La tipologia degli elementi secondari di copertura non permette di realizzare un diaframma
rigido e resta in ogni caso sconnessa.
Figura 1.1. Capannone con travi a doppia pendenza
Figura 1.2. Capannone con travi a doppia pendenza con arcarecci
CAPITOLO 1: Gli edifici ad uso industriale Roberto Cambri
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Qualora si voglia ottenere il comportamento a diaframma rigido, tale tipologia strutturale
prevede l’inserimento, sopra la trave a doppia pendenza, di pannelli nervati in c.a. o c.a.p. ,
di voltine in c.a. o c.a.p. o di pannelli alveolari in c.a.p. . Di minore diffusione risultano
invece i capannoni con pannelli in laterocemento, a causa dell’elevato peso proprio.
1.1.2 Capannoni con copertura piana
Questa tipologia strutturale (figura 1.3) prevede la presenza di travi orizzontali
semplicemente appoggiate su due pilastri contigui; tali travi possono presentare forme
diverse (travi ad I, L, H, T rovesce).
I capannoni con copertura piana hanno una grande diffusione nel territorio italiano e
continuano ad essere preferiti anche in questi ultimi anni.
La trave, a seconda della tipologia, è utilizzata per luci indicativamente da 10 m a 30 m e
con interassi indicativamente da 6 m a 30 m; l’utilizzo invece della trave a T rovescio trova
applicazione quasi esclusivamente per gli orizzontamenti intermedi, mentre risulta
pressoché inutilizzata per realizzazioni di coperture.
Le differenze fra questa tipologia e quella con travi a doppia pendenza consiste nel diverso
convogliamento delle acque meteoriche di copertura. In certi casi il convogliamento è
realizzato con un massetto superiore di calcestruzzo alleggerito che porta l’acqua al pluviale
senza l’utilizzo di travi a conversa; in altri casi viene realizzato un tetto a tenuta stagna e lo
smaltimento delle acque avviene senza realizzazioni di pendenze.
Figura 1.3. Capannone con copertura piana
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Anche i capannoni piani si prestano all’utilizzo di diversi tipi di elementi di copertura.
La soluzione con pannelli alveolari precompressi posti sull’estradosso piano delle travi
garantisce uno spessore contenuto dell’intero pacchetto; essendo però di norma necessario
l’inserimento di un getto di completamento fra le nervature dei singoli elementi (larghi 120
cm) e fra questi e le travi, tale soluzione trova una limitata diffusione.
Con l’utilizzo come elementi di copertura di pannelli nervati in c.a. e c.a.p. posti sulle travi
(figura 1.4), la trave è utilizzata per luci da 10 m a 15 m e con interassi indicativamente da
15 m a 30 m. La copertura viene completata solitamente con un getto di cls alleggerito per
ottenere le adeguate pendenze per lo scarico delle acque e da manti coibentati di vario tipo
(polistirene, poliuretano, lana di roccia ecc..) e guaine di impermeabilizzazione (guaine
bituminose).
La soluzione con voltine prevede elementi speciali per coperture in c.a. o c.a.p posti
sull’estradosso delle travi; la trave ad I è utilizzata per luci indicativamente da 10 m a 15 m
e con interassi indicativamente da 15 m a 30 m. Generalmente i tegoli con profili particolari,
detti alari, possono essere accostati per formare coperture del tutto cieche, distanziati e
alternati con elementi leggeri di completamento, quali lastre traslucide completati o con
pannelli sandwich o in lamiera. Gli elementi di copertura possono essere coibentati con
polistirolo e impermeabilizzate con membrane o guaine in stabilimento.
Figura 1.4. Capannone con copertura piana con pannelli nervati
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1.1.3 Capannoni con doppia orditura
Tale tipologia di strutture prefabbricate viene prevalentemente utilizzata per edifici
industriali monopiano con grandi maglie strutturali. Si utilizzano travi a bordi paralleli che
portano all’estradosso o tramite tasche laterali una struttura secondaria costituita da travi a
bordi paralleli o travi ad altezza variabile con all’estradosso degli elementi di
completamento. Le travi principali hanno luci da 15 a 25 m, l’interasse varia da 15 a 30 m .
Queste strutture possono essere completate con diversi sistemi di copertura.
L’utilizzo di arcarecci, solai in laterocemento, tegoli nervati o solai alveolari come
elementi di completamento (figura 1.5) ha il pregio di rendere indeformabile la copertura,
ma ha un peso proprio notevole e per questo risulta poco diffuso.
Le stesse caratteristiche si ripresentano anche nella soluzione che prevede l’utilizzo di
coppelle in cemento (figura 1.6), con la differenza che la superficie intradossale è curva.
Un interessante variazione della tipologia con elementi di solaio prevede l’allargamento a
2,5 m dell’ala inferiore della trave dell’orditura secondaria in modo tale da realizzare in
opera una superficie intradossale piana di indubbio significato formale ed alta funzionalità.
Figura 1.5. Capannone a doppia orditura con elementi di solaio
Figura 1.6. Capannone a doppia orditura con coppelle
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Una soluzione molto diffusa per questa tipologia di struttura è quella che utilizza come
elementi di copertura tegoli a doppia falda intervallati da coppelle in calcestruzzo, cieche o
in versione 'lux'. Il tegolo è utilizzato per luci indicativamente da 12 m a 24 m e con
interassi indicativamente da 2,4 m a 5 m e generalmente ha profili particolari (ad esempio a
T), mentre le travi sono ad I o ad H.
1.1.4 Copertura a tegolo/trave
Questa tipologia di strutture prefabbricate per edifici industriali monopiano risulta
abbastanza diffusa in pressoché tutte le epoche e regioni italiane.
Il tegolo è utilizzato per luci indicativamente da 10 m a 30 m e con interassi indicativamente
da 5 m a 12 m. Generalmente i tegoli di copertura hanno profili speciali (ad esempio a T, V)
e ogni elemento è collegato direttamente al pilastro. La copertura è rifinita con manti
impermeabilizzanti di vario tipo (guaine bituminose, fibrocemento).
La struttura a tegolo/trave può essere completata con una copertura nella quale ogni tegolo è
vincolato direttamente al pilastro e sull’estradosso dell’elemento portante di copertura si
possono avere elementi in c.a. o c.a.p., come elementi scatolari di piccolo spessore o voltine
(figura 1.7). La soluzione a solaio nervato invece prevede l’utilizzo di pannelli in c.a.
completati in opera con guaine bituminose o fibrocemento.
Figura 1.7. Capannone con copertura a tegoli con voltine
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1.1.5 Copertura a shed
Le coperture a shed prevedono la presenza di due falde di diversa pendenza concepite per
dare luce dall’alto alla costruzione (illuminazione zenitale, distribuita in maniera uniforme
negli ambienti): sono costituite da elementi triangolari monodimensionali che possono
essere autoportanti essendo sostenuti direttamente dalla struttura di elevazione verticale,
oppure da strutture orizzontali quali elementi porta-shed.
Sull’estradosso delle travi possono essere posizionati tegoli nervati ad estradosso ed
intradosso piano, pannelli alveolari e pannelli in laterocemento.
I capannoni industriali con copertura a shed si differenziano a seconda degli elementi che
consentono di ottenere la doppia pendenza: una prima tipologia prevede la presenza di travi
a ginocchio secondarie con pendenza di falda pari al 35% (figura 1.8) collegate alle travi
principali grazie a degli alloggiamenti laterali a tasca. Quest’ultime, realizzate in c.a.p. e
poggianti su pilastri con testata a forcella, sono utilizzate per luci fino a 20 m.
L’inconveniente principale delle travi a ginocchio è che esse risultano spingenti: per questo
motivo in zona sismica a volte si realizzano elementi con tiranti inferiori per eliminare la
spinta orizzontale. Per risolvere il problema della copertura spingente trovano utilizzo delle
travi inclinate in c.a.p. di altezza costante appoggiate su pilastri con imposte a dislivello. Le
travi hanno lunghezza variabile da m 12 a 16 ed interasse da 6 m a 15 m, mentre le falde
sono realizzate con pannelli in laterocemento, alveolari o tegoli nervati opportunamente
coibentati. Un ultima soluzione per i capannoni con copertura a shed prevede l’utilizzo di
travi principali di tipo Vierendeel o reticolari (figura 1.8): esse hanno solitamente una luce
di16-20 m ove si realizzano aperture finestrate; la falda inclinata è realizzata con elementi
nervati in cemento armato precompresso di lunghezza da 8 a 12m.
Figura 1.8. Orditura a shed con travi a ginocchio (sinistra) e con travi reticolari o tipo Vierendeel