Introduzione
L’utilizzo di materie plastiche è in continua crescita in tutto il mondo, e in tutti i campi della vita
moderna. A seconda della loro natura chimica esse vengono processate per creare materiali dalle
proprietà e caratteristiche più svariate: fibre, film, formati, oggetti rigidi, vetrosi o gommosi, che
abbinano delle ottime proprietà meccaniche ad un basso peso specifico.
La sempre maggiore produzione di plastiche ha inevitabilmente fatto sorgere in questi anni il
problema del loro smaltimento: trattandosi di materiali non bio degradabili, questi rimangono
chimicamente stabili per un periodo di tempo che va ben oltre al loro comune ciclo di utilizzo, e il
loro accumulo in discarica costituisce ormai una soluzione sempre meno sostenibile dal punto di
vista ambientale. I processi di riciclo e riutilizzo di plastiche costituiscono dunque un ambito di
ricerca e di applicazione fra i più interessanti della moderna ingegneria chimica.
Le alternative oggi industrialmente considerate per il trattamento di rifiuti plastici sono
sostanzialmente queste:
- Riciclo meccanico: prevede in sintesi la rifusione, previa separazione, dei polimeri che poi
possono essere riprocessati e lavorati per dare nuovi prodotti. In tutto questo bisogna
tenere conto che un polimero riestruso non ha più le stesse caratteristiche di quello
vergine, e questo fatto ne limita l’impiego in settori come quello alimentare.
- Recupero energetico: le plastiche hanno un potere calorifico estremamente elevato, in
quanto provengono essenzialmente da idrocarburi polimerizzati. Gli impianti di
termovalorizzazione sono ormai una realtà molto diffusa nei paesi industrializzati, e
permettono di produrre energia dalla combustione di plastiche.
- Riciclo chimico: si tratta del settore più in via di sviluppo, che prevede il trattamento dei
polimeri per riottenere i monomeri, che potranno essere ripolimerizzati ottenendo così del
materiale vergine, oppure idrocarburi da utilizzare come combustibili.
Il riciclo chimico può essere inserito nell’ottica di quello che viene chiamato feedstock recycling,
ovvero recupero della materia prima. I processi oggi conosciuti per il riciclo chimico di polimeri
prevedono dei trattamenti termici ad alta temperatura. Questi sono:
- Pirolisi: considera la decomposizione in atmosfera priva di ossigeno ad alta temperatura,
per ottenere una miscela di idrocarburi liquidi e gassosi, in particolare olefine.
- Idrogenazione: i materiali vengono fatti reagire con idrogeno, per scomporli in idrocarburi
liquidi.
2 Introduzione
- Gassificazione: in questo processo il polimero viene trasformato in CO, H2 e gas leggeri, per
reazione in atmosfera con un agente ossidante in percentuale sotto stechiometrica,
tipicamente aria o vapore.
Il lavoro di questa tesi è focalizzato su uno studio modellistico del processo di pirolisi di polietilene,
uno dei polimeri più diffusi.
Modellare un dato sistema di reazione significa innanzi tutto dare un’interpretazione fisica e
chimica di ciò che avviene al suo interno. Tale interpretazione non è mai omnicomprensiva, né
tanto meno dovrebbe esserlo: i fenomeni e le reazioni che vengono presi in considerazione
saranno solo quelli che hanno un impatto ingegneristicamente rilevante sul sistema che si vuole
descrivere. La valutazione e quindi la scelta dei fenomeni ‘importanti’ è forse l’aspetto più difficile
che deve affrontare lo studioso che si appresta ad iniziare un lavoro di modellazione. Il modello
fisico elaborato viene tradotto poi in un modello matematico, costituito da un insieme di
equazioni che risolte quantificano l’evoluzione del sistema in rapporto alle condizioni in cui esso si
trova.
Poiché la funzione di un modello è quella di rappresentare in modo corretto la realtà, la sua
formulazione è quasi sempre legata all’osservazione della realtà stessa, quantificata attraverso le
misure. La maggior parte dei modelli prevede quindi al suo interno dei parametri, ovvero dei valori
numerici costanti che vengono ‘adattati’ in modo che i risultati delle equazioni siano il più possibile
vicini alle evidenze sperimentali. Questo aspetto introduce l’importanza di misurare in modo
corretto e il più accurato possibile i dati.
In questo lavoro di tesi verranno toccate problematiche relative a tutti e tre le fasi di modellazione
citate, ovvero parte sperimentale, parte fisico-chimica e parte matematica.
Nel primo capitolo verrà affrontato il problema di validare alcuni dati sperimentali di pirolisi di
polietilene, per capire quanto possano essere correttamente utilizzati. Nel secondo capitolo si
entrerà in dettaglio nella chimica della depolimerizzazione delle poliolefine, e si vedrà in che modo
gli autori descrivono questo meccanismo, con diversi gradi di approssimazione e semplificazione.
Infine nel terzo capitolo saranno implementati matematicamente alcuni modelli, valutandone in
modo critico gli ambiti e i limiti di rappresentatività, e individuandone delle possibili modifiche o
aspetti di perfezionamento.
Capitolo 1
Analisi dei dati sperimentali
E’ essenziale, ogni qual volta ci si appresta ad effettuare un lavoro di modellazione di dati
sperimentali, verificarne prima di tutto la correttezza. Eventuali errori sistematici nelle misure
possono portare a conclusioni sbagliate nel caso si vogliano confrontare valori calcolati e valori
misurati, e ancora peggiori possono essere le conseguenze se tali dati sono presi come base per un
fitting, in quanto si rischia di ‘scaricare’ sui parametri del modello gli errori sistematici, invalidando
di fatto i risultati della regressione.
I dati vengono controllati utilizzando strumenti di verifica di consistenza, tipicamente i bilanci di
materia. Se la media dell’errore dei bilanci non è nulla, si ha la certezza che è presente almeno un
tipo di errore sistematico. L’individuazione di tali errori è possibile solo passando in rassegna le
diverse fasi della procedura sperimentale. In alcuni casi sarà possibile quantificare in modo più o
meno preciso l’entità degli errori, e al limite proporre una correzione dei dati.
La prima parte di questo lavoro di tesi è centrata proprio su questi aspetti. Prima di tutto
presentiamo brevemente i dati utilizzati.
1.1 Apparecchiature e procedura sperimentale
Le prove sperimentali a cui ci si riferirà in questo studio sono state effettuate da Anna Viel [1]
presso i laboratori del DIPIC dell’università di Padova. La pirolisi di polietilene viene condotta in
un’apparecchiatura a due stadi:
- Nel primo stadio, il campione di polimero, solido, è posto all’interno di un forno di pirolisi
in una quantità variabile fra 3 g e 7.5 g (a seconda della prova). Il forno viene inizialmente
riscaldato rapidamente (a 500°C/h) fino a 135°C, e mantenuto a tale temperatura per circa
mezz’ora. Questa fase serve sostanzialmente a fondere completamente il polietilene. In
seguito il reattore è riscaldato con una velocità costante di 300°C/h fino alla temperatura
finale, che a seconda della prova può variare da 410°C a 450°C. Un gas inerte (elio) viene
continuamente flussato all’interno dell’apparecchiatura ad una portata costante
4 Capitolo 1
(solitamente 350 ml/min); questo ha la doppia funzione di mantenere inerte l’atmosfera di
reazione, e di fungere da carrier per il gas di pirolisi che si libera dal processo di
degradazione del polimero fuso.
- Nel secondo stadio i gas di pirolisi, trasportati dall’elio in uscita dal primo forno, sono
inviati ad un secondo reattore, di forma tubolare di lunghezza 60 cm e diametro interno 7
mm, in cui la temperatura è mantenuta costante ad un valore di 800°C. Gli idrocarburi in
ingresso sono costituiti da una distribuzione di catene a basso peso molecolare. Questa
fase può essere sostanzialmente accomunata ad un processo di cracking: le molecole
idrocarburiche sono ulteriormente spezzate, e parzialmente deidrogenate. Si formano fra
gli altri i prodotti voluti, cioè olefine come etilene, propilene, butene. Il tempo di
permanenza dei gas in questo reattore è di circa 1.3 s (calcolato in base a portata e
temperatura dei gas). In uscita dal reattore i gas sono raffreddati rapidamente in un chiller
fino a temperatura ambiente; i prodotti condensabili (oli di basso peso molecolare)
vengono raccolti in un pallone sotto forma di fase liquida. Nel forno di pirolisi rimarranno
invece dei residui solidi carboniosi derivanti dalla plastica che non si è gasificata.
I gas in uscita dall’impianto passano attraverso dei filtri e sono poi inviati ad uno strumento di
analisi µGC (gas cromatografo), che lavora in linea prelevando ed analizzando in continuo dei
campioni di gas ad intervalli di 5 minuti. A fine prova vengono anche pesati gli oli depositati, e i
residui solidi rimasti nel crogiolo del primo reattore.
Riportiamo in fig. 1.1 uno schema dell’impianto utilizzato:
Figura 1.1: Schema dell'apparecchiatura sperimentale
Il polimero caricato è polietilene lineare a bassa densità (LLDPE), e in pochi casi ad alta densità
(HDPE). Il materiale è vergine.
Analisi dei dati sperimentali 5
La durata delle prove è di 320 minuti. Nei casi in cui la temperatura del forno di pirolisi è stata
mantenuta più bassa (410°C), la prova è stata protratta fino a 450 minuti per permettere di
arrivare alla conversione massima di polimero. In tutti i casi il tempo zero è assunto nel momento
in cui si comincia a scaldare il polimero fuso.
1.2 Misura ed elaborazione dei dati
Per ogni campionamento viene analizzata la composizione dei gas in uscita dal micro GC. Il
cromatogramma fornisce una serie di picchi, ognuno corrispondente ad una diversa specie
chimica, la cui area sottesa è proporzionale alla frazione volumetrica della specie stessa secondo
un fattore caratteristico di ciascun composto chimico. Dai valori numerici di integrazione si ottiene
dunque:
· per j 1, 2… NC 1.1
Dove xVij è la frazione volumetrica della specie i nel campione j, Aij è l’area del picco relativo alla
specie i nel campione j, e qi è il la costante di calibrazione della specie i, e NC è il numero di
campioni. La taratura dello strumento è stata effettuata prima delle prove, ottenendo per ogni
specie chimica misurata la relativa retta di calibrazione e il suo coefficiente angolare qi. Le specie
che sono state misurate sono tutti gli idrocarburi fino ai C4 (ovvero gli alifatici presenti allo stato
gassoso a temperatura ambiente), idrogeno, ossigeno e azoto e CO2 e H2O. Questi ultimi quattro
non dovrebbero essere teoricamente presenti in una miscela di gas di pirolisi. In realtà, come si
vedrà in seguito, in molti casi non si è riusciti a mantenere l’atmosfera di reazione in condizione
assolutamente inerte. E’ altrettanto importante sottolineare come non siano stati misurati i
composti aromatici come benzene e BTX.
La portata volumetrica totale di gas in uscita per ogni tempo j è stata calcolata come:
,
1 ∑
!"
per j 1, 2… NC 1.2
Dove è la portata volumetrica di elio alimentata, e NS è il numero totale di specie misurate. Si
noti che il termine al denominatore quantifica la frazione volumetrica di elio in uscita
dall’impianto.
La portata massiva della specie i al tempo j è stata calcolata come:
# ·
$%$,&
'
· () per i 1, 2…NS; j 1, 2… NC 1.3
Dove v è il volume molare di un gas ideale a temperatura e pressione ambiente, e MWi è il peso
molecolare della specie i. E’ possibile ottenere così i profili di portata delle singole specie nel
tempo. La figura 1.2 mostra l’esempio di una prova effettuata con campione iniziale di 5.4g di
6 Capitolo 1
polietilene, con temperatura finale di 450°C nel forno di pirolisi. Sono riportati i profili per le
quattro specie idrocarburiche più abbondanti, ovvero etilene, metano, etano, propilene e 1,3
butadiene.
Figura 1.2: Profili di portata dei principali gas di pirolisi
Si può notare come ci sia un massimo attorno ai 70 minuti, attorno a cui si ha la fuoriuscita della
gran parte dei gas di pirolisi.
E’ interessante ottenere le curve di portate cumulate nel tempo. Queste quantificano per ogni
tempo t la massa del gas i uscita fino a t. Matematicamente si ha:
(. /#010
2
3
1.4
L’integrale viene risolto utilizzando l’approssimazione numerica a trapezi, per cui si ottiene:
(
1
2
5#6 7#68"
6!"
· .6 .68" per j 1, 2… NC 1.5
Analisi dei dati sperimentali 7
In figura 1.3 si riportano le curve cumulate per etilene, etano, metano e propilene relative alla
stessa prova presa in considerazione precedentemente. I valori sono normalizzati rispetto alla
massa iniziale di polietilene caricata.
Figura 1.3: Profili di portate cumulate e normalizzate per tutti gli idrocarburi misurati
Queste curve sono sicuramente le più importanti, in quanto forniscono in ogni istante il valore di
conversione del polimero nella singola specie. Si può notare che al tempo finale le curve sono a
derivata nulla, ad indicare che si ha ragionevolmente raggiunto il massimo della conversione.
In questa trattazione non si entrerà nel dettaglio della parte sperimentale se non per gli aspetti
che hanno riguardato l’analisi dei dati. Per una più completa descrizione di tale parte si rimanda a
[1].
8 Capitolo 1
1.3 Bilanci di materia
1.3.1 Bilancio totale
Come detto in precedenza, il primo passo per una verifica dei dati sperimentali è la scrittura dei
bilanci di materia: in qualsiasi processo chimico, infatti, la massa totale si deve conservare. Nel
nostro caso, la massa iniziale di polimero caricato dovrà essere uguale alla somma delle masse di
tutti i gas e oli formati e dei residui solidi. Matematicamente si avrà:
(:3 5(,;
<
!"
7( = 7(=>? 1.6
Dove MPE0 è la massa iniziale di polietilene, MSOL è la massa finale di residui solidi, MLIQ è la massa
finale di residui liquidi, NS* è il numero di specie chimiche prodotte dalla reazione di pirolisi, e
Mi,NC si ottiene dalla (1.5) ponendo j = NC, ovvero integrando la portata di gas fino al tempo finale.
In poche parole il termine a sinistra della (1.6) indica la massa totale presente al tempo zero,
mentre il termine a sinistra quantifica la massa totale presente a fine esperimento. Si noti che in
ogni prova tutti i termini della (1.6) sono stati misurati,e in particolare:
- MPE0 è stato pesato ad inizio prova.
- MSOL viene misurato a fine prova tramite pesata differenziale del porta campione.
- MLIQ viene misurato a fine prova tramite pesate differenziali del pallone di raccolta degli oli
e dei filtri posti prima del µGC.
- Mi,NC vengono misurati tramite il micro gas cromatografo. Le misure di aree vengono
rielaborate tramite le (1.1, 1.2, 1.3 e 1.5).
Riportiamo in tabella 1.1 il bilancio di materia relativo alla prova a 5.4g di polietilene già presa in
esempio precedentemente:
Tabella 1.1: Massa totale di gas, liquidi e solidi iniziali e finali per una prova di pirolisi (tutte le quantità sono in grammi)
Gas Solidi Liquidi Totale
INIZIO - 5.400 - 5.400
FINE 4.256 0.120 0.031 4.407
mFIN/mPE0 78.81% 2.22% 0.57% 81.61%
Si può notare come ci sia un difetto nel bilancio di circa il 17% della massa finale. Si tratta di una
discrepanza piuttosto consistente che deve essere in qualche modo spiegata per riuscire a dare
validità a questi dati sperimentali.
L’errore, in difetto, nel bilancio si mantiene sempre nell’ordine del 20-25% per tutte le prove;
fanno eccezione alcune prove effettuate con un peso iniziale di polimero di 7.2g-7.5g e a
Analisi dei dati sperimentali 9
temperatura finale di pirolisi di 450°C. Riportiamo in tabella 1.2 il rapporto (massa finale)/(massa
iniziale) per diverse prove in funzione delle variabili operative modificate (ovvero peso di polimero
caricato, temperatura di pirolisi e tipo di polimero):
Tabella 1.2: Bilancio di materia totale per diverse prove sperimentali
Massa di polimero
(g)
Temperatura di pirolisi
(°C)
Polimero mFIN/mIN
3.0 450 LLDPE 76.62%
3.6 450 LLDPE 79.97%
5.4 450 LLDPE 81.61%
7.2 450 LLDPE 91.92%
7.5 450 LLDPE 106.92%
7.5 410 HDPE 75.59%
7.5 410 HDPE 77.92%
7.5 410 LLDPE 73.74%
In generale, a parte un caso, la massa finale misurata è sempre inferiore a quella iniziale.
1.3.2 Bilanci di specie atomiche
Un’indicazione più precisa su dove può essere concentrato l’errore di misura si può avere dai
bilanci di specie atomiche. In ogni processo chimico, infatti, la massa totale di ciascun elemento si
deve conservare. Vale dunque:
A5B · C
!"
D
>
A5B · C
!"
D
E>
FGH I 1,2…J 1.7
Dove αij è il numero di atomi della specie atomica j nella specie molecolare i, e ni è il numero di
moli della specie molecolare i. Può essere riscritto anche in termini massivi:
A5L · (
!"
D
>
A5L · (
!"
D
E>
FGH I 1,2…J 1.8
Dove Mi è la massa della specie molecolare i, e βij è la frazione massiva della specie atomica j nella
specie molecolare i, e si calcola come:
L
B · ()
∑ B · ()N!"
1.9