INTRODUZIONE
La presente tesi nasce a seguito di un radicato interesse e di una viva curiosità nel voler indagare in
merito all’attuale panorama economico, in correlazione con le molteplici e preoccupanti sfide che lo
affliggono e contraddistinguono. Un quadro eccessivamente complesso e fumoso che da tempo avrebbe
dovuto essere districato o, quantomeno, sottoposto ad una doviziosa disamina, al fine di individuarne
gli elementi salienti e procedere pertanto alla relativa risoluzione. Le problematiche che infestano lo
scenario dell’economia mondiale e che riescono ad esercitare in esso un nefasto effetto disarmonizzante
sono preminentemente: la povertà, potenzialmente considerabile come il comune denominatore, in tutte
le rispettive forme; la diseguaglianza, relativa ai vari ambiti, in particolare a quello socio-economico; la
disoccupazione; la scarsità e l’inadeguatezza dell’istruzione e dell’educazione; gli squilibri distributivi,
in special modo quelli reddituali; il Welfare, se raffrontato alle articolate dinamiche della globalizzazione;
l’aumento e l’invecchiamento demografico; le controversie ambientali che sono strettamente intrecciate
alla crescente insostenibilità; la disomogenea gestione del potere e il suo abuso; la forza del mercato
finanziario, le difficoltà nell’accedervi e nel regolamentarne la concorrenza; l’insufficienza del PIL
e l’abnorme debito pubblico; le guerre e i conflitti sempre controproducenti; i reiterati e difficilmente
prevedibili cambiamenti della produttività; le esorbitanti innovazioni tecnologiche; l’imperante ruolo
delle banche centrali; la corruzione pubblica e privata; la questione ascrivibile al business energetico;
l’eccessiva arretratezza e la grave incongruità delle politiche adottate. Ci si chiede, dunque, in che
modo si possano affrontare tali fenomeni, nel tentativo alquanto speranzoso di mitigarne la drammaticità,
contenendone i risvolti che sono quasi interamente patologici. Nel corso del medesimo elaborato vengono
trattate e approfondite delle tematiche già poste in discussione, ed altre nuove, indubbiamente meritevoli
di essere analizzate. Questioni parimenti funzionali per neutralizzare le perniciose conseguenze derivanti
da questo angusto mosaico multifattoriale. Partendo dalla rilevanza, dall’evoluzione e dall’efficacia
della Finanza Pubblica, soffermandosi sull’innovativa figura dell’imprenditore-innovatore sociale,
menzionando il protagonismo del Terzo settore e delle organizzazioni facentene parte, si giunge ad
ad una profonda presa di coscienza dell’intricata situazione odierna e delle modalità con le quali tali
problemi vengano frenati e dominati; sebbene sia davvero celere la loro progressione e particolarmente
difficoltosa la loro compressione. Molta enfasi viene conferita alle esperienze e agli avvenimenti pregressi
che hanno condotto alla genesi delle predette complessità, e altrettanto valore viene donato a tutto ciò che
possa presentarsi di utilità per garantirne l’eliminazione, favorendo quindi il ripristino e la permanenza
di un chiaro orizzonte governato dall’equilibrio, non meramente economico, ma comprensivo di una
pluralità di aspetti settoriali. È un dato di fatto che le perduranti battaglie contro la povertà estrema e
promotrici l’uguaglianza si siano soventemente trovate a tessersi temporalmente assieme ai continui
3
contenziosi, e a comportare l’emersione di ulteriori notevoli e pregiudicanti vicissitudini. In tale visione
l’economia ha inesorabilmente proseguito col suo sfarfallare e non ci sono stati rilevanti battute d’arresto
relativamente al suo oscillare; al contrario, sono stati esacerbati gli ostacoli preesistenti e alimentati altri
di nuova manifestazione. Vi è all’interno di questo lavoro la presenza di preziosi momenti di riflessione
e comparazione, anche per quanto attiene all’ingente apporto della politica macroeconomica Keynesiana:
altamente benefico per come sostengono parecchie voci, non propriamente secondo altre menti, le quali
hanno suggerito considerevoli e severe antitesi. Il progresso può, paradossalmente, inficiare sul benessere:
basta soffermarsi a riflettere sulle ripercussioni originatesi mediante il multidimensionale fenomeno della
globalizzazione e delle sue impetuose ondate che hanno stravolto ogni ordine, accompagnandosi ad una
ingravescente rivoluzione tecnologica, non di semplice direzione. Viene dunque proposta la possibilità
di interpretare differentemente l’innovazione e di non abbracciarne ingenuamente la rispettiva e presunta
natura fiorente, ma di valutare anche l’altra faccia di questa sorprendente medaglia. Il primo capitolo
mira a somministrare informazioni di carattere generale e non, sull’andamento e sulla gravità, nonché
dell’ipotetica fatalità, che le controversie mondiali attuali riescono a causare; con una nota evidenziale
in merito alla questione afferente alla nociva conduzione e abuso del potere, come pure della crisi
ecologica e delle conseguenze psicologiche nel lungo periodo. Il secondo capitolo avvalora parzialmente
i restanti due e ne apre un percorso di completamento, sottolineando la salienza del celebre sopracitato
economista britannico, spalancando più porte, per acquisire maggiore contezza. L’ultimo ha come
fine quello di allontanare le nubi che ottenebrano lo scenario globale attraverso pratiche soluzioni
vertenti sui rami principali di questo albero che, con le dovute precauzioni e misure, potrà permanere
rigoglioso. La parte finale dell’elaborato offre pertanto l’occasione di apprendere come si potrà dirimere
la sembrante astrusa situazione, invitando a scoprire tutti gli strumenti e le migliori strategie per un
appropriato e definitivo ripristino.
4
CAPITOLO 1
L’INCERTO FUTURO DELLE SOCIETÀ: MINACCE E DILEMMI IN UN
CONTESTO DI APPARENTE ABBONDANZA
1.1 Il crescente pericolo delle diseguaglianze e delle indigenze
Con il presentarsi ed il progredire del processo di liberalizzazione economica, manifestatosi negli
anni Ottanta, la diseguaglianza interna dei Paesi si è inevitabilmente accresciuta. Il timore relativo
alla distribuzione del reddito ha senz’altro scosso numerosi economisti classici, in particolare John
Stuart Mill, un ex Membro del Parlamento del Regno Unito. In realtà, la disciplina ha orientato il
proprio interesse maggiormente sugli aspetti afferenti alla crescita, e meno sulla ripartizione dei
benefici ottenibili. Tuttavia, l’operato del celebre economista Thomas Piketty, ha dimostrato il grave
livello di imprudenza emerso per aver prediletto proprio tale scelta. Bisogna pertanto domandarsi se
la diseguaglianza continuerà ad alimentarsi, in che modo potrà farlo, e se il suo continuo ingigantirsi
possa condurre ad un’insanabile compromissione del sistema vigente
1
.
Sin dalle sue origini, la questione relativa alla diseguaglianza, prevalentemente economica, ha comportato
diversi dibattiti e opinioni divergenti, specialmente tra politici ed economisti, come pure dell’opinione
pubblica. Vi è incontrovertibilmente una situazione nebulosa, la quale viene aggravata dall’interesse
personale. Il problema potrebbe essere enucleato considerando che «la ridistribuzione dei redditi
rappresenta, nel breve periodo, un gioco a somma zero, in cui i guadagni dei redditi minori equivalgono
alle perdite dei maggiori; ciò configura una difficoltà nel raggiungere un dirimente consenso sociale»
2
.
In tal senso è da rilevare un insegnamento storico che gioca un ruolo chiave per la comprensione
globale del fenomeno, ovvero che: «la lotta per l’eguaglianza, accompagnata a uno stato di povertà
estrema, sia sempre andata di pari passo, purtroppo, con conflitti molto violenti»
3
. La rivoluzione
Francese e quella Russa del 1917 ne sono esempi molto significativi. La prima, animata da principi
di libertà, uguaglianza e fraternità, fece sorgere periodi di terrore; l’altra, orientata ad estirpare la
divisione in classi sociali, degenerò tramutandosi in dittatura
4
. Il fatto che non solo gli studiosi, ma
anche la collettività in generale, si sia interessata alle dinamiche sinora trattate, dovrebbe far riflettere.
Difatti, ormai, i livelli di diseguaglianza registrati hanno raggiunto i massimi storici. Se nel 1820
sono stati acquisiti i primi dati di rilevanza, da quell’anno, fino ai tempi odierni, la marcata differenza
reddituale e l’impatto catastrofico delle due guerre mondiali, con l’aggiunta della crisi petrolifera
del 1973, hanno notevolmente amplificato questo quadro già instabile e preoccupante. David Ricardo e
1 https://eticaeconomia.it/
2 J. Rafecas, L’insostenibile prezzo della crescente diseguaglianza, RBA Italia, Barcellona, 2016, p. 7.
3 Ivi, p. 8.
4 https://www.differenzatra.it/
5
Karl marx elaborarono le prime teorie inerenti alla distribuzione, giungendo a conclusioni non poco
allarmistiche. Fu poi Simon Kuznets, intorno al 1953, a sollecitare la promozione della crescita economica,
come metodologia risolutiva, sedando il pessimismo delle posizioni classiche (Rafecas, 2016).
Apparentemente risolto il dilemma della diseguaglianza, il decennio degli anni Ottanta portò con sé
due fatti essenziali: la rivoluzione neoliberista, capeggiata da Ronald Reagan e Margaret Thatcher, e
la fine della Guerra Fredda. In questo periodo aumentarono gli studi sulla tematica, andando a modificare
lo scibile precedentemente acquisito, sbloccando nuove visioni e, consequenzialmente, innovative
interpretazioni sulla medesima
5
.
Alcuni credevano che «una più grande diseguaglianza avrebbe determinato una frenata della crescita
economica; mentre altri che avrebbe potuto, seppur paradossalmente, stimolarla e, se si avesse desiderato
maggiore equità, si sarebbe dovuto rinunciare ad un minimo di crescita»
6
.
Quello che è certo è che, i livelli registrati, oggi eccessivamente elevati, affondano le proprie radici
nella “Grande Divergenza”: un lungo processo avviato dalla Rivoluzione Industriale e dalla prima
globalizzazione economica. Contestualmente, durante il XIX secolo, la borghesia e i ceti popolari
diventarono antagonisti, e le previsioni fatte dai teorici si connotarono di tinte altamente fataliste
(Pomeranz, 2012).
Una realtà acclarata è che la Rivoluzione Industriale e l’ascesa della borghesia abbiano praticamente
spalancato le porte allo sviluppo economico, ricucendo però un certo spazio negativo alimentante i
divari preesistenti. Per questo Adam Smith, David Ricardo e altri, si sono prodigati nell’analizzare il
modus creandi della ricchezza, per poi focalizzarsi sulle modalità con le quali venisse distribuita
7
.
Per meglio definire la cornice dei fatti finora esposti è opportuno spiegare il concetto di PIL. Si
tratta di un indicatore economico fondamentale per determinare la ricchezza interna di un Paese in
termini di reddito
8
. Urge però una considerazione: «il PIL non è un indicatore di benessere ma di
crescita economica»
9
. Un misuratore che rileva il consumo, l’investimento, la spesa pubblica ed il
saldo commerciale; ma non somma nel computo fattori non monetari che incidono sullo stare bene.
Per converso, include un complesso di beni il cui consumo comporta in qualche misura malessere
(Mavilia, 2017). Interessante notare come il PIL non tenga conto neppure della salute delle famiglie,
della qualità dell’educazione, della giustizia e dell’equità. Più dettagliatamente: «non misura né la
nostra arguzia, né il nostro coraggio, né la nostra saggezza, né la nostra conoscenza e né la nostra
compassione. Misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta»
10
.
5 https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/
6 J. Rafecas, op. cit., p. 10.
7 https://www.treccani.it/
8 https://www.borsaitaliana.it/
9 R. Mavilia, Introduzione all’Economia della Società, Egea, Milano, 2017, p. 162.
10 Ivi, p. 163.
6
Ci si potrebbe conseguentemente domandare se tale indicatore possa essere sufficiente, malgrado
quanto asserito. La risposta non è semplice, ma c’è qualcos’altro di arguibile: «il Prodotto Interno
Lordo è la misura tradizionalmente utilizzata dagli economisti per calcolare la ricchezza di un Paese»
11
.
A partire da questa affermazione ci si domanderebbe se vi siano ulteriori strumenti utilizzabili
alternativamente e non per convenzione. Di sicuro il PIL non è il mezzo migliore, giacché posterga
del tutto la questione della distribuzione del reddito. Non ci sono ufficialmente indicatori sostitutivi
che possano assicurare risultati confacenti, tuttavia sono state rilasciate delle raccomandazioni
alquanto utili. Il benessere materiale avrebbe dovuto essere valutato al livello del nucleo familiare,
in rilevazione del reddito e del consumo e incentrandosi meno sulla produzione
12
. Ancora, avrebbe
dovuto concernere altri ambiti e non tipici del mercato: come attività e servizi in famiglia, la cura
degli ammalati e degli anziani. Evidenziando pertanto la multidimensionalità della misura del benessere
inglobante le condizioni economiche; così come l’educazione, la salute, l’ambiente, la sicurezza e le
reti sociali
13
. Sono state elargite direttive che si sono dimostrate funzionali, ma non risolutive. Le
Nazioni Unite hanno poi dato vita all’Indice di sviluppo umano (ISU): il medesimo «è costruito
sulla base di tre indicatori a livello nazionale: speranza di vita, grado di istruzione, media del PIL
pro capite»
14
. La sua formulazione è stata imprescindibile al fine di rendere noto come «là dove c’è
un progresso economico, c’è anche un miglioramento della condizione umana»
15
. Da sottoporre ad
una attenta analisi è anche la tesi che rileva come non ci sia concretamente chiarezza su quale debba
essere l’approccio alla nozione di benessere. Non sono poche le obiezioni mosse in ordine all’impossibilità
di condensare le utilità individuali in modo da ottenere una concezione comune dello stesso (Mavilia,
2017). Ad ogni buon conto, ritornando al concetto di disuguaglianza, «gli ultimi studi confermano
che iniziò a crescere dopo l’inizio della Rivoluzione Industriale in Inghilterra e si protrasse fin dopo la
seconda metà del XIX secolo»
16
. Ci furono numerosi cambiamenti in merito alla nascente scienza
economica sottoposta alle influenze di una disuguaglianza di portata superiore. Progressivamente si
introdusse una nuova ideologia politica, il liberismo; l’economia intesa come scienza sociale,
nientedimeno si formò in intima connessione al pensiero politico liberista
17
. Il liberismo si può
definire come un «sistema imperniato sulla libertà del mercato, in cui lo Stato si limita a garantire
con norme giuridiche la libertà economica e a provvedere soltanto ai bisogni della collettività che
non possono essere soddisfatti per iniziativa dei singoli»
18
.
11 L. Gagliardini, G. Palmerio, Relazioni internazionali, Mondadori Education, Milano, 2012, p. 392.
12 Ibidem.
13 https://eticaeconomia.it/
14 L. Gagliardini, G. Palmerio, op. cit., p. 393.
15 Ibidem.
16 J. Rafecas, op. cit., p. 19.
17 Ivi, pp. 24-25.
18 https://www.treccani.it/
7
Le guerre mondiali e la Grande Depressione allontanarono il liberalismo classico e promossero
l’intervento dello Stato insieme alle politiche di Keynes. Ebbe inizio l’età d’oro del capitalismo (1950-
1973), in cui il progresso economico e le politiche innovative delinearono un futuro con minori
diseguaglianze
19
. Per quanto riguarda il pensiero ed il ruolo dell’economista sopracitato, essendo
particolarmente emblematico, verrà approfondito nel corso della stesura di questo elaborato. La crisi
petrolifera degli anni Settanta diede, nonostante il ruolo di primo piano di Keynes, il colpo di grazia
alle politiche che propose. Si attivò una vasta reazione neoliberista, guidata da Ronald Reagan e
Margaret Thatcher. Il neoliberismo implicò uno squilibrio nella ripartizione del reddito, alimentando i
rischi della diseguaglianza. Il suo avanzare all’interno di ciascun Paese designa una sfida abnorme
per l’avvenire. Le soluzioni sono tangibili ma discutibili. Si pensa che l’adozione di conformi
politiche redistributive, l’ausilio di organismi di governance mondiale, l’eliminazione dei paradisi
fiscali, possano essere tutti elementi profondamente contributivi, ma non sufficienti in assenza di un
radicale mutamento di mentalità (Rafecas, 2016).
Gli economisti, nell’ambito dei differenti ruoli della loro professione, si distinguono, poiché suggeriscono
delle previsioni, con tutto il rischio che possano essere fallaci.
Piketty crede che «la logica interna del capitalismo fa sì che, se i rendimenti patrimoniali sono
superiori all’aumento del reddito, allora la diseguaglianza si accentua, e dato che la ricchezza è
sempre più concentrata del reddito, si verifica un doppio aumento della diseguaglianza»
20
.
Sicché, qualora non si verificasse nessun contraccolpo esterno, o un cambiamento nelle imposte sul
capitale a livello globale, il fenomeno continuerà ad accrescersi, diventando intrattabile. Associata
direttamente alla diseguaglianza è la povertà. La prima incide sul fatto che la seconda si possa
misurare in due modi. La povertà assoluta, che si riferisce al numero di persone che vivono in
condizioni di marcata indigenza. Mentre la relativa fa riferimento a coloro che posseggono entrate
molto contenute, inferiori al 40% del reddito medio di un Paese. Il tipo assoluto sarebbe eliminabile
con la crescita economica, la forma relativa ridistribuendo adeguatamente il reddito
21
. L’incremento
dell’indigenza estrema in società di abbondanza è una realtà che conserva talmente tanta importanza
da spingere a parlare di emergenza sociale; ancor di più in seguito alla Grande Recessione. Decisamente
necessario è parlare del ruolo del Welfare State, soprattutto quando si tenta di chiarificare concetti
di non facile trattabilità. Lo Stato assistenziale rappresenta un insieme di politiche pubbliche aventi
carattere previdenziale, intrecciate al meccanismo di modernizzazione, poste in essere affinché si
possa garantire alla cittadinanza un tenore di vita quantomeno dignitoso e la presenza di servizi e
prestazioni di prima necessità (Ferrera, 2019).
19 J. Rafecas, op. cit., p. 51.
20 Ivi, p. 132.
21 https://www.istat.it/it
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