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ne ostacolarono per un certo periodo la sua diffusione in varie nazioni
europee fino alla metà del XIX secolo. In seguito, invece, in Gran Bretagna
(1855), Francia (1867), Germania (1872) e altrove furono adottate
legislazioni favorevoli, e da allora la negoziazione di valori rappresentativi
di quote di comproprietà di società venne crescendo enormemente sino a
divenire, nei paesi europei ed extraeuropei, una delle forme più importanti
d'investimento del risparmio. La fine della guerra civile americana e le suc-
cessive iniziative in grande stile nel settore ferroviario e poi in quello
industriale avviarono la prestigiosa ascesa della borsa di New York, che
venne riorganizzata nel 1869. Da allora l'andamento della borsa divenne un
termometro essenziale dell'andamento delle varie economie: le principali
crisi economiche ebbero nella borsa il loro epicentro. La prima fu quella
del 1873, seguita dalla crisi del 1890 e quella del 1907. Ma la più famosa
della storia fu la crisi del “venerdì nero” del 1929. Un‟altra grande crisi si
registrò nell‟ottobre del 1987.
Dopo la seconda guerra mondiale l'importanza della borsa, come centro di
mobilitazione del risparmio verso le iniziative economiche, si è in qualche
misura ridimensionata in seguito al diffondersi di una più vasta gamma di
istituti finanziari che forniscono mezzi alle imprese e al generalizzarsi
stesso del possesso azionario (notevole soprattutto in paesi come gli USA).
Questo fenomeno ha favorito la nascita di forme d'impiego del risparmio in
azioni (fondi comuni di investimento), le quali inducono il rischio e
restringono i margini di manovra più vistosi della speculazione.
Fin dalla sua nascita,la borsa è stata vista dai suoi operatori come un modo
per fare grandi guadagni , per creare un business; oggi la borsa controlla
grandi capitali in tutto il mondo e fa sempre più parte della vita quotidiana.
Il 3 marzo 2007, Bob Parker di Credite Suisse notava che l'industria del
risparmio gestito, dai fondi comuni, ai prodotti strutturati, agli hedge fund,
ai fondi immobiliari, al private equity, derivati esotici ecc. ha raggiunto nel
mondo i 70.000 miliardi di dollari.
L‟industria del risparmio gestito vive di commissioni: sulle obbligazioni
prende uno 0.8% medio, sulle azioni tra l‟ 1.5% e il 2.0% medio e su tutto
il resto molto di più anche del 5%. I fondi immobiliari ad esempio sono
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carissimi, private equity e hedge funds prendono anche il 7% o 10% su
quello che ricevono da un investitore.
Fatta una media intorno al 2% dei costi totali di commissioni e fees varie,
su 70.000 miliardi gestiti: banche, fondi, hedge funds, private equity,
incassano 1.500 miliardi l'anno in tutto il mondo.
E' diventata il più grosso business del pianeta e quello che cresce più in
fretta di tutti.
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CAPITOLO I : “Le crisi finanziarie e l’irrazionalità
degli investitori”
Così con la nascita della Borsa si era diffusa la consapevolezza di poter
fare guadagni facili, tuttavia la storia presenta esempi illustri di grosse crisi
o bolle speculative: grandi follie degli investitori e grossi crolli di valore.
Quando si compra un titolo azionario o un qualsiasi strumento finanziario
c‟è qualcuno che lo sta vendendo; perché ci sia la formazione del prezzo è
necessario l‟incontro tra compratore e venditore. Se il mercato, nella sua
globalità, pensa che lo strumento finanziario sia destinato salire, buona
parte degli investitori che lo posseggono saranno restii a cederlo, se non a
un prezzo che incorpori un premio per la loro lungimiranza.
Man mano che i prezzi salgono molti investitori si accorgono dell‟interesse
del mercato e iniziano a comprare, alimentando il rialzo con nuovi acquisti
a prezzi sempre maggiori. Quando la domanda è sostenuta e forte, la
crescita dei corsi appare inarrestabile, vorticosa, e non parteciparvi crea
un‟ansia maggiore rispetto a chi detiene i titoli in portafoglio. L‟eccesso di
domanda accresce il prezzo dello strumento finanziario, non il suo valore,
anche se spesso le due cose vengono confuse anche dal mercato, fino alla
formazione di livelli di prezzo troppo distanti dal valore reale del bene. Ed
ecco che i prezzi crollano.
Così possiamo definire una bolla speculativa come una fase di mercato
nella quale si assiste ad un considerevole aumento ingiustificato dei prezzi
a causa di una crescita repentina della domanda. La corsa all‟acquisto
scatta perché si formano “greggi” di investitori convinti che un nuovo
prodtotto, una nuova tecnologia o una nuova società, potranno
rivoluzionare il proprio settore, offrendo cospicui guadagni con crescite
senza precedenti. La domanda diviene, così, emotiva piuttosto che
razionale e l‟aspettativa cresce autoalimentandosi con il proprio rialzo. Il
prezzo si discosta dal valore e incorpora un “premio aspettativa” enorme.
Quando il mercato inizia ad accorgersene, la discesa è repentina e violenta,
e coglie inaspettati gli investitori; le cause sono presto riconoscibili: i
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prezzi aumentano sempre più ed è difficile trovare nuovi investitori
disposti a comprare a un prezzo così elevato. Chi ha comprato all‟inizio del
rialzo è spinto a vendere per monetizzare il guadagno, soprattutto quando
vede rallentare la crescita. Le ottimistiche prospettive di guadagno
precedentemente formulate, possono essere riviste e ridimensionate.
Ecco alcuni esempi di crolli storici e di bolle speculative.
IL CROLLO IN OLANDA DEL 1636
La prima grande bolla speculativa della storia fu nei Paesi Bassi, ciò che la
rende così interessante è che l‟oggetto dell‟interesse collettivo era un fiore,
il tulipano, un articolo al quanto insolito.
I tulipani arrivarono in Olanda nel 1562, con
un carico giunto da Costantinopoli.
L‟interesse per questo fiore dalle diverse
colorazioni (ne esistono circa 160) divenne
una vera e propria mania che negli anni si
trasformò in una smodata e insensata ricerca
degli esemplari più “rari”. Maturò l‟idea che
tali fiori fossero pregiati, e qualcuno
cominciò a suggerirne l‟acquisto in un‟ottica
speculativa, considerato che il prezzo andava
aumentando col tempo (un po‟ come avviene
per i metalli preziosi o gli oggetti d‟arte).
Chrispijn Munting, cronista della Gazzetta di Harlem (Amsterdam), così
raccontava un fatto al quale aveva assistito:
"Oggi un contadino ha acquistato un singolo bulbo del raro tulipano
chiamato Vicerè, pagando per esso: otto maiali, quattro buoi, dodici
pecore, due carichi di grano, quattro carichi di segale, due botti di vino,
quattro barili di birra, due barilotti di burro, mille libbre di formaggio, un
letto completo di accessori, un calice d'argento e un vestito, per un valore
totale di 2.500 fiorini".
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Pian piano il prezzo stesso divenne l‟oggetto dell‟attenzione comune e
sempre più persone cominciarono ad acquistare bulbi per poterli rivendere
di lì a poco, realizzando cospicui guadagni. Pare che gran parte della
speculazione fosse dovuta a delle vere e proprie opzioni sui tulipani: i
commercianti compravano i diritti di aumentare le loro giacenze a un
prezzo prefissato e i coltivatori, per proteggersi da cadute dei prezzi,
pagavano per assicurarsi di poter vendere alla controparte a un certo
prezzo. Nel 1636 il mercato dei tulipani, aveva aperto empori anche nelle
Borse di diverse città e l‟entusiasmo era quello che di solito caratterizza i
giochi d‟azzardo, con moltissime persone che effettuavano scommesse
sull‟aumento o la diminuzione delle scorte di bulbi, un po‟ come avviene
per i contratti futures oggi.
La gente era convinta che quella passione generale per i tulipani sarebbe
durata in eterno e che da tutto il mondo sarebbero fioccati ordini di persone
abbienti per le quali nessun prezzo sarebbe stato troppo alto. E fu così: il
denaro arrivava sul serio da tutti i paesi. Intere proprietà venivano liquidate
per comprare bulbi e, di fatto, questo costituì la leva finanziaria per
contrarre sostanziosi mutui. Anche nelle città più piccole, in cui non era
presente una Borsa, venivano allestiti empori e organizzati “sontuosi
ricevimenti” a cui gente d‟ogni estrazione sociale partecipava per
negoziare la preziosa merce. Tutta l‟economia olandese fu trasportata da
questo fenomeno, ed anche i prezzi degli altri beni, come quelli di prima
necessità, aumentarono gradualmente. All'inizio le vendite dei bulbi
avvenivano dalla fine di giugno, quando si dissotterravano, fino a
settembre, mese in cui si ripiantavano. In seguito ebbero luogo tutto l'anno
con l'impegno di consegnare i bulbi in estate. Si finì così per commerciare
"tulipani di carta", vale a dire solo gli atti di acquisto, secondo il ben noto e
rischioso gioco di Borsa. Le frodi, poi, erano all'ordine del giorno in
quanto non si poteva certo stabilire dall'aspetto del bulbo se il tulipano
sarebbe stato quello della qualità e specie dichiarati dal venditore.
Nel settembre del 1636 i prezzi iniziarono a salire vertiginosamente.
L‟andamento rialzista proseguì nei mesi di novembre, dicembre e gennaio
raggiungendo valori esorbitanti. Il crollo arrivò nel febbraio del 1637. Dire
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quale fu la causa che invertì la tendenza rimane impossibile, resta il fatto
che qualcuno cominciò a sbarazzarsi dei bulbi di tulipano, scuotendo le
certezze degli altri operatori, i quali di lì a poco furono preda della nevrosi
e del panico e diedero inizio a forsennate vendite che trascinarono i prezzi
ai minimi. La folle corsa verso il rialzo si era dunque arrestata nell'arco di
pochi giorni. Nel breve volgere di sei settimane i prezzi crollarono del
90%: utilizzando valori monetari attuali, è come aver pagato 50.000 euro
un singolo bulbo e vedere ridursi il suo valore a un solo euro nel giro di
pochi giorni. Come tutte le febbri altissime, anche questa scese di colpo
lasciando l'Olanda prostrata: la gente si stancò dei fiori che costavano più
dei diamanti.
Il 24 febbraio del 1637 si riunì
ad Amsterdam un'assemblea di
delegati delle principali città
olandesi per discutere il da
farsi. I giudici, in modo
unanime, si rifiutarono di
riconoscere la validità dei
contratti di compravendita di
tulipani stipulati prima del
novembre del 1636,
considerandoli alla stregua del
gioco d'azzardo: in pratica
questi debiti non erano esigibili
per legge. Nessuno onorò più i
contratti e intere fortune sfumarono all'istante. Per molti fu la rovina.
La febbre dei tulipani olandesi fu seguita da una depressione dalla quale fu
possibile uscire solo molti anni più tardi.
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LA SOUTH SEA COMPANY
Il caso della “compagnia dei mari del sud” si colloca poco prima della pace
di Utrecht che sancì la fine della guerra di successione spagnola. A causa
della guerra il debito pubblico inglese si era fatto nel corso degli anni
progressivamente più ingente, fino a raggiungere cifre astronomiche. Tale
compagnia venne fondata
nel 1711 da Robert Harley
(conte di Oxford), proprio
con lo scopo di rilevare
l‟ingente debito pubblico in
cambio di interesse e del
monopolio dei commerci
con le colonie spagnole nel
Sud America. La compagnia
assunse così su di sé gran
parte del debito pubblico, lo
stato pagava un interesse del
6% e concedeva il diritto di
emettere azioni da collocare
presso gli investitori e di
avere l‟esclusiva del
commercio e del traffico con
l‟America.
In questo periodo storico, le
persone avevano grandi
aspettative verso le colonie, questo nuovo mondo pieno di ricchezze, una
zona vergine dove arricchirsi; l‟idea stimolò gli investitori che vedevano la
possibilità di fare enormi profitti; così ogni emissione di azioni fu un
completo successo. Le azioni vennero a costare cifre sempre maggiori
senza che ci fossero profitti reali in grado da giustificare tale incremento
dei prezzi. Si riponeva nella società fiducia illimitata.