7
impronunciabili»
2
, diviene emblema della Germania orgogliosa ma distrutta
dagli eventi bellici. Non è un caso, infatti, che questi film portino nel titolo
il nome di una donna.
Dunque, un curioso e intricato gioco di riflessi tra cinema, storia e
passioni, che è innanzitutto filo conduttore ed essenza sovrastrutturale della
nostra analisi.
2
Mario Sesti, Fisica delle Passioni. Introduzione al cinema di Fassbinder, Scuola di tecniche
dello spettacolo di Claretta R. Carotenuto, 1984, p. 70.
8
LA VITA: FASSBINDER ENFANT TERRIBLE DEL CINEMA
TEDESCO
Quasi tutte le monografie e i testi che si accingono a parlare di questo
grande regista iniziano con una premessa: selezionare e organizzare dati e
concetti intorno a Rainer Werner Fassbinder non è facile.
Bisogna infatti fare i conti con una mole notevole di informazioni
riguardanti un personaggio estremamente versatile che non ha una
predilezione per un unico canale referenziale e utilizza indiscriminatamente
cinema, televisione e teatro.
Un autore difficilmente ascrivibile ad una specifica corrente o ad un dato
contesto ideologico e culturale; universalmente riconosciuto come uno dei
maggiori esponenti del Nuovo Cinema Tedesco, ma all’interno di esso,
sicuramente una delle personalità più originali, ambigue e spesso
contradditorie.
A nostro giudizio interessante e degno di attenzione risulta il ritratto che
ne fa Mario Sesti, sottolineando come di Fassbinder spesso si abbia una
conoscenza stereotipata e come poco si sia detto riguardo certi aspetti della
sua vita e talune sfumature della sua opera che solo un’analisi attenta e
profonda rivela
3
.
Rainer Werner Fassbinder nasce il 31 maggio 1945 a Bad Wörishofen in
Baviera da famiglia benestante. Il padre Helmut esercita la professione di
medico, mentre la madre, Liselotte, traduce le opere di Truman Capote. Nel
3
«molti sanno che era il regista tedesco più prolifico del dopoguerra, pochi sanno che è stato
accusato di revivescienze antisemite. Quasi tutti coloro che si imbattono casualmente o meno nei
suoi film, sanno della sua omosessualità, molti di meno che l’omosessualità nei suoi film è una
forma di dominio e contempla esigue liberazioni rispetto all’eterosessualità. Tutti o quasi sapevano
delle sue ambizioni di storico della Germania, ma quasi nessuno sa che quando Fassbinder si
accingeva a rappresentazioni della storia lo faceva sempre con l’intento inconfessabile di
rappresentare la dinamica di ogni storia possibile ad ogni latitudine essa si potesse svolgere».
Mario Sesti, Fisica delle Passioni. Introduzione al cinema di Fassbinder, Scuola di tecniche dello
spettacolo di Claretta R. Carotenuto, 1984, p.11-12.
9
1951 i genitori divorziano e sembra che la loro separazione abbia influito
notevolmente nella vita del regista
4
.
Si ritiene che il merito per l’iniziale interesse di Rainer nei confronti del
mondo della celluloide sia da attribuire proprio alla madre, che, affinchè
non intralciasse il suo lavoro di traduttrice, lo mandava al cinema. Tra
l’altro la madre stessa apparirà successivamente in numerosi film con gli
pseudonimi di Lilo Pempeit e Liselotte Eder. Dapprima frequenta la liberale
Rufolf Steiner Schule, poi il ginnasio di Augsburg, ma già da allora è
alunno inconstante, inquieto e con grossi problemi disciplinari, anche
perchè invece di studiare trascorre la maggior parte delle sue giornate a
vedere film di ogni tipo. Nel 1964 lascia la scuola, trascorre un periodo con
il padre a Colonia e comincia a lavorare come archivista presso la
Siiddeutsche Zeitung. Nel 1965, escluso dalla scuola superiore di cinema di
Berlino, inzia a frequentare la scuola d’arte drammatica Fridl Leonhard
Studio a Monaco, dove incontra per la prima volta Hanna Schygulla.
Il suo esordio come giovane regista avviene con due cortometraggi: Der
stadreicher (Il vagabondo) nel 1965 e Das kleine Chaos (Il piccolo caos)
un anno dopo.
Si tratta di due filmati, entrambi della durata di dieci minuti, dove, sullo
sfondo di un grigio cielo autunnale in una Monaco malinconicamente
oppressiva, si muovono quei ladruncoli di quartiere che ritroveremo spesso
e volentieri nel film dell’Antiteater
5
.
Nel 1967 entra a far parte del gruppo dell’ Action-Theater, ottenendo il
suo primo ruolo, Thiresias in Antigone. Si occupa di regia e adattamenti e
scrive un dramma (Katzelmacher, Il fabbricante di gattini) messo in scena
nel 1968.
Nella calda primavera di quell’anno l’Action-Theater viene chiuso dalla
polizia per “attività illegali” e dieci componenti del vecchio gruppo, tra cui
Rainer, Hanna Schygulla, Peer Raben e Kurt Raab creano una nuova
4
«Dalla separazione dei genitori egli ha derivato anche l’ossessione per la figura paterna che,
secondo esplicite ammissioni, ha condizionato sia la sua esistenza che il suo lavoro artistico» D.
Ferrario, Rainer Werner Fassbinder, Il Castoro, Milano, 1993, p. 13.
5
«Ma a quel tempo qualsiasi idiota faceva film, dirà lo stesso Fassbinder dieci anni più tardi» D.
Ferrario, Rainer Werner Fassbinder, Il Castoro, Milano, 1993, p. 13.
10
compagnia, l'Antiteater, la cui prima rappresentazione “Mockinpott”, ha
luogo in luglio. Qui conosce l’attrice Ingrid Caven, che sposerà nel 1971 e
da cui divorzierà dopo neanche un anno.
Rainer diviene ben presto la mente del gruppo, occupandosi anche di
drammaturgia; scrive testi e adatta classici (fra cui anche “Il caffè” di
Goldoni), dirige, produce, scrive, in pieno fermento creativo. Il suo primo
lungometraggio, dal titolo “Liebe ist Kalter als der Tod” (L’amore è più
freddo della morte), risale all’aprile del 1969 e fu presentato al festival di
Berlino. I dieci film prodotti durante il periodo dell’Antiteater, da Liebe ist
Kalter als der Tod a Pionere in Ingolstadt, sembrano formare un unico
blocco autonomo, dato che spesso la storia e gli avvenimenti di uno si
riversano nell’altro, in un abile gioco manieristico di rimandi e specchi.
Un discorso a parte meriterebbe l’analisi del rapporto tra Fassbinder e i
suoi colleghi dell’Antiteater e sulle analogie e differenze fra la sua attività
teatrale e la sua produzione cinematografica.
Se lo chiede il critico tedesco Peter Iden, che tra l’altro ha avuto la
fortuna di assistere alle rappresentazioni dell’Antiteater: «...Cosa
distingueva Fassbinder e i metodi del suo gruppo? Una grande spontaneità
nella recitazione, la tendenza a spiegare la scelta dei soggetti come
arbitraria, l’importanza di fattori casuali e irrazionali nello sviluppo della
messa in scena, ma anche uno stile veementemente appassionato e una
sottile, quasi trascurata, vena di aggressività»
6
.
L’Antiteater fu un vero e proprio collettivo, terreno fecondo per le
sperimentazioni e provocazioni giovanili di Rainer e compagni, un gruppo
discusso ma che riuscì anche ad acquisire un certo credito presso i critici,
tale da permettere al giovane regista di approfittare dei meccanismi di
finanziamento statale tedesco e trovare nella televisione un canale di
trasmissione produttivo. Nel 1970 Fassbinder è tra i fondatori della
compagnia di distribuzione indipendente Filmverlag der Autoren di
6
Peter Iden, Der Eindruck-Macher. Rainer Werner Fassbinder und das Theater in Rainer Werner
Fassbinder, München, Carl Hanser Verlag, 1976.
11
Monaco, la quale avrà un ruolo centrale nello sviluppo del Nuovo Cinema
Tedesco; gira inoltre Rio das Mortes, Whity e Der amerikanische soldat.
Attenzione alla puttana santa e Pionieri a Ingolstadt sono del 1971, anno
in cui Fassbinder conosce a Lugano il regista danese Douglas Sirk, da cui
imparerà ad apprezzare la forma del melodramma come efficace strumento
d’ analisi del mondo piccolo e medio borghese
7
.
Nello stesso anno fonda la casa di produzione Tango Film, il cui primo
film prodotto è Il mercante delle quattro stagioni. Nei tre anni successivi
gira capolavori quali Le lacrime amare di Petra Von Kant, La paura
mangia l’anima, Martha e Effi Briest, che batte i record di incassi in
Germania; assume la direzione del Theater am Turm di Francoforte, che
dirige assieme ad un gruppo di ex-membri dell’Antiteater, esperienza che
però non dura a lungo a causa di disaccordi interni, aggravati dal tentativo
di rappresentare Der Müll, die Stadt und der Tod (I rifiuti, la città e la
morte), un dramma scritto da Fassbinder e accusato di antisemitismo ancor
prima di essere messo in scena, e per questo mai rappresentato.
Risale al 1975 la fondazione della casa di produzione Albatros
Produktion, destinata alle coproduzioni, nello stesso anno la proiezione al
Festival di Berlino di Mutter Küsters’Fahrt zum Himmel (Il viaggio in cielo
di mamma Küsters) deve essere interrotta per le proteste del pubblico.
Non a caso gli anni 1976-77 vengono definiti “Esperimenti”da Ferrario
nella sua monografia sul regista tedesco
8
; infatti è questo il periodo in cui
Fasssbinder produce i suoi film più eccentrici, da Ich will doch nur, dass Ihr
mich liebt (Voglio solo che voi mi amiate), destinato alla televisione e
considerato più un reportage giornalistico che un film vero e proprio, a
Despair, il film che consacra il regista sulla scena dell’art-film
internazionale. Nel 1978 gira Il matrimonio di Maria Braun e partecipa al
film collettivo Germania in autunno.
7
«Io direi che Sirk mi ha incoraggiato a fare film efficaci per il pubblico. Dapprima credevo che
per lavorare seriamente si dovesse rifiutare proprio questa drammaturgia hollywoodiana». Mario
Sesti, Fisica delle Passioni. Introduzione al cinema di Fassbinder, Scuola di tecniche dello
spettacolo di Claretta R. Carotenuto, 1984, p. 60.
8
D. Ferrario, Rainer Werner Fassbinder, Il Castoro, Milano 1993, p 64.
12
Armin Meier, amante del regista, si suicida. Un anno con tredici lune,
dedicato a Meier, appare come uno dei suoi film più personali, ed è stato
definito come «una meditazione sulla legittimità del suicidio»
9
.
L’anno successivo inzia le riprese del grande sceneggiato televisivo
Berlin Alexanderplatz, che verrà trasmesso nel 1980 dalla televisione
tedesca, successivamente escono Lili Marlen, Lola e Theater in trance, un
documentario sui principali gruppi dell’avanguardia teatrale europea.
Il 1982 è allo stesso tempo l’anno della consacrazione e l’anno della fine:
vince il Festival di Berlino con Veronika Voss, ma il 10 giugno viene
trovato morto nella sua casa di Monaco, a causa di un’overdose di droga.
Il suo testamento spirituale, Querelle, tratto dall’omonimo romanzo di
Jean Genet, esce postumo e tra aspre polemiche e applausi (a causa del
tema e di alcune sequenze audaci) viene proiettato al Festival del Cinema di
Venezia nel 1982.
9
Ibidem, p. 65.
13
LA DENUNCIA: CONTRO PARANOIE E TABÚ DELLA SOCIETÁ
BORGHESE
«Nella mia vita ho sempre cercato contatti con i sottoprivilegiati, piuttosto
che i proletari. Questo perchè ho riconosciuto che i problemi della borghe-
sia e della piccola borghesia sono molto meno importanti storicamente che
quelli del proletariato. Quando penso a me stesso, è diverso, viste le mie
origini. Ma c’è un momento in cui si salta oltre la propria ombra. Si tratta
di fare una scelta»
10
.
È significativo che Fassbinder, quando parla di proletari, preferisca
definirli «sotto-privilegiati». Il regista si propone di raccontare la storia dal
punto di vista dei dominati, degli emarginati, di coloro che sono diversi e
svantaggiati più a causa della mancanza di possesso di beni «simbolici»
(come il linguaggio, l’istruzione, la cultura), che di beni materiali
11
. Si tratta
quindi di individui culturalmente sfavoriti, spesso e volentieri schiacciati
dagli alienanti rapporti di dominio e di subordinazione che la società
inevitabilemente crea.
Quando egli ha già realizzato i primi cortometraggi e comincia ad
accostarsi a tematiche più profonde, la situazione economica e sociale della
Germania non potrebbe essere più rosea: le industrie sono in notevole
ripresa, la grande borghesia tedesca investe in azioni e buoni del tesoro e
mentre la ferita della sconfitta brucia sempre meno, speculazione edilizia e
corruzione divengono assi portanti di quel processo di ricostruzione del
Paese iniziato a metà degli anni Cinquanta e destinato a perdurare fino alle
fine degli anni Settanta
12
. Rainer e la generazione di registi a lui coetanei,
quasi tutti legati al movimento del Nuovo Cinema Tedesco, sono
istintivamente consapevoli di ciò e, lamentando la totale mancanza di spazi
“di pensiero alternativo”, diventano inevitabilmente i protagonisti di una
10
Estratto di un’ intervista rilasciata da Fassbinder, Jacques Grant, Entretien avec R.
W.Fassbinder, in Cinèma 74, n. 193, dicembre 1974.
11
Daniel Sauvaget, Rapporti di dominio, melodramma e straniamento in Circuito Cinema: Werner
Rainer Fassbinder, a cura di Giuseppe Ghigi, Venezia, 1981.
12
Paolo Vernaglione, Rainer Werner Fassbinder, Gremese editore, Roma, 1999.
14
critica radicale al modello capitalista degli anni Cinquanta, che a loro parere
è la causa principale del disastro della cultura nell’epoca di Adenauer
13
.
Questo atteggiamento, già delineatosi al tempo del collettivo
dell’Antiteater, diviene ancora più esplicito nei cosiddetti gangster film,
dove - attraverso l’immissione della soggettività nel materiale filmico -
prende forma l’ipotesi di trasformazione radicale della vita a partire dalla
libera espressione della creatività individuale come condizione di un ritorno
alle origini della storia. I film di Fassbinder si inseriscono appieno in questa
crisi radicale della società, secondo due direttrici: da una parte ci mostrano
un passaggio epocale, cioè il disgregarsi dei modelli sociali in Europa
secondo un capitale della macchina e del petrolio; dall’altra il sorgere di un
benessere ampiamente diffuso fra larghe fasce della popolazione
14
.
Tale cambiamento significa anche sviluppo di nuove soggettività e gli
autori del Nuovo Cinema Tedesco - in primis Fassbinder - non hanno fatto
altro che analizzare e portare alle estreme conseguenze il discorso che tali
soggetti producono. Dai primi cortometraggi fino a Querelle, assistiamo
alla messa in scena dei rapporti sociali che sono soprattutto rapporti
d’amore e rapporti economici, tra necessità materiali e paure inconscie.
Infatti le teorie e i concetti che definiscono in maniera univoca i rapporti
di classe sembrano scomparire alla fine degli anni Settanta e i suoi film
narrano proprio di tale riorganizzazione del sociale e dei nuovi meccanismi
spesso perversi che si creano nelle relazioni fra gli uomini
15
.
Dunque, trionfo della piccola e media borghesia tedesca dal dopoguerra
agli anni Ottanta, progressiva finanziarizzazione della società, xenofobia e
13
«...penso che in Germania si stia tornando indietro...e questo dimostra anche che nel 1945,
quando è finita la guerra e il Terzo Reich, non sono state sfruttate tutte le possibilità che la
Germania aveva per trasformarsi radicalmente. L’ho anche scritto a suo tempo nella Zeit: che alla
fin fine, le strutture e i valori su cui si basa lo Stato, l’odierna democrazia, sono rimasti
fondamentalmente gli stessi di prima. A ciò si aggiunga che stiamo passando una fase di
involuzione verso un tipo di Stato in cui non vorrei affatto vivere...» “Per un nuovo disordine
creativo”, intervista a cura di Peter W. Jansen in Tutti i film di Fassbinder, a cura di Enrico
Magrelli e Giovanni Spagnoletti, Ubulibri, 1989.
14
Paolo Vernaglione, op.cit., p. 99.
15
«Mentre l’intera realtà mutava rinchiudendosi, Fassbinder accumulava e produceva materia
scottante e non gestibile e lo faceva lavorando sul rimosso, su ciò che nessuno voleva e vuole
vedere e di cui non vuol sentir parlare. Il rimosso al lavoro potrebbe essere il processo con cui
identificare questo cinema e questo lavoro si riferiva tanto alla condotta degli individui tra loro,
quanto a quella della società ed a quella della storia generale. Paolo Vernaglione, op.cit., p 43.
15
instaurazione di un meccanismo di repressione del dissenso sono i più
scottanti fra i temi che il regista indirettamente tratta.
Davide Ferrario, parlando di borghesia e proletariato in Fassbinder,
sottolinea però come in tutti i suoi personaggi emerga l’incapacità di
formulare i termini di una rivolta, di un riscatto qualsiasi nei confronti della
società
16
. Paolo Vernaglione, invece, vede in questa debolezza l’aspetto
rivoluzionario e l’elemento vitale degli eroi fassbinderiani. “Chi ama di
meno ha più potere”, e non rimane solo un perdente e una vittima di un
gioco al massacro imposto dal sociale, ma trionfa invece curiosamente nelle
proprie debolezze e di solito in maniera inconsapevole
17
.
Debolezza, dunque, ma anche incoscienza: i personaggi fassbinderiani si
trattengono dal fare ciò che tutto il mondo intorno a loro fa impunemente e,
vittime di tale situazione, scelgono consapevolemente di fingere
irresponsabilità nelle proprie azioni.
E infine, terza chiave per comprendere appieno il discorso sociale nel
suo cinema, umiliazione: Fassbinder ha infatti una capacità innata di
rendere umilianti gli atti di chi umilia. Questo particolare sovvertimento
della storia, cosi come miete vittime nella classe degli sfruttati e degli
emarginati, altrettanto fa - e forse in misura maggiore - in quella degli
sfruttatori, sebbene in maniera diversa
18
.
E non è un caso che “il perdente” - umilato o umiliatore che sia, vittima
o carnefice - abbia di solito in sé un carattere anti-istuzionale ed anarchico,
ed è proprio questo aspetto che lo rende vero ed in qualche modo estraneo
ai giochi di potere di una società inevitabilmente in crisi.
16
Davide Ferrario, op.cit., p 99.
17
«...quando Maria Braun decide il suo destino di solitudine, a prescindere dalla guerra, compie un
atto vitale che la risarcisce di tutto il male del passato di cui è stata vittima. Veronika Voss, quando
tenta di resuscitarsi come attrice e cerca l’amore del cronista Robert Khron spera che le sue
condizioni di debilitazione psicofisica si affievoliscano e così rilancia la sua vita oltre la camera
bianca in cui è confinata; Frank Biberkopf in Berlin Alexanderplatz cerca ad ogni azione il
riscatto e arriva quasi a toccarlo con mano, prima di deperire psichicamente». Paolo Vernaglione,
op.cit., p. 44.
18
«Cosa vincono infatti i vincitori materiali nei suoi film? La loro umiliazione, che si mostra a noi
spettatori e che ritorna su di loro sotto forma di abbandono. I vincenti nella società hanno intorno
terra bruciata, non tanto per i loro atti quanto per la vendetta che proviene dalla storia sulla loro
vita, vendetta che consiste nel farli perdurare in una condizione di solitudine e di innalzare invece
progressivamente da essa chi dal reale e dal sociale ha subito uno scacco. Petra von Kant è un
esempio di tale dinamica». Paolo Vernaglione, op.cit., p. 45.
16
IL NUOVO CINEMA TEDESCO TRA POETICA E
PRODUTTIVITÁ
«C’era una volta il Manifesto di Oberhausen e c’era una volta il Nuovo Cinema
tedesco con i suoi geniali interpreti e i suoi capolavori. A trentaquattro anni
dalla fondazione della cooperativa Filmverlag der Autoren, voluta da tredici
registi, fra i quali Wenders e Fassbinder, il cinema tedesco è sempre più orfano
dei suoi eccentrici cineasti che hanno ormai esaurito la loro vena e che
purtroppo non sono stati seguiti da una generazione di registi altrettanto
talentuosa»
19
Il cinema di Fassbinder risente maggiormente della realtà sociale della
Repubblica Federale Tedesca negli anni Settanta e Ottanta piuttosto che
della tradizione precedente del cinema tedesco; aspetto questo che il regista
ha condiviso con i suoi colleghi del Nuovo Cinema Tedesco, che più che
una scuola o una corrente si potrebbe meglio definire come una generazione
di registi accomunati dal tentativo di innovare la messa in scena e
raggiungere un pubblico diverso da quello che frequentava le sale negli anni
Cinquanta, attraverso una nuova ricchezza di termini espressivi e
concettuali. Nel 1962, al Festival dei cortometraggi di Oberhausen, un
gruppo di ventisei giovani registi firmò un manifesto
20
che proclamava la
morte del vecchio e la nascita del nuovo cinema.
Il manifesto di Oberhausen denunciava la situazione di immobilismo
dell'industria cinematografica nella Germania federale e auspicava la
nascita di un cinema nuovo nelle idee e nel linguaggio, nonché libero da
vincoli commerciali. Con questo episodio ebbe inizio l'ascesa di una nuova
generazione di cineasti. Non si trattò, tuttavia, di un itinerario lineare.
Anzitutto i nuovi registi non costituirono mai - nonostante le indubbie
capacità di gestire collettivamente le fasi della lotta per il rinnovamento - un
movimento omogeneo in senso progettuale o estetico.
Come avviene quasi di regola per ogni corrente la riconoscibilità di una
fisionomia collettiva si basò su un certo numero di bersagli polemici (il
cinema commerciale, i generi codificati) tematici (emarginazione, perdita
19
Fischer Hembus, Nuovo Cinema Tedesco, Gremese editore, 1987.
20
Vedi testo integrale del “Manifesto di Oberhausen” in appendice.
17
dell'identità, impossibilità dell'integrazione sociale) ed espressivi in
comune
21
. Fu una fase essenzialmente di rottura, caratterizzata da
un’accentuata attenzione all'avanguardia e alla sperimentazione linguistica.
Nel contempo i giovani registi rivendicavano il valore politico del
cinema e il suo contatto con la realtà sociale. Decisi a ripartire da una tabula
rasa, guardavano tuttavia all'esperienza della Nouvelle Vague, unendo nei
loro film ricerca formale e soggettivismo. Nei primi anni fu rilevante il
ruolo di Jean-Marie Straub, con le sue sperimentazioni inedite sul mezzo
cinematografico. Importante anche il contributo di molti altri registi, spesso
provenienti dal cortometraggio, che oggi sono scarsamente attivi o ignoti al
pubblico: Peter Schamoni o Edgar Reitz (uno dei portavoce, assieme a
Kluge, del manifesto di Oberhausen), per esempio. Fu proprio Alexander
Kluge, vincendo il Leone d'argento a Venezia con un lungometraggio dal
titolo programmatico Abschied von gestern (Congedo dal passato, titolo
italiano: La ragazza senza storia, 1965-66) ad aprire la via al
riconoscimento internazionale della giovane cinematografia tedesca.
In seguito, assieme a Reitz, Kluge fonda a Ulm (nei pressi di Monaco) un
Istituto di formazione cinematografica dove un’intera generazione di registi
fa il suo apprendistato. Nel 1976 “Newsweek” dedica la copertina al
German Film Boom, con delle immagini di Il caso Katharina Blum, Il
diritto del più forte (di Fassbinder) e L’enigma di Kaspar Hauser
22
.
Questi grandi successi di pubblico, nella stessa RTF e all’estero, che si
aggiungono al milione di spettatori di Effi Briest, provano la vitalità
economica dei giovani registi tedeschi.
Una nuova generazione dunque, che ben risponde ai bisogni del cinema
di consumo, come giustamente sottolinea anche Davide Ferrario quando, a
proposito di Junger Deutscher Film, parla di sistema di finanziamenti statali
e della necessità di produrre velocemente, peculiarità, questa, che
sicuramente Fassbinder possedeva
23
. L’altro aspetto distintivo del Nuovo
21
F. Di Giammatteo, Dizionario universale del cinema, Roma, 1985.
22
Bernard Eisenschitz, Breve storia del cinema tedesco, Lindau, Torino, 2001, p. 144.
23
«Il sistema dei finanziamenti statali che ha creato il Nuovo Cinema Tedesco favorisce di fatto
chi può fornire più referenze ed è al centro dell’attenzione dei critici. Non solo, ma l’appoggio
18
Cinema Tedesco riguarda l’intervento degli organismi televisivi nella
produzione e proprio ciò porterà Fassbinder ad elaborare da subito una
nuova concezione di autore e intellettuale. Infatti, di fronte ai complessi
legami che si vennero a creare tra cinema e tv, il regista, evitando
saggiamente sia di fare l’artista separato, sia di vendersi alla produttività
tout court, si è adeguato ai nuovi mezzi di produzione né con una resa né
con ironia, ma costruendo un suo linguaggio, che non è né linguaggio
televisivo né linguaggio cinematografico. E il fatto che i suoi film televisivi
non presentino differenze sostanziali rispetto quelli cinematografici ne è la
prova.
Nell’autunno 1977 la nazione tedesca è scossa da precipitosi eventi
nefasti
24
. Questo momento cruciale è messo in luce in un film collettivo
realizzato per iniziativa di Kluge: Deutschland im Herbst (Germania in
autunno, 1978), ove fra sequenze documentarie ed altre inventate, si
snodano i vari episodi diretti da Schlöndorff, Sinkel e Brustellin, Reitz,
Katia Rupé e Hans Peter Cloos.
Il primo è quello di Fassbinder: si tratta del montaggio di scene girate
nella sua casa (il regista - che impersona se stesso - si lancia in un corpo a
corpo violento con il suo amante Armin Meier) attraverso brani di una
discussione del regista con la madre. L’episodio è stato definito dai critici
come «un isterico, convulso tentativo di definire il “politico” attraverso il
“privato”»
25
.
Alla fine del decennio Herzog e Schroter vengono riconosciuti con premi
internazionali, mentre Fassbinder è al cuore del cinema industriale,
Wenders parte per gli Stati Uniti su invito di Francis Ford Coppola e
Werner Herzog prepara in Perù il film dei suoi sogni, Fitzcarraldo. Il
successo del Nuovo Cinema, dunque, sembra ormai acquisito, e verrà
della televisione (l’altra grande molla che ha rimesso in moto il cinema tedesco nel dopoguerra) è
concesso di preferenza a chi lavora con budget ragionevoli entro i tempi stabiliti». Davide
Ferrario, op.cit., p. 11.
24
«La RAF assassina il capo del padronato Hans Martin Schleyer; un raid tedesco su Mogadiscio
libera i passeggeri di un aereo che è stato dirottato per ottenere la liberazione della “banda di
Baader”, morta poi in circostanze strane (suicidio collettivo o assassinio) nella prigione di
Stammheim». Bernard Eisenschitz, Breve storia del cinema tedesco, Lindau, Torino, 2001, p. 148.
25
Davide Ferrario, op.cit., p. 82.
19
ribadito dagli stessi registi al Festival dei cineasti di Amburgo nel 1979,
quando - con una retrospettiva sullo Junger Deutscher Film - si rinnoverà il
manifesto di Oberhausen e si cercherà di difendere Werner Herzog,
accusato di sfruttare gli indiani Aguaruna in Perù, durante le riprese del suo
film. Contemporaneamente però comincia ad accentuarsi all’interno del
Nuovo Cinema la divisione tra sostenitori di un cinema di espressione
individuale e simpatizzanti del cinema commerciale per il grande pubblico.
Paradossalmente accade che mentre lo Junger Film oltrepassa le frontiere
acquistando consensi a livello internazionale, la solidarietà fra i registi del
gruppo di fatto viene meno. Così la morte di Fassbinder, nel giugno 1982, e
l’arrivo al potere nel 1983 di una coalizione dominata dalla CDU
26
non
fanno altro che precipitare gli eventi.
Il nuovo ministro dell’interno, Friedrich Zimmermann, accanito
sostenitore di un appiattimento culturale attraverso il gusto delle masse,
annulla gli aiuti acccordati a Herbert Achternbusch per Das Gespenst (Lo
spettro, 1983) e a Elfi Mikesch e Monika Treut per Verführung: die
grausame Frau (Seduzione: la donna crudele, 1985). Si tratta del primo di
una lunga serie di attacchi contro il cinema d’autore, accusato di aver
portato l’industria alla rovina. Il produttore della Bavaria Günther Rohrbach
parla di «potere nefasto dei registi», mentre la stampa attacca il presunto
narcisismo dei cineasti e reclama a gran voce film “all’americana” per il
grande pubblico. Non è un caso infatti che Christine F. Noi i ragazzi dello
zoo di Berlino di Ulrich Edel sbanchi i botteghini nel 1981, mentre
l’avvenimento dell’anno successivo non sono i premi internazionali
attribuiti a Fassbinder, Herzog, Kluge e Wenders, ma l’uscita nelle sale di
U-Boot 96, epopea - da ben venticinque milioni di marchi - di un
sottomarino in guerra.
Nella RTF il Filmverlag der Autoren viene assorbito dal gruppo dello
“Spiegel” e ciascuno viene lasciato a se stesso forse anche perchè il cinema
non è più la questione centrale degli anni Ottanta: la sua natura si trasforma
man mano che viene sempre più integrato nei conglomerati mediatici. Si
26
Sigla che sta per Unione cristiano-democratica.
20
diffonde la pratica di concentrazione-riduzione delle scelte dei programmi
in sala, mentre Wenders, che di fatto ha più probabilità di essere ascoltato in
Francia che nella sua nazione, lamenta la fine della sua indipendenza
27
. «I
registi - afferma con rammarico il cineasta tedesco - ormai s’incontrano
soltanto negli aereoporti»
28
.
27
«L’apparato che distribuisce i film si attribuisce più potere e diventa effettivamente più potente
della gente che inventa questi film e poi li produce, assumendone tutti i rischi e tutte le
responsabilità». Wenders Wim, Stanotte vorrei parlare con l’angelo. Scritti 1968-88, a cura di G.
Spagnoletti e M. Toteberg, Ubulibri, Milano, 1994.
28
Bernard Eisenschitz, op.cit., p. 155.